25 Settembre, 2014

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa: questioni di costituzionalità e ricognizione normativa – 2. Deducibilità dei costi: nuovi limiti dal 2013 – 3. Difficile ricorso all’interpello disapplicativo nell’ipotesi di cui all’art. 164 del TUIR – 4. Riflessioni conclusive.

 

 

1. Premessa: questioni di costituzionalità e ricognizione normativa

Doverosa premessa della questione relativa alle nuove misure di deduzione dei cc.dd. costi auto aziendali – e alla dubbia applicabilità dell’interpello disapplicativo – è la sacrosanta constatazione che il nucleo della giustizia tributaria è rappresentato dal principio di uguaglianza, ovvero dell’equa perequazione tributaria che dovrebbe essere garantita, in uno Stato di diritto democratico, appunto dal legislatore tributario. E, in effetti, «se i gravami imposti dalla società ai suoi membri vengono ripartiti disegualmente, non ne risente soltanto la parte colpita troppo pesantemente, ma tutta la società perché il baricentro è spostato e l’equilibrio turbato. Conseguenza naturale di tutto ciò è la lotta sociale al fine di ristabilire l’equilibrio e, talora, una messa in pericolo ed un turbamento pericolosissimi dell’ordinamento sociale vigente» (1).

Il principio di capacità contributiva, dunque, rappresenta lo strumento costituzionale per la realizzazione della giusta perequazione tributaria e il parametro dell’imposizione, indice insostituibile di quanto un tributo debba e possa gravare sul soggetto passivo, «il principio di capacità contributiva … risponde all’esigenza di garantire che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice in indici concretamente rilevatori di ricchezza, dai quali sia razionalmente deducibile l’idoneità soggettiva all’obbligazione d’imposta» (2). Già in sede Costituente nel Rapporto della Commissione Economica si affermò il principio del concorso in ragione della capacità contributiva; «con tale regola (come illustrava chiaramente Vanoni nel Rapporto) si abbandona la ricostruzione del tributo quale corrispettivo del godimento di pubblici servizi, giustificandolo invece con la necessità del concorso di tutti all’esistenza stessa dello Stato in quanto collettività organizzata» (3). E, segnatamente, Vanoni, nel Rapporto della Commissione Economica, osservava che la capacità contributiva «non è una qualità obiettiva ed immutabile del soggetto, ma è il risultato di una valutazione, di un giudizio fatto dagli organi a ciò qualificati (il legislatore), intorno alla posizione del soggetto ed alla sua idoneità a concorrere ai carichi pubblici» (4).

Nel tempo, l’evoluzione della nozione ha comportato il passaggio da un concetto più rigoroso, ad uno più “elastico” riconducendo il principio de quo a qualsiasi fatto economico che, in quanto tale, può diventare indice di capacità contributiva; si è, cioè, ampliato a dismisura il novero dei fatti economici espressivi di capacità contributiva (5). La Corte Costituzionale, per esempio, si è dimostrata favorevole all’imposizione basata sulle rendite catastali, posto che la capacità contributiva non è rilevata solo dal reddito, ma anche dall’attitudine di un bene a produrlo (6), «secondo questa concezione, sono conformi al principio di capacità contributiva le imposte collegate all’uso di un documento, al compimento di un atto giuridico, a fatti, cioè, di per sé non direttamente espressivi di capacità economica. Né si richiede che il presupposto del tributo sia posto in essere dal soggetto obbligato; ad esempio, è parsa legittima la norma che poneva l’imposta selle successioni a carico di tutti gli eredi, per cui ogni erede era obbligato anche per la quota che spettava ad altri» (7).

Se, dunque, la dottrina (8) aveva collegato la capacità contributiva al fatto generatore d’imposta non abbiamo dubbi ad affermare che attualmente il concetto di “fatto generatore” stia de-generando nel senso che se la capacità contributiva presuppone come requisito necessario ed essenziale la capacità economica, i due concetti non coincidono l’uno con l’altro poiché non tutte le manifestazioni di capacità economica costituiscono manifestazioni di capacità contributiva.

L’espressione “capacità economica” è, in definitiva, ancora più vaga di quella di “capacità contributiva”, cosicché è discutibile una identificazione di questi due concetti (9).

I tributi dovrebbero essere sempre correlati a manifestazioni di ricchezza e capacità economica e, quindi, la discrezionalità del legislatore ordinario nella scelta dei fatti da sottoporre a tassazione trova, così, un limite invalicabile. Di conseguenza, non possono ritenersi costituzionalmente ammissibili tributi non correlati a dirette manifestazioni di ricchezza del contribuente, cioè a capacità economica soggettiva.

