15 Aprile, 2014

 

SOMMARIO: 1. Atti di accertamento ed esecutività – 2. Le misure cautelari pro contribuente – 3. Le misure cautelari pro fisco – 4. Il procedimento di rilascio – 5. Misure atipiche in materia doganale e di aiuti di Stato6. Il procedimento cautelare di iniziativa dell’Amministrazione finanziaria 7. L’inibitoria processuale nell’evoluzione della giurisprudenza – 8. La sospensione dell’atto in II° grado.

1. Atti di accertamento ed esecutività

L’avviso di accertamento è l’atto (ricettizio) della pubblica Amministrazione (Agenzia delle entrate) che manifesta la pretesa erariale rettificando la dichiarazione del contribuente o sostituendola ove omessa e così (ri)determinando l’imponibile da sottoporre a tassazione con le eventuali sanzioni (salva l’irrogazione separata con atto di contestazione).

L’avviso di accertamento (in rettifica e/o suppletivo) è utilizzato anche in materia doganale (e di IVA all’importazione) ed è emesso dall’Agenzia delle dogane per i maggiori diritti dovuti nelle revisioni doganali; altrettanto avviene per l’avviso di pagamento in tema di accise.

L’avviso di accertamento è altresì previsto per il recupero degli aiuti di Stato illegittimi(1).

Nella imposizione indiretta svolge poi analoga funzione l’avviso di rettifica (IVA) e/o l’avviso di liquidazione (registro).

Sono queste tipologie di accertamento c.d. semplice cui fa seguito la procedura di riscossione coattiva regolata dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, con emissione della cartella di pagamento da parte dell’agente della riscossione (Equitalia) sulla base del ruolo predisposto dall’ente impositore per l’intero imponibile accertato (se l’accertamento è divenuto definitivo per mancata impugnazione, se riguarda prelievi di matrice comunitaria, o se vi è pericolo di riscossione) ovvero con iscrizione provvisoria di metà del tributo in caso di impugnazione (sanzioni escluse perché riscosse dopo la sentenza di I° grado).

Per snellire il procedimento di esazione dei tributi accertati la legge di competitività del 2010 (2) ha peraltro previsto (per i tributi erariali ma non per quelli locali) la concentrazione della riscossione nell’accertamento (accertamento c.d. impoesattivo) con conferimento ad esso di esecutività ex lege dopo 60 giorni dalla notifica senza necessità di emissione della cartella di pagamento (eliminata) e affidamento del carico all’agente della riscossione nei 30 giorni successivi previa iscrizione provvisoria a ruolo (da metà) a 1/3.

Per verificare se ci si trovi al cospetto di un “nuovo” avviso di accertamento (in vigore dal 1° Ottobre 2011 per i periodi di imposta dal 2007) occorre controllare se contenga l’intimazione ad adempiere (a mò di atto di precetto ex art. 480 c.p.c.) entro il termine per proporre ricorso (giorni 60 prorogabili a 90 giorni in presenza di reclamo/mediazione (3) ovvero sospendibili di pari periodo in presenza di accertamento con adesione) (4) con avvertenza che nei successivi 30 giorni il carico verrà affidato all’agente della riscossione per l’esecuzione forzata.

Questa modalità di accertamento è stato estesa anche al settore doganale a seguito della “manovra Monti” (5) che ha attribuito esecutività (anticipata) all’avviso di accertamento/rettifica con intimazione ad adempiere entro 10 giorni dalla notifica, trascorsi i quali viene attivata la procedura di riscossione in deroga alle disposizioni sul ruolo (D.Lgs. n. 46/1999).

Codesto regime trova ragione nell’esigenza di celerità ed efficienza che debbono contrassegnare il recupero delle risorse proprie dell’Unione come stabilito dall’art. 7 del Codice doganale comunitario (CDC) (6) sull’immediata applicazione delle decisioni doganali e dall’art. 222 CDC sul termine di 10 giorni per provvedere in tal senso: prescrizioni, peraltro, operative nel nostro ordinamento con abolizione degli ordinari mezzi di riscossione solo a far tempo dal 28 marzo 2013, data (così prorogata dal 21 gennaio 2013) di effettiva attuazione della novella legislativa (7).

Il recupero degli aiuti di Stato illegittimi, invece, transita ora da un decreto ministeriale di accertamento del debito avente valore di titolo esecutivo affidato in riscossione all’agente della riscossione (8).

