12 Ottobre, 2018

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La riscossione tramite ruolo – 3. Quale termine per la notifica delle cartelle di pagamento conseguenti ad avviso di accertamento definitivo per mancata impugnazione? – 4. Quale termine per la notifica delle cartelle di pagamento conseguenti agli avvisi di accertamento definitivi a seguito di sentenza? – 5. Quale termine per l’espropriazione conseguente ai nuovi avvisi di accertamento esecutivi? – 6. Conclusioni.

1. Premessa

Il nostro fisco è un creditore atipico e poco diligente, visto che procede al recupero coattivo dei propri crediti, di quelli tributari in particolare, con una lentezza eccessiva, al limite del disinteresse.
Spesso gli capita addirittura di eccedere il termine previsto dalla legge per procedere al suddetto recupero, fornendo ai suoi debitori la possibilità di opporsi con successo all’azione recuperatoria, vuoi per intervenuta decadenza dalla stessa, vuoi per prescrizione del credito.
Tale modus operandi, inspiegabile già sul piano logico, prima che contrario ai principi di efficienza e proficuità dell’azione amministrativa, risulta ancor più censurabile quando il credito è certo e incontestabile perché derivante da un atto impositivo ormai definitivo e inoppugnabile.
In quest’ultimo caso, infatti, non solo si mette inutilmente a rischio la proficua realizzazione di un credito – evenienza che qualsiasi creditore dotato di minima diligenza (e intelligenza) dovrebbe evitare – ma si vanifica irrimediabilmente tutta la pregressa attività amministrativa, talvolta costituita da complesse e articolate attività ispettiva e accertativa.
L’Amministrazione finanziaria, tuttavia, non è la sola responsabile di questo “andazzo”, visto che spesso ha potuto fare affidamento sull’indulgenza della giurisprudenza di legittimità e sulla complicità del legislatore.
Un caso emblematico di tale (censurabile) “corresponsabilità” è rappresentato dall’evoluzione normativa e dalle cronache giudiziarie che hanno riguardato la riscossione delle somme dovute in base agli accertamenti dell’Ufficio finanziario divenuti definitivi, materia della quale intendiamo occuparci nel presente approfondimento.

2. La riscossione tramite ruolo

Prima che fosse introdotto nel nostro ordinamento tributario il c.d. “accertamento esecutivo” (1), il procedimento di riscossione delle somme dovute in base agli accertamenti delle imposte dirette e dell’IVA constava dell’iscrizione a ruolo di quelle somme – alla quale provvede(va) l’Amministrazione finanziaria – e della notifica della cartella di pagamento – alla quale provvede(va) l’esattore (nel tempo divenuto concessionario del servizio di riscossione e, da ultimo, agente della riscossione) (2).
Nell’ambito del suddetto procedimento, come osservava autorevole dottrina, «l’iscrizione di una somma a ruolo presuppone l’esistenza di un c.d. titolo di iscrizione, tipicamente integrato da un atto che, al termine di un’attività a ciò funzionalmente preposta, definisce i profili qualitativi e quantitativi di una determinata pretesa impositiva, che occorre appunto riscuotere mediante il ruolo. Sicché, la qualificazione del ruolo come atto della funzione di riscossione segue alla constatazione che, in via ordinaria, mediante il ruolo non si determinano pretese ma, semplicemente, si riscuotono crediti relativi a pretese previamente individuate» (3).
Accanto all’iscrizione a ruolo “ordinaria”, evidenziava opportunamente l’Autore, «vi sono ipotesi in cui il ruolo non limita la sua funzione alla mera esazione di un credito. Ipotesi, più in particolare, dove il ruolo non è semplicemente l’atto con cui si riscuote (coattivamente) un credito ma, anche e prima, l’atto mediante il quale viene determinata e definita la pretesa impositiva sottostante. Limitando qui l’attenzione alle imposte erariali, si tratta della liquidazione delle imposte ai sensi dell’art. 36-bis del DPR n. 600/1973 e dell’art. 54-bis del DPR n. 633/1972, del controllo formale della dichiarazione ex art. 36-ter del DPR n. 600/1973, come pure dell’irrogazione delle sanzioni in virtù dell’art. 17, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997. Sono ipotesi, tutte queste, in cui vengono in considerazione attività ufficiose, caratterizzate dal ricorso a procedure automatizzate ed incentrate su controlli cartolari con un livello minimo di istruttoria. Attività che, proprio per le loro particolari caratteristiche strutturali … sembrano giustificare una semplificazione delle procedure … realizzata con la diretta iscrizione a ruolo del risultato delle predette attività, oltretutto a titolo definitivo ex art. 14 del DPR n. 602/1973 (con riscossione quindi per intero e non frazionata), senza la mediazione di un separato atto integrante il titolo di iscrizione».