A parità di indice di forza economica si possono, tuttavia, applicare regimi fiscali differenti a seconda dei parametri stabiliti dal legislatore per ciascun tributo e a seconda dei fini sociali che si vogliono perseguire.

[-protetto-]

Il legislatore sarebbe, comunque, tenuto a garantire e ad assicurare ad ognuno l’uguaglianza di trattamento a parità di condizioni soggettive, oggettivamente valutate, e alle quali devono corrispondere specifiche norme che fanno rientrare quel determinato caso in una determinata fattispecie. E, pertanto, dal collegamento dell’art. 53 Cost. con l’art. 3 Cost., scaturisce il principio di eguaglianza tributaria in base al quale «a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario disuguale» (10), così il principio di capacità contributiva integra quello di uguaglianza (11) e parità di trattamento.

I principi di capacità contributiva, di esenzione del minimo vitale e di uguaglianza tributaria richiamano il delicato problema sulla legittimità (e sui limiti) delle varie forme di agevolazione e di esenzione che precise norme introducono a favore di pochi.

Anche per il principio di uguaglianza fiscale, come accade per gli atri principi, si tratta «soprattutto di una questione di limiti entro i quali, e non oltre i quali, può legittimarsi il concorso a misure d’eccezione» (12).

Sarà quindi una scelta discrezionale del legislatore considerare il caso specifico purché esso dimostri, nel suo legiferare, coerenza interna in rapporto ai principi costituzionali e statutari, e non valutazioni contraddittorie ad essi.

Orbene, detto ciò, intendiamo soffermare la nostra attenzione sul trattamento tributario relativo alla fase di utilizzo – e non di acquisizione – dell’auto, da parte di imprese e professionisti, che risulta essere abbastanza articolato e complesso, sulla base di svariate motivazioni e alla luce delle recenti modifiche normative.

A tale scopo, rammentiamo che il settore automobilistico è uno dei comparti strategici dell’economia italiana (13), sebbene la fiscalità sulle autovetture sia nel corso degli ultimi anni aumentata a dismisura, contribuendo ad acuire la crisi economica, in generale, e del settore, in particolare (14). Intendiamo riferirci non solo ai tributi riconducibili alle autovetture, e al significativo aumento delle tariffe, ma anche al trattamento redditometrico dell’auto e, nello specifico, alla drastica contrazione della deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi relativi alle vetture. Con particolare riferimento a questo aspetto l’art. 164 del TUIR contiene la disciplina dei limiti di deduzione delle spese (e degli altri componenti negativi) relativi a taluni mezzi di trasporto a motore, utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e professioni (15).

2. Deducibilità dei costi: nuovi limiti dal 2013

La disciplina poc’anzi accennata, relativa all’entità della deduzione dei costi auto aziendali, è stata modificata in un primo momento dall’art. 4, comma 72, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. legge Fornero), che ha ridotto dal 40 al 27,5 per cento la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi relativi ai veicoli a motore indicati nell’art. 164, primo comma, lett. b), del TUIR, e dal 90 al 70 per cento la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi relativi ai veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d’imposta.

In seguito, nella tematica de qua, è intervenuta altresì la legge di stabilità per il 2013 del 24 dicembre 2012, n. 228, che all’art. 1, comma 501, ha ridotto ulteriormente dal 27,5 al 20 per cento la percentuale deducibile dal reddito d’impresa e di lavoro autonomo delle spese e degli altri componenti negativi relativi alle autovetture, agli autocaravan, ai ciclomotori e ai motocicli impiegati nell’esercizio di imprese, arti e professioni (16), fermo restando l’importo massimo relativo al costo di acquisizione dei predetti mezzi.

Il trattamento tributario che il legislatore riserva alle autovetture utilizzate dalle imprese prevede un’ulteriore falcidia della deducibilità dei costi, in quanto fissa un tetto massimo rispetto al riconoscimento del costo fiscale del mezzo e, quindi, delle spese ad esso collegate. In particolare, in merito a queste ultime, l’art. 164 del TUIR, al terzo comma, prevede che, ai fini della determinazione del limite massimo di deducibilità delle spese, si faccia riferimento al costo ammesso in deduzione.

Di conseguenza, il tetto massimo di deducibilità relativo ai costi connessi alla riparazione e manutenzione delle auto è rispettivamente pari a:

3.615,98 euro per la generalità dei contribuenti (17);

20.658,27 per gli agenti e rappresentanti di commercio (18).