[-protetto-]

2. Le misure cautelari pro contribuente

Esistono nel procedimento tributario tre forme di sospensione dell’esecuzione degli atti fiscali.

a) La sospensione legale (connessa al nuovo accertamento esecutivo) opera automaticamente (a prescindere dall’eventuale impugnazione) per 180 giorni dall’affidamento in carico all’agente della riscossione (ma non si applica alle misure cautelari e conservative del fisco né quando sussista un fondato pericolo (9) per il positivo esito della riscossione (come già previsto per il ruolo straordinario).

b) La sospensione amministrativa è prevista dall’art. 39 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e dall’art. 2-quater del D.L. 30 settembre 1994, n. 564 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656), in tema di autotutela nonché dall’art. 244 del CDC in materia doganale (facoltà, questa ultima, subordinata alla prestazione di garanzia).

La legge di stabilità per il 2013 (10) ha altresì disposto l’arresto immediato della riscossione con riferimento ai provvedimenti esecutivi (avviso di accertamento esecutivo, cartella/pignoramento) o cautelari (ipoteca e fermo amministrativo) su istanza proposta direttamente all’agente della riscossione entro 90 giorni dalla notifica da parte del contribuente che denunzi (e documenti) la illegittimità dell’atto presupposto (inesistenza del credito erariale per prescrizione, decadenza, sgravio, pagamento, inesigibilità, etc).

L’annullamento di diritto delle partite e l’automatico scarico dei ruoli opererà in ogni caso ove non sia fornita risposta entro 220 giorni.

c) La sospensione giudiziaria è rimessa al giudice tributario ed è stata per la prima volta introdotta in materia fiscale con la riforma del 1992 in base alle prescrizioni della legge delega (11), non essendo fin ad allora previsto, in vigenza del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, alcun potere cautelare specifico in capo alle Commissioni tributarie.

Nonostante taluna giurisprudenza pretorile avesse tentato di far ricorso alla tutela inibitoria atipica di cui all’art. 700 c.p.c. (quale norma di chiusura dell’intero sistema processuale), operava al tempo lo sbarramento della Corte Costituzionale (12) la quale – precisato che la potestà cautelare non costituiva componente essenziale della tutela giurisdizionale – aveva statuito che il divieto di sospensione ope iudicis trovava ragione nella riscossione graduale ex lege dei tributi in fase di andamento del processo.

Superata ogni preclusione con l’entrata in vigore del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che ha previsto espressamente la tutela cautelare nel processo tributario, va rimarcato che il provvedimento che l’accorda è sempre tipico (non esiste il provvedimento d’urgenza innominato a contenuto variabile che conosce il processo civile) e si traduce nella sospensione dell’atto impugnato richiesta contestualmente nel corpo del ricorso (o con separata istanza): quindi presuppone sempre un processo già instaurato non essendo consentita un’inibitoriaante causam (come avviene nel giudizio civile ex art. 669-ter c.p.c.) e restando di conseguenza impedito anche ogni intervento sospensivo nella fase obbligatoria di reclamo/mediazione cui rimanga in ipotesi assogettata la controversia prima della conversione automatica dell’istanza amministrativa in ricorso giurisdizionale trascorsi 90 giorni dalla proposizione con insuccesso.

3. Le misure cautelari pro fisco

Dalle misure cautelari pro contribuente/ricorrente vanno tenute distinte quelle pro fisco, cioè:

a) in sede di riscossione (in base a titolo esecutivo già formato) il fermo amministrativo su beni mobili registrati e l’iscrizione di ipoteca sugli immobili ex artt. 86 e 77 del D.P.R. n. 602/1973, nonché il ruolo straordinarioex art. 15-bis del decreto citato (comportante iscrizione della totalità del credito erariale ancorché non definitivo quando vi sia pericolo per la riscossione) che entrano nel processo tributario solo come atti ivi impugnabili ex art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992;

b) quali misure anticipatorie di garanzia per sanzioni e processo verbale di constatazione, l’ipoteca ed il sequestro conservativo (che prescindono dal titolo esecutivo) riservate alla competenza esclusiva del presidente della Commissione tributaria secondo la procedura di cui all’art. 22 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (13), di cui si dirà oltre e modulate sugli equivalenti istituti civilistici del sequestro conservativo (disposto per evitare la sottrazione dei beni del debitore che rappresentano la garanzia del credito) e dell’ipoteca (volta non solo a tutelare il credito ma a garantire una posizione di priorità rispetto agli altri creditori).

4. Il procedimento di rilascio

La norma di riferimento della sospensione dell’atto impugnato è l’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 ed investe solo gli atti di intimazione (non quelli di rifiuto espresso o tacito di restituzione di tributi ovvero di diniego/revoca di agevolazioni); neppure è utilizzabile per arrestare le misure cautelari promosse dall’Amministrazione finanziaria.

Trattasi di misura provvisoria il cui accoglimento presuppone il ricorrere del duplice requisito (cumulativo) del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Il rilascio della misura cautelare richiede una (sommaria) delibazione nel merito, cioè una valutazione prognostica di apparenzadel diritto (senza l’approfondimento proprio della decisione finale), non potendo essere accordata ad un ricorso manifestamente infondato od inammissibile prima facie e implica l’esistenza di un danno grave ed irreparabile (cioè non agevolmente sostenibile) derivante al contribuente dall’esecuzione dell’atto fiscale.

È evidente che il disagio economico derivante dal fatto stesso dell’esecuzione che non si traduca in un “esubero” eccedente la normalità del pregiudizio non rientra nei motivi di periculum segnalati dalla norma.

Occorre, al riguardo, effettuare una “ponderazione degli interessi contrapposti” (contribuente ed erario) che conduca ad una sproporzione tra l’attuazione della pretesa della pubblica Amministrazione e la situazione finanziaria dell’intimato (ricorso a mezzi straordinari per il reperimento di liquidità, consistenti esposizioni bancarie, gravi e ripetute perdite in bilancio, situazioni di crisi dell’azienda, rischi di insolvenza, etc.).

Per quanto più propriamente concerne la persona fisica (le cui entrate retributive restano comunque limitate nella pignorabilità) la irreparabilità del danno è di regola riposta ad un livello più modesto di “serie difficoltà” in cui si troverebbe il contribuente ove costretto al pagamento.

Il fumus è ricavabile dal contenuto del ricorso (nel merito) e dalle modalità della sua presentazione (in rito) dovendo essere preventivamente controllata la regolare costituzione del rapporto processuale ex art. 22 del D.Lgs. n. 546/1992 prima di accordare la cautela.

Il periculum va motivato e documentato non potendo consistere in una mera allegazione in ordine all’entità eccessiva della somma pretesa dal fisco e il tempo occorrente per ottenerne la restituzione all’esito favorevole della lite né – tanto meno – in mere enunciazioni di pregiudizio in re ipsa.

I requisiti dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 debbono sempre coesistere (non sono alternativi) anche se in taluni casi viene utilizzato il c.d. “criterio dei vasi comunicanti” con bilanciamento tra il quantum di fumus e il quantum di periculum qualora il primo risulti preponderante rispetto al secondo in modo tale da postulare comunque che il minimo dei requisiti venga raggiunto tenendo complessivamente conto di entrambi.

Si tratta di un criterio pratico di “compensazione” tra fumus e periculum nel senso che quanto più forte è l’uno meno esigibile è l’altro per raggiungere la soglia dell’inibitoria.

Il riferimento della sospensione alla “esecuzione” dell’atto impugnato ha sempre fatto ritenere inammissibile, di regola, una inibitoria azionata unicamente in presenza di atto di accertamento privo nell’immediato di effetti esecutivi insorgenti solo in un secondo momento con l’emissione della cartella di pagamento.

Solo con la notifica della cartella di pagamento viene infatti ad esistenza un danno “attuale”, in precedenza da considerare al più “imminente” in vista dell’iscrizione provvisoria ex art. 15 del D.P.R. n. 602/1973 (ma ancora temporalmente incerto non soggiacendo l’iscrizione – a differenza di quella sugli accertamenti definitivi – a limiti temporali).

Oggi, al cospetto dei nuovi accertamenti “esecutivi” (che presentano profili di immediata lesività perché – racchiudendo la funzione della cartella di pagamento – legittimano ex se l’esecuzione forzata), la questione della sequenza procedimentale (accertamento/cartella) è ormai superata come pure ogni connessa problematica sulla necessità o meno di impugnare autonomamente la cartella di pagamento per poter far valere la sospensiva con il rischio – per altro verso – di subire rilievi di inammissibilità per difetto di vizi propri dell’atto ex art. 19, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992.

La Commissione tributaria competente deve pronunziarsi in via cautelare nel termine (ordinatorio) di giorni 180 (equivalente a quello della sospensione legale in pendenza di riscossione) e fissare, in ipotesi di accoglimento, un’udienza di discussione del merito nei successivi 90 giorni (termine parimenti ordinatorio).

Può comunque decidere senza ritardo il merito della causa senza provvedere sull’istanza di sospensione posto che la perdita di efficacia del provvedimento cautelare avviene con la pubblicazione della sentenza di I° grado destinata ad assorbirne gli effetti sicché non è ipotizzabile alcun pregiudizio per la mancata decisione sull’istanza né, tanto meno, violazione dei diritti di difesa del contribuente (14).

La sospensiva cd. breve proposta inizialmente dal legislatore con perdita di efficacia oltre i 150 giorni dalla pronunzia cautelare senza decisione sul merito è stata espunta – in sede di conversione – dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.

Ciò anche in ragione del fatto che la norma del D.L. 8 aprile 2008, n. 59 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008, n. 101), prevedente la decadenza dell’effetto sospensivo del provvedimento giudiziale emesso nel processo civile di recupero degli aiuti di Stato illegittimi per il mero decorso del termine a prescindere dalla verifica di persistenza (o financo aggravamento) delle condizioni determinanti l’arresto di esecutività (regola, peraltro, vigente tuttora nel processo tributario a mente dell’art. 47-bis del D.Lgs. n. 546/1992), era stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale (15).

È da supporre che l’esecutività immediata degli atti di accertamento (omessa la cartella di pagamento) provochi un corredo generalizzato di istanze di sospensione per tutti i ricorsi imponendo (a scapito della celerità del contenzioso) la fissazione di apposita udienza di trattazione della cautela prima di quella destinata alla discussione del merito.

Resta in ogni caso salvo l’intervento anticipato del presidente (della sezione assegnataria del ricorso) laddove ravvisi – come previsto dall’art. 47, terzo comma, del D.Lgs. n. 546/1992 – “eccezionali ragioni di urgenza” per provvedere inaudita altera parte: ragioni che potrebbero essere rinvenute nel numero elevato delle istanze cautelari tale da impedirne la trattazione in tempi ragionevoli.

Il decreto presidenziale andrà poi confermato dal Collegio che potrebbe in questo caso essere chiamato a decidere anche il merito della lite a fini acceleratori.

Codesto sdoppiamento a garanzia del contradditorio trova addentellati nel modello cautelare uniforme di derivazione civilistica (art. 669-sexies c.p.c.) ed esortazioni a ricorrere a questa procedura di urgenza si rinvengono in talune delibere del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria in tema di sospensiva di cartelle di pagamento (16).

Per ottenere questa misura straordinaria occorre – in linea di principio – un quid pluris rispetto al normale connotato dell’urgenza, ossia il concreto pericolo che il provvedimento di sospensione cautelare risulti inutiliter per il contribuente nel caso in cui si proceda secondo lo schema ordinario della convocazione della controparte pubblica.

La sospensione può essere anche parziale e, all’occorrenza, subordinata alla prestazione di cauzione o fideiussione bancaria/assicurativa secondo modalità e termini indicati nel provvedimento.

L’ordinanza che dispone la cautela non è impugnabile (né reclamabile come invece previsto nel giudizio civile dall’art. 669-terdecies c.p.c.): dunque neppur reiterabile ove rigettata.

Unica eccezione (la legge è silente sul punto) potrebbe essere rinvenuta nei fatti sopravvenuti (ad esempio il mutamento delle condizioni economiche del contribuente) ricercando appiglio alla riproposizione dell’istanza, in caso di provvedimento negativo, nell’ultimo comma dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992.

Il mutamento delle circostanze (diversa realtà storica o processuale ivi compresi i fatti nuovi o preesistenti non allegati) consente infatti (in analogia all’art. 669-decies c.p.c.) la modifica o revoca del provvedimento anche prima della sentenza su istanza motivata del richiedente (al fine, ad esempio, di escludere o ridurre la cauzione).

Ipotesi peraltro rare in un processo quale quello tributario che di regola si esaurisce in un’unica (e di merito assorbente) udienza di discussione.

5. Misure atipiche in materia doganale e di aiuti di stato

Il giudizio tributario conosce anche due altre tipologie cautelari pro contribuente che presentano solo parzialmente tratti comuni con la sospensione c.d. ordinaria.

In materia doganale l’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 va coordinato con l’art. 244 CDC applicabile, oltre che dall’Autorità doganale (sospensione amministrativa di cui già si è detto), anche dall’Autorità giudiziaria (secondo l’interpretazione adeguatrice fornita dalla Corte di Giustizia al fine di assicurare piena efficacia al diritto comunitario) (17) costituendo “corollario” del diritto al ricorso ex art. 243 CDC.

La formulazione della norma contiene la presenza della disgiunzione «o» in luogo della congiunzione «e» tra i due presupposti applicativi (fumus boni iuris evidenziato dai fondati dubbi sulla compatibilità della decisione impugnata alla normativa doganale e periculum in mora costituito dal danno irreparabile per l’interessato) per cui sarà bastevole uno dei due requisiti – alternativamente all’altro – per ottenere la sospensione.

Il rilascio della misura cautelare ove siano in discussione dazi doganali (all’importazione od esportazione) dovrà però essere sempre condizionato alla costituzione di una garanzia nell’interesse dell’Autorità doganale, sacrificabile a favore del debitore d’imposta solo allorché la prestazione si riveli pregiudizievole per le sue condizioni economiche e sociali.

In materia, poi, di aiuti di Stato le misure nazionali di recupero, dovendo consentire l’esecuzione “effettiva ed immediata” della decisione “negativa” della Commissione europea, impongono che l’esercizio del potere inibitorio resti ristretto – come prescritto dall’art. 47-bis del D.Lgs. n. 546/1992 – all’errore evidente nell’individuazione del legittimato passivo o nel calcolo della somma da restituire ovvero all’insorgenza di gravi riserve sulla validità dell’atto comunitario (fumus).

In tal caso, però, il giudice sarà tenuto contestualmente ad effettuare rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

Naturalmente dovranno sempre ricorrere gli estremi dell’urgenza di evitare un danno grave e irreparabile (periculum), fermo l’obbligo di tener pienamente conto dell’interesse comunitario.

La valutazione – per quanto concerne la irreparabilità del pregiudizio – andrà, cioè, orientata non solo sull’effettiva tutela del singolo con riferimento alla sua situazione aziendale e patrimoniale (criterio soggettivo) ma anche sul rispetto delle esigenze sovranazionali di ripristino della situazione di concorrenza violata (criterio oggettivo).

La sospensione resterà invece preclusa in tutti i casi in cui la decisione di recupero della Commissione europea asseritamente viziata da illegittimità non sia stata impugnata anche in sede comunitaria ovvero – ove impugnata – non sia stata colà richiesta (o rigettata) la parallela misura d’urgenza.

Attualmente, peraltro, a seguito della legge n. 234/2012 che ha attribuito al giudice amministrativo giurisdizione esclusiva in tema di aiuti di Stato (a far tempo dal 19 gennaio 2013) il procedimento cautelare non potrà che incardinarsi nella sede propria del TAR territorialmente competente.

6. Il procedimento cautelare di iniziativa dell’Amministrazione finanziaria

Il procedimento di urgenza regolato dall’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 presenta inequivocabili simmetrie con quello promosso dall’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997 (ipoteca e sequestro conservativo).

È questo l’unico caso in cui il processo tributario viene avviato dall’Amministrazione finanziaria anziché dal contribuente e che dà vita ad un giudizio cautelare “atipico” destinato a concludersi con sentenza.

Presupposto della concessione è il fondato timore di perdere le garanzie del credito (espressione mutuata dall’art. 671 c.p.c.) e dunque implica una valutazione – da svolgere con indagine sommaria – della sussistenza sia del fumus sia del periculum identificato nel timore di dispersione dei beni del debitore desunto sia da dati oggettivi (entità della pretesa erariale e consistenza patrimoniale del contribuente) sia da dati soggettivi (comportamenti dai quali si evinca la di lui volontà di sottrarsi all’esecuzione con depauperamento del proprio patrimonio).

L’istanza rivolta al presidente della Commissione tributaria – dopo essere state notiziate le parti interessate – è decisa in Camera di Consiglio dalla Commissione stessa con sentenza soggetta agli ordinari mezzi di gravame.

In caso di eccezionale urgenza o di pericolo nel ritardo (alternativa che mal si spiega perché questo secondo requisito è quello tipico richiesto per ogni provvedimento di urgenza) si apre il c.d. procedimento abbreviato che presuppone un quid pluris (l’eccezionale urgenza, appunto) per procedere inaudita altera parte.

A differenza da quanto previsto nella consimile ipotesi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 il decreto presidenziale, però, non deve essere riesaminato dal Collegio nel contradditorio delle parti e dunque ha efficacia tendenzialmente definitiva ove non sia investito dal reclamo del contribuente; in questo caso la Commissione deciderà con sentenza.

Il provvedimento cautelare è destinato a perdere efficacia se entro 120 giorni non viene notificato l’atto di contestazione o di irrogazione (quando sia stato emesso in base a un processo verbale di constatazione); in ogni caso quando viene accolto il ricorso (nel merito).

7. L’inibitoria processuale nell’evoluzione della giurisprudenza

La sospensione giudiziale in ambito tributario ha di regola sempre riguardato l’atto impugnato (o meglio la sua esecuzione) nella ipotesi “ordinaria” e in quelle di derivazione comunitaria sovra accennate.

La tutela cautelare pro contribuente è riservata per legge alla sola Commissione tributaria provinciale, esaurendosi – come stabilito dall’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 – con la pubblicazione della sentenza di I° grado.

Ne restano perciò escluse le fasi di gravame a meno che non entrino in gioco le sanzioni amministrative a fronte delle quali è consentito alla Commissione tributaria regionale sospendere l’esecuzione a sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n. 472/1997 .

I tentativi di estendere la sospensione dall’atto alla sentenza (che pur non essendo esecutiva autorizza la riscossione frazionata del tributo ex art. 68 D.Lgs. n. 546/1992 ove non esigibile ab origine per l’intero come per i tributi locali, i dazi e le accise) hanno avuto in passato scarso successo.

Numerosi arrets della Corte Costituzionale (18) puntualizzavano che oggetto dell’inibitoria è l’efficacia del provvedimento impositivo impugnato e non l’efficacia della sentenza che ha rigettato il ricorso del contribuente.

Le impugnazioni nel contenzioso tributario rimandano infatti alla disciplina del capo I° del titolo II° c.p.c. (artt. 323-338) ma l’art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992 esclude espressamente l’applicazione all’art. 337 c.p.c. e dunque anche la parte della norma che fa salve le disposizioni sulla sospensione della sentenza di I° grado (art. 283 c.p.c.), di II° grado (art. 373 c.p.c.), nella revocazione e nell’opposizione di terzo (artt. 401 e 407 c.p.c.).

Anche la Corte di Cassazione (19) si poneva sulla stessa lunghezza d’onda ribadendo che nel processo tributario la garanzia costituzionale della tutela cautelare dovesse ritenersi doverosa sino a che non intervenga una pronunzia nel merito: di accoglimento (rendendo così superflue ulteriori cautele) ovvero di rigetto (facendo in tal caso venir meno il presupposto dell’inibitoria).

Questi orientamenti sono stati peraltro rivisti da più recenti interventi della Corte Costituzionale (20), la quale ha preso in esame l’applicabilità al rito tributario dell’art. 373 c.p.c. (sospensione da parte del giudice di appello della sentenza impugnata in Cassazione quando dalla esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno) fornendo una diversa lettura del contesto normativo censurato dalle Corti remittenti (Commissione tributaria regionale della Campania e Commissione tributaria regionale della Lombardia).

L’art. 337 c.p.c. – secondo il giudice delle leggi – sarebbe infatti costituito da una regola (l’esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto dell’impugnazione) e da una eccezione alla stessa regola (salve le disposizioni degli att. 283, 373, 401 e 407) per cui la inapplicabilità di tale norma dichiarata dall’art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992 varrebbe – in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata – per la “regola” ma non per l’“eccezione”, consentendo la sospendibilità ope iudicis della sentenza di II° grado al ricorrere delle condizioni previste.

La Corte di Cassazione (21) prendendo da ultimo atto di codesti principi operava di conseguenza un revirement sul proprio consolidato indirizzo precisando, peraltro, che la specialità della materia tributaria e l’esigenza che fosse garantito il regolare pagamento delle imposte imponeva una “rigorosa valutazione” dei requisiti del fumus e del periculum.

Si assiste, dunque, ad una rimeditazione interpretativa dell’intera disciplina relativa alla sospensione cautelare dell’esecuzione delle sentenze tributarie non solo di primo ma anche di secondo grado, non essendovi dubbio – stante l’identità dei presupposti – che alla sentenza della Commissione provinciale impugnata in appello sia applicabile il parallelo disposto dell’art. 283 c.p.c. in presenza di gravi e fondati motivi (che la norma civilistica riconduce anche alla possibilità di insolvenza) (22).

La competenza cautelare, anche in questo caso, farà capo alla Commissione regionale investita dell’appello ma i poteri di intervento ne risulteranno più ampi rispetto a quelli riconosciuti dall’art. 373 c.p.c.

Tale ultima norma si basa, infatti, su più rigorosi presupposti legittimanti posto che la sentenza di appello ha un grado di stabilità più elevato di quella di I° grado e dunque margini di valutazione più severi.

Del resto, rispetto all’art. 283 c.p.c., l’art. 373 c.p.c. neppure richiama espressamente il fumus mostrando di rivolgersi più alle “conseguenze” che al “merito” della decisione (anche se il requisito della “fondatezza” – come osservato dalla Corte di Cassazione nella sentenza citata – non può essere del tutto obliterato nel processo valutativo sulla “bontà” dell’istanza e dunque del presumibile successo del ricorso).

Va segnalato, in quest’ottica, che anche la prestazione della cauzione eventualmente disposta si atteggia diversamente nelle due norme laddove – a sensi dell’art. 283 c.p.c. – va rilasciata dal ricorrente/contribuente che si veda accolta l’istanza mentre – ai sensi dell’art. 373 c.p.c. – essendo posta in alternativa alla sospensione – è destinata a rimanere a carico del soggetto che intenda, ciò nonostante, procedere in executivis, dunque della parte pubblica.

L’intuibile difficoltà nell’orientare la garanzia a carico dell’Amministrazione finanziaria dovrebbe, perciò, in tale ipotesi, far propendere a scelte che da essa prescindano.

La sospensione è stata pure ritenuta applicabile alle sentenze della Commissione tributaria centrale (nonostante quel processo resti disciplinato dal D.P.R. n. 636/1972 che limita il rinvio alle norme del c.p.c. al solo libro I° mentre l’art. 373 c.p.c. è contenuto nel libro II°) sulla considerazione che l’art. 49 del D.Lgs. n. 546/1992 (secondo l’interpretazione “adeguatrice” fornita dalla Corte Costituzionale) sarebbe norma processuale immediatamente efficace quale ius superveniens (23).

8. La sospensione dell’atto in II° grado

La sospendibilità della sentenza tributaria risente della tesi c.d. “dichiarativa” che vede l’oggetto del processo tributario rivolto non tanto a sindacare la legittimità dell’atto impositivo quanto piuttosto ad accertare il merito del rapporto di imposta sottostante (pur per il tramite dell’impugnazione): ragion per cui lo strumento cautelare sarebbe destinato ad appuntarsi contro la sentenza resa dal giudice che a quell’atto si sostituisce. Per chi inveceattribuisce al processo tributario natura di “impugnazione-annullamento”, le sentenze di rigetto del ricorso avendo valenza dichiarativa (per non sostituirsi all’atto ma, semmai, “liberandone” l’efficacia) sarebbero insuscettibili di esecuzione da sospendere.

Il richiamo alle regole processualcivilistiche in materia di inibitoria giudiziale sarebbe perciò inconferente dovendo piuttosto ricercarsi su un altro piano l’intervento cautelare del giudice gerarchicamente superiore.

Muovendo da questa impostazione parte della giurisprudenza di merito (di derivazione soprattutto presidenziale) ha di conseguenza trasposto la norma dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992 nell’ambito del giudizio di appello avanti alla Commissione regionale facendo leva sul generale disposto dell’art. 61 del D.Lgs. n. 546/1992 a mente del quale nel procedimento di appello si osservano in quanto applicabili le norme del procedimento di I° grado se non incompatibili con quelle stabilite per il II° grado (cioè gli artt. da 51 a 60 del D.Lgs. n. 546/1992).

È stato così sostenuto che il fatto che l’art. 47 preveda l’efficacia della sospensione non oltre la decisione di I° grado non escluderebbe che il giudice di appello possa adottare analogo provvedimento con limitazione temporale alla propria fase di giudizio, che il potere inibitorio così come riconosciuto in capo al giudice di appello in materia di sanzioni non può essere negato con riferimento al tributo, che in ogni caso prevarrebbero i principi di completezza ed effettività della tutela giurisdizionale ivi inclusa la tutela cautelare che ne è componente ineludibile come affermato da numerosi precedenti della Corte di Giustizia (24).

Tali argomentazioni, peraltro, non persuadono completamente perché la tutela cautelare non è comunque impedita nell’economia del giudizio, il dato letterale della legge delega attualmente non consente di travalicare la sentenza di I° grado, le sanzioni sono in genere oggetto di riscossione dopo quest’ultima pronunzia e dunque la necessità di sospensione sorge soprattutto nel grado successivo.

Occorrerà, dunque, uno specifico intervento legislativo sul punto al fine di realizzare compiutamente la “circolarità” di questo fondamentale rimedio giudiziale eliminando – anche alla luce del mutato quadro giurisprudenziale – le incertezze interpretative che si frappongono alla sua estendibilità applicativa.

E proprio in vista di questa sistemazione generale va da ultimo ricordato il disegno di legge del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) (25) che all’art. 4 (revisione della disciplina e dell’organizzazione del processo tributario e della giurisdizione tributaria) enuncia, appunto, tra i suoi principi e criteri direttivi (lett. h 10) la «uniformizzazione e generalizzazione della tutela cautelare in ogni stato e grado del processo tributario, ai fini della realizzazione del giusto processo e di una tutela giurisdizionale concreta ed effettiva, conformemente ai precetti costituzionali».

Dott. Massimo Scuffi

(1) Legge 28 gennaio 2009, n. 2, di conversione del D.L. 29 novembre 2008, n. 185.

(2) Art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), con le successive interpolazioni del decreto “sviluppo” 2011 di cui al D.L. 13 maggio 2011, n. 70 (convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106).

(3) Procedura obbligatoria dal 1° aprile 2012 per liti fino ad € 20.000 (art. 17-bis del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546).

(4) Disciplinato dal D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218.

(5) Art. 9, comma 3-bis, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44).

(6) Approvato con Regolamento CEE n. 2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992.

(7) Cfr. provv. 21 gennaio 2013, n. 3204, e provv. 1° febbraio 2013, n. 12035.

(8) L’inerente contenzioso è stato devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234, contenente norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e attuazione della normativa e delle politiche UE.

(9) Si noti che la valutazione del “periculum” è rimessa allo stesso ente impositore (così circ. 15 febbraio 2011, n. 4/E, in Boll. Trib., 2011, 272) laddove l’autorizzazione al creditore per procedere all’esecuzione immediata senza il rispetto del termine indicato in precetto è rimessa al presidente del Tribunale competente ex art. 482 c.p.c.

(10) Legge 24 dicembre 2012, n. 228.

(11) Legge 30 dicembre 1991, n. 413.

(12) Corte Cost. 1° aprile 1982, n. 63, in Boll. Trib., 1982, 729, con nota di F. Tesauro, La sospensione della riscossione al vaglio della Corte Costituzionale.

(13) Il decreto citato pur avendo ad oggetto la disciplina generale del sistema sanzionatorio si applica anche ai debiti di imposta (cfr. Cass., sez. trib., 28 gennaio 2010, n. 1838, in Boll. Trib. On-line).

(14) Cass., sez. trib., 9 aprile 2010, n. 8510; e Cass., sez. trib., 20 marzo 2013, n. 6911; entrambe in Boll. Trib. On-line.

(15) Corte Cost. 23 luglio 2010, n. 281, in Boll. Trib., 2011, 229.

(16) Da ultimo Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, delibera n. 122/2010.

(17) Corte Giust., sez. V, 11 gennaio 2001, causa C-226/99, Siples, in Boll. Trib. On-line.

(18) Ex multis Corte Cost. 5 aprile 2007, ord. n. 119, in Boll. Trib., 2007, 1245, che rappresenta un continuum rispetto alla fondamentale sentenza di Corte Cost. 31 maggio 2000, n. 165, ivi, 2000, 1195, con nota di I. Susanna, La tutela cautelare in grado di appello tra dinieghi italiani e tentazioni comunitarie.

(19) Cass., sez. trib., 13 ottobre 2010, n. 21121, in Boll. Trib., 2011, 133.

(20) Corte Cost. 17 giugno 2010, n. 217, in Boll. Trib., 2010, 1150, con nota di V. Azzoni, Un passo avanti verso la completa tutela del contribuente anche in fase cautelare, e, in termini confermativi, Corte Cost. 26 aprile 2012, n. 109, ivi, 2012, 1034, con nota di V. Azzoni, La Consulta ribadisce l’ammissibilità della tutela cautelare nei giudizi tributari d’impugnazione.

(21) Cass., sez. trib., 24 febbraio 2012, n. 2845, in Boll. Trib., 2013, 768, con nota di V. Azzoni, L’efficacia della sentenza della Commissione tributaria regionale impugnata con ricorso per cassazione può essere sospesa dalla stessa Commissione. Ultimo atto: la Corte di Cassazione avalla.

(22) Comm. trib. reg. dell’Emilia Romagna, sez. I, ord. n. 160/01/11, inedita.

(23) Comm. trib. centr., sez. Milano, n. 620/2013, inedita.

(24) Comm. trib. reg. della Lombardia decr. pres. n. 3/2012, inedita.

(25) D.D.L. 20 marzo 2013 (in Boll. Trib. On-line) in tema di delega legislativa al Governo della Repubblica per razionalizzare e codificare l’attuazione e l’accertamento dei tributi e per la revisione delle sanzioni amministrative e del processo tributario.

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