23 Settembre, 2014

 

 

1. Premessa

L’annotata sentenza si inserisce nell’ambito di una serie di pronunce giurisprudenziali sul noto tema dell’applicazione dell’imposta di registro al conferimento di ramo d’azienda seguito dalla vendita delle partecipazioni emesse a fronte del conferimento, operazione che l’Agenzia delle entrate contesta, sulla base dell’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, assoggettandola ad imposta proporzionale, di regola al 3 per cento, in luogo dell’imposta fissa applicabile al conferimento d’azienda (€ 168 in base alle norme applicabili ratione temporis) (1).

La tesi dell’Agenzia delle entrate, in sintesi, si basa su un’interpretazione del citato art. 20 secondo cui tale norma consentirebbe tout court di riqualificare l’assetto giuridico derivante da una pluralità di contratti autonomi e di applicare l’imposta sul (presunto) effetto economico finale dell’operazione. E, a tal fine, l’Amministrazione finanziaria fa riferimento al – non meglio precisato – concetto di “causa reale”.

La sentenza si distingue da altre pronunce in quanto non affronta la questione pronunciandosi sull’interpretazione dell’art. 20, questione invero ancora dibattuta, ma si occupa della «non comparabilità, ai fini sostanziali prima ancora che giuridici» tra la vendita del ramo d’azienda da un lato, e il conferimento d’azienda seguito dalla vendita delle partecipazioni, dall’altro lato.

La decisione è di particolare interesse in quanto la rimarcata differenza sostanziale tra conferimento d’azienda, seguito dalla vendita delle partecipazioni emesse a fronte del conferimento, e la vendita del ramo d’azienda consentirebbe di censurare l’orientamento dell’Agenzia delle entrate (anche) a prescindere dall’interpretazione che si voglia attribuire all’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986. Vale a dire anche a prescindere dal fatto che si voglia seguire l’interpretazione della c.d. “causa reale” oppure quella secondo cui l’imposta di registro si applica sugli effetti civilistici del singolo atto oggetto di registrazione, considerato autonomamente se e in quanto retto da una causa autonoma (2).

L’obiettivo della presente nota non è, pertanto, esaminare compiutamente la questione interpretativa riguardante l’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 (3), bensì rilevare alcune criticità della tesi erariale in fatto, così come si evince dai fatti di causa, e soprattutto analizzare le considerazioni espresse nella pronuncia in commento sulla differenza tra i citati negozi giuridici, nella prospettiva dei contenziosi in subiecta materia.

2. Sintesi della vicenda e considerazioni critiche sulla tesi erariale

Il caso oggetto della decisione in rassegna consiste nella tipica operazione di conferimento di ramo d’azienda (da una società per azioni ad una società a responsabilità limitata neocostituita) seguito dalla vendita dell’intera partecipazione emessa a fronte del conferimento (il 100% delle quote della società a responsabilità limitata) ad un altro soggetto (una società per azioni). Dalla descrizione contenuta nella sentenza si evince che oggetto del conferimento era un ramo d’azienda composto di beni, di personale, di attività e passività: quindi non sembra possibile revocare in dubbio che l’operazione avesse ad oggetto una riorganizzazione aziendale.

L’Agenzia delle entrate, seguendo un approccio ormai consolidato, sebbene privo di riscontro nelle norme che regolano l’imposta di registro, ha riqualificato tali distinti atti come vendita di ramo d’azienda, applicando poi l’imposta di registro in misura proporzionale, in luogo dell’imposta fissa applicabile all’aumento di capitale mediante conferimento d’azienda e alla vendita delle quote della società a responsabilità limitata.

[-protetto-]

Prima di passare all’esame della pronuncia è interessante svolgere alcune considerazioni sulla tesi erariale come delineata nella descrizione dei fatti di causa.

L’Agenzia delle entrate argomenta la propria pretesa sfruttando l’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 che, come è noto, è rubricato «Interpretazione degli atti» e recita «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente».

Tale norma, contrariamente a quanto ritiene l’Agenzia, dispone l’applicazione dell’imposta sugli effetti civilistici prodotti dall’atto oggetto di registrazione e non consente di riqualificare l’assetto giuridico derivante da una serie di atti autonomi dal punto di vista della causa. L’art. 20 citato, in altri termini, non consente di applicare l’imposta su presunti effetti – giuridici ed economici – derivanti dallo «studio combinato» (4) di contratti retti ciascuno dalla propria causa (5).

Inoltre l’Amministrazione finanziaria fa riferimento al “breve” intervallo temporale intercorso tra l’atto di conferimento del ramo d’azienda e la vendita delle partecipazioni emesse a fronte del conferimento, individuando in esso la prova della “combinazione” degli atti ai fini della valutazione congiunta degli effetti sostanziali. Invero tale elemento, privo di riscontro normativo, non sembra coerente con il sistema dell’imposta di registro, costruito intorno al principio della tassazione del singolo atto oggetto di registrazione, sulla base degli elementi in esso contenuti. Sistema rispetto al quale, in assenza di un’espressa previsione normativa, non sembra poter assumere rilevanza il lasso temporale che intercorre tra contratti autonomi e stipulati tra parti diverse (6).

Del resto, argomentando diversamente, si introdurrebbe nell’applicazione dell’imposta di registro un elemento radicalmente incerto, privo di parametri normativi e dipendente dalla mera discrezionalità dell’Agenzia delle entrate: quale sarebbe, infatti, il lasso di tempo decorso il quale il medesimo assetto negoziale non sarebbe più suscettibile di riqualificazione?

Infine l’Agenzia sottolinea il fatto che gli atti dell’operazione hanno scontato solo l’imposta di registro in misura fissa (nell’ordine come è noto di € 168 su ciascun atto registrato) e, quindi, un’imposizione minima.

Il riferimento all’ammontare irrisorio dell’imposta in misura fissa, contrapposto all’imposta proporzionale con aliquota del 3 per cento, letto in relazione al valore economico dell’operazione, sembra evocare un’idea di imposta di tipo personale e progressivo. In altri termini tale riferimento evoca l’idea che l’imposta di registro debba essere applicata – in buona sostanza – considerando (anche) la capacità contributiva del soggetto che stipula l’atto e modulando il prelievo in funzione di tale capacità contributiva.

A ben vedere anche questo profilo è privo di qualsivoglia riscontro normativo.

Nel sistema dell’imposta di registro, il prelievo tributario è commisurato (tra un minimo di imposta fissa e un massimo di imposta proporzionale) in funzione del contenuto giuridico dell’atto oggetto di registrazione, secondo i suoi effetti civilistici, non certo in funzione della capacità contributiva personale del soggetto che ha stipulato l’atto: due atti che producono i medesimi effetti giuridici, stipulati tra parti diverse, sono assoggettati ad imposta di registro nella stessa misura, a prescindere dalla capacità contributiva personale di ciascuna delle parti.

Il prelievo dell’imposta di registro incide sull’effetto giuridico quale indice rivelatore di forza economica e, sotto questo profilo, risulta conforme al principio di capacità contributiva (7). In tal senso, la capacità contributiva oggetto dell’imposta di registro deve essere individuata nella forza economica indirettamente rivelata dagli effetti civilistici del singolo atto (8).

3. La decisione

Nel decidere la controversia la Commissione tributaria provinciale di Milano rileva preliminarmente che, alla luce dell’atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia delle entrate, la disputa non sembrerebbe incentrata sull’interpretazione dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986, bensì sulla questione della comparabilità tra l’operazione contestata (conferimento di ramo d’azienda seguito dalla cessione di quote) e la vendita di ramo d’azienda (9).

Muovendo da tale premessa, la Commissione lombarda afferma la non comparabilità, ai fini sostanziali prima ancora che giuridici, degli atti stipulati dalle parti con quello risultante dalla riqualificazione eseguita dall’Ufficio (id est vendita di ramo d’azienda).

A tal fine il giudice ha posto in evidenza il fatto che con gli atti stipulati dalle parti (conferimento di ramo d’azienda più vendita della partecipazione) è possibile «tenere distinti i componenti patrimoniali conferiti da quelli della società beneficiaria» (rectius, della società che ha acquistato le quote). Inoltre, è stato posto in evidenza il fatto che in tal modo è possibile tenere distinte le «responsabilità specifiche connesse alla gestione del ramo di azienda».