I tetti massimi di spesa fiscalmente riconosciuti non si applicano nel caso di veicoli concessi in uso promiscuo ai dipendenti, ai quali è riservato un trattamento fiscale differente.

È evidente come, a seguito del continuo decremento della quota di rilevanza fiscale dei costi (20 per cento dal 2013), la misura a forfait di inerenza dei costi auto, disciplinata dal suddetto art. 164 del TUIR, sia diventata assolutamente inadeguata rispetto alle situazioni concrete, in quanto è davvero improbabile che un’auto d’impresa possa essere utilizzata per finalità estranee per ben l’80 per cento. Oltretutto, andando a considerare che il legislatore impone un ulteriore tetto massimo rispetto al riconoscimento fiscale del mezzo, risulta ancora più evidente come il sistema sia eccessivamente penalizzante, considerando che le auto sono tra i beni d’impresa effettivamente più diffusi.

3. Difficile ricorso all’interpello disapplicativo nell’ipotesi di cui all’art. 164 del TUIR

L’interpello correttivo o disapplicativo (19), disciplinato dall’art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introduce una norma antielusiva di carattere generale, consentendo l’ingresso nel nostro ordinamento di un ulteriore tipologia di interpello, rafforzando un principio di grande civiltà giuridica e di pari opportunità tra il fisco e i contribuenti.

In forza di tale disposizione, il direttore regionale dell’Agenzia delle entrate ha il potere di disapplicare, su istanza del contribuente, disposizioni di carattere tributario che limitano, a scopo antielusivo, deduzioni, detrazioni e crediti d’imposta, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi qualora il contribuente dimostri che non potevano verificarsi.

Dalla lettura della relazione di accompagnamento all’art. 37-bis, si evince la ratio dell’istanza per la disapplicazione, la quale nasce dal fatto che «se le norme possono essere disapplicate quando il contribuente le manipola per ottenere vantaggi indebiti, occorre che lo siano anche quando l’obiettivo condurrebbe a penalizzazioni altrettanto indebite». Si tratta, pertanto, di un principio che potremmo definire di pari opportunità volto ad eliminare possibili ed indebite penalizzazioni che consente l’interpello della Direzione regionale dell’Agenzia delle entrate nelle seguenti ipotesi:

1) indeducibilità, ovvero il differimento della deducibilità di taluni componenti negativi di redditi;

2) mancato riconoscimento di talune detrazioni e mancata concessione di crediti d’imposta;

3) mancato riconoscimento di “posizioni soggettive” ordinariamente ammesse.

In definitiva, il contribuente «chiede di essere dispensato, di essere sottratto al campo di applicazione di una disposizione che dovrebbe necessariamente essere applicata al suo caso: e per ottenere risposta favorevole, dimostra che se fosse applicata al suo caso la norma produrrebbe effetti iniqui e di sostanziale violazione delle regole tributarie, poiché verrebbe applicata, pur avendo esclusiva prevenzione di abuso, ad un’ipotesi nella quale ogni abuso sarebbe da escludere» (20). Orbene, ci sembra del tutto evidente come «per ottenere il beneficio della licenza di disapplicazione della legge limitatamente alla propria persona il contribuente deve offrire all’Amministrazione finanziaria una prova quanto mai ardua e precisamente deve dimostrare che le ragioni empiriche che indussero il legislatore ad ostacolare, limitare, negare la fruizione di una delle suelencate posizioni soggettive, non sussistono affatto nella particolare fattispecie che lo concerne» (21).

Nonostante i tentativi del legislatore nel volere contrastare eventuali forme di abuso, l’Amministrazione finanziaria interviene indiscriminatamente con la risoluzione 27 luglio 2007, n. 190/E (22), con specifico riferimento alla richiesta di un contribuente di disapplicare il primo comma, lett. b), dell’art. 164 del TUIR, esprimendosi in senso negativo. L’Amministrazione asserisce che la ratio su cui si fonda la previsione di deducibilità non era antielusiva, bensì antievasiva, volta cioè ad evitare un utilizzo privatistico del bene auto e, ancora, chiarisce – dal suo punto di vista – che la disposizione di cui all’art. 164 del Tuir «assume la funzione di norma di sistema e non di norma antielusiva specifica».

In altri termini, a nulla contano le eventuali ed “ardue” prove fornite dal contribuente volte alla disapplicazione di una così restrittiva limitazione alla deducibilità e finalizzate a chiarire l’effettivo utilizzo del bene perché viene preclusa aprioristicamente la possibilità per il contribuente di fornire la prova contraria.