Senza addentrarci in una dettagliata disamina delle disposizioni che disciplinano la riscossione tramite ruolo (4), ricordiamo brevemente che a norma dell’art. 11 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, «Nei ruoli sono iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi. I ruoli si distinguono in ordinari e straordinari. I ruoli straordinari sono formati quando vi è fondato pericolo per la riscossione».
I ruoli sono elenchi dei contribuenti debitori e delle somme da essi dovute.
In particolare, l’art. 12, primo comma, del D.P.R. n. 602/1973, stabilisce che «L’ufficio competente forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari operano. In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell’ambito territoriale cui il ruolo si riferisce».
Le iscrizioni a ruolo si eseguono a titolo definitivo o a titolo provvisorio.
Dispone l’art. 14 del D.P.R. n. 602/1973 che «sono iscritte a titolo definitivo nei ruoli: a) le imposte e le ritenute alla fonte liquidate ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, al netto dei versamenti diretti risultanti dalle attestazioni allegate alle dichiarazioni; b) le imposte, le maggiori imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base ad accertamenti definitivi; c) i redditi dominicali dei terreni e i redditi agrari determinati dall’ufficio in base alle risultanze catastali; d) i relativi interessi, soprattasse e pene pecuniarie», mentre il successivo art. 15, al primo comma, stabilisce che «le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell’atto di accertamento, per un terzo degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati».
Sulla base dei ruoli consegnati dall’Ufficio impositore il concessionario della riscossione (oggi agente) redige e notifica al debitore la cartella di pagamento, un atto che, dopo la riforma del 1999, contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata (5).
Fatte tali premesse, possiamo ora evidenziare che tanto per l’attività di “iscrizione nei ruoli” delle imposte (di competenza, come abbiamo visto, dell’ente impositore), quanto per la successiva notifica della cartella di pagamento (di competenza dell’esattore), inizialmente erano stati previsti termini di esecuzione specifici (6), sia nella versione originaria del D.P.R. n. 602/1973, sia nella versione modificata dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, con la differenza, tutt’altro che trascurabile, che soltanto per la prima di quelle attività il termine era espressamente stabilito a “pena di decadenza”.
Non era mancato chi aveva sostenuto, nella giurisprudenza di merito e tra i primi commentatori, che anche il termine previsto per la notifica della cartella di pagamento potesse ritenersi “stabilito a pena di decadenza”.
Tuttavia, come segnalato da attenta dottrina (7), la Suprema Corte non si espresse da subito con chiarezza sulla natura – decadenziale o meno – di quel termine, ancorché avesse affermato che «l’esattore è soggetto ai ristretti termini di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 602/73 per la notificazione della cartella» (8).
Una posizione chiara e inequivocabile la giurisprudenza di legittimità l’assunse soltanto nel 2004, riconoscendo la natura “perentoria” del termine previsto dall’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 46/1999), in ragione della formulazione letterale e del tenore logico delle espressioni usate dal legislatore, «da cui è dato evincere in modo non equivoco l’obbligo per l’esattore di notificare la cartella di pagamento entro il termine fissato» (9).
D’altro canto, sosteneva nell’occasione la Suprema Corte, «la natura perentoria dell’indicato termine … è stata autorevolmente ribadita dalla Corte Costituzionale (ordinanza n. 107/2003)» (10).
A quel punto, tuttavia, la precisazione era divenuta inutile, visto che nel frattempo il legislatore, per evitare che lo spiraglio interpretativo aperto dalla citata sentenza della Corte di Cassazione n. 7662/1999 orientasse la giurisprudenza verso la soluzione più garantista – poi effettivamente assunta con la già citata sentenza della Corte di Cassazione n. 10/2004, come abbiamo visto –, con l’art. 1, primo comma, lett. b), del D.Lgs. 27 aprile 2001, n. 193, aveva pensato bene di eliminare dall’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973 ogni riferimento al termine per la notifica della cartella di pagamento, secondo una logica che autorevole dottrina non esitò a definire esplicitamente di “favor fisci” (11).
Nel modificato quadro normativo, infatti, restava soggetta a uno specifico termine di decadenza la sola attività di iscrizione a ruolo delle imposte (art. 17 del D.P.R. n. 602/1973), mentre per la successiva attività di notifica della cartella di pagamento non era più previsto alcun termine, se non quello della prescrizione ordinaria (12).
Poteva accadere, pertanto, che nei casi in cui l’iscrizione a ruolo non conseguisse ad un avviso di accertamento, bensì al controllo “cartolare” o “formale” della dichiarazione (artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), costituendo la cartella di pagamento il primo atto con il quale la pretesa impositiva giungeva a conoscenza del contribuente, quest’ultimo restasse, di fatto, assoggettato all’azione “impo-esattiva” del fisco per un “tempo indefinito”.
Se una parte della dottrina ritenne che la novellata disciplina della riscossione tramite ruolo non garantisse adeguatamente la “tutela dell’affidamento” del contribuente, pure assurta a “principio generale” dell’ordinamento tributario con la previsione di cui all’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) (13), altra parte della dottrina denunciò esplicitamente i profili di illegittimità costituzionale dell’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973, per violazione dell’art. 24 Cost. (14).
Non potendo ignorare i segnalati rilievi della dottrina e, soprattutto, i moniti proprio della Corte Costituzionale (15), il legislatore tentò di ripristinare un’adeguata tutela del contribuente attraverso la reintroduzione di un termine per la notifica delle cartelle di pagamento.
Con l’art. 1, comma 417, della legge finanziaria 30 dicembre 2004, n. 311, fu modificato nuovamente l’art. 25, primo comma, del D.P.R. n. 602/1973, il quale, nella formulazione così novellata, stabiliva che «Il concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza, entro l’ultimo giorno del dodicesimo mese successivo a quello di consegna del ruolo, ovvero entro l’ultimo giorno del sesto mese successivo alla consegna se la cartella è relativa ad un ruolo straordinario».
Si trattava, in realtà, di un tentativo più formale che sostanziale, considerato che, come evidenziò immediatamente attenta dottrina, «il termine per la notifica della cartella viene ancora fatto decorrere da un atto interno e incontrollabile come la consegna del ruolo al Concessionario» (16).
Non ci fu, dunque, una grande sorpresa quando la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 280/2005, dichiarò «l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come modificato dal decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193, nella parte in cui non prevede un termine, fissato a pena di decadenza, entro il quale il concessionario deve notificare al contribuente la cartella di pagamento delle imposte liquidate ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600» (17).
Vale qui riproporre, testualmente, alcune delle osservazioni e delle considerazioni giuridiche svolte nell’occasione dal Giudice delle leggi, per il notevole rilievo che esse assumono nella materia oggetto del presente approfondimento.
La prima considerazione meritevole di sottolineatura è quella secondo la quale, alla luce dei principi affermati nella precedente già citata ordinanza n. 352/2004, la Corte Costituzionale ha ritenuto di non potere che trarre «la conseguenza della illegittimità costituzionale dell’art. 25, come modificato dal citato D.Lgs. n. 193/2001, non essendo consentito, dall’art. 24 della Costituzione, lasciare il contribuente assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato e comunque, se corrispondente a quello ordinario di prescrizione, certamente eccessivo e irragionevole. Irragionevolezza … che discende dal peculiare trattamento che verrebbe riservato, con la soggezione al termine prescrizionale ordinario, proprio all’ipotesi nella quale l’Amministrazione (lato sensu intesa), sempre soggetta a rigorosi termini di decadenza per attività ben più complesse, è chiamata a compiere una elementare operazione di verifica (non a caso definita dalla legge meramente) formale» (18).
Il quadro normativo, sottolineava peraltro l’autorevole Collegio, era rimasto sostanzialmente immutato anche dopo la modifica dell’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973, operata dall’art. 1 della legge n. 311/2004, poiché pur stabilendosi che «il concessionario notifica la cartella di pagamento …, a pena di decadenza, entro l’ultimo giorno del dodicesimo mese successivo a quello di consegna del ruolo”, è evidente che “in assenza di un termine certo fissato per la consegna del ruolo, è totalmente inefficace il termine decadenziale privo di un dies a quo» (19).
Di qui la dichiarazione di incostituzionalità del suddetto art. 25 «nella parte in cui non prevede per la notifica al contribuente della cartella di pagamento un termine, fissato a pena di decadenza, e per il quale, pertanto, sia stabilito il dies a quo».
