30 Ottobre, 2014

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Il fondamento della tassazione dei rifiuti urbani 3. Le tariffe della nuova tassa e la loro quantificazione.

 

1. Premessa

Con un’infelice e contorta formulazione, la legge di stabilità per il 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147) ha istituito, al comma 639 dell’ormai usuale chilometrico art. 1 di normative del genere, un’imposta unica comunale (IUC), che in realtà non è un’imposta autonoma, ma rappresenterebbe la sintesi di tre distinti tributi comunali (IMU, sugli immobili), TASI (sui servizi indivisibili resi dai Comuni) e TARI (tassa sui rifiuti solidi), tributi che non solo sono basati su elementi-base diversi, ma che non sono neppure tutti “imposte” in senso tecnico, essendo la TARI dichiaratamente una “tassa” e la TASI una forma impositiva mista, cautamente definita dallo stesso legislatore come “tributo”; l’unica “imposta” del gruppo rimarrebbe l’IMU.

Nessuno, invero, vi chiederà se avete pagato o se state pagando la IUC, perché non esiste se non come riunione artificiosa di tre distinti tributi e, inoltre, la formulazione legislativa prescelta appare anche erronea ed equivoca, poiché l’IUC non è “unica”, ma si affiancherà a un’imposta comunale secondaria e alla confermata imposta di scopo (ved. commi 664 e 706 dell’art. 1 in esame), oltre alla eventuale tassa di soggiorno …

Insomma, le premesse non sono le migliori per tentare un primo parziale approfondimento del rinnovato ordinamento dei tributi comunali, anche limitandolo alla sola tassa sui rifiuti (TARI), in vigore sulla carta dal 1° gennaio 2014, ma ancora tutta in fase di disciplina applicativa sia a livello statale che da parte dei singoli Comuni impositori.

Già, perché anche la decorrenza iniziale della TARI (e della TASI) è incerta; testimoniano questa incertezza due circostanze, anzi, due omissioni: un altro comma della legge di stabilità in rassegna (il comma 704) dispone l’abrogazione totale dell’art. 14 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214); ebbene, questo articolo, dedicato alla istituzione della TARES (tributo comunale sui rifiuti e sui servizi) non soltanto stabiliva un unico tributo per rifiuti e servizi comunali, ma fissava anche esplicitamente la data della sua istituzione, specificando al comma 46 che, con la stessa decorrenza, venivano soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti; la legge di stabilità, invece, tace sia sulla decorrenza iniziale dell’IUC (e, quindi, anche della TARI) e tace egualmente sulla simultanea soppressione dei precedenti tributi e proventi sui rifiuti, lasciando campo libero all’interpretazione dell’istituzione dei nuovi tributi da parte della legge dello Stato non seguita contemporaneamente dalla loro applicazione a livello dei singoli Comuni, per assenza di fondamentali presupposti (misura delle tariffe e altri adempimenti di competenza statale e comunale), per cui è legittima la deduzione di una provvisoria sopravvivenza dei prelievi in applicazione al 31 dicembre 2013 fino al perfezionamento degli adempimenti necessari per l’applicazione della nuova tassa.

Il quadro della situazione è in sostanza ancora confuso e incerto; la già complessa e tormentata esistenza di una pletora di forme impositive, come la TARSU, vecchia e resistente tassa ancora in applicazione in oltre 6000 comuni, la TIA 1 e la TIA 2, nate rispettivamente con il decreto Ronchi del 1997 e con l’art. 238 del nuovo Codice sull’ambiente del 2006 (senza dire della TARES, nata morta nel dicembre del 2011), è destinata a rimanere ancora in vigore, specie presso i Comuni meno diligenti, creando così ulteriore confusione e facili equivoci.

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2. Il fondamento della tassazione dei rifiuti urbani

In attesa di questi eventi, consentiteci di tornare ancora una volta (1) sul presupposto-base dei prelievi sul servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani; una ipocrita, e per noi erronea, impostazione comunitaria di questo tema, è sintetizzata dal famoso principio: “chi inquina paga” (ved., da ultimo, la Direttiva del 2004/35/CE), che mal si attaglia al 99 per cento delle situazioni individuali in tema di rifiuti solidi urbani: come si è già rilevato, il progresso tecnologico, sociale e igienico impongono la necessità, per produttori di gran parte di beni e relativi intermediari, di offrire allo scambio prodotti confezionati per il trasporto, la conservazione e la vendita, per cui i consumatori finali sono costretti a liberarsi di involucri ed imballaggi nel modo imposto da leggi severe: conferendo queste “confezioni” ad un apposito servizio pubblico, insieme – siamo d’accordo – a scarti e residui di consumi, per il loro regolare e adeguato “smaltimento”. L’epoca della baguette infilata dal consumatore sotto le ascelle senza alcuna protezione cartacea è finito da tempo.

Quest’attività, tuttavia, non risponde esclusivamente all’esigenza dei cittadini consumatori di mantenere l’ordine e la pulizia dei locali e delle aree scoperte di propria competenza, ma assume anche rilevanza sotto il profilo del c.d. pubblico interesse, in quanto viene ad incidere in maniera notevole sull’ambiente e sulla sua salvaguardia; un pubblico interesse, in altri termini, teso alla tutela del decoro e dell’igiene del territorio amministrato. è vero che la nostra Carta costituzionale, pur definita la “più bella del mondo”, non contiene una sola parola sull’ambiente e la sua tutela, limitandosi a parlare, all’art. 9, del paesaggio (che è tutt’altra cosa) e rimediando all’omissione solo in sede di recente elencazione, all’art. 117, dei poteri legislativi fra Stato e Regioni, ma il tema è importante e concreto. In sostanza, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani non possono essere considerati un servizio di esclusivo interesse del detentore di locali ed aree scoperte, ma dovrebbe far carico istituzionale anche all’ente pubblico che è designato dall’ordinamento a tutelare l’ambiente.

Tutte queste nostre puntualizzazioni dovrebbero condurre a rivedere criticamente il problema del costo del servizio e della sua imputazione ed incidenza; attualmente, la spesa di tutte le complesse operazioni di raccolta e di smaltimento dei rifiuti fa totale carico sul cittadino utente, secondo la logica classica della tassa-corrispettivo di una prestazione resa nell’interesse del soggetto richiedente o utente. È questa una impostazione a nostro avviso non corretta e non rispondente alla situazione e al ruolo dei soggetti interessati allo svolgimento del servizio.

Almeno una quota dell’ingente costo di questa attività dovrebbe essere considerata fra le funzioni e i compiti istituzionali del Comune e trovare finanziamento nel bilancio dell’ente locale, analogamente a tante altre funzioni svolte a favore della comunità amministrata, comprese fra le spese di competenza pubblica.

Dovrebbe, insomma, valere uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione, quello, per vero, poco conosciuto ed enunciato, dell’art. 2, dell’adempimento, da parte dei cittadini, dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, in base alla quale essi sono tenuti a contribuire agli oneri di un servizio pubblico, ma non a farsene totale carico.

Oggi, con la contemporanea istituzione di un tributo sui servizi indivisibili del Comune (TASI), c’è spazio per spostare da un tributo ad un altro almeno il costo dello spazzamento delle strade e delle piazze pubbliche, aggregato e aggiunto alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti solo dal 1989 (D.L. 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144), quando, cioè, non esistevano alternative legislative per coprire diversamente la spesa di quella attività.

3. Le tariffe della nuova tassa e la loro quantificazione

La disciplina applicativa del nuovo tributo sui rifiuti non presenta – né ci sarebbe motivo per farlo – grosse differenziazioni rispetto a quanto già stabilito per i previgenti prelievi in materia; la sostanza delle procedure è collaudata ormai, nelle sue linee essenziali, da oltre ottanta anni di esperienza impositiva (2); sì, ci sono ritocchi e adeguamenti, giustificati in parte da nuove realtà (multiproprietà, centri commerciali, affitti stagionali di abitazioni, ecc.), in parte da situazioni particolari messe in evidenza dalla casistica giurisprudenziale o amministrativa in materia, come le occupazioni stagionali e saltuarie degli immobili, le abitazioni divenute troppo grandi per occupanti rimasti soli, le case dei lavoratori emigrati all’estero, e così di seguito.

È sempre il solito tributo basato su elementi presuntivi, ricavati da dati medi e standard sulla produzione di rifiuti nei vari tipi di locali e di attività; per questo, già dagli albori della forma impositiva in rassegna avevamo parlato di una natura mista del prelievo, un po’ tassa e un po’ imposta, perché, tra l’altro, è assolutamente indifferente e irrilevante che la produzione di rifiuti ci sia realmente o che il servizio pubblico se ne occupi e preoccupi … (3).

Oggettivamente, specie nei Comuni più grossi, non è ancora possibile fare diversamente: individuare, pesare e imputare le effettive quantità e qualità di rifiuti conferiti alla raccolta e allo smaltimento; lo fanno, da noi, pochi, piccoli e ingegnosi Comuni e con successo anche economico e la legge ne tiene conto (comma 652 della citata legge n. 147/2013), come una eccezione, uno spiraglio nel futuro, ancora lontano.

Il vero, nodale problema era e rimane comunque quello della misura della tassa e delle procedure per la sua quantificazione; anche su questo tema ci siamo espressi più volte (4), con particolare riferimento alla tariffa di igiene ambientale (TIA), ma la sostanza non è cambiata: il ritornello che si ripete regolarmente su questo argomento è quello della rapportazione dell’onere richiesto agli utenti non solo al tipo di attività esercitata nei locali occupati ma, soprattutto, al costo complessivo del servizio pubblico offerto dal Comune, comprensivo anche dei costi di investimento (comma 654 dell’art. 1 della legge di stabilità; art. 49 del D.L. n. 66/1989; art. 61 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ecc.). Manca – a nostro fermo avviso – un elemento essenziale per rendere la quantificazione delle tariffe della tassa in rassegna con il principio sancito dall’art. 23 Cost., principio che, per tutti i tributi locali, richiede la precisa indicazione legislativa dei connotati fondamentali del prelievo, rappresentati dalla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima dei singoli tributi (così l’art. 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e art. 3, comma 149, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).

Mentre, ora, la legge n. 147/2013 contiene precise ed esaustive indicazioni sia sulle fattispecie imponibili ed i soggetti passivi della TARI, il solo riferimento al dato del costo complessivo del servizio come “tetto” massimo per la quantificazione delle tariffe impositive non può assolutamente essere considerato conforme al dettato costituzionale; lo ha ribadito la Corte di Cassazione (5) rilevando che l’esigenza di coprire integralmente il costo del servizio della TARSU, stabilito – come si è già detto – dall’art. 61 del D.Lgs. n. 507/1993 è elemento estraneo alla misura del tributo, attenendo semplicemente alla regola di buona amministrazione, qual è quella del non-superamento dei limiti di bilancio richiesti per la copertura della spesa.

Su questo specifico e fondamentale aspetto, la legge (art. 1, comma 651, della citata legge n. 147/2013) si limita – come per la TIA – a rimettere ogni competenza in materia alle indicazione di un regolamento, il noto regolamento approvato con il D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158: «il Comune nella commisurazione della tariffa tiene conto dei criteri determinati con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158». Punto e basta.

Siamo a posto con quanto richiede il principio costituzionale di legalità sancito dall’art. 23?

Le tariffe applicative della tassa vengono individuate e calcolate sulla base di criteri fissati da un regolamento, che – a sua volta – fonda essenzialmente le proprie conclusioni sulle risultanze di un piano finanziario, predisposto senza adeguata pubblicità dal gestore del servizio e approvato dal competente Comune!

Quali garanzie, quali tutele ha il cittadino-utente del servizio sulla correttezza, congruità, rispondenza dei dati del piano finanziario rispetto alla misura della tariffa risultante a suo carico? Chi, poi, controlla – istituzionalmente e preventivamente – la regolarità e l’esattezza di tali dati e, soprattutto, delle loro fondamentali ricadute sull’entità dell’onere economico posto a carico dei singoli utenti? Chi verifica che gli investimenti indicati nel piano riguardino esclusivamente quel Comune e non servano anche ad altre gestioni?

Noi non abbiamo risposte a queste domande, pur rendendoci conto della loro estrema rilevanza per le tasche dei cittadini.

 

Eugenio Righi

 

(1) Ved. E. Righi, Tariffa di igiene ambientale e Costituzione, in Dir. prat. trib., 2007, I, 593.

(2) In realtà, come abbiamo già avuto modo di rilevare, nella formulazione originaria del Testo unico sulla finanza locale, approvato con il R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, il servizio di ritiro e trasporto delle immondizie domestiche era definito dagli artt. 268 e 269 come un “corrispettivo”, al cui pagamento non erano tenuti coloro che non profittavano del servizio comunale e provvedevano altrimenti al trasporto delle immondizie dai locali di loro pertinenza, quando fosse riconosciuto dall’ufficio municipale d’igiene che i mezzi da essi adoperati erano conformi alle esigenze della pubblica sanità e alle disposizioni dei regolamenti locali. Le cose cambiarono radicalmente nel 1941 con la trasformazione del corrispettivo in tassa, disciplinata sostanzialmente come onere obbligatorio: vedasi la voce «rifiuti solidi urbani interni (tassa per lo smaltimento dei)» da noi curata per l’Enciclopedia giuridica Treccani, vol. XXVII.

(3) E. Righi, Locali tassabili e natura giuridica della tassa sui rifiuti solidi urbani, in Boll. Trib., 1981, 235.

(4) Ved., per tutti, la dottrina cit. in nota 1.

(5) Ved. al riguardo l’ottima rassegna giurisprudenziale sull’applicazione della tassa sui rifiuti curata da A. Stagnaro, in Dir. prat. trib., 2008, II, 1283.