In seguito, ma sempre nella medesima direzione, l’Agenzia delle entrate, con successiva risoluzione 22 agosto 2007, n. 231/E (23), conferma, quanto ai limiti di deducibilità dei costi relativi alle autovetture, che la norma de qua non è suscettibile di essere disapplicata in quanto la stessa «assume la funzione di norma di sistema e non di norma antielusiva, diretta a forfettizzare il requisito dell’inerenza relativamente ai costi connessi all’acquisto ed alla gestione di detti beni».

Orbene, detto ciò, ci sia consentito esprimere le nostre perplessità quanto alla natura sistematica di una disposizione che assume, a nostro avviso, una chiara connotazione antielusiva, e anche l’irragionevolezza dell’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria che impedisce la deduzione integrale di un costo con una presunzione assoluta, senza ammettere neanche la prova contraria.

4. Riflessioni conclusive

Alla luce di quanto si è fin qui affermato appare evidente come le recenti modifiche normative sulla limitata deducibilità dei costi auto aziendali siano «volte a reperire maggiori entrate, destinate a confluire nella copertura degli oneri della legge» (24) e, quindi, dettate esclusivamente da evidenti esigenze di cassa a scapito dei principi costituzionali sopra ricordati.

Appare, ancora, altrettanto non condivisibile l’inapplicabilità dell’interpello disapplicativo all’art. 164 del TUIR, così come modificato dalla legge Fornero (legge n. 92/2012) e dalla legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012), in quanto detta norma assumerebbe la funzione di norma di “sistema” e non “antielusiva”, diretta alla forfetizzazione (indiscriminata) nella deduzione dei costi.

Non pochi dubbi insorgono, infatti, sulla quantomai sbrigativa definizione di norma di “sistema” attribuita alla disposizione in commento, tenuto conto che l’evoluzione delle tecnica legislativa tributaria ci sembra ormai stabilmente orientata verso un legiferare casistico e asistematico (e sovente incoerente) generando a contrario una eterna incompiutezza del “sistema”.

Prof. Maria Vittoria Serranò

Università di Messina

 

 

(1) Von Jhering, Der Zueck in Recht (lo scopo nel diritto), 1877, traduzione di Losano, Torino, 1972, 265.

(2) Manzoni-Vanz, Il diritto tributario. Profili teorici e sistematici, Torino, 2007, 37.

(3) Cfr. Fantozzi, Corso di diritto tributario, Torino, 2009, 20.

(4) Così Vanoni, Rapporto della Commissione economica alla Costituente, Ministero per la Costituzione, Istituto poligrafico dello Stato, Roma, 1946, 13.

(5) Cfr. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Torino, I, 2010, 70.

(6) Corte Cost. 5 febbraio 1996, n. 21, in Boll. Trib., 1996, 567.

(7) Cfr. Tesauro, op. cit., 71.

(8) Cfr. Ferlazzo Natoli, Fattispecie tributaria e capacità contributiva, Milano, 1979; e ID., Il fatto rilevante in diritto tributario, Messina, 1994.

(9) Si veda Ferlazzo Natoli, Corso di diritto tributario, Milano, 1999, 17 ss., il quale afferma, infatti, che «un soggetto potrebbe essere capace economicamente (nel senso di essere in possesso di un reddito o di un patrimonio), ma non avere alcuna capacità contributiva, permettendo un tale reddito e/o un tale patrimonio soltanto un minimo vitale, come tale intassabile».

(10) Corte Cost. 6 luglio 1972, n. 120, in Boll. Trib., 1972, 1452.

(11) Corte Cost. 26 gennaio 1957, n. 3, in Foro it., 1957, I, 206; «questo principio non va inteso nel senso, che il legislatore non possa dettare norme diverse per regolare situazioni che esso ritiene diverse, adeguando così la disciplina giuridica agli svariati aspetti della vita sociale. Ma lo stesso principio deve assicurare ad ognuno eguaglianza di trattamento, quando eguali siano le condizioni soggettive ed oggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono per la loro applicazione. La valutazione della rilevanza delle diversità di situazioni in cui si trovano i soggetti dei rapporti da regolare non può non essere riservata alla discrezionalità del legislatore salva l’osservanza dei limiti stabiliti nel primo comma del citato art. 3».

(12) Manzoni-Vanz, Il diritto tributario. Profili teorici e sistematici, cit., 52.

(13) I volumi d’affari generati da tale settore incidono per circa 12 punti percentuali sul PIL, contribuendo all’intero gettito tributario nella misura del 17%, senza tener conto che esso offre lavoro a circa un milione e duecentomila addetti (fonti Anfia e Federato 2012).