Infine, osservava la Consulta, essendo ad essa preclusa sia la possibilità di determinare quel termine, competendo la sua individuazione alla ragionevole discrezionalità del legislatore, sia di individuarne uno tra quelli già previsti dalla legge, la pronunciata illegittimità costituzionale «rende indispensabile un sollecito intervento legislativo con il quale si colmi ragionevolmente la lacuna che si va a creare. Ma questa Corte non può esimersi dal rilevare che la ragionevolezza del termine che verrà stabilito dal legislatore, ferma la sua natura decadenziale, discenderà dalla adeguata considerazione del carattere estremamente elementare (tanto da richiedere “procedure automatizzate”) dell’attività di liquidazione ex art. 36-bis e della successiva attività di iscrizione nei ruoli: attività che la vigente disciplina prevede si esauriscano entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione (laddove, significativamente, la più complessa attività prevista dall’art. 36-ter deve esaurirsi entro il 31 dicembre del terzo anno successivo alla presentazione). Così come, nel fissare il termine la cui mancanza qui si dichiara incostituzionale, il legislatore non potrà non considerare che il vigente art. 43, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973 prevede che l’avviso di accertamento – quale atto conclusivo di un ben più complesso procedimento – sia notificato a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quarto anno successivo alla presentazione della dichiarazione, e che solo entro tale limite temporale il contribuente è obbligato a conservare la documentazione sulla base della quale ha redatto la dichiarazione».
L’invito della Corte Costituzionale poté essere immediatamente raccolto dal legislatore, in quel periodo alle prese con la conversione in legge del D.L. 17 giugno 2005, n. 106.
Con la legge di conversione 31 luglio 2005, n. 156, infatti, fu introdotto il comma 5-bis all’art. 1 del D.L. n. 106/2005, con il quale, «al fine di garantire l’interesse del contribuente alla conoscenza in termini certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni» si disponeva che la notifica delle conseguenti cartelle di pagamento avvenisse entro specifici termini di decadenza, diversificati a seconda che si trattasse delle dichiarazioni presentate dal 1° gennaio 2004 [lett. a)], delle dichiarazioni presentate negli anni 2002 e 2003 [lett. b)] ovvero delle dichiarazioni presentate fino al 31 dicembre 2001 [lett. c)].
Al medesimo art. 1 del D.L. n. 106/2005, inoltre, fu aggiunto il comma 5-ter, il quale, «in conseguenza di quanto previsto dal comma 5-bis e al fine di conseguire, altresì, la necessaria uniformità del sistema di riscossione mediante ruolo delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto», disponeva l’abrogazione dell’art. 17 del D.P.R. n. 602/1973 e riscriveva il primo comma del successivo art. 25, in cui da quel momento si stabiliva che: «Il concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre:
a) del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’art. 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600;
b) del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di controllo formale prevista dall’art. 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600;
c) del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio».
Trattasi di un articolo la cui formulazione, salvo poche integrazioni che non rilevano ai nostri fini, è rimasta invariata fino ai giorni nostri.

3. Quale termine per la notifica delle cartelle di pagamento conseguenti ad avviso di accertamento definitivo per mancata impugnazione?

Le disposizioni da ultimo richiamate, com’è evidente, assolvono a finalità diverse: da un lato, il comma 5-bis dell’art. 1 del D.L. n. 106/2005, con riferimento esclusivo alla pretesa tributaria derivante dalla “liquidazione delle dichiarazioni”, stabilisce, «in via generale, i nuovi termini certi per la conclusione del procedimento attraverso la notifica della cartella di pagamento», dettando le «necessarie disposizioni di coordinamento con la complessa disciplina esistente e una vera e propria disciplina transitoria»; dall’altro, con il successivo comma 5-ter dello stesso art. 1, «viene ribadito il sistema tripartito dei termini di notificazione della cartella esattoriale, che si differenzia solo con e per riguardo al tipo di attività svolta dall’Amministrazione (liquidazione ex art. 36-bis, controllo formale ex art. 36-ter, accertamenti d’ufficio), calcolati in relazione a diversi dies a quibus (anno di presentazione della dichiarazione, anni di definitività degli accertamenti d’ufficio)» (20).
In sostanza, mentre con riferimento al termine per la notifica delle cartelle di pagamento conseguenti alle “procedure automatizzate” di controllo della dichiarazione, il legislatore aveva introdotto un’articolata disciplina transitoria, il termine per la notifica delle cartelle di pagamento conseguenti agli avvisi di accertamento era stato semplicemente reintrodotto a decorrere dal 10 agosto 2005, data di entrata in vigore della legge n. 156/2005.
La mancanza, per il periodo intermedio, di uno specifico termine di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento conseguenti agli accertamenti dell’Ufficio finanziario, ovvero dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 193/2001 (che lo aveva soppresso) fino al 9 agosto 2005, indusse l’Amministrazione finanziaria a sostenere che quella notifica potesse legittimamente eseguirsi nell’ordinario “termine prescrizionale”, decorrente dalla data in cui l’atto impositivo era divenuto definitivo.
Una tesi che ebbe l’autorevole avallo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (21) e che fu ribadita poi in numerose sentenze (22), tra le quali merita di essere segnalata la sentenza della Corte di Cassazione n. 9943/2015 (23), sia per la puntuale ricostruzione, ivi contenuta, delle vicende normative e dei principali contributi giurisprudenziali che hanno riguardato la materia della riscossione tramite ruolo, sia per il conclusivo chiarimento secondo cui la mancanza di una disciplina transitoria per le cartelle esattoriali emesse a seguito di accertamento tributario divenuto definitivo «ha indotto questa Corte a ritenere, con orientamento ormai consolidato, la non applicabilità in via analogica del termine perentorio stabilito per la notifica delle cartelle relative alle liquidazioni, fondate su un’attività di verifica meramente cartolare o formale, eseguita ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (decorrente come visto dalla dichiarazione del contribuente) di cui all’art. 1, comma 5-bis, lett. c), della L. n. 156 del 2005, poiché, nel caso dell’accertamento definitivo, la cartella è preceduta da un’attività istruttoria da compiere in termini decadenziali predeterminati, per cui non si determina quella indefinita soggezione temporale alla verifica del fisco che la Corte costituzionale ha inteso censurare. In tal caso, infatti, la cartella non costituisce il primo atto con cui la pretesa tributaria è portata a conoscenza della parte, bensì l’atto con cui si preannuncia la prossimità della riscossione in via coattiva di un credito già divenuto definitivo, e quindi incontestabile. In altri termini, a fronte di una cartella notificata a seguito di un accertamento che abbia assunto carattere definitivo (perché non opposto), non emergono quelle esigenze di conoscibilità della pretesa tributaria entro un termine certo, poste alla base del riferito intervento del Giudice delle Leggi, dal momento che la cartella che fa seguito alla notifica dell’avviso di accertamento o rettifica non esterna alcuna pretesa tributaria ulteriore, salva la pretesa per accessori e ulteriori competenze di riscossione».
Poiché è trascorso più di un decennio dall’entrata in vigore della legge n. 156/2005 [e, con essa, della lett. c) del primo comma dell’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973] e considerato che ai nuovi avvisi di accertamento esecutivi non segue più la notifica di una cartella di pagamento, potendo l’agente della riscossione procedere immediatamente ad espropriazione forzata sulla base di quegli avvisi (24), potrebbe sembrare ormai superfluo domandarsi se il segnalato orientamento della Suprema Corte fosse condivisibile oppure no.
È opinione di chi scrive, tuttavia, che tale domanda sia ancora attualissima, visto che le considerazioni che andremo a svolgere per motivare la nostra risposta valgono anche per la riscossione coattiva delle imposte dovute in base ai nuovi accertamenti dell’Ufficio fiscale, materia della quale ci occuperemo specificamente più avanti.
Quella risposta, come si intuisce, non può che essere negativa.
Se è vero che, sul piano strettamente formale, nel periodo in cui l’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973 non prevedeva più un termine per la notifica della cartella di pagamento, agli atti conseguenziali agli accertamenti dell’Ufficio impositore non risultava applicabile «né la disciplina transitoria con efficacia retroattiva di cui all’art. 36, comma 2, D.Lgs. n. 46/1999 (come modificato dall’art. 1, comma 5-ter, lett. b), n. 2 del D.L. n. 106/2005), né la disciplina dettata in via generale dall’art. 1, comma 5-bis, del D.L. n. 106/2005, entrambe concernenti esclusivamente le liquidazioni d’imposta effettuate a seguito di “controlli automatizzati” delle dichiarazioni, né tanto meno la disciplina a regime del nuovo art. 25 Dpr n. 602/73 applicabile soltanto a decorrere dalla entrata in vigore della legge a tutte le cartelle, emesse anche a seguito di accertamenti ordinari degli Uffici, successivamente al 2005» (25), è altresì vero che la concessione all’erario di un tempo pari al termine di prescrizione ordinaria per la notifica di quelle cartelle di pagamento era ed è semplicemente privo di ragionevolezza.
Lo aveva spiegato con assoluta chiarezza la Corte Costituzionale nella già citata sentenza n. 280/2005, affermando inequivocabilmente che non è consentito «dall’art. 24 della Costituzione, lasciare il contribuente assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato e comunque, se corrispondente a quello ordinario di prescrizione, certamente eccessivo e irragionevole. Irragionevolezza … che discende dal peculiare trattamento che verrebbe riservato, con la soggezione al termine prescrizionale ordinario, proprio all’ipotesi nella quale l’Amministrazione (lato sensu intesa), sempre soggetta a rigorosi termini di decadenza per attività ben più complesse, è chiamata a compiere una elementare operazione di verifica (non a caso definita dalla legge meramente) formale».
Se tale considerazione vale(va) per il complessivo procedimento di liquidazione o di controllo formale della dichiarazione, figuriamoci se non risulta(va) “eccessivo ed irragionevole” un tempo corrispondente alla prescrizione ordinaria per procedere semplicemente alla formazione del ruolo e alla notifica delle cartelle di pagamento conseguenti agli avvisi di accertamento definitivi.
E ancora, se la Corte Costituzionale aveva qualificato “elementare” la complessiva procedura di verifica formale delle dichiarazioni, nell’ambito della quale la notifica della cartella di pagamento costituisce soltanto la fase terminale, figuriamoci se non si poteva qualificare “semplicissima” o “super-elementare” la sola attività di notifica di quell’atto.
Alla luce di tali considerazioni, prima della modifica introdotta con il comma 5-ter dell’art. 1 del D.L. n. 106/2005, non poteva affatto ritenersi ragionevole un tempo di ben dieci anni per la semplice iscrizione a ruolo delle somme dovute in base agli accertamenti definitivi e per la notifica dell’atto conseguenziale.
Né poteva considerarsi conforme alla nostra Costituzione, in particolare al principio di buon andamento della pubblica Amministrazione (art. 97), la concessione a quest’ultima di un tempo così ampio per eseguire un’attività così “elementare”.
Peraltro, prima che fosse soppresso quel termine, dall’art. 1 del D.Lgs. n. 193/2001, la stessa Corte di Cassazione aveva precisato che «all’attività di riscossione, per la sua particolare incisione delle situazioni patrimoniali dei contribuenti, si applicano solo i termini decadenziali posti da disposizioni come quella in esame [art. 25 del D.P.R. n. 602/1973, n.d.r.] che, quando ne sono state private, hanno dato luogo ad interventi da parte del giudice delle leggi» (26).
Trattasi di un’affermazione, condivisibilissima, che non può non avere una valenza generale, non circoscritta alla riscossione delle sole imposte derivanti dal controllo automatizzato delle dichiarazioni.
Di qui il nostro dissenso rispetto alla giurisprudenza di legittimità che, invece, strumentalizzando il paravento della formale inapplicabilità, alle cartelle di pagamento conseguenziali agli accertamenti definitivi, delle norme dettate in materia di liquidazione e controllo formale della dichiarazione, non ha saputo o non ha voluto cercare soluzioni più coerenti e conformi ai principi della nostra Carta Costituzionale e dello Statuto dei diritti del contribuente.
Né ci sembra decisiva la considerazione che «nel caso dell’accertamento definitivo, la cartella è preceduta da un’attività istruttoria da compiere in termini decadenziali predeterminati, per cui non si determina quella indefinita soggezione temporale alla verifica del fisco che la Corte Costituzionale ha inteso censurare».
È nostra opinione che la tutela del contribuente rispetto all’eventualità di un’indefinita soggezione temporale all’azione di verifica del fisco non è certamente l’unico parametro col quale si deve valutare la conformità dell’ordinamento tributario ai principi costituzionali.
Cosicché, se è pur vero che nel caso dell’accertamento definitivo il contribuente non corre quel rischio, è altresì vero che lo stesso contribuente, quando l’art. 25 del D.P.R. n. 602/1972 non prevedeva più un termine per la notifica delle cartelle di pagamento, restava comunque esposto all’azione esecutiva del fisco per un tempo (dieci anni dalla sopraggiunta definitività) ingiustificatamente lungo e irragionevole, più che doppio rispetto al termine di decadenza previsto per la più complessa attività di accertamento delle imposte (art. 43 del D.P.R. n. 600/1973). Un tempo, non a caso, giudicato “eccessivo” dalla Corte Costituzionale.

4. Quale termine per la notifica delle cartelle di pagamento conseguenti agli avvisi di accertamento definitivi a seguito di sentenza?

Le considerazioni da ultimo svolte ci inducono ad esprimere analogo dissenso rispetto all’orientamento giurisprudenziale, ormai consolidatissimo, secondo il quale «nel caso in cui un atto impositivo venga impugnato in sede giurisdizionale, in tal modo instaurandosi una controversia sulla legittimità del pagamento di tributi, il credito erariale o il credito restitutorio del contribuente accertato nella sentenza che definisce l’impugnazione dell’atto impositivo soggiace al termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2953 c.c.» (27).
Tale affermazione, com’è noto, si fonda sull’assunto secondo cui, nei suddetti casi, «il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l’atto (che, essendo stato tempestivamente impugnato, non è mai divenuto definitivo) e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha confermato la legittimità», derivandone perciò che «la riscossione del credito erariale accertato dalla sentenza non soggiace al termine di decadenza di cui all’art. 17 (ora trasfuso nell’art. 25) del D.P.R. n. 602 del 1973, giacché tale termine concerne la messa in esecuzione dell’atto amministrativo e presidia la esigenza di certezza dei rapporti giuridici e l’interesse del contribuente alla predeterminazione del tempo di soggezione all’iniziativa unilaterale dell’ufficio. La riscossione delle somme conseguenti al passaggio in giudicato delle sentenze che hanno definito il giudizio non è, dunque, soggetta a decadenza alcuna, ma unicamente alla prescrizione».
Ebbene, a parere di chi scrive, il fatto che in questi casi il titolo della pretesa tributaria non sia più costituito dall’atto amministrativo bensì dalla sentenza, non rende ragionevole un termine, quale è quello decennale della prescrizione ordinaria, che resta assolutamente irragionevole per procedere alla mera (formazione del ruolo e) notifica di una cartella di pagamento, soprattutto se, ripetiamo, lo si mette a confronto con il più breve termine di decadenza previsto per l’attività di accertamento delle imposte.
Per altro verso, l’assorbimento del titolo nella sentenza – e non più nell’atto amministrativo – non implica necessariamente la limitata applicazione del termine stabilito dalla lett. c) del primo comma dell’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973, ai soli avvisi di accertamento resisi definitivi per mancata impugnazione, sia perché nella richiamata disposizione il termine “definitivo” non è accompagnato da alcuna ulteriore specificazione, sia perché, come ha rilevato la stessa Corte di Cassazione, con essa il legislatore ha inteso assoggettare ad uno specifico termine di decadenza la notifica di qualsiasi tipo di cartella di pagamento.
Riteniamo, invece, che per il principio di «prevalenza della legge speciale su quella generale», la presenza nel nostro ordinamento di una disposizione di carattere generale come l’art. 2935 c.c. non impedisca affatto di applicare, nella specifica materia della riscossione dei tributi, la disposizione speciale contenuta nell’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973, dove, vale sottolinearlo ancora una volta, è stato espressamente previsto un termine di decadenza per la notifica di qualsiasi tipo di cartella di pagamento.
La tesi che qui sosteniamo, del resto, non è poi così rivoluzionaria se si considera che in passato la stessa Corte di Cassazione aveva evidenziato che «allorché si verte in tema di pagamento di imposta il rapporto che si determina tra il privato e l’Amministrazione è sempre di natura pubblica e non privatistica e come tale è assoggettato alla disciplina concernente il rapporto tributario. E tale disciplina contempla l’ipotesi di pagamento indebito e fissa per questo una specifica regolamentazione – quella prevista dal d.p.r. n. 602/1973 negli artt. 37 (rimborso di ritenute dirette) e 38 (rimborso di versamenti diretti) – la quale, in quanto speciale prevale su quella generale codicistica» (28).

5. Quale termine per l’espropriazione conseguente ai nuovi avvisi di accertamento esecutivi?

Come abbiamo più sopra anticipato, le considerazioni sin qui svolte, ancorché attinenti al rapporto tra i vecchi avvisi di accertamento definitivi e le conseguenti cartelle di pagamento, valgono anche in rapporto ai nuovi avvisi di accertamento “esecutivi” ai quali, com’è noto, non segue più l’iscrizione a ruolo delle imposte e la notifica di una cartella di pagamento, bensì l’affidamento in carico all’agente della riscossione il quale, sulla base di quegli avvisi, procede immediatamente all’espropriazione forzata.
In particolare, l’art. 29, primo comma, lett. e), del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), nella sua versione originaria, disponeva che «l’agente della riscossione, sulla base del titolo esecutivo di cui alla lettera a) (l’avviso di accertamento) e senza la preventiva notifica della cartella di pagamento, procede ad espropriazione forzata con i poteri, le facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo. Decorso un anno dalla notifica degli atti indicati alla lettera a), l’espropriazione forzata è preceduta dalla notifica dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. L’espropriazione forzata, in ogni caso, è avviata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo» (29).
Una disposizione il cui titolo – «Concentrazione della riscossione nell’accertamento» – esplicitava con assoluta chiarezza la volontà e l’ambizione del nostro legislatore, ovvero ridurre «i tempi di incasso da parte dell’erario» del credito derivante dall’accertamento delle imposte dirette e dell’IVA, accorciando «la sequenza degli atti attuativi dell’obbligazione tributaria» (30).
Non passarono nemmeno due anni che lo stesso legislatore, nel predisporre le ennesime “misure di contrasto all’evasione”, pensò bene di allungare il termine previsto dall’originario art. 29, primo comma, lett. e), del D.L. n. 78/2010, dando all’erario la possibilità di procedere all’espropriazione forzata, a pena di decadenza, entro il «31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo» (31).
È probabile che mentre l’Amministrazione finanziaria procedeva alla compilazione e notificazione dei primi avvisi di accertamento esecutivi (32), il legislatore si sia resa conto che entro soli due anni dalla definitività di quegli atti sarebbe stato complicato procedere all’affidamento del carico all’agente della riscossione e, per quest’ultimo, avviare l’espropriazione forzata. Troppe incombenze da svolgere in appena due anni, meglio concederne uno in più.
Tuttavia, dopo poco tempo, anche il termine triennale deve essersi rivelato troppo breve per consentire al fisco di recuperare tempestivamente i propri crediti.
Motivo per il quale si è ritenuto opportuno non assoggettare più ad alcun termine di decadenza l’avvio dell’espropriazione forzata conseguente agli avvisi di accertamento esecutivi, a tal fine procedendo, con l’art. 5 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159 (33), alla soppressione dell’ultimo periodo della lett. e) del primo comma dell’art. 29 del D.L. n. 78/2010.
Autorevole dottrina ha evidenziato che, nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 159/2015, tale soppressione è stata motivata con l’assunto secondo cui «vertendosi della fase di recupero coattivo del credito, troverebbero applicazione i termini di prescrizione ordinaria» (34).
Oltre a condividere le osservazioni dell’Autore, fondate essenzialmente sul richiamo dei principi affermati dalla Corte Costituzionale nella più volte citata sentenza n. 280/2005, intendiamo qui manifestare forti perplessità sulla legittimità costituzionale di una disciplina, quale è quella dettata dal vigente art. 29 del D.L. n. 78/2010, che concede al creditore-Stato un tempo (ben dieci anni) irragionevolmente lungo per procedere al recupero coattivo dei propri crediti, soprattutto se si considera la semplicità della procedura attraverso la quale si avvia quel recupero.
Dopo che è divenuto definitivo l’avviso esecutivo, infatti, l’Agenzia delle entrate deve soltanto affidare in carico all’agente della riscossione le somme da recuperare e quest’ultimo, previo invio di una raccomandata con cui informa il debitore di aver preso in carico quelle somme, deve semplicemente avviare l’espropriazione forzata «con i poteri, le facoltà e le modalità previste dalle disposizioni che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo».
Ora, non solo la soppressione di quel termine di decadenza dà luogo ad una “ingiustificata disparità di trattamento” tra i destinatari degli avvisi di accertamento esecutivi e i destinatari degli avvisi di accertamento ordinari (35), ma determina una evidente violazione del principio di buon andamento della pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.), contrastando clamorosamente con i canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa.
Come abbiamo già evidenziato, molte delle considerazioni critiche svolte con riferimento alla disciplina della riscossione mediante ruolo risultante dopo la soppressione del termine di decadenza per la notifica della cartella di pagamento – e all’interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza di legittimità –, valgono con riferimento alla vigente disciplina della riscossione delle imposte in base agli accertamenti esecutivi definitivi.
Ora, però, vogliamo anche segnalare e stigmatizzare la schizofrenia del nostro legislatore che è passato, nell’arco di un solo lustro e con eccessiva disinvoltura, dall’ambizione di concentrare l’attività di riscossione al sostanziale disinteresse per la stessa.
Per non dire delle questioni di diritto intertemporale che inevitabilmente si porranno rispetto ad una normativa modificata in così rapida successione temporale e, ancora una volta, senza un’adeguata disciplina transitoria.

6. Conclusioni

Lo abbiamo anticipato in premessa, la storia della riscossione delle somme dovute in base agli accertamenti dell’Ufficio fiscale divