8 Aprile, 2014

 

IRES – Redditi di impresa – Valutazioni – Transfer pricing – Rettifica dei prezzi di trasferimento in relazione alla pretesa incongruità di costi di promozione e marketing sostenuti da una società italiana nei confronti di fornitori terzi indipendenti – Riaddebito di una quota di tali costi alla società consociata svizzera titolare dei marchi – Mancanza di prova della sussistenza di una effettiva cessione di servizi di pubblicizzazione dei marchi della consociata svizzera – Illegittimità del riaddebito – Consegue.

 IRES – Redditi di impresa – Oneri fiscali e contributivi – IVA versata in base ad accertamento con adesione – Deducibilità ai sensi dell’art. 99 del TUIR – Esclusione.

 Imposte e tasse – Convenzioni internazionali – Svizzera – Royalties corrisposte da una società italiana a una consociata svizzera – Difetto dello status di beneficiario effettivo in capo alla società svizzera – Applicabilità dell’art. 12 della Convenzione italo-elvetica contro le doppie imposizioni – Esclusione – Aliquota ridotta – Inapplicabilità – Consegue.

 IRES – Redditi di impresa – Royalties corrisposte da una società italiana a una consociata svizzera – Difetto dello status di beneficiario effettivo in capo alla società svizzera – Applicabilità dell’art. 12 della Convenzione italo-elvetica contro le doppie imposizioni – Esclusione – Inapplicabilità dell’aliquota ridotta – Consegue.

 Imposte e tasse – Convenzioni internazionali – Svizzera – Royalties corrisposte da una società italiana a una consociata svizzera e da quest’ultima girate alla società capogruppo svizzera fruente dell’esonero da imposte municipali e cantonali – Applicabilità dell’art. 12 della Convenzione italo-elvetica contro le doppie imposizioni – Esclusione.

 IRES – Redditi di impresa – Royalties corrisposte da una società italiana a una consociata svizzera e da quest’ultima girate alla società capogruppo svizzera fruente dell’esonero da imposte municipali e cantonali – Applicabilità dell’art. 12 della Convenzione italo-elvetica contro le doppie imposizioni – Esclusione.

 

 L’Ufficio finanziario non può accertare maggiori ricavi a titolo di rettifica dei prezzi di trasferimento, adducendo la pretesa incongruità di costi di produzione e marketing sostenuti nei confronti di fornitori terzi indipendenti, senza fornire la prova della esistenza di un’effettiva cessione di servizi di pubblicizzazione dei marchi di proprietà della società capogruppo tale da escludere che detti costi rappresentino invece spese finalizzate per la promozione dei prodotti presso i punti vendita e ad aumentarne la diffusione nel mercato.

 È indeducibile ai fini IRES l’onere fiscale costituito dall’IVA dovuta e versata in base ad accertamento con adesione.

 La ritenuta ridotta del 5% prevista dall’art. 12 della Convenzione italo-elvetica contro le doppie imposizioni non risulta applicabile nel caso in cui le royalties corrisposte da una società italiana a una consociata svizzera siano da quest’ultima riversate alla società capogruppo svizzera, in quanto la prima prenditrice non ha lo status di beneficiario effettivo e non può quindi fruire del trattamento agevolato fissato dalla citata norma della Convenzione.

 La ritenuta ridotta del 5% prevista dall’art. 12 della Convenzione italo-elvetica contro le doppie imposizioni non risulta applicabile allorché le royalties corrisposte da una società italiana a una consocietà svizzera siano da quest’ultima riversate alla società capogruppo svizzera, in quanto detta capogruppo gode dell’esonero dalle imposte municipali e cantonali e non può quindi fruire del regime agevolato previsto dalla citata norma della Convenzione.

[Commissione trib. provinciale di Milano, sez. I (Pres. D’Orsi, rel. Astolfi), 1º febbraio 2013, sent. n. 66, ric. Nestlé s.p.a. c. Agenzia delle entrate]

 

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Alla ricorrente venivano notificati gli avvisi di accertamento in oggetto ai fini IRAP e ai fini IRES a seguito di verifica effettuata dalla Agenzia delle Entrate con il quale l’Ufficio riprendeva maggiori ricavi dovuti a titolo di contribuzione alle spese pubblicitarie sostenute da Nestlè italiana S.p.A. per lo sviluppo ed il mantenimento dei marchi di proprietà della Societè de Produits Nestlè S.A. calcolati dall’Ufficio secondo il metodo TNMM (Transactional Net Margin Method) in contrapposizione al metodo CUP adottato dal contribuente poiché l’Ufficio ritiene che tali transazioni comparabili in misura così elevata da consentirne l’applicazione; pertanto l’affidabilità del metodo adottato dal contribuente non appare sufficientemente adeguata.

 Una seconda ripresa riguarda costi indeducibili relativi ad IVA versata per l’anno 2000 e 2001 a seguito di accertamento con adesione.

 La terza ripresa riguarda ritenute a titolo di imposta non effettuate dalla ricorrente in relazione alle royalties versate nei confronti della Societè de Produits Nestlè S.A.; parte ricorrente determinava tali ritenute pari al 5% tenuto conto della convenzione Italo-Svizzera contro le doppie imposizioni.

 L’Ufficio riteneva non operante tale convenzione in considerazione che la società effettivamente percipiente era la Nestlè S.A. risiedeva in un paese a fiscalità privilegiata e poiché tale soggetto godeva di agevolazioni fiscali nel Paese di residenza in quanto non versava le imposte Comunali e Cantonali.

 

[-protetto-]

Avverso i predetti accertamenti ricorre il contribuente rilevando:

 1) in relazione alle omesse ritenute alla fonte a titolo di imposta rileva che le ritenute sono state effettuate in conformità alle disposizioni dell’art. 12 della convenzione Italo-Svizzera contro le doppie imposizioni ritenendo non vero che la SPN S.A. fosse una semplice intermediaria della riscossione delle royalties e che successivamente versava tali somme alla capogruppo Nestlè S.A. che a differenza dell’altra società era non soggetta alle imposte cantonali e municipali. Il recupero secondo la ricorrente è fondato esclusivamente su una corrispondenza elettronica tra la società italiana e quella svizzera assolutamente non probatoria.

 In subordine parte ricorrente rileva che anche la Società Nestlè S.A. soddisfava tutte le condizioni previste per l’applicazione della convenzione (art. 23) essendo assoggettata a imposte federali per i redditi ovunque prodotti e ad imposte cantonali e municipali sul patrimonio.

 In ulteriore subordine parte ricorrente rileva la illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 23 della convenzione Italo-Svizzera contro le doppie imposizioni e la validità probatoria delle certificazioni rilasciate dalla Autorità fiscale Svizzera e l’onere gravante sulla Autorità fiscale Italiana di esperire la speciale procedura prevista dall’art. 23, paragrafo 3, secondo periodo della convenzione.

 In ulteriore subordine rileva la erronea quantificazione della base imponibile [delle royalties, N.d.r.] da assoggettare a ritenuta che si assumono riversate a Nestlè S.A. in quanto ai sensi del combinato disposto dell’art. 25, comma 4, del D.P.R. 600/1973 e dell’art. 67, comma 1, lettera g) e 71 comma 1, del TUIR in forza dei quali nella ipotesi in cui i diritti di proprietà individuale sono stati acquisiti a titolo oneroso, la base imponibile della ritenuta alla fonte deve essere abbattuta del 25%;

 2) la illegittimità delle sanzioni applicate in relazione al rilievo a titolo di omesso versamento delle ritenute di imposta per insussistenza di una condotta sanzionabile secondo l’indirizzo della giurisprudenza comunitaria. Rileva inoltre che nella specie ricorrono le condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma che si assume violata. Ritiene esistano anche le esimenti di cui all’art. 6 del D.Lgs. 472/1997 ritenendo scusabile l’errore nella individuazione del beneficiario effettivo delle royalties.

 Relativamente alle sanzioni applicate per infedele dichiarazione rileva che nel caso sarebbe, al limite, applicabile la sanzione di cui all’art. 2 del D.Lgs. 471/1997.

 3) la illegittimità del rilievo a titolo di rettifica dei prezzi di trasferimento ex art. 110, comma 7, del TUIR in relazione alla congruità dei costi di promozione e marketing sostenuti da Nestlè Italiana S.P.A. nei confronti di terzi indipendenti, ritenuti dall’Ufficio imputabili alla pubblicità dei marchi di proprietà SPN S.A, e che quindi dovessero essere riaddebitati dalla ricorrente alla società svizzera. Rileva il ricorrente che nel caso non ricorrono i presupposti di operazioni intercorse tra società residente e società controllante non residente poiché i prezzi riguardano operazioni con diverse società pure residenti e non legate da alcun rapporto di controllo.

 Inoltre le spese di pubblicità possono essere interamente dedotte nell’esercizio in cui vengono sostenute e a norma del comma 2 dell’art. 108 del D.P.R. 917/1986 si prescinde completamente dalla natura e dalle finalità delle spese pubblicitarie, anche nel caso in cui la società che le ha sostenute non abbia la titolarità del marchio.

 Rileva inoltre che l’Ufficio non può travalicare il reale voluto dalle parti creando un voluto proprio di cessione di servizi pubblicitari.

 Parte ricorrente contesta inoltre la illegittimità del rilievo fondato su un procedimento di determinazione affetto da gravi e numerosi errori metodologici in riferimento alla scelta delle società prese a comparazione dall’Ufficio tutte di diritto inglese; rileva inoltre la non comparabilità del mercato inglese con quello italiano.

 Contesta inoltre il metodo adottato dall’Ufficio (TNMM) ed il raffronto con il margine netto ricavato dalla media delle medie di una serie di società campione (pari al 3,39%) rispetto a quello della società (pari al 1,62%), senza determinare la redditività normale dell’attività distributiva al netto della attività manifatturiera.

 4) illegittimità del rilievo a titolo di IVA indeducibile per violazione delle disposizioni di cui all’art. 99 del D.P.R. 917/1986, le disposizioni sull’accertamento con adesione non introducono limitazioni o deroghe alla deducibilità delle imposte versate dal contribuente in base all’accertamento con adesione anche in considerazione del tassativo divieto dell’esercizio della rivalsa dell’IVA dovuta a seguito di accertamento di cui all’art. 60 del D.P.R. 633/1972;

 5) contesta inoltre l’applicabilità delle sanzioni inerenti le maggiori imposte dirette accertate, ricorrendo nella specie, le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme che si assumono violate anche in considerazione della norma che prevede il caso in cui la violazione se è conseguenza di errore sul fatto l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da colpa. Chiede inoltre l’applicazione nella misura minima non avendo l’Ufficio motivato l’incremento dell’80% ai fini IRAP;

 6) parte ricorrente rileva inoltre la violazione dell’art. 6 della CEDU e dell’art. 1 del Protocollo aggiuntivo della predetta Convenzione.

 Chiede quindi l’annullamento dell’atto impugnato; in subordine rideterminare le ritenute dovute nell’importo di € 1.801.221,82, sul piano sanzionatorio annullare tutte le sanzioni e, in subordine la riduzione delle stesse, con vittoria di spese di giudizio.

 Con atto del 16/07/2012 si costituiva l’Ufficio rilevando in merito al rilievo riguardante l’omesso versamento di ritenute che la SPN S.A è una società conduit che riversa il 90% del riscosso alla capogruppo come rilevabile dalla documentazione verificata in sede. La Nestlè S.A. è una pura holding e come tale beneficia di una tassazione privilegiata e rientra nelle società operanti nei territori black list. In merito alle connesse sanzioni l’Ufficio sostiene la legittimità delle stesse.

 In merito alla illegittimità del rilievo a titolo di rettifica dei prezzi di trasferimento ex art. 110, comma 7, del TUIR in relazione alla congruità dei costi di promozione e marketing sostenuti l’Ufficio rileva che non sono in discussione le spese di pubblicità sostenute dalla Società italiana, ma lo studio delle spese sostenute in Italia è funzionale alla determinazione delle royalties corrisposte alla Società svizzera. Rileva inoltre la inesistenza di gravi e numerosi errori metodologici come indicati da parte ricorrente.

 In merito alla illegittimità del rilievo a titolo di IVA indeducibile per violazione delle disposizioni di cui all’art. 99 del D.P.R. 917/1986, l’Ufficio rileva che trattasi di un debito verso l’Erario per IVA indebitamente detratta che, pertanto, non può [che, N.d.r.] tradursi in un costo indeducibile.

 In merito alle sanzioni corrispondenti alle maggiori imposte dirette accertate l’Ufficio rileva la legittimità e la correttezza delle stesse come determinate.

 In merito alla violazione dell’art. 6 della CEDU o dell’art. 1 del protocollo aggiuntivo della stessa l’Ufficio rileva che trattasi di generiche eccezioni.

 Chiede quindi il rigetto del ricorso con vittoria di spese di giudizio.

 Con memoria del 16/10/2012 parte ricorrente contesta la costituzione in giudizio dell’Ufficio riportandosi alle motivazioni del ricorso introduttivo e alle conseguenti richieste.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Relativamente all’avviso di accertamento n. … si osserva quanto segue.

 

La prima ripresa, in sostanza riguarda la rideterminazione delle spese riconosciute alla capogruppo svizzera a seguito delle elevate spese sostenute allo scopo di valorizzare, mantenere o accrescere il valore degli intangibile che tuttavia non hanno trovato, quale contropartita, né una riduzione delle royalties corrisposte né un riconoscimento delle spese sostenute, come l’Ufficio ritiene debba essere.

 Per determinare il valore da riaddebitare alla capogruppo l’Ufficio ha utilizzato un approccio TNMM valutando un gruppo di società ritenute comparabili come da studio presentato dalla società a seguito del quale ha ritenuto che la quota da addebitare alla capogruppo doveva garantire almeno un margine netto. Tale metodo utilizzato dai verificatori richiederebbe un minor grado di comparabilità nella transizione in esame con le transazioni effettuate dalle parti indipendenti prese a raffronto, rispetto al caso in cui si utilizzino metodi tradizionali.

 Per tali motivi l’Ufficio ha determinato in € 33.265.945,33 la contribuzione alle spese pubblicitarie sostenute dalla ricorrente per il mantenimento e lo sviluppo dei marchi pubblicitari di proprietà della capogruppo svizzera, in violazione degli artt. 5 e 11-bis del D.Lgs. 446/1997, applicando un Ebit corretto che avrebbe garantito un margine netto.

 

Parte ricorrente rileva che le operazioni contestate sono reali ed effettive e sono intervenute con numerosi fornitori di servizi pubblicitari residenti nel territorio dello stato e non legati alla controparte da alcun rapporto di controllo. Pertanto, non essendovi rapporti di controllo con società estere in relazione ai quali occorre verificare la congruità dei prezzi di trasferimento ai sensi del combinato disposto degli artt. 110, commi 2 e 7, e 9 comma 3 del TUIR.

 In ogni caso parte ricorrente ritiene che le spese di pubblicità siano interamente spesabili nell’esercizio di sostenimento e nei cinque successivi. In ogni caso parte ricorrente ritiene che la rettifica dei prezzi di trasferimento viola la norma sulla interpretazione dei contratti poiché fondata sulla invenzione di contratti virtuale.

 Ritiene la Commissione che la valutazione dell’Ufficio è basata sulla cessione di servizi di pubblicizzazione dei marchi di proprietà della capogruppo cessione per la quale non viene fornita alcuna dimostrazione; in sostanza non viene fornita prova da parte dei verificatori che trattasi effettivamente di spese di pubblicizzazione del marchio e non di spese per la promozione dei prodotti presso i punti vendita al fine di aumentarne la penetrazione nel mercato. La semplice congettura di una cessione di servizi non appare idonea a realizzare qualcosa di diverso da quanto voluto dalle parti.

 È ben vero che la promozione dei prodotti venduti dalla ricorrente contiene anche una veicolizzazione della promozione del marchio, ma occorre una valutazione accurata di quello che potrebbe essere la quota attribuibile alla promozione del marchio e tale valutazione non può certamente essere effettuata mediante una percentuale del venduto, che non può essere valutata per comparazioni con altri soggetti poiché non vi è la prova che la valutazione è stata effettuata se non nei confronti di soggetti identici quanto meno nei confronti di soggetti che possono essere considerati almeno omogenei, pertanto tale percentuale derivante dalla media delle mediane degli Ebit del triennio 2004/2006 delle società campione prese a riferimento non appare attendibile.

 Allo stesso modo l’analisi comparativa deve essere svolta anche nei confronti dei mercati sui quali le società operano.

 Nello stesso senso si esprimono i principi OCSE con riguardo alle linee guida sul prezzo di trasferimento secondo i quali per determinate se una impresa sia o meno comparabile a quella che si intende esaminare non è sufficiente che vi sia una certa similitudine tra le imprese e tra le attività svolte ma è necessario che sia svolta una compiuta analisi delle funzioni svolte dalle stesse, dei rischi assunti, e dei beni strumentali, materiali e immateriali utilizzati da ciascuna nella attività imprenditoriale.

 E la dimostrazione della esistenza di una indiscutibile comparabilità è a carico dell’Ufficio che intende far valere la pretesa vantata e l’illegittimo comportamento del contribuente.

 Per quanto sopra la ripresa deve essere annullata.

 Relativamente alla seconda ripresa riguardante costì indeducibili per IVA versata per gli atti di accertamento con adesione per i quali è stata sancita la indetraibilità di IVA su acquisti di servizi commerciali afferenti gli anni 2000/2001 nella misura del 50% in quanto l’Ufficio ha ritenuto che sull’importo recuperato a tassazione di tali servizi parte ricorrente avrebbe dovuto emettere note di credito con aliquota dei 9,18% pari all’aliquota media delle operazioni imponibili di cui alla dichiarazione IVA per l’anno 2000. La ricorrente avrebbe quindi determinato uno storno dell’IVA a debito precedentemente contabilizzata che è l’IVA che sulla base delle considerazioni fatte e condivise in sede di adesione, la parte avrebbe potuto legittimamente detrarre.

 Quanto sopra vale anche per il periodo di imposta 2001.

 La ripresa è giustificata, secondo l’Ufficio, dalle disposizioni dell’art. 99 del TUIR secondo il quale le imposte per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione.

 Pertanto l’Ufficio recuperava a tassazione l’importo complessivo di € 6.506.505,00.

 Parte ricorrente rileva che per l’effetto di tale ripresa è venuta meno la neutralità dell’imposta.

 Comunque la regola generale del citato art. 99 prevede alcune deroghe tassative e comunque ammette la deducibilità di accantonamenti per accertamenti non definitivi.

 L’accertamento con adesione non introduce limitazioni circa la deducibilità delle imposte versate.

 In merito la Commissione osserva che non risulta esservi discussione sulla portata dell’accertamento con adesione nel quale le parti riconoscono l’illegittimità della detrazione relativa a indimostrati servizi promo-pubblicitari e, sulla scorta delle risultanze della verifica, riqualificato le relative fattispecie come sconti sul prezzo trattabili fiscalmente con note di variazione ex art. 26 del D.P.R. 633/1972.

 In sostanza le parti hanno dato atto che per tali sconti sul prezzo si rendono applicabili le disposizioni di cui al secondo e terzo comma di tale articolo pertanto le note di variazione non possono essere emesse decorso un anno dalla effettuazione della operazione imponibile anche in considerazione del fatto che tali variazioni non sono conseguenti ad intervenuti accordi tra le parti, ma fin dalla origine riguardavano operazioni aventi un titolo diverso da quello originariamente qualificato.

 Nella procedura adottata dall’Ufficio, invece, viene riconosciuto l’abbattimento che comunque avrebbe dovuto essere applicato in occasione della emissione della nota di variazione pari alla aliquota media di tutte le operazioni imponibili risultante dalla dichiarazione IVA annuale.

 Per quanto sopra la ripresa deve essere confermata.

 La terza ripresa riguarda rilievi ai fini delle ritenute d’acconto a titolo di imposta per i canoni a titolo di royalties corrisposti alla società di diritto svizzero Societè des Produits Nestlè S.A.

 I rapporti commerciali tra le due società sono regolati da contratto di licenza dal quale sì evince che la società elvetica ha la titolarità dei marchi utilizzati dalla ricorrente sui prodotti venduti in Italia.

 Su tali canoni la ricorrente ha effettuato una ritenuta alla fonte del 5% secondo quanto previsto dall’art. 12 della convenzione Italo-Svizzera per evitare le doppie imposizioni, anziché effettuare la ritenuta ordinaria del 30% prevista ai sensi dell’art. 25, comma 4, del D.P.R. 600/1973.

 L’Ufficio ha rilevato che la Società des Produits Nestlè SA., pur essendo titolare del marchio, non è altro che una mera società c.d. conduit che svolge una funzione di intermediaria nella riscossione delle royalties ricevute da tutte le società italiane del gruppo e che riversa il 90% del riscosso alla capogruppo Nestlè S.A. società residente in Svizzera e sottoposta ad un regime fiscale agevolato riservato alle Holding.

 Vengono a cadere pertanto, i requisiti richiesti per la applicazione dell’art. 12 della convenzione Italo-Svizzera per evitare le doppie imposizioni.

 Pertanto l’Ufficio riprendeva l’importo di € 8.941.373,26 a titolo di maggiori ritenute non versate in violazione dell’art. 25, comma 4, del D.P.R. 600/1973.

 Con ampio ricorso si opponeva il contribuente rilevando che anche la Società Nestlè S.A. soddisfava tutte le condizioni previste per la applicazione della convenzione (art. 23) essendo assoggettata a imposte federali per i redditi ovunque prodotti e ad imposte cantonali e municipali sul patrimonio.

 in subordine parte ricorrente rileva la illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 23 della convenzione Italo-Svizzera contro le doppie imposizioni e la validità probatoria delle certificazioni rilasciate dalla Autorità fiscale Svizzera e l’onere gravante sulla Autorità fiscale Italiana di esperire la speciale procedura prevista dall’art. 23, paragrafo 3, secondo periodo della convenzione.

 In ulteriore subordine rileva la erronea quantificazione della base imponibile da assoggettare a ritenuta che si assumono riversate a Nestlè S.A. in quanto ai sensi del combinato disposto dell’art. 25, comma 4, del D.P.R. 600/1973 e dell’art. 67, comma 1, lettera g) e 71 comma 1, del TU1R in forza dei quali nella ipotesi in cui ì diritti di proprietà individuale sono stati acquisiti a titolo oneroso, la base imponibile della ritenuta alla fonte deve essere abbattuta del 25%.

 La Commissione rileva che nel caso non è vero che parte ricorrente abbia correttamente applicato le disposizioni riguardanti l’art. 12 della convenzione Italo-Svizzera per evitare le doppie imposizioni in quanto destinatario finale delle royalties in questione è un soggetto diverso rispetto a quello che appare anche se Societè des Produits Nestlè SA. è un soggetto sottoposto a tutte le imposte dovute; nel caso non è controverso il fatto che Societè des Produits Nestlè SA riversa a Nestlè S.A. il 90% dei canoni percepiti.

 Tale fatto induce a ritenere che l’interposizione di Societè des Produits Nestlè S.A. è avvenuta al fine di consentire il pagamento di tali canoni a soggetto rientrante formalmente nelle caratteristiche di cui al citato art. 12 della convenzione citata.

 Ciò in considerazione del fatto che la capogruppo Nestlè S.A. gode, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, di agevolazioni fiscali rappresentate dal fatto che la tassazione per le imposte municipali e cantonali avviene sul patrimonio della società.

 Nel caso non è in contestazione l’applicazione dell’art. 23 della convenzione Italo-Svizzera, ben potendo essere rispettati i parametri e i limiti posti da detto articolo, ma si rileva unicamente che destinatario finale dei canoni è altro soggetto e non quello che formalmente appare.

 È opportuno rilevare che anche l’OCSE nel caso di presenza di società conduits viene considerata come un indice di possibile operazione abusiva volta ad ottenere l’uso improprio della Convenzione.

 Né può, nel caso, ritenersi che non vengono rispettati da parte della Pubblica Amministrazione gli accordi internazionali resi esecutivi in Italia, poiché trattasi di diversa interpretazione di tali accordi in funzione dei soggetti che vorrebbero siano applicati, ma che a parere di questa Commissione, non hanno le caratteristiche come richieste.

 In merito alla applicazione della aliquota ridotta, come rilevato da parte ricorrente, in quanto nelle ipotesi in cui i diritti di proprietà intellettuale sono stati acquistati a titolo oneroso la base imponibile della ritenuta alla fonte deve essere abbattuta del 25%, e Societè des Produits Nestlè S.A. tali diritti avrebbe acquistato a titolo oneroso, si osserva che poiché destinatario finale delle royalties non è detta società, la riduzione non compete.

 In merito alla applicazione delle sanzioni riguardante la specifica ripresa si osserva che la ricorrente avendo stipulato un contratto per la corresponsione delle royalties con la Societè des Produits Nestlè S.A. quale proprietaria dei marchi ben poteva ritenere che questa società fosse la effettivamente destinataria delle somme. Inoltre non vi è dimostrazione da parie dell’Ufficio che la ricorrente fosse a conoscenza della natura, del contenuto e della portata del contratto tra questa società e la capogruppo, pertanto può ritenersi esistere un errore scusabile, tanto più se si considera le obiettive condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione della norma che si assume violata.

 Per quanto sopra la ripresa per omesse ritenute alla fonte deve essere confermata, mentre non sono applicabili le sanzioni ad essa connesse.

 Relativamente all’avviso di accertamento n. … relativo ad IRES 2006, vale quanto detto relativamente alla prima e seconda ripresa trattandosi delle stesse contestazioni.

 Relativamente all’avviso di accertamento n. … si osserva quanto segue. L’accertamento riguarda la stessa fattispecie di cui al terzo rilievo di cui sopra relativo alla carente effettuazione di ritenute alla fonte posta in essere da Nestlè Purina Petcare Italia S.p.A. per complessivi € 2.573.174,03.

 Per tale ripresa vale quanto sopra dedotto anche ai fini della applicazione delle sanzioni.

 Per quanto sopra la ripresa per omesse ritenute alla fonte deve essere confermata, mentre non sono applicabili le sanzioni ad essa connesse.

 Il parziale accoglimento dei ricorsi riuniti giustifica la compensazione delle spese.

 

 

P.Q.M. – La Commissione in parziale accoglimento dei ricorsi riuniti proposti da Nestlè Italiana S.p.A. determina il maggior reddito di impresa in € 6.506.505,00, imposte e penalità di conseguenza; determina la maggiore ritenuta a titolo di imposta in € 8.941.373,26 e dichiara non dovute le sanzioni.

 In parziale accoglimento del ricorso riunito proposto da Nestlè Purina Petcare Italia S.p.A. determina la maggiore ritenuta a titolo di imposta in € 2.573.174,03 e dichiara non dovute le sanzioni.

 Spese compensate.

 

 

 Il regime fiscale delle royalties fluenti dall’Italia verso la Svizzera in una interessante (ma non condivisibile) pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Milano

 

 

1. Premessa

L’annotata sentenza offre lo spunto per l’esame di problematiche di grande attualità: il rapporto tra norme contenute in Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni e norme interne, il valore delle interpretazioni fornite dall’OCSE in ordine alle disposizioni di tali Convenzioni, il concetto di beneficiario effettivo ai fini della Convenzione italo-elvetica contro le doppie imposizioni, la distribuzione dell’onere della prova in ordine ai requisiti per godere del regime agevolato previsto dall’art. 12 della predetta Convenzione, i limiti di applicazione di tale regime in presenza di intermediari o di soggetti conduit.

 In considerazione dell’ampiezza e della complessità della materia, in questa sede ci limiteremo a qualche breve riflessione, richiedendo ben altro spazio un’esauriente trattazione di tali argomenti.

 Nella fattispecie sottoposta al vaglio della Commissione tributaria provinciale di Milano in base a un contratto di licenza stipulato tra la società italiana alfa e la consociata svizzera beta, proprietaria dei marchi concessi in licenza, la prima delle predette società corrispondeva nel 2006 royalties alla seconda. E poiché quest’ultima società (beta) esibiva una domanda di esonero parziale ai sensi dell’art. 12 della Convenzione italo-elvetica contro le doppie imposizioni (1), con attestazione della sussistenza dei requisiti previsti da tale norma e con la relativa certificazione rilasciata dall’Autorità fiscale elvetica, la società alfa applicava la ritenuta con l’aliquota del 5 per cento fissata da tale norma.

 Nell’ambito di una verifica fiscale condotta nei confronti di un’altra società italiana gamma, appartenente al medesimo gruppo multinazionale, veniva rinvenuta una corrispondenza elettronica scambiata in una annualità successiva (2008) tra tale società e la capogruppo delta, società residente in Svizzera quotata alla borsa valori di Zurigo, dalla quale emergeva che le royalties pagate dalla società italiana gamma alla società svizzera beta, proprietaria dei marchi di gruppo, venivano girate per la quota del 90 per cento alla capogruppo delta.

 Da ciò i verificatori inferivano che per tale quota il beneficiario effettivo delle royalties corrisposte da tutte le società italiane del gruppo non fosse la società svizzera beta, bensì la capogruppo delta.

 In particolare, con l’avviso di accertamento emesso a carico di alfa veniva contestata l’applicabilità della ritenuta con l’aliquota ridotta del 5 per cento prevista dall’art. 12 della Convenzione italo-elvetica e venivano accertate maggiori ritenute in ragione dell’applicazione della ritenuta con l’aliquota del 30 per cento fissata dall’art. 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

 Nell’annotata decisione la Commissione provinciale di Milano ha avallato l’operato dell’Ufficio finanziario in base al seguente iter logico:

 i) la società beta non può reputarsi beneficiario effettivo (beneficial owner) delle royalties, in quanto non è il destinatario finale delle stesse: di conseguenza non può godere del regime agevolato previsto dall’art. 12 della Convenzione;

 ii) ma neppure la società delta presenta i requisiti per fruire di tale regime: in primo luogo, infatti, essa è un soggetto diverso da quello che appare come percettore e, quindi, manca un rapporto diretto con l’erogatore del provento; inoltre, detta società fruisce di agevolazioni fiscali costituite dall’esonero dalle imposte municipali e cantonali sul reddito.

 

 

2. Il triplice regime riservato alle royalties corrisposte da società residenti in Italia a società residenti in Svizzera e i rapporti intercorrenti tra le rispettive discipline

 

 

Prima di entrare nel merito delle questioni affrontate dai giudici milanesi occorre preliminarmente richiamare i tratti essenziali del regime di tassazione riservato alle royalties corrisposte da società italiane a soggetti residenti in Svizzera.

 Nel sistema attualmente vigente tale materia forma oggetto di tre distinte regolamentazioni:

 a) l’art. 15 dell’Accordo stipulato in data 26 ottobre 2004 tra l’Unione Europea e la Svizzera, con il quale è stata estesa ai canoni pagati tra società stabilite in Svizzera e società residenti in Stati membri della UE l’esenzione prevista dall’art. 1 della Direttiva Comunitaria n. 2003/49/CEE del 3 giugno 2003 (2);

 b) la normativa contenuta nella Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e la Confederazione Elvetica, che all’art. 12 contempla una ritenuta ridotta con l’aliquota del 5 per cento;

 c) il disposto dell’art. 25, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973, che prevede l’applicazione di una ritenuta del 30 per cento.

 Per quanto concerne i rapporti tra le tre normative sopra richiamate, alla luce del principio del primato del diritto comunitario va riconosciuta la preminenza della disciplina dettata dalla Direttiva comunitaria n. 2003/49/CEE e dall’Accordo del 26 ottobre 2004 sia sul diritto interno (nella specie: l’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973), sia sulle norme delle Convenzioni (ossia, in particolare, sull’art. 12 della Convenzione italo-elvetica) (3).

 Altrettanto pacifica è la prevalenza del regime fissato dall’art. 12 della Convenzione italo-elvetica rispetto alla norma interna dettata dall’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973: e ciò sia in virtù della prescrizione dettata dall’art. 117, primo comma, Cost., che impone al legislatore ordinario di osservare «i vincoli derivanti dagli accordi internazionali» (4), sia alla luce del principio di specialità (5), siain forza del dettato dell’art. 75 del D.P.R. n. 600/1973 che stabilisce la prevalenza delle norme contenute negli accordi internazionali contro le doppie imposizioni sulle norme interne in materia di imposte sui redditi (6).

 In definitiva, pertanto, la disposizione contenuta nell’art. 25, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973, presenta carattere residuale, nel senso che essa opera soltanto ove non risultino applicabili le più favorevoli discipline dettate dall’Accordo di matrice comunitaria e dalla Convenzione italo-elvetica.

 Pertanto, allo scopo di individuare quale sia la disciplina applicabile in relazione alle singole fattispecie, sarà indispensabile dapprima verificare se sussistano i presupposti per l’applicazione della disciplina di matrice comunitaria (Accordo del 26 ottobre 2004); in caso negativo, occorrerà accertare se ricorrano le condizioni per la fruizione del regime fissato dall’art. 12 della Convenzione italo-elvetica; solo in difetto dei requisiti per l’applicazione di entrambe le discipline sopra citate potrà trovare applicazione in via residuale la normativa dettata dall’art. 25, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973.

 

 

3. Le differenti condizioni cui la disciplina di matrice comunitaria e quella scaturente dalla convenzione italo-elvetica subordinano l’accesso ai rispettivi benefici

 

 

Al riguardo va evidenziato come ben diverse siano le condizioni fissate dall’Accordo del 26 ottobre 2004 per fruire dell’esonero dalla ritenuta ivi previsto rispetto ai presupposti cui è subordinata l’operatività della ritenuta ridotta ai sensi dell’art. 12 della Convenzione italo-elvetica contro le doppie imposizioni.

 Come è noto, infatti, l’art. 15, par. 2, del citato Accordo, pone tra l’altro, le seguenti condizioni:

 a) le società devono essere collegate da una partecipazione diretta minima pari al 25 per cento per almeno due anni o essere entrambe detenute da una terza società che detenga direttamente almeno il 25 per cento del capitale tanto della prima come della seconda società per un minimo di due anni;

 b) le società devono essere assoggettate all’imposta diretta sugli utili delle società senza beneficiare di esenzioni.

 A differenza di quanto previsto dalla disciplina di matrice comunitaria, l’art. 12 della Convenzione italo-elvetica non richiede la sussistenza di un rapporto di collegamento tra la società erogatrice dei canoni e quella beneficiaria dei canoni stessi, né subordina l’accesso al beneficio della ritenuta ridotta alla mancata fruizione di regimi di esonero. Per le persone giuridiche ciò che rileva ai fini della Convenzione è la soggezione potenziale all’imposta sui redditi ovunque prodotti, indipendentemente dall’effettivo pagamento dell’imposta.

 In altre parole, se anche il Paese di residenza del beneficiario delle royalties, titolare della potestà impositiva principale, per ragioni di politica fiscale esoneri da imposizione le royalties, ciò non impedisce l’applicazione del trattamento previsto dalla Convenzione (7).

 I requisiti imposti dalla Convenzione italo-elvetica affinché le persone giuridiche siano ammesse al beneficio dell’aliquota ridotta in relazione alle royalties percepite sono delineati dal combinato disposto degli artt. 4, 12 e 23 della Convenzione.

 

 

3.1. Le condizioni cui la Convenzione italo-elvetica subordina l’applicazione dell’aliquota ridotta. a) Prima condizione: lo status di beneficiario effettivo del percettore delle royalties

 

 

Alla stregua di tale combinato disposto il soggetto che richiede l’applicazione dell’aliquota ridotta deve essere innanzitutto il beneficiario effettivo delle royalties.

 Né la Convenzione italo-elvetica, né il Modello OCSE forniscono alcuna definizione di tale nozione (8).

 Come ha rilevato autorevole dottrina, «la clausola in parola postula la necessità di verificare l’effettiva titolarità dei diritti, vale a dire la titolarità siadel potere di assumere decisioni inerenti alla produzione e al realizzo del reddito, sia del potere di disporne» (9)(10).

 A tale riguardo una questione si pone nel caso in cui tra l’erogatore delle royalties e il beneficiario effettivo si interponga un soggetto terzo, come un agente o un intermediario.

 Con riferimento a tale ipotesi il Commentario all’art. 12 chiarisce che il regime agevolato della Convenzione può comunque trovare applicazione qualora il beneficiario effettivo sia pure esso residente nel Paese di residenza dell’intermediario e soddisfi gli altri requisiti previsti dalla Convenzione (11).

 La soluzione suggerita dal Commentario è stata accolta anche dall’Amministrazione finanziaria (12).

 Pertanto, secondo un orientamento univoco dell’OCSE e dell’Agenzia delle entrate la mancanza di un rapporto diretto fra l’erogatore delle royalties e il beneficiario effettivo non esclude di per sé l’applicazione della Convenzione, ma più semplicemente impone una ulteriore indagine per verificare se in capo al beneficiario ricorrano i requisiti richiesti dalla Convenzione stessa.

 Ogniqualvolta risulti che il beneficiario effettivo presenta tutti i predetti requisiti, deve trovare applicazione il regime statuito dall’art. 12 della Convenzione.

 Qualora poi il beneficiario effettivo risieda in un Paese diverso da quello di residenza dell’intermediario si dovrà verificare se ricorrano i presupposti per l’applicazione della eventuale diversa Convenzione stipulata tra lo Stato di residenza dell’erogatore delle royalties e quello di residenza del beneficiario effettivo (13).

 

 

3.2. Segue. b) Seconda condizione: la residenza del beneficiario effettivo nello Stato contraente e la mancanza di una stabile organizzazione nell’altro Stato

 

 

Occorre inoltre che il soggetto che richiede l’applicazione dell’aliquota ridotta sia residente in Svizzera e non abbia una stabile organizzazione nell’altro Stato. Nel delineare il concetto di residenza l’art. 4, par. 1, della Convenzione, dopo aver stabilito che «ai fini della presente Convenzione, l’espressione “residente di uno Stato contraente” designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga», specifica che «tuttavia, tale espressione non comprende le persone che sono imponibili in questo Stato soltanto per il reddito che esse ricavano da fonti situate in detto Stato o per il patrimonio che posseggono in detto Stato».

 In forza del citato art. 4 un soggetto può reputarsi residente in uno dei due Stati contraenti soltanto se in tale Stato sia assoggettato a tassazione con riguardo al reddito ovunque prodotto. Riesce agevole spiegare la ratio di tale previsione poiché, con riferimento al soggetto residente, lo Stato è dotato di una potestà impositiva illimitata ossia di una potestà impositiva che raggiunge i redditi mondiali del soggetto stesso. Se invece lo Stato ha una potestà impositiva limitata ai soli redditi prodotti nel suo territorio, ciò significa che il soggetto passivo non può considerarsi residente in quello Stato.

 Va tuttavia sottolineato che ai fini della norma in esame ciò che rileva è la mera soggezione potenziale alla tassazione sul reddito mondiale, che prescinde quindi dall’effettivo pagamento del tributo. Tale interpretazione della Convenzione è pacifica presso l’OCSE, la giurisprudenza e la stessa Agenzia delle entrate (14).

 L’art. 4, infatti, non contiene – a differenza dell’art. 3, primo comma, lett. a), punto iii), della Direttiva n. 2003/49/CEE – alcun inciso volto ad escludere l’accesso ai benefici della Convenzione per le persone giuridiche che fruiscano di agevolazioni ai fini delle imposte reddituali. Tale disposizione solo per le persone fisiche impone il requisito della effettiva soggezione a tutte le imposte sul reddito (15).

 La mancata previsione, nel testo del citato art. 4, di un’analoga statuizione per le persone giuridiche è intesa dall’OCSE, dalla giurisprudenza e dalla stessa Agenzia delle entrate nel senso che detta statuizione non valga per le persone giuridiche e che per queste ultime sia sufficiente, al fine di radicare la residenza, la mera soggezione potenziale all’imposizione sui redditi ovunque prodotti (16).

 

 

3.3. Segue. c) Terza condizione: l’osservanza dei parametri antiabuso fissati dall’art. 23 della Convenzione

 

 

Per le persone giuridiche l’art. 23 della Convenzione italo-elvetica pone una particolare prescrizione con finalità antiabuso.

 Tale norma recepisce un’analoga previsione contenuta nel decreto del Consiglio federale elvetico del 14 dicembre 1962, recante «provvedimenti contro l’uso senza causa legittima delle Convenzioni concluse dalla Confederazione per evitare le doppie imposizioni», e persegue la finalità di evitare l’uso improprio della Convenzione nei casi di società conduits.

 

Secondo il dettato dell’art. 23 le aliquote ridotte previste dagli artt. 10, 11 e 12 della Convenzione per i dividendi, gli interessi e le royalties percepite da persone giuridiche possono trovare applicazione soltanto alle seguenti condizioni:

 a) i proventi devono essere conseguiti da una società svizzera nella quale persone non residenti in Svizzera non abbiano un interesse preponderante né direttamente, né indirettamente;

 b) ovvero, in difetto di tale condizione, è richiesta una serie di ulteriori requisiti specifici, tra i quali figura quello della soggezione all’imposta cantonale sul reddito senza beneficiare di alcun esonero (17).

 È chiara la ratio della norma in esame: la società conduit può costituire uno strumento per eludere la finalità della Convenzione solo nei casi in cui nella società svizzera un soggetto non residente abbia un interesse preponderante. Il fenomeno che la norma mira a colpire è quello assai diffuso delle società residenti in Svizzera ma controllate da un soggetto estero, che, dopo aver incassato i proventi (dividendi, interessi e royalties) dalla società italiana, li girano a tale soggetto estraneo all’ambito di applicazione della Convenzione.

 In tali ipotesi si darebbe luogo ad un uso improprio della Convenzione italo-elvetica nei confronti di soggetti non ammessi a fruire dei benefici della Convenzione stessa, in quanto non residenti in Svizzera.

 Ma quando nessun soggetto estero abbia un interesse preponderante nella società elvetica (o comunque ricorrano le ulteriori condizioni previste dai primi due paragrafi dell’art. 23), nessun uso distorto della Convenzione è configurabile, essendo beneficiario effettivo del provento un soggetto residente in Svizzera.

 L’art. 23 non detta una definizione del concetto di “interesse preponderante”. Una definizione di tale concetto si rinviene invece nel Decreto emesso dal Consiglio federale il 14 dicembre 1962, secondo cui un soggetto ha un interesse preponderante se controlla il beneficiario effettivo del reddito.

 Nel sistema delineato dall’art. 23 l’assenza di un interesse preponderante da parte di un soggetto estero costituisce quindi circostanza da sola sufficiente ad escludere qualsivoglia carattere abusivo alla fattispecie di società conduit: di conseguenza, allorché risulti soddisfatta la prima condizione (mancanza di un interesse preponderante da parte di un soggetto estero), la fruizione dei benefici della Convenzione non risulta subordinata ad alcuna delle ulteriori condizioni previste da tale norma. In particolare, non è richiesta la soggezione all’imposta cantonale sul reddito: secondo la chiara formulazione dell’art. 23, par. 2, infatti questo requisito è imposto esclusivamente nel caso in cui un soggetto estero abbia un interesse preponderante nella società svizzera.

 Si noti che il Commentario all’art. 1 del Modello OCSE, laddove si occupa del fenomeno delle società conduits, suggerisce ai negoziatori delle Convenzioni l’adozione di clausole analoghe a quelle contenute nell’art. 23 al fine di reprimere fenomeni abusivi volti a perseguire l’uso improprio di Convenzioni mediante lo strumento di società conduits(18).

 Anche l’OCSE, dunque, considera la presenza di società conduits come un indice di possibile operazione abusiva solo nel caso in cui un soggetto non residente abbia un “interesse sostanziale” o un “interesse preponderante” nella società in questione.

 E in tale ottica l’OCSE suggerisce di adottare le ulteriori prescrizioni limitative (quale quella concernente il pagamento delle imposte) solo nelle ipotesi in cui si sia in presenza di un interesse preponderante da parte di un soggetto non residente.

 

 

4. La prevalenza della specifica norma antiabuso contenuta nell’art. 23 della Convenzione italo-elvetica sulle norme e sui principi antiabuso dell’ordinamento nazionale

 

 

La presenza, nel contesto della Convenzione italo-elvetica, di una specifica norma antielusiva volta ad impedire un uso distorto della Convenzione stessa pone all’interprete la questione relativa ai rapporti tra tale norma ed eventuali ulteriori disposizioni antielusive dell’ordinamento nazionale.

 

Secondo l’OCSE le Convenzioni internazionali di regola non contengono norme antielusive e quindi, in difetto di una specifica disciplina antielusiva dettata dall’accordo internazionale, possono trovare applicazione le norme e i principi antiabuso dell’ordinamento interno(19).

 A contrario, pertanto, deve ritenersi che ad avviso dell’OCSE qualora la Convenzione internazionale contenga specifiche norme antiabuso o antielusive, queste ultime debbano prevalere in base al principio di specialità sulle norme antielusive dell’ordinamento nazionale e renderle inapplicabili (20).

 Ne deriva che la circostanza che la Convenzione italo-elvetica contenga una specifica norma antielusiva costituita dal citato art. 23 fa sì che tale norma prevalga sulle disposizioni interne di carattere antielusivo in base al principio di specialità (21).

 Per quanto concerne l’ordinamento italiano tale conclusione si impone, oltre che in virtù del menzionato principio di specialità, anche e soprattutto in forza del disposto di cui all’art. 117, primo comma, Cost., che espressamente obbliga il legislatore nazionale a rispettare «i vincoli derivanti dagli accordi internazionali». Secondo l’elaborazione della Corte Costituzionale l’art. 117, primo comma, Cost., attribuisce un rango sovraordinato alla norma della Convenzione internazionale rispetto alla legge ordinaria (22): di conseguenza a fortiori la norma antiabuso racchiusa nell’art. 23 della Convenzione italo-elvetica prevale rispetto alle norme antielusive interne.

 La medesima conclusione risulta, infine, avvalorata dal disposto di cui all’art. 75 del D.P.R. n. 600/1973, che sancisce espressamente la supremazia delle norme (anche antielusive) contenute negli accordi internazionali contro le doppie imposizioni sulle norme in materia di imposte sul reddito.

 

 

5. Il valore delle interpretazioni fornite dal Commentario al Modello OCSE

 

 

Nell’esposizione che precede in più occasioni abbiamo richiamato alcuni indirizzi adottati dall’OCSE nel Commentario al Modello di Convenzione.

 La dottrina, la giurisprudenza e l’Agenzia delle entrate riconoscono un ruolo fondamentale al Commentario ai fini dell’uniforme interpretazione delle Convenzioni volte ad evitare le doppie imposizioni.

 Una parte della dottrina riconduce il Commentario ai mezzi primari di interpretazione cui fa riferimento l’art. 31, par. 2, punto a), della Convenzione di Vienna (23), ovvero il par. 4 dello stesso art. 31 (24).

 Altri autori invece attribuiscono al Commentario il ruolo di mezzo supplementare d’interpretazione ai sensi dell’art. 32 della Convenzione di Vienna (25).

 La dottrina più recente, infine, pur rilevando le difficoltà di annoverare il Commentario tra gli strumenti interpretativi ai quali si riferiscono gli artt. 31 e 32 della Convenzione di Vienna, riconosce comunque a tale documento una funzione assai importante ai fini dell’interpretazione delle Convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni (26).

 Anche la giurisprudenza e l’Amministrazione finanziaria in ripetute occasioni hanno utilizzato il Commentario come valido strumento di interpretazione delle singole Convenzioni (27).

 E del resto è lo stesso OCSE a sottolineare la speciale importanza del Commentario ai fini della uniforme interpretazione delle Convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni (28).

 

 

6. Disamina e confutazione degli argomenti invocati dai giudici milanesi a supporto del proprio deliberato

 

 

Una volta conclusa la disamina dei presupposti cui risulta subordinata l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 12 della Convenzione italo-elvetica, possiamo procedere all’esame degli argomenti in base ai quali i giudici milanesi hanno negato la sussistenza, nella fattispecie sottoposta al loro vaglio, dei requisiti per l’applicazione della ritenuta ridotta prevista da tale norma.

 Come abbiamo già rammentato, la Commissione provinciale ha innanzitutto escluso che la società beta potesse fruire dei benefici della Convenzione, in quanto dalle risultanze processuali sarebbe emerso che la beneficiaria effettiva delle royalties sarebbe stata non la società beta, bensì la società delta.

 In questa sede non disponendo degli atti del processo riesce difficile esprimere un giudizio sulla correttezza di questa prima parte della motivazione addotta dalla Commissione provinciale.

 Non possono tuttavia sottacersi alcune perplessità sulla sua esattezza, tenuto conto che la società beta, unica controparte contrattuale di alfa, aveva esibito una regolare domanda di esonero parziale, che attestava la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dall’art. 12 della Convenzione ed era corredata da una certificazione rilasciata dall’Autorità fiscale elvetica. A ciò aggiungasi che la società beta era proprietaria dei marchi concessi in licenza e tale circostanza giustificava un ragionevole affidamento circa la qualità di beneficiario effettivo del percettore delle royalties.

 La società italiana alfa aveva quindi assolto pienamente l’onere probatorio su di essa gravante (29), e perciò a questo punto incombeva sull’Agenzia delle entrate l’onere di dimostrare che la beneficiaria effettiva delle royalties fosse un soggetto diverso da beta, eventualmente producendo il contratto stipulato tra le società beta e delta.

 Ebbene, appare alquanto discutibile che tale onere sia stato nella specie validamente assolto dalla parte che ne era onerata. Dalla motivazione della sentenza commentata emerge infatti che l’Agenzia delle entrate ha fondato le proprie allegazioni unicamente sulle risultanze di una corrispondenza elettronica rinvenuta presso un soggetto terzo (appartenente al medesimo gruppo), scambiata in una annualità successiva a quella in contestazione.

 Come è noto, le dichiarazioni di terzi nel processo tributario, in cui vige il divieto della prova testimoniale (30), valgono come mero indizio inidoneo da solo ad assurgere al rango di prova (31). A fortiori, poi, la portata indiziaria di tale elemento appariva nel caso in esame alquanto modesta, risalendo ad un periodo d’imposta successivo a quello in contestazione: era quindi assai dubbio che esso potesse fornire indicazioni in merito alla configurazione dei rapporti commerciali all’interno del gruppo in anni anteriori.

 Nel capo in esame, pertanto, la sentenza in rassegna si espone a censura per violazione dei principi che regolano la distribuzione dell’onere della prova nel processo tributario.

 Come si è già rammentato, i giudici milanesi, dopo aver negato che la società beta potesse qualificarsi come beneficiario effettivo e godere del regime della Convenzione, hanno anche escluso l’applicabilità di detto regime con riguardo al presunto destinatario finale delle royalties, individuato nella società delta.

 Secondo la Commissione provinciale milanese la società delta non poteva essere ammessa ai benefici della Convenzione per la duplice ragione:

 i) che essa era un soggetto diverso dall’immediato percettore e quindi mancava un rapporto commerciale diretto tra l’erogatore delle royalties e il loro beneficiario effettivo;

 ii) e che per di più tale società fruiva del regime elvetico delle “società holding” ed era quindi esonerata dalle imposte municipali e cantonali sul reddito.

 Invero gli argomenti posti dai giudici meneghini a giustificazione del proprio convincimento non paiono condivisibili.

 Per quanto concerne il primo rilievo (mancanza di un rapporto commerciale diretto tra la società alfa e la società delta), abbiamo già sottolineato che, secondo l’indirizzo unanime dell’OCSE e dell’Amministrazione finanziaria, il regime previsto dall’art. 12 della Convenzione trova applicazione anche nelle fattispecie in cui tra l’erogatore delle royalties e il beneficiario effettivo si interponga un altro soggetto (come un agente, un fiduciario, un intermediario o un soggetto conduit), purché il secondo prenditore (beneficiario effettivo) presenti i requisiti della Convenzione (32). L’OCSE e l’Agenzia delle entrate sono dunque concordi nel riconoscere che il citato art. 12 può operare anche in difetto di un rapporto commerciale diretto tra l’erogatore delle royalties e il beneficiario effettivo.

 Altrettanto privo di pregio appare l’altro argomento in base al quale i giudici di prime cure hanno escluso l’applicabilità del regime previsto dall’art. 12 della Convenzione (mancata soggezione della società delta alle imposte municipali e cantonali).

 Come si è già rilevato, infatti, è pacifico presso la giurisprudenza, l’Agenzia delle entrate e l’OCSE che la disciplina dettata dalla Convenzione italo-elvetica in materia di dividendi, interessi e royalties si applica anche alle società residenti in Svizzera soggette solo potenzialmente all’imposta sui redditi mondiali, indipendentemente dall’effettivo pagamento (33).

 Poiché dunque dagli atti del processo risultava che la società delta pagava in Svizzera l’imposta federale sul reddito mondiale, essa doveva ritenersi a pieno titolo ammessa a godere del trattamento previsto dal più volte citato art. 12.

 Inoltre, nella specie doveva reputarsi a fortiori del tutto irrilevante l’esonero dalle imposte municipali e cantonali di cui fruiva la società delta, tenuto conto che essa soddisfava pienamente le condizioni previste dall’art. 23 della Convenzione, in quanto nessun soggetto estero aveva in essa un interesse preponderante (34): tale società infatti era quotata alla borsa valori di Zurigo e per statuto nessun soggetto poteva detenere più del 5 per cento dei diritti di voto.

Carlo Salvatores

 

(1) Trattasi della Convenzione stipulata tra Italia e Svizzera in data 9 marzo 1976 e ratificata con la legge 23 dicembre 1978, n. 943, entrata in vigore il 27 marzo 1979.

 (2) Tale Accordo è stato stipulato ai sensi dell’art. 300 del Trattato CE che legittima la Comunità europea a concludere accordi internazionali con Stati terzi direttamente vincolanti per gli Stati membri, senza che sia necessario l’eventuale recepimento nazionale: l’Accordo in oggetto è quindi direttamente vincolante per la Repubblica Italiana a decorrere dalla sua entrata in vigore, ossia a partire dal 1° luglio 2005.

 (3) Il primato del diritto comunitario sul diritto interno è pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale. In tal senso cfr. Corte Cost. 8 giugno 1984, n. 170, in Giust. civ., 1984, I, 2353; Corte Cost. 23 aprile 1985, n. 113, ivi, 1985, I, 1864; Corte Cost. 11 luglio 1989, n. 389, in Corr. giur., 1989, 1058; Corte Cost. 18 aprile 1991, n. 168, in Boll. Trib., 1991, 812; Corte Cost. 10 novembre 1994, n. 384, in Giur. it., 1995, I, 334; Corte Cost. 16 giugno 1995, n. 249, in Giur. cost., 1995, 1827; e Corte Cost. 7 novembre 1995, n. 482, in Cons. Stato, 1995, II, 1927. Per approfondimenti sull’argomento rinviamo ad A. Celotto, L’efficacia delle fonti comunitarie nell’ordinamento italiano. Normativa, giurisprudenza e prassi, Torino, 2003, 195 ss. Va tuttavia rilevato che l’art. 15, par. 3, dell’Accordo, fa salva l’applicazione delle disposizioni delle Convenzioni bilaterali stipulate dalla Svizzera con gli Stati membri che prevedono un trattamento fiscale più favorevole.

 (4) In tal senso cfr. Corte Cost. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349, entrambe in Boll. Trib. On-line, in cui il giudice costituzionale ha rilevato «con l’art. 117, primo comma, si è realizzato, in definitiva, un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata “norma interposta” … Ne consegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dal testo della norma Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale “interposta”, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, primo comma».

 (5) In dottrina riconoscono la prevalenza delle norme delle Convenzioni contro le doppie imposizioni rispetto alle norme interne, in base al principio di specialità, G. Marino, I “paradisi fiscali”: problematiche e prospettive, in Corso di diritto tributario internazionale, coordinato da V. Uckmar, Padova, 1999, 578; F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario.Parte generale, Torino, 2003, 29; P. Russo, Manuale di diritto tributario.Parte speciale, Milano, 2002, 18; B. Conforti, Diritto internazionale, 1995, 305; G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 1999, 62; C. Garbarino, La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990, 516; R. Pisano, Il rapporto fra norme interne, diritto convenzionale e diritto comunitario, in Aspetti fiscali delle operazioni internazionali, Milano, 1995, 419; F. Amatucci, Il principio di non discriminazione fiscale, Padova, 1998, 60; e A. Amatucci, Il conflitto fra norma internazionale ed interna tributaria,in Riv. dir. trib. int., 1999, 64.

 (6) Come è noto l’art. 75 del D.P.R. n. 600/1973 dispone che «nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi sono fatti salvi gli accordi internazionali resi esecutivi in Italia». Nel senso che l’art. 75 imponga l’applicazione del trattamento più favorevole previsto dalla Convenzione internazionale e la disapplicazione della norma interna cfr. Cass., sez. trib., 22 marzo 2011, ord. n. 6583; Cass., sez. trib., 20 dicembre 2011, ord. nn. 27588 e 27592; Cass., sez. trib., 19 novembre 2010, ord. n. 23431; Cass., sez. trib., 16 novembre 2010, ord. nn. 23150 e 23151; Cass., sez. trib., 8 novembre 2010, ord. nn. 22733, 22640 e 22642; Cass., sez. trib., 4 novembre 2010, ord. nn. 22526 e 22528; e Cass., sez. trib., 3 novembre 2010, ord. nn. 22391 e 22392; tutte in Boll. Trib. On-line.

 (7) Sul punto è pacifica la giurisprudenza della Corte di Cassazione che in numerosissime pronunce ha autorevolmente affermato che la norma della Convenzione (in materia di dividendi, di interessi e di canoni) deve essere «interpretata nel sensoche la minore aliquota ivi prevista è applicabile per il solo fatto della soggezione del dividendo (interesse e canone) alla potestà impositiva dell’altro Paese, indipendentemente dall’effettivo pagamento dell’imposta»(in tal senso cfr. Cass. nn. 27588 e 27592 del 2011, citt.; Cass. n. 6583/2011, cit.; Cass. n. 23431/2010, cit.; Cass., sez. trib., 18 novembre 2010, ord. n. 23389, in Boll. Trib. On-line; Cass. nn. 23150 e 23151 del 2010, citt.; Cass. nn. 22733, 22640 e 22642 del 2010, citt.; Cass. nn. 22526 e 22528 del 2010, citt.; e Cass. nn. 22391 e 22392 del 2010, citt.). L’indirizzo della giurisprudenza ha trovato seguito anche presso l’Agenzia delle entrate che, da un lato, ha riconosciuto in ripetute occasioni l’applicabilità del regime della Convenzione anche a società residenti in Paesi black list (cfr. circ. 2 novembre 2005, n. 47/E, in Boll. Trib., 2005, 1646; e circ. 30 dicembre 2005, n. 55/E, ivi, 2006, 55) e, dall’altro, ha ritenuto sufficiente per fruire dei benefici della Convenzione la potenziale assoggettabilità alla Convenzione (cfr. ris. 21 aprile 2008, n. 167/E, in Boll. Trib. On-line). Del resto, anche il Commentario all’art. 4 del Mod. OCSE sottolinea che «il paragrafo 1 dell’art. 4 si riferisce a una persona che è assoggettata ad imposta in uno Stato contraente secondo le sue leggi sulla base di vari criteri. In molti Stati contraenti una persona è considerata soggetta a tassazione sui redditi ovunque prodotti, anche se lo Stato di fatto non applica l’imposta».

 (8) Una definizione del concetto di beneficiario effettivo è contenuto nella Direttiva n. 2003/49/CEE del 3 giugno 2003, che all’art. 1, quarto comma, dispone che «una società di uno Stato membro è considerata beneficiario effettivo di interessi o canoni soltanto se riceve tali pagamenti in qualità di beneficiaria finale e non di intermediaria, quale agente, delegato o fiduciario di un’altra persona».

 (9) Cfr. P. Valente, Beneficiario effettivo. Le proposte di modifica al Commentario agli artt. 10, 11 e 12 del Modello OCSE, in il fisco, 2011, 5720 ss.; cfr. altresì P. Montesano, Brevi note sulla qualifica del soggetto come “beneficiario effettivo” prevista dal Modello di Convenzione OCSE, in Boll. Trib., 2008, 190.

 (10) Nelle proposte di modifica al Commentario approvato dal 19 ottobre 2012 al 15 dicembre 2012 il Comitato per gli affari fiscali dell’OCSE ha osservato che «Where the recipient of royalties does have the right to use and enjoy the royalties unconstrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another person, the recipient is the “beneficial owner” of these royalties». Il Comitato ha inoltre chiarito i limiti in cui l’obbligo di riversare il pagamento ricevuto a un terzo assume rilievo ai fini della esclusione della qualità di beneficiario effettivo del primo prenditore. In proposito il Comitato ha sottolineato che «This type of obligation must be related to the payment received; it would therefore not include contractual or legal obligations unrelated to the payment received even if those obligations could effectively result in the recipient using the payment received to satisfy those obligations. Examples of such unrelated obligations are those unrelated obligations that the recipient may have as a debtor or as a party to financial transactions or typical distribution obligations of pension schemes and of collective investment vehicles entitled to treaty benefits under the principles of paragraphs 6.8 to 6.34 of the Commentary on Article». In altre parole, secondo il Comitato per gli affari fiscali dell’OCSE occorre distinguere tra obbligazioni di riversamento correlate al pagamento ricevuto (come quella dell’intermediario) da quelle non correlate a detto pagamento (ad esempio a titolo di restituzione di un prestito o di distribuzione di dividendi). In quest’ultimo caso il primo prenditore conserva la qualifica di beneficiario effettivo, mentre nel primo caso la perde essendo un mero intermediario.

 (11) Più precisamente il Commentario all’art. 12 del Modello OCSE al par. 1, punto 4.2, precisa che «In presenza delle altre condizioni fissate dall’articolo, il regime agevolato nello Stato della fonte resta applicabile quando un intermediario, come un agente o un incaricato, è interposto tra il beneficiario e l’erogatore nel caso in cui il beneficiario effettivo è un soggetto residente dell’altro Stato contraente».

 (12) Per l’Amministrazione finanziaria, cfr. ris. 7 maggio 1987, n. 12/431, in Boll. Trib., 1987, 1386; circ. n. 47/E/2005, cit.; ris. 12 luglio 2006, n. 86/E, ivi, 2006, 1714; e ris. n. 167/E/2008, cit.

 (13) In tal senso cfr. per l’Agenzia delle entrate ris. n. 167/E/2008, cit., e per la giurisprudenza Comm. trib. prov. di Torino, sez. IX, 19 ottobre 2010, n. 124, in Boll. Trib. On-line.

 (14) Cfr. per l’OCSE il Commentario all’art. 4, ove al par. 8.b) si osserva: «Paragraph 1 refers to persons who are “liable to tax” in a Contracting State under its laws by reason of various criteria. In many States, a person is considered liable to comprehensive taxation even if the Contracting State does not in fact impose tax». In giurisprudenza cfr. Cass. nn. 27588 e 27592 del 2011, citt.; Cass. n. 6583/2011, cit.; Cass. n. 23431/2010, cit.; Cass. n. 23389/2010, cit.; Cass. nn. 23150 e 23151 del 2010, citt.; Cass. nn. 22733, 22640 e 22642 del 2010, citt.; Cass. nn. 22526 e 22528 del 2010, citt.; e Cass. nn. 22391 e 22392 del 2010, citt., mentre per l’Agenzia delle entrate si vedano ris. n. 167/E/2008, cit.; circ. n. 47/E/2005, cit.; e circ. n. 55/E/2005, cit.

 (15) In particolare, con riferimento alle persone fisiche l’art. 4, par. 5, lett. b), dispone che «non è considerata residente di uno Stato contraente ai sensi del presente articolo … una persona fisica che non è assoggettata alle imposte generalmente riscosse nello Stato contraente, di cui sarebbe residente secondo le disposizioni che precedono, per tutti i redditi generalmente imponibili secondo la legislazione fiscale di questo Stato e provenienti dall’altro Stato contraente».

 (16) Cfr. le citazioni contenute alla nota 14.

 (17) I parr. 1 e 2 dell’art. 23 della Convenzione recitano testualmente: «1. Una persona giuridica residente di uno Stato contraente, nella quale persone non residenti di detto Stato hanno un interesse preponderante, sia direttamente sia indirettamente, in forma di partecipazione o in altro modo, può fruire di uno sgravio delle imposte dell’altro Stato contraente riscosse sui dividendi, gli interessi e i canoni provenienti da detto altro Stato, in conformità alle disposizioni degli articoli 10, 11 e 12, soltanto se: a) i conti creditori fruttanti interessi, intestati a persone non residenti del primo Stato non ammontano a più del sestuplo del totale ottenuto addizionando il capitale azionario (o il capitale sociale) e le riserve risultanti dal bilancio; b) i debiti contratti verso le medesime persone fruttano un interesse ad un tasso non eccedente quello normale; si considera tasso normale: 1) per l’Italia, il tasso legale d’interesse aumentato di tre punti; 2) per la Svizzera, il tasso della rendita media delle obbligazioni emesse dalla Confederazione Svizzera, aumentato di due punti; c) il 50 per cento, al massimo, dei redditi di cui si tratta, provenienti dall’altro Stato contraente, è impiegato a soddisfare diritti (interessi debitori, canoni, spese di sviluppo, di propaganda, di primo impianto, di viaggio, ammortamenti di beni di ogni genere, compresi quelli immateriali, processi, ecc.) di persone non residenti del primo Stato; d) le spese in relazione con i redditi di cui si tratta, provenienti dall’altro Stato contraente, sono coperte esclusivamente con i detti redditi; e) la società distribuisce il 25 per cento, almeno dei redditi di cui si tratta, provenienti dall’altro Stato contraente. Restano riservati i provvedimenti più ampi che sono o saranno presi da uno Stato contraente per impedire che venga preteso abusivamente lo sgravio di un’imposta riscossa alla fonte dall’altro Stato contraente. 2. Una persona giuridica residente della Svizzera nella quale persone non residenti della Svizzera hanno un interesse preponderante, sia direttamente sia indirettamente, in forma di partecipazione o in altro modo, può pretendere, anche se soddisfa alle condizioni di cui al paragrafo 1, uno sgravio delle imposte riscosse dall’Italia sugli interessi o canoni che le sono pagati in provenienza dall’Italia, solo se nel Cantone dove la persona giuridica ha la sede, gli interessi e i canoni sono assoggettati all’imposta cantonale sul reddito a condizioni identiche o analoghe a quelle previste dalle disposizioni concernenti l’imposta federale per la difesa nazionale».

 (18) In particolare, due tipologie di “safeguarding provisions” sono suggerite dall’OCSE. La prima tipologia, ispirata al “tax approach”, viene così descritta al par. 15 del commento all’art. 1: «Where income arising in a Contracting State is received by a company resident of the other Contracting State and one or more persons not resident in that other Contracting State have directly or indirectly or through one or more companies, wherever resident, a substantial interest in such company, in the form of a participation or otherwise, or exercise directly or indirectly, alone or together, the management or control of such company, any provision of this Convention conferring an exemption from, or a reduction of, tax shall apply only to income that is subject to tax in the last-mentioned State under the ordinary rules of its tax law». L’altra tipologia di clausola antiabuso ispirata al “channel approach” viene individuata al par. 17 nella seguente: «Where income arising in a Contracting State is received by a company that is a resident of the other Contracting State and one or more persons who are not residents of that other Contracting State a) have directly or indirectly or through one or more companies, wherever resident, a substantial interest in such company, in the form of a participation or otherwise, or b) exercise directly or indirectly, alone or together, the management or control of such company,any provision of this Convention conferring an exemption from, or a reduction of, tax shall not apply if more than 50 per cent of such income is used to satisfy claims by such persons (including interest, royalties, development, advertising, initial and travel expenses, and depreciation of any kind of business assets including those on immaterial goods and processes)».

 (19) Nel paragrafo 22.1 del Commentario all’art. 1 del Modello OCSE leggesi testualmente che «queste regole (antiabuso) fanno parte delle norme fissate dalla legge fiscale nazionale per stabilire quali fatti danno luogo a responsabilità fiscali. Queste regole non sono stabilite nei trattati fiscali e perciò non sono inficiate dagli stessi. Così di regola non ci sarà nessun conflitto tra queste regole e le previsioni delle Convenzioni fiscali».

 (20) Sulla prevalenza della norma contenuta nella Convenzione internazionale rispetto alle norme interne rinviamo alle citazioni contenute nella nota 5.

 (21) Per tale ragione la Svizzera ha espresso la seguente riserva al par. 22.1 del Commentario: «Con riguardo al paragrafo 22.1 la Svizzera ritiene che le regole fiscali domestiche sull’abuso delle Convenzioni devono conformarsi alle previsioni generali delle Convenzioni fiscali, soprattutto se la Convenzione stessa include previsioni volte a prevenire il loro abuso» (cfr. par. 27.9 del Commentario all’art. 1).

 (22) Cfr. Corte Cost. nn. 348 e 349 del 2007, citt.

 (23) In tal senso K. Van Raad, Interpretatie van Belastingsferdragen, in Maandblad Belasting-Beschouwingen, 1978, 55.

 (24) In tal senso H.J. Ault, The Role of the OECD Commentaries in the Interpretation of the Tax Treaties, in Intertax, 1994, 144 ss.; e D.A. Ward, The Role of the Commentaries on the OECD Model in the Tax Treaty Interpretation Process, in Bulletin for International Fiscal Documentation, 2006, 98.

 (25) Così J.M. Mossner, Zur Auslegung von Doppelbesteuerungsabkommen, in Liber amicorum I. SeidlHohenveldern, 1988, 412; e C. Gloria, Das steurliche Verstandigung-sverfahren und das Recht auf diplomatichen Schultz, 1998, 84.

 (26) In tal senso AA.VV. The Interpretation of Income Tax Treaties with particular Reference to Commentaries on the OECD Model, Amsterdam, 2005, 111-114; J. Sasseville, Court Decisions and the Commentary To the OECD Model Convention, in G. Maisto (a cura di), Courts and Tax Treaty Law, Amsterdam, 2007, 195.

 (27) In tal senso cfr. Cass., sez. trib., 25 maggio 2002, n. 7682, in Boll. Trib., 2003, 544; Cass., sez. trib., 7 marzo 2002, n. 3367, ivi, 2002, 786; Cass., sez. trib., 6 dicembre 2002, n. 17373, ivi, 2003, 1030; e Cass., sez. trib., 23 aprile 2004, ord. n. 7851, in Boll. Trib. On-line. Per l’Agenzia delle entrate cfr. ris. n. 167/E/2008, cit.

 (28) Cfr. i parr. 28 e 29 della Introduzione del Modello OCSE, nei quali si rileva testualmente: «28.For each Article in the Convention, there is a detailed Commentary that is intended to illustrate or interpret its provisions. 29. As the Commentaries have been drafted and agreed upon by the experts appointed to the Committee on Fiscal Affairs by the Governments of member countries, they are of special importance in the development of international fiscal law».

 (29) In tal senso cfr. circ. 13 settembre 1977, n. 86/12/973, in Boll. Trib., 1977, 1541; nota min. 18 marzo 1978, n. 12/1182, ivi, 1978, 756; circ. 4 febbraio 1980, n. 2/12/03, ivi, 1980, 441; e circ. 8 luglio 2011, n. 32/E, ivi, 2011, 1126.

 (30) Cfr. l’art. 7, quarto comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

 (31) Cfr., in tal senso, Corte Cost. 21 gennaio 2000, n. 18, in Boll. Trib., 2000, 211; e da ultimo, e per tutte, Cass., sez. trib., 27 marzo 2013, n. 7707, ivi, 2013, 1346, con nota di F. Brighenti, le dichiarazioni (scritte) di terzi nel processo tributario; in dottrina si rinvia a A. Colli Vignarelli, Dichiarazioni di terzi, intercettazioni telefoniche e giudizio tributario, ibidem, 804; F. Ciani, Processo tributario: discontinuità giurisprudenziali nell’utilizzo delle dichiarazioni di terzi, ivi, 2010, 942; nonché A. Iannaccone, Brevi note sulla utilizzabilità e valenza probatoria delle dichiarazioni dei terzi nel processo tributario, ibidem, 1318, in nota a Cass., sez. trib., 24 marzo 2010, n. 7118, ed a Cass., sez. trib., 10 marzo 2010, n. 5746.

 (32) Sul punto rinviamo alle citazioni contenute nelle note 11 e 12.

 (33) Sul punto rinviamo alle citazioni contenute nella nota 14.

 (34) Come si è già sottolineato, infatti, solo per le società elvetiche in cui un soggetto estero ha un interesse preponderante l’art. 23, par. 2, della Convenzione, pone il requisito della soggezione all’imposta cantonale sul reddito. Tale requisito non è invece richiesto allorché – come nella fattispecie sottoposta al vaglio dei giudici milanesi – nessun soggetto abbia un interesse preponderante nella società elvetica.

 

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