Al contrario – prosegue la sentenza – nel caso di acquisto del ramo d’azienda (in luogo dell’acquisto delle quote della società a responsabilità limitata conferitaria) si determinerebbe l’iscrizione in bilancio dei beni che compongono il ramo, che entrerebbero quindi a far parte delle attività e delle passività della società acquirente, con l’effetto di una sostanziale confusione tra i compendi aziendali.

In tale prospettiva la Commissione milanese ha rilevato altresì che l’operazione de qua consente di ridurre il rischio gestionale, limitando i rischi e le responsabilità verso i terzi, in virtù del fatto che il patrimonio aziendale della società a responsabilità limitata acquisita rimane separato dal patrimonio aziendale della società acquirente, ossia del socio (in virtù di quanto previsto dall’art. 2462 c.c. ai sensi del quale per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio) (10).

Su tali basi la Commissione territoriale di merito ha affermato che sussiste una palese diversità degli effetti giuridici ed economici tra il conferimento di ramo d’azienda seguito dalla vendita della partecipazione emessa a fronte del conferimento e la vendita del ramo d’azienda.

Peraltro il giudice tributario ha altresì rilevato che deve essere garantita la libertà dell’imprenditore di scegliere il modello contrattuale che più corrisponde alle esigenze della sua attività (11).

4. Considerazioni sulla differenza (giuridica ed economica) tra la cessione di una partecipazione di controllo in una società di capitali e la vendita di un ramo d’azienda

Appaiono condivisibili le considerazioni svolte dal giudice tributario del capoluogo lombardo nell’annotata sentenza, atteso che sussiste una rilevante diversità, sia giuridica che economica, tra un assetto negoziale che determina il trasferimento del controllo (anche totalitario) di una società di capitali e quello che determina il mero trasferimento della proprietà di un ramo d’azienda, ossia di un complesso di beni e diritti aziendali (12). In tal senso, si consideri quanto segue.

La citata differenza è evidente, innanzitutto, se ci si pone nella prospettiva del terzo acquirente della partecipazione emessa a fronte del conferimento, ossia del soggetto che secondo l’Amministrazione finanziaria sarebbe l’acquirente del ramo d’azienda. Prospettiva, questa, dalla quale è stata opportunamente analizzata la vicenda dal giudice di merito.

Per tale soggetto l’acquisto del mero ramo d’azienda comporterebbe l’iscrizione nel bilancio di esercizio dei beni aziendali, nonché l’esercizio diretto dell’attività d’impresa alla quale il ramo d’azienda è funzionale, con le connesse responsabilità di ordine giuridico e patrimoniale (13). Ciò determinerebbe, da un lato, una confusione tra il patrimonio dell’acquirente e i beni del ramo d’azienda, dall’altro, l’onere per tale soggetto di esercitare in via diretta e non mediata quell’attività d’impresa cui è funzionale il ramo d’azienda.

Quest’ultimo profilo dimostra, vieppiù, come l’acquisizione di una società di capitali non sia un’operazione equivalente e alternativa all’acquisto di un ramo d’azienda (né in termini giuridici né in termini economici): il soggetto che acquisisce una partecipazione (anche totalitaria) in una società di capitali assume la qualità di socio e non quella di imprenditore commerciale.

In base a tale qualifica, quindi, può disporre dell’attività d’impresa in vari modi, ad esempio cercando dei partners commerciali o altri soci che siano disposti ad investire nella società. Ne consegue sia l’applicabilità di diversi insiemi di norme sia la diversa configurazione dell’investimento economico, atteso che nel caso del socio l’investimento è essenzialmente di natura finanziaria, mentre nel caso dell’acquirente del ramo d’azienda l’investimento è di natura imprenditoriale.

In tale ottica appare interessante considerare anche il caso in cui il soggetto che acquisisce la partecipazione totalitaria emessa a fronte del conferimento sia una società non residente in Italia. È chiaro che, ove tale soggetto acquisisse un complesso di beni e diritti aziendali situati in Italia, si troverebbe a dovere svolgere un’attività d’impresa nel territorio dello Stato, pur in assenza di un’adeguata struttura organizzativa, posto che, di per sé, il ramo d’azienda non è dotato di un’organizzazione giuridicamente rilevante. Per contro, ove tale soggetto acquisisse la partecipazione totalitaria in una società (società per azioni o società a responsabilità limitata) residente in Italia, che possegga il ramo d’azienda in questione, questo si troverebbe ad essere presente sul territorio italiano, senza dover svolgere direttamente quell’attività d’impresa, qualificandosi come socio di controllo di un’impresa residente in Italia. Cambiano le norme societarie di riferimento e il regime di tassazione applicabile.

Del resto, è noto come le modalità di investimento in Italia da parte di società estere o gruppi multinazionali esteri siano attentamente valutate nella prospettiva di scegliere, a seconda degli obiettivi, lo strumento della subsidiary, attraverso l’acquisizione di una società controllata residente in Italia, oppure quello della stabile organizzazione.

Anche tale considerazione, quindi, conferma come la mera vendita di un ramo d’azienda non sia un’operazione equivalente e alternativa all’assetto negoziale basato sul conferimento di ramo d’azienda seguito dalla vendita della partecipazione emessa a fronte del conferimento.

Nello stesso senso, poi, si può considerare il caso in cui le partecipazioni emesse a fronte del conferimento non siano acquistate interamente da un solo soggetto (terzo rispetto alla conferente e alla conferitaria) bensì da più soggetti: in tal caso è ancor più evidente come la mera vendita del ramo d’azienda sia un’operazione radicalmente diversa, quanto ad effetti civilistici ed economici.

Per altro verso, si dovrebbe probabilmente attribuire rilevanza altresì al fatto che la società conferitaria, oggetto di trasferimento con la cessione della partecipazione emessa a fronte del conferimento, può essere considerata un “bene” di secondo grado dotato di un quid pluris rispetto al mero ramo d’azienda conferito, rappresentato – in sintesi – dalla personalità giuridica e dall’organizzazione societaria, entrambe tutelate e disciplinate dall’ordinamento giuridico.

Un’ulteriore considerazione merita il fatto che la tesi erariale appare applicata in maniera acritica per riqualificare tutti quegli assetti negoziali composti da (i) conferimento di ramo d’azienda e (ii) vendita della partecipazione emessa a fronte del conferimento. Questo approccio appare criticabile, in quanto porta a non considerare i vari elementi che possono differenziare l’operazione dalla mera vendita del ramo d’azienda e che, quindi, dovrebbero precludere la riqualificazione dell’assetto giuridico ai fini dell’imposta di registro (14).

Si pensi ad esempio al caso in cui i predetti contratti siano stipulati nell’ambito di operazioni di riorganizzazione societaria relative ad attività d’impresa regolamentate, quali, ad esempio, quelle nel settore bancario, finanziario o assicurativo. In questo caso, oltre alle suesposte osservazioni, occorrerebbe valutare altresì che tali attività sono soggette a norme specifiche, che in concreto rendono non equivalente l’acquisizione di un ramo d’azienda, relativo ad un’attività d’impresa regolamentata, rispetto all’acquisizione di una partecipazione in una società di capitali regolamentata (15).

Giova inoltre porre in evidenza che, nei casi simili a quello della sentenza in rassegna, le quote (o azioni) emesse a fronte del conferimento sono cedute ad un soggetto diverso dalla conferitaria e dai suoi soci; di conseguenza, l’atto di cessione della partecipazione determina il trasferimento del controllo della società conferitaria, ma non si pone in contrasto con gli obiettivi giuridici dell’atto di conferimento, la cui funzione è costituire una partecipazione al capitale sociale della società.

In tale prospettiva assume rilevanza il fatto che, a seguito dell’operazione, il soggetto che ha acquisito la partecipazione conserva stabilmente tale partecipazione e, quindi, conserva il rapporto sociale derivante dal conferimento del ramo d’azienda, il che dovrebbe confermare ulteriormente la differenza tra questa situazione e quella derivante dalla mera compravendita del ramo d’azienda.

                

                  Dott. Giuseppe Andrea Giannantonio – Dott. Gabriele Paladini

(1) L’imposta proporzionale potrebbe essere applicata con aliquota del 7% in caso di ramo d’azienda che include beni immobili. Come è noto, in base all’art. 23, primo comma, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, se una disposizione ha per oggetto più beni o diritti per i quali sono previste aliquote diverse, si applica l’aliquota più elevata, salvo che per i singoli beni o diritti siano stati pattuiti corrispettivi distinti. L’imposta in misura fissa per il conferimento di ramo d’azienda è prevista dall’art. 4, lett. a), n. 3), della tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986. Dal 1° gennaio 2014 la misura fissa dell’imposta di registro è passata da € 168 a € 200, in virtù dell’art. 26, secondo comma, del D.L. 12 settembre 2013, n. 104 (convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2013, n. 128).

(2) Come è noto, la tesi della c.d. causa reale, seguita dall’Agenzia delle entrate, sembra trovare riscontro in un certo orientamento della Corte di Cassazione, seppur relativo a operazioni differenti: cfr. Cass., sez. trib., 23 novembre 2001, n. 14900, in Boll. Trib., 2002, 798; Cass., sez. trib., 25 febbraio 2002, n. 2713; Cass., sez. trib., 7 luglio 2003, n. 10660; Cass., sez. trib., 4 maggio 2007, n. 10273; Cass., sez. trib., 26 novembre 2007, n. 24552; e Cass., sez. trib., 5 giugno 2013, n. 14150, tutte in Boll. Trib. On-line; questo orientamento è criticato in dottrina ex pluribus da G. Zizzo, Imposta di registro e atti collegati, in Rass. trib., 2013, 874 ss. Per contro, la tesi secondo cui l’imposta di registro si applica sugli effetti civilistici dei singoli atti soggetti a registrazione trova riscontro nell’orientamento più recente della giurisprudenza tributaria di merito, nonché nella dottrina unanime.

(3) Al riguardo, in dottrina cfr. G. Marongiu, L’elusione nell’imposta di registro tra l’abuso del “diritto” e l’abuso del potere, in Dir. prat. trib., 2008, I, 1079 ss.; G. Corasaniti, L’interpretazione degli atti e l’elusione fiscale nel sistema dell’imposta di registro, ivi, 2012, I, 970 ss.; G. Marongiu, L’abuso del diritto nella legge di registro tra principi veri e principi asseriti, ivi, 2013, I, 361 ss. Sul punto sia consentito rinviare a G.A. Giannantonio – G. Paladini, Conferimento di ramo d’azienda e cessione della partecipazione sociale emessa a fronte del conferimento: appunti sulla riqualificazione come vendita di ramo d’azienda ai fini dell’imposta di registro, in Boll. Trib., 2013, 304 ss.

(4) Nella sentenza si menziona il fatto che nell’avviso di liquidazione l’Agenzia delle entrate fa riferimento allo studio combinato degli atti.

(5) In tal senso cfr. Comm. trib. prov. di Milano, sez. III, 22 maggio 2012, n. 143; e Comm. trib. prov. di Milano, sez. III, 13 dicembre 2012, n. 316; entrambe in Boll. Trib. On-line.

(6) Nel caso di specie, così come avviene ordinariamente, la vendita delle azioni è stata stipulata con un soggetto terzo rispetto all’atto di conferimento.

(7) Così V. Uckmar – R. Dominici, Registro (imposta di), in Dig. disc. priv., sez. comm., XII, Torino, 2003, 261.

(8) Cfr. amplius G. Zizzo, Imposta di registro e atti collegati, cit., 876 e 877.

(9) Dalla lettura della sentenza, tuttavia, non è possibile capire il ruolo giocato dall’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio finanziario nell’inquadramento dell’oggetto della controversia.

(10) Analoga disposizione è prevista per la società per azioni dall’art. 2325 c.c.

(11) Tale riferimento evoca la libertà di iniziativa economica privata garantita dall’art. 41 Cost.: il profilo è posto in evidenza da Comm. trib. reg. di Milano, sez. XXXV, 30 aprile 2013, n. 60, in Boll Trib. On-line (peraltro, tale sentenza ammette un’interpretazione dell’art. 20 che non si condivide, ossia quella secondo cui l’imposta di registro si applica sull’effetto giuridico complessivo di una pluralità di atti).

(12) In senso conforme alla decisione in rassegna cfr. Comm. trib. reg. di Milano, sez. VI, 27 aprile 2012, n. 101; e Comm. trib. prov. di Milano, sez. I, 13 settembre 2013, n. 286; entrambe in Boll. Trib. On-line. Sull’impossibilità di assimilare la cessione del 100% delle quote di una società a responsabilità limitata ad una vendita dell’azienda si veda amplius Studio del Notariato, n. 170-2011/T, Sulla riqualificabilità come cessione di azienda della cessione dell’intero capitale di una s.r.l., approvato dalla Commissione Studi tributari il 1° marzo 2012.

(13) Queste considerazioni sono state poste in evidenza anche da Comm. trib. prov. di Milano n. 286/2013, cit.

(14) Fermo restando che, giova ribadirlo, deve ritenersi infondata l’interpretazione del citato art. 20 su cui si basa la riqualificazione operata dall’Agenzia delle entrate.

(15) Il riferimento è, ad esempio, all’attività bancaria e all’attività di gestione collettiva del risparmio, sottoposte a specifica autorizzazione, tale per cui esse devono essere svolte attraverso un’entità giuridica appositamente autorizzata. Fatto che, a ben vedere, differenzia ulteriormente la vendita di un mero ramo d’azienda relativo a tali attività dall’acquisizione del controllo di una società di capitali autorizzata all’esercizio di tali attività ed opportunamente organizzata.

Imposta di registro – Accertamento – Avviso di rettifica – Conferimento di un ramo di azienda in una società e successiva cessione della partecipazione totalitaria acquisita – presunta applicazione del principio dell’abuso del diritto – Insussistenza dell’elusione – Assimilabilità alla cessione diretta di azienda – Non si configura – Illegittimità dell’accertamento – Consegue.

L’operazione di conferimento di un ramo di azienda e la successiva operazione di cessione della partecipazione totalitaria consentono in qualsiasi momento di tenere distinti i componenti patrimoniali conferiti da quelli della società che ha acquistato le quote e, soprattutto, le responsabilità specifiche connesse alla gestione del ramo di azienda, mentre l’acquisto diretto del ramo d’azienda comporta la immediata iscrizione dell’intero patrimonio tra le attività e le passività dell’azienda acquirente, con conseguente sostanziale confusione dei relativi diritti e obbligazioni, di talché l’Ufficio finanziario, agli effetti di una pretesa applicazione proporzionale dell’imposta di registro alle suddette operazioni, non può riqualificare la prima operazione testé descritta assimilandola alla seconda, riqualificando in cessione d’azienda l’operazione di conferimento del ramo d’azienda con la successiva cessione della partecipazione societaria acquisita.

[Commissione trib. provinciale di Milano, sez. I (Pres. Donno, rel. Pilello), 3 gennaio 2013, sent. n. 1, ric. Casals s.r.l. in liquidazione e altri c. Agenzia delle entrate – Direzione provinciale II di Milano]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO MOTIVI DELLA DECISIONE – La società Casals S.r.l., società unipersonale in liquidazione, rappresentata e difesa come in atti, chiede l’annullamento dell’avviso di accertamento sopra menzionato con il quale viene reclamata l’imposta di registro, comprensiva di interessi, di Euro 8.497,01.

L’atto impugnato è la risultante della riqualificazione operata dall’Agenzia delle entrate ai fini dell’imposta di registro in cessione di azienda di una operazione di conferimento di ramo di azienda con successiva cessione della partecipazione societaria acquisita.

Parte ricorrente così riassume i fatti:

1. il 27 novembre 2008 veniva costituita la società Casals S.r.l. Il capitale sociale iniziale di Euro 50.000,00, viene interamente sottoscritto dal socio unico Pozzo S.p.A. che libera il capitale sottoscritto mediante conferimento di ramo di azienda denominato “Elettroutensili”, di fatto costituente la rete vendita e di organizzazione per la commercializzazione di elettroutensili;

2. compongono il ramo di azienda beni, personale, attività e passività a detto ramo afferenti;

3. in data 16 dicembre 2008 la società Pozzo S.p.A. cede l’intera partecipazione acquisita alla società Freud S.p.A. per il prezzo di Euro 275.000,00;

4. l’Agenzia delle entrate ha riqualificato l’operazione di conferimento e la successiva cessione della partecipazione come un’unica operazione di cessione di azienda, applicando l’imposta di registro in misura proporzionale, anziché in misura fissa;

5. nel corpo della motivazione l’Agenzia delle entrate fa riferimento allo studio combinato degli atti, al breve intervallo temporale intercorso nonché all’imposizione indiretta effettivamente assolta; elementi tutti che hanno indotto l’Ufficio a considerare la natura degli atti stessi come momenti di un’unica operazione di cessione di ramo di azienda, e quindi assoggetta a tassazione nella misura proporzionale in applicazione dell’art. 20 del D.P.R. 131 del 1986.

Preliminarmente parte ricorrente eccepisce la inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 20 del D.P.R. 131 del 1986 per poi osservare che l’operazione, per come riqualificata dall’Ufficio, e quelle poste in essere dalla ricorrente producono effetti diversi sul piano giuridico; nel mentre queste ultime sono supportate da valide ragioni economiche che portano a concludere con la richiesta di annullamento dell’atto impugnato.

Si costituisce in giudizio l’Agenzia delle entrate – DP II – per osservare che l’art. 20 del D.P.R. 131 del 1986 è stato legittimamente invocato nel caso di specie in quanto la surrichiamata norma consente di dare preminenza al dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, piuttosto che al dato formale enunciato frazionatamente negli atti presentati alla registrazione. Invoca a sostegno del proprio operato pronunciamenti della Corte di Cassazione (sentenza n. 10.660 del 7 luglio 2003) secondo la quale “nella imposizione di un negozio deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralità dì pattuizioni non contestuali, sicché nessun valore preminente può essere attribuito alla diversità di oggetto di causa relativa a due contratti, per negare il loro collegamento e consentire un intento elusivo di una fattispecie tributaria”. In sostanza per l’Ufficio accertatore lo scopo normativo dell’art. 20 è quello di liberare, in sede di tassazione, l’Amministrazione finanziaria dalla qualificazione apparente che le parti hanno attribuito all’atto, consentendogli di individuare l’effettiva volontà negoziale dei contraenti.

L’Ufficio si preoccupa poi di precisare il diverso ruolo dell’art. 37-bis del D.P.R. 600 del 1973 e quindi la infondatezza delle eccezioni di parte ricorrente in termini procedurali. E replica anche in relazione ai diversi effetti giuridici nell’ottica del rischio d’impresa, ovvero dell’eccepita utilità di mantenere separati i patrimoni aziendali, per concludere chiedendo il rigetto del ricorso.

All’udienza di trattazione i procuratori delle parti ribadiscono quanto già esposto negli atti sopra brevemente menzionati e rinnovano la richiesta di trattazione congiunta dei tre ricorsi. Questa Commissione ritiene che i ricorsi riuniti siano fondati e per questo vadano accolti.

Va preliminarmente precisato che la disputa tra le parti non è incentrata, come sembrerebbe di capire dal contenuto dell’atto di costituzione in giudizio da parte dell’Agenzia delle entrate, sulla portata dell’art. 20 del D.P.R. 131 del 1986 e sui conseguenti poteri di riqualificazione in capo all’Ufficio, bensì sulla non comparabilità, ai fini sostanziali prima ancora che giuridici, degli atti posti in essere dalle parti con quello risultante dalla riqualificazione pretesa dall’Ufficio. È di tutta evidenza che l’operazione per come progettata dai ricorrenti, ovvero conferimento di azienda e successiva cessione della partecipazione totalitaria, consente in qualsiasi momento di tenere distinti i componenti patrimoniali conferiti da quelli della società beneficiaria e quindi le responsabilità specifiche connesse alla gestione del ramo di azienda. Diversamente, l’acquisto diretto del ramo d’azienda comporterebbe la immediata iscrizione dell’intero patrimonio tra le attività e le passività dell’azienda acquirente. Da ciò conseguirebbe una sostanziale confusione dei diritti e delle obbligazioni.

Non vi è dubbio che il mantenere isolato un patrimonio aziendale di cui ancora non si conoscono per intero gli effettivi contenuti significa ridurre il rischio gestionale dell’operazione limitando i rischi e le responsabilità verso i terzi. Non v’è chi non veda la diversità degli effetti giuridici ed economici e quindi la libertà dell’imprenditore di scegliere il modello contrattuale più corrispondente alle sue esigenze. Ma anche, volendo per un momento soffermarsi sulle problematiche di cui all’art. 37-bis D.P.R. 600 del 1973 (che invero l’Ufficio esclude), proprio in questa diversità può essere trovata la valida ragione economica per condividere le scelte di parte ricorrente.

Il ricorso va pertanto accolto nel merito, disponendo nel contempo la compensazione delle spese di giudizio, attesa la complessità della norma in applicazione.

P.Q.M. – La Commissione accoglie i ricorsi riuniti. Spese compensate.

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