(14) La contrazione dei volumi di vendita complessivi, nel corso del 2013, si è attestata intorno al 7% (fonte Anfia).

(15) Ci limitiamo a ricordare, a tal fine, che nel corso del 2012 la fiscalità delle auto in capo alle imprese e ai lavoratori autonomi ha subito una serie di importanti interventi modificativi dei quali daremo traccia in seguito.

(16) La nuova formulazione dell’art. 164 del TUIR rubricato «Limiti di deduzione delle spese e degli altri componenti negativi relativi a taluni mezzi di trasporto a motore, utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e professioni», così dispone: «1. Le spese e gli altri componenti negativi relativi ai mezzi di trasporto a motore indicati nel presente articolo, utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e professioni, ai fini della determinazione dei relativi redditi sono deducibili solo se rientranti in una delle fattispecie previste nelle successive lettere a), b) e b-bis): a) per l’intero ammontare relativamente: 1) agli aeromobili da turismo, alle navi e imbarcazioni da diporto, alle autovetture ed autocaravan, di cui alle lettere a) e m) del comma 1 dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, ai ciclomotori e motocicli destinati ad essere utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa; 2) ai veicoli adibiti ad uso pubblico; b) nella misura del 20 per cento relativamente alle autovetture e autocaravan, di cui alle citate lettere dell’articolo 54 del citato decreto legislativo n. 285 del 1992, ai ciclomotori e motocicli il cui utilizzo è diverso da quello indicato alla lettera a), numero 1). Tale percentuale è elevata all’80 per cento per i veicoli utilizzati dai soggetti esercenti attività di agenzia o di rappresentanza di commercio. Nel caso di esercizio di arti e professioni in forma individuale, la deducibilità è ammessa, nella suddetta misura del 20 per cento, limitatamente ad un solo veicolo; se l’attività è svolta da società semplici e da associazioni di cui all’articolo 5, la deducibilità è consentita soltanto per un veicolo per ogni socio o associato. Non si tiene conto: della parte del costo di acquisizione che eccede lire 35 milioni per le autovetture e gli autocaravan, lire 8 milioni per i motocicli, lire 4 milioni per i ciclomotori; dell’ammontare dei canoni proporzionalmente corrispondente al costo di detti veicoli che eccede i limiti indicati, se i beni medesimi sono utilizzati in locazione finanziaria; dell’ammontare dei costi di locazione e di noleggio che eccede lire 7 milioni per le autovetture e gli autocaravan, lire 1,5 milioni per i motocicli, lire ottocentomila per i ciclomotori. Nel caso di esercizio delle predette attività svolte da società semplici e associazioni di cui al citato articolo 5, i suddetti limiti sono riferiti a ciascun socio o associato. I limiti predetti, che con riferimento al valore dei contratti di locazione anche finanziaria o di noleggio vanno ragguagliati ad anno, possono essere variati, tenendo anche conto delle variazioni dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati verificatesi nell’anno precedente, con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato. Il predetto limite di 35 milioni di lire per le autovetture è elevato a 50 milioni di lire per gli autoveicoli utilizzati da agenti o rappresentanti di commercio; b-bis) nella misura del 70 per cento per i veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d’imposta. 2. Ai fini della determinazione del reddito d’impresa, le plusvalenze e le minusvalenze patrimoniali rilevano nella stessa proporzione esistente tra l’ammontare dell’ammortamento fiscalmente dedotto e quello complessivamente effettuato. 3. Ai fini della applicazione del comma 7 dell’articolo 67, il costo dei beni di cui al comma 1, lettera b), si assume nei limiti rilevanti ai fini della deduzione delle relative quote di ammortamento».

(17) Rammentiamo che il tetto massimo previsto per la quota relativa al costo di acquisizione del veicolo è un importo pari al 20 per cento di 18.075,99 euro per la generalità dei contribuenti.

(18) Quanto al tetto massimo, sempre relativo alla quota del costo di acquisizione del veicolo fiscalmente rilevante per gli agenti e rappresentanti di commercio, è pari all’80 per cento di 25.822,84 euro.

(19) Cfr. Pistolesi, Gli interpelli tributari, Milano, 2007, per un organico e completo approfondimento dell’ampio ventaglio di interpelli.

(20) Così Basilavecchia, L’impugnabilità dell’interpello disapplicativo, in www.treccani.it.

(21) Cfr. Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, Verona, 2012, 124 ss.

(22) In Boll. Trib., 2007, 1377.

(23) In Boll. Trib., 2007, 1456.

(24) Così si legge nel Dossier di documentazione in www.documenti.camera.it.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *