14 Aprile, 2014

 

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Motivazione per relationem – Obbligo di allegare o riprodurre gli atti cui si fa riferimento – Sussiste – Art. 7 della legge n. 212/2000 – Omissione – Invalidazione dell’accertamento – Consegue.

Nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente, e al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento, di talché il difetto di allegazione o specifica riproduzione dei documenti richiamati nel provvedimento deve ritenersi invalidante dell’avviso di accertamento.

[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Cicala, rel. Caracciolo), 15 aprile 2013, ord. n. 9032]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSOMOTIVI DELLA DECISIONE – La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

La CTR di Roma ha accolto l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza n. 307/48/2008 della CTP di Roma che aveva accolto il ricorso del contribuente T.R. – ed ha così confermato l’avviso di accertamento per IRPEF 2003 a mezzo del quale era stata contestata l’omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi della plusvalenza (liquidata nell’importo di Euro 130.000.00) realizzata per effetto del trasferimento di una “licenza taxi”.

La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che l’avviso fosse stato “ampiamente motivato avendo l’Ufficio descritto la fonte da cui ha tratto la certezza dell’avvenuta cessione … e riepilogato l’intera vicenda che lo ha portato, in assenza di dichiarazione dei redditi, ad un accertamento di tipo induttivo del valore della cessione … nella motivazione dell’avviso di accertamento sono state anche indicate le disposizioni di legge che sostengono l’accertamento e gli elementi di valutazione che hanno condotto alla determinazione dell’accertato”. Ha ritenuto inoltre che la cessione della licenza costituisca una cessione d’azienda che obbliga all’indicazione della plusvalenza realizzata con la cessione, in difetto di che l’Agenzia è legittimata (ai sensi dell’art. 41 D.P.R. n. 600 del 1973) a determinare il reddito sulla base di dati e notizie comunque raccolti.

Il contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

[-protetto-]

L’Agenzia ha svolto attività difensiva con controricorso e ricorso incidentale.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c.

Infatti, con il primo motivo di censura (rubricato come: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 L. n. 212 del 2000”, poi sostanzialmente replicato con il motivo successivo, sub specie del vizio di omessa motivazione in ordine alla censura espressamente formulata a tale proposito con motivo di appello incidentale), la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito ha ritenuto che sia stata nella specie rispettata la prescrizione del menzionato art. 7, che impone l’allegazione al provvedimento degli atti che siano in esso richiamati, per quanto il provvedimento facesse mero riferimento a “valori dichiarati da altri soggetti che operano nello stesso campo e che hanno correttamente esposto in dichiarazione il corrispettivo percepito”; ad “indagini specifiche” ad informazioni che hanno potuto riferire da vari articoli di giornale” ed a “vari siti che pubblicano informazioni utili al tema trattato che riportano i prezzi di vendita delle licenze nella città di Roma”.

Il motivo (che erroneamente è stato considerato inammissibile dalla parte controricorrente, che di ciò ha fatto anche oggetto di ricorso incidentale, per violazione dell’art. 57 D.Lgs. n. 546 del 1992, sul presupposto che la questione fosse stata ex adverso tardivamente prospettata solo in appello, per quanto la stessa parte controricorrente riferisca che nel ricorso introduttivo di primo grado era stato chiesto l’annullamento “per completa carenza totale di motivazioni valide ed elementi certi e fondati da prove documentali”, così risultando integrata validamente e tempestivamente la causa petendi che si assume tardivamente prospettata, senza che ai predetti fini fosse necessario lo specifico riferimento alla disciplina del menzionato art. 7) è fondato, ed è assorbente dell’ulteriore motivo che qui non mette conto esaminare funditus e che comunque si palesa infondato, atteso quanto il giudice di merito ha accertato a proposito della avvenuta “cessione del taxi e della relativa licenza” ed atteso ciò che questa Corte ha già avuto modo di insegnare a proposito di analoghe vicende di fatto: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22112 del 16/10/2006; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 23327del 2010 (1).

Ed infatti, per quanto il giudicante abbia correttamente dato atto che – in difetto della dichiarazione del reddito a cui ha dato luogo la cessione dell’azienda – l’Ufficio correttamente si è avvalso di presunzioni semplici fondate su dati e notizie comunque raccolti, resta però che il medesimo giudicante ha violato la disposizione di legge invocata dalla parte ricorrente allorquando ha ritenuto sufficiente che – ai fini della “determinazione del valore accertato” – l’Ufficio potesse limitarsi alla “indicazione” degli “elementi di valutazione” che lo hanno supportato.

Detti elementi di valutazione, nella concreta fattispecie di causa, sono in realtà costituiti da individuati documenti e luoghi di informazione, che sono stati valorizzati per paragone, di cui l’Agenzia procedente si è limitata a dare del tutto generica indicazione, così precludendo alla parte contribuente di potersene avvalere a fini difensivi e perciò violando il principio ribadito da questa Corte (di recente Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6914 del 25/03/2011 (2); idem Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1906 del 29/01/2008 (3) nonché Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18117 del 08/09/2004 (4) per il regime antevigente alla emanazione dello Statuto) secondo cui: “Nel regime introdotto dall’art. 7 L. 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto correttamente motivato l’atto con cui l’Ufficio aveva rettificato, ai fini dell’imposta di registro e dell’INVIM, il valore di un immobile dichiarato in un contratto di compravendita, richiamando in comparazione altro atto di cessione di bene, ritenuto della stessa natura, senza allegarlo integralmente, ma riportandone soltanto alcuni stralci significativi)”.

Consegue da ciò che deve ritenersi erronea la pronuncia del giudice del merito che ha ritenuto non invalidante il difetto di allegazione o specifica riproduzione dei documenti richiamati nel provvedimento, giudice del merito al quale la causa andrà rimessa in sede di rinvio affinché quello torni a pronunciarsi – sul pacifico presupposto dell’avvenuta cessione dell’azienda di cui trattasi – in ordine alla concreta liquidazione della eventuale plusvalenza tassabile, in applicazione dei principi insegnati da questa Corte (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15825 del 12/07/2006(5)) circa il dovere di “motivata valutazione sostitutiva” che sul giudice tributario incombe, alla stregua dei poteri istruttori officiosi che gli competono.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.

(Omissis).

P.Q.M. – La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Lazio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente grado.

(1) Cass. 18 novembre 2010, n. 23327, in Boll. Trib. On-line.

(2) In Boll. Trib. On-line.

(3) In Boll. Trib., 2008, 1193.

(4) In Boll. Trib. On-line.

(5) In Boll. Trib., 2007, 458.

Un accertamento immotivato e in subordine non provato va rinviato a nuovo esame o annullato?

1. Esposizione dei fatti

L’Agenzia delle entrate accerta a carico di un contribuente l’omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi della plusvalenza di 130.000, realizzata per effetto del trasferimento di una “licenza taxi”.

Il contribuente ricorre e denuncia la «completa carenza totale di motivazioni valide ed elementi certi e fondati da prove documentali» e il ricorso è accolto dalla Commissione tributaria provinciale. Su appello dell’Agenzia delle entrate si pronuncia la Commissione regionale, la quale, per quanto ne riferisce il relatore nella successiva causa di cassazione, afferma, tra l’altro, che l’avviso di accertamento era «ampiamente motivato avendo l’Ufficio descritto la fonte da cui ha tratto la certezza dell’avvenuta cessione … e riepilogato l’intera vicenda che ha portato, in assenza di dichiarazione dei redditi, ad un accertamento di tipo induttivo del valore della cessione [e che] nella motivazione dell’avviso sono stati anche indicati … gli elementi di valutazione che hanno condotto alla determinazione dell’accertamento», indicazione ritenuta sufficiente ai fini della «determinazione del valore accertato». Pertanto, secondo la Commissione tributaria regionale, l’Agenzia delle entrate era legittimata a determinare il reddito sulla base di dati e notizie comunque raccolti ai sensi dell’art. 41 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (1).

Il contribuente soccombente ricorre alla Suprema Corte sulla base di tre motivi: a) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), dal titolo «chiarezza e motivazione degli atti», che richiede quale elemento motivazionale l’allegazione all’accertamento dell’atto in esso richiamato; b) omessa motivazione della sentenza su tale lamentato inadempimento dell’Agenzia; e c) nel merito della cessione del taxi e della relativa licenza.

Il consigliere relatore ha ritenuto, in forza delle argomentazioni che saranno di seguito esposte, che il ricorso potesse essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza, e la Corte ha accolto le conclusioni del relatore ai sensi dell’art. 375, n. 5), c.p.c. La sentenza impugnata è stata pertanto cassata con rinvio ad un’altra Sezione della stessa Commissione tributaria regionale.

2. I motivi richiamati dalla Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha innanzi tutto rilevato che gli elementi di valutazione, esplicitati dall’Agenzia delle entrate nell’avviso di accertamento, erano costituiti dalla generica indicazione di documenti e fonti d’informazione, che riferisce consistere in un mero richiamo a «valori dichiarati da altri soggetti che operano nello stesso campo e che hanno correttamente esposto nella dichiarazione il corrispettivo percepito», nonché ad «indagini specifiche» aventi per oggetto informazioni giornalistiche e i prezzi di vendita delle licenze taxi nella città, in cui operava il contribuente accertato, pubblicati in vari siti.

Il giudice di legittimità ha poi osservato che l’omessa dichiarazione del reddito ha legittimamente consentito all’Ufficio di avvalersi «di presunzioni semplici fondate su dati e notizie comunque raccolti», indicati nell’avviso di accertamento. Tuttavia l’avviso – che ha indicato i criteri di valutazione con rinvio, per relationem, ad altri atti in possesso dell’Ufficio, utilizzati per paragone – non assolve il precetto contenuto nell’art. 7 della legge n. 212/2000. È stato così violato – prosegue il relatore – il principio ribadito dalla Corte di Cassazione secondo cui «nel regime introdotto dall’art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento».

Il ricorso del contribuente è stato quindi accolto, non avendo il giudice di merito riconosciuto l’insufficienza della motivazione dell’accertamento, e la causa è stata rinviata allo stesso giudice, in diversa composizione, affinché si pronunci sulla concreta liquidazione della plusvalenza tassabile, nell’esercizio del dovere di «motivata valutazione sostitutiva».

3. La prima parte dell’ordinanza: nota di assenso

Merita innanzi tutto sottolineare che il principio di diritto statuito nell’annotata ordinanza e riportato sopra in corsivo, costituisce ormai ius receptum (2)o, come autoritariamente lo qualifica la Suprema Corte, «norma giuridica» (che quindi andrebbe ad integrare le fonti del diritto). Nella sentenza della stessa Sezione Tributaria 29 gennaio 2008, n. 1906 (3), paragrafo 7.3, si legge che «vige il seguente principio di diritto, o, più semplicemente, la seguente norma giuridica:Se la motivazione del provvedimento amministrativo d’imposizione tributaria è redatta con rinvio ad un’altra dichiarazione amministrativa: a) questa deve essere allegata, oppure b) della dichiarazione richiamata e non allegata si devono riprodurre gli elementi – oggetto, contenuti e destinatari – necessari e sufficienti per la motivazione del provvedimento rinviante». Il principio è riportato anche nella sentenza della Sezione Tributaria 25 marzo 2011, n. 6914 (paragrafo 2) (4) «con l’aggiunta delle parole «e la cui indicazione consente al contribuente – e al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento». La pronuncia che si annota riprende quindi l’intero principio enunciato da quest’ultima sentenza.

Il principio ermeneutico statuito dai Supremi giudici merita – sia pur da una penna assai modesta come quella nella mano dello scrivente – incondizionato elogio. Tanto più che nella citata sentenza n. 1906/2008 si precisa che nella motivazione per relationem la richiesta di riprodurre «il contenutoessenziale dell’atto equivale a richiedere la riproduzione del contenuto di quella sola dichiarazione che sia rilevante per la decisione … e, se la rilevanza si estende a più di una dichiarazione, la riproduzione riguarderà altrettanti contenuti». Si prosegue poi affermando che, «se la motivazione per relationem ha per scopo l’economia dell’azione amministrativa realizzata attraverso l’impiego di una motivazione di un’altra, e precedente, dichiarazione, ciò che deve essere riprodotto nella decisione amministrativa tributaria non è il contenuto di un’altra dichiarazione, ma tutte quelle parti della dichiarazione richiamata che sono necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto della decisione adottata». Si conclude avvertendo che «l’autorità decidente deve, invero, guardarsi bene dal richiamare nella sua interezza un determinato atto, perché, se esso fosse eccedente rispetto alla decisione e la sua dimensione e la sua articolazione fossero tali da impedire alla motivazione, anche per relationem, di svolgere la sua funzione garantistica di pubblicità dell’azione amministrativa a favore del destinatario, l’allegazione dell’atto richiamato non salverebbe la decisione dall’invalidità derivante da quella che paradossalmente potrebbe chiamarsi “insufficienza di motivazione per eccesso di motivazione”».

Il caso, sebbene diverso da quello affrontato nell’annotata ordinanza, merita una riflessione. Spesso l’Agenzia delle entrate, a sostegno di una ripresa a tassazione, richiama e/o allega un intero verbale di verifica tributaria, gran parte del quale concerne rilievi diversi da quello utilizzato nella ripresa stessa, senza indicare quelle parti (specificatamente quel foglio o quei fogli) che trattano la ripresa fatta propria dall’Agenzia, rendendo così estremamente difficoltoso e dispendioso il ritrovamento del rilievo dei verificatori su cui si fonda la rettifica dell’Agenzia medesima.

4. La seconda parte dell’ordinanza: una nota di dissenso

L’ordinanza in esame, pur sancendo l’erroneità della «pronuncia del giudice di merito che ha ritenuto non invalidante il difetto di allegazione o specifica riproduzione dei documenti richiamati nel provvedimento», ha rinviato la causa al predetto giudice di merito «affinché quello torni a pronunciarsi … in ordine alla concreta liquidazione dell’eventuale plusvalenza tassabile, in applicazione dei principi insegnati da questa Corte (per tutte Cass., Sez. 5, Sentenza n. 15825 del 12/07/2006) circa il dovere di “motivata valutazione sostitutiva” che sul giudice tributario incombe». Quest’ultima sentenza (5) riprende l’annoso e controverso problema della natura del processo tributario, annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito” e non di “impugnazione-annullamento”, traendone la conseguenza che «detto processo non è diretto alla sola eliminazione giuridica dell’atto impugnato ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio». Aggiunge poi che «il Giudice, il quale ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali ma di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l’atto impositivo ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria, e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte».

L’affermazione equivale ad attribuire all’omessa motivazione dell’avviso di accertamento una “invalidità” (così qualificata dalla stessa Corte di Cassazione) che non comporta la sanzione di nullità, ma si traduce in mera irregolarità che impone al giudice di emettere una valida motivazione e, sulla base di quella, una congrua determinazione della materia imponibile. Quest’ultima sarà evidentemente possibile a seguito di nuove allegazioni che l’Ufficio, così rimesso in termine, potrà effettuare a sostegno dell’immotivato criterio adottato di valutazione “per paragone”.

Invero, a modesto parere di chi scrive, la legge così non dispone.

Stabilisce infatti l’art. 42, secondo e terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973, che «l’accertamento è nullo se l’avviso non reca … la motivazione di cui al presente articolo», specificando quindi che, giusta l’integrazione operata nel gennaio 2001 a seguito dell’entrata in vigore dello statuto dei diritti del contribuente, «se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale».

Orbene, anche prescindendo dalla dottrina che ha sostenuto che l’inadempimento all’obbligo di motivazione, introdotto (rectius, ribadito) dall’art. 7 della legge n. 212/2000, è sanzionato con la nullità dell’atto (7), l’art. 42, terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973, così come l’art. 56, quinto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di motivazione degli accertamenti per IVA, l’art. 52, comma 2-bis, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, con riferimento alle rettifiche del valore degli immobili e delle aziende ai fini dell’imposta di registro, e l’art. 16 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, sull’irrogazione delle sanzioni, sono incontrovertibile espressione di un ordinamento giuridico tributario che sancisce con la nullità l’omessa o insufficiente motivazione.

Il problema è assai complesso e non può essere funditus affrontato in questa sede, sia per la già accennata inadeguatezza della penna di chi scrive, sia per i tradizionali confini di una nota di commento. Si consideri appena che l’accertamento tributario deve essere dotato dei requisiti essenziali affinché possa costituire il veicolo che consenta al giudice di entrare nel merito della determinazione dell’obbligazione tributaria; in mancanza di tali requisiti, l’accesso al merito è precluso dalla pregiudiziale constatazione dell’idoneità o meglio dell’invalidità dell’atto all’instaurazione del rapporto giuridico d’imposta. In sostanza il giudice tributario, solo dopo avere rigettato, in quanto infondata, l’eccezione di parte sulla legittimità dell’atto impugnato, avrà accesso al merito della controversia (8).

S’impone tuttavia, pur col rispetto che merita cotanto giudice, un’ulteriore osservazione critica.

Ove l’accertamento portato in giudizio fosse ritenuto motivato o comunque sufficientemente motivato in guisa da salvarlo dalla sanzione di nullità, nel merito dovrebbe essere annullato per omesso assolvimento dell’onere della prova.

Proprio la Corte di Cassazione, con il citato arresto n. 6914/2011, richiamato dalla stessa sentenza che qui si annota, ha statuito il seguente principio di diritto, dichiarato frutto di costante giurisprudenza di legittimità: «In tema di imposta di registro ed INVIM, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 7 L. 27 luglio 2000, n. 212, che ha esteso alla materia tributaria i principi di cui all’art. 3 L. 7 agosto 1990, n. 241, l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato il maggior valore, con le specificazioni che si rendano in concreto necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando riservati a quest’ultima fase l’onere dell’Ufficio di fornire la prova della sussistenza in concreto dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, e la possibilità per il contribuente di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri».

Ne dovrebbe conseguire che se l’avviso non è motivato (o non è sufficientemente motivato) esso deve essere dichiarato nullo; se la motivazione esiste, per esempio, con riferimento ad astratti criteri legali di valutazione e nel processo l’Ufficio non prova la concreta applicazione di tali criteri (per esempio, indicando il trasferimento di un bene analogo, di cui si è assunto il valore, consentendone il riscontro al contribuente), l’accertamento va annullato perché infondato, non avendo la parte assolto l’onere della prova che ad essa incombeva (9).

Il principio estende la sua validità al comparto delle imposte dirette. Se l’Ufficio emette un accertamento sintetico in caso di omessa dichiarazione e determina l’imponibile sulla base del numero delle vetrine del negozio, degli scontrini emessi e delle ore lavorate dai dipendenti (elementi presuntivi non qualificati, ma utilizzabili stante l’omessa dichiarazione) e tali numeri sono contestati dal contribuente e quindi non risultano provati, l’accertamento si dimostra infondato nel merito e va annullato.

Motivazione e onere della prova esplicano funzioni distinte nel procedimento tributario, attenendo l’uno alla fase amministrativa, l’altro a quella contenziosa, e si sviluppano quindi in momenti differenti e susseguenti.

Già un illustre Autore ebbe a scrivere quasi 27 anni fa che «la linea distintiva tra motivazione e prova non sarà certamente netta, ma può esprimersi nella formula secondo cui la motivazione descrive una serie di argomentazioni mentre la prova le dimostra, suffragandole, per quanto necessario, con un’adeguata evidenza fattuale», talché solo in un accertamento esclusivamente basato su presunzioni adeguatamente descritte il confine tra motivazione e prova può essere labile (10). Successivamente si è scritto che «motivazione e prova hanno natura e funzione diverse. La prima consiste nella descrizione delle ragioni poste a fondamento della pretesa erariale. La motivazione non deve, perciò, convincere il contribuente della fondatezza della pretesa erariale, ma deve mettere quest’ultimo in grado di ricostruire l’iter logico-giuridico seguito dall’ufficio nella determinazione della pretesa e di esercitare per l’effetto il diritto di difesa. La provaconsiste, invece, nella dimostrazione della fondatezzadi quelle ragioni sulla base dei documenti e delle presunzioni utilizzate in sede accertativa dall’ufficio. Essa può, quindi, essere fornita in giudizio dall’ufficio» (11). Più semplicemente è stato rilevato che «il difetto di motivazione di un atto emesso dall’amministrazione finanziaria rende nullo l’atto medesimo e di conseguenza non si pone nemmeno il problema di fornire la prova contraria» (12).

Affinché si abbia un giusto processo occorre che la legge sia applicata, così com’è, nei confronti di tutte le parti che in esso si sono costituite.

Dott. Giuseppe Verna

(1) Non si comprende invero, date le contrastanti indicazioni della Suprema Corte, se si verta in tema di omessa indicazione del reddito da plusvalenza, derivante dalla cessione della licenza taxi, ed allora deve applicarsi l’art. 39, secondo comma, lett. d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, o di omessa dichiarazione dei redditi, nel qual caso è corretto il richiamo fatto al successivo art. 41. In ogni caso, per l’accertamento del reddito o dei redditi omessi, l’Ufficio può procedere «sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti» di precisione, gravità e concordanza.

(2) Principio ormai applicato anche dalle Corti territoriali: cfr. per tutte, Comm. I grado di Trento 11 dicembre 2008, n. 85, in Boll. Trib., 2009, 1777.

(3) In Boll. Trib., 2008, 1193.

(4) In Boll. Trib. On-line.

(5) In Boll. Trib., 2007, 458.

(6) R. Miceli, La motivazione degli atti tributari, in A. Fantozzi A. Fedele (a cura di), Statuto dei diritti del contribuente, Milano, 2005, 297, che fa incisivamente discendere l’obbligo non solo in funzione di difesa del contribuente, ma soprattutto in attuazione dei principi di buon governo dell’amministrazione contenuti nell’art. 97 Cost.; e ID., La motivazione per relationem, ibidem, 337 e 338, che deduce che, ove la nullità fosse tempestivamente eccepita dal contribuente e riconosciuta dalle commissioni tributarie, occorrerà limitarsi a dichiarare la nullità dell’atto senza entrare nel merito della controversia.

(7) «L’opinione preferibile è che il processo incardinato con l’impugnazione degli atti impositivi concerna la legittimità di questi, e metta capo, qualora siano rilevati in essi vizi non sanati, ad una decisione di annullamento”: così G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2003, 614. «La domanda che si rivolge al giudice tributario può riguardare: a) la mera validità formale dell’atto per vizi di procedura che non riguardano l’esistenza e la misura del debito, per carenza cioè di uno dei requisiti posti dalla legge a pena di nullità: … [quale la] motivazione …; qui il giudice è chiamato ad una mera sentenza di annullamento»: così E. de Mita, Principi di diritto tributario, Milano, 2007, 481.

(8) Cass., sez. trib., 16 dicembre 2005, n. 27758, in Boll. Trib. On-line, invece, pur in presenza di chiare domande del contribuente, concernenti in via principale la dichiarazione di nullità dell’accertamento per omessa motivazione e in via subordinata l’annullamento per omesso assolvimento dell’onere della prova, e pur riconoscendo che non erano stati enunciati i criteri di valutazione dato il contenuto del tutto generico dell’avviso di accertamento, ha cassato la sentenza che non aveva rilevato tale vizio, ha ritenuto assorbita la censura in tema di difetto di prova e ha rinviato la controversia per nuovo esame ad altra Sezione della Commissione regionale.

(9) R. Lupi, Motivazione e prova nell’accertamento tributario con particolare riguardo alle imposte dirette e all’iva, in Riv. dir. fin. sc. finanze, 1987, I, 291-292.

(10) G.M. Cipolla, Onere della prova nel processo tributario, in Rass. trib., 1998, 687.

    (11) G. Verna V. Verna, Accertamento e processo tributario, Milano, 2000, 173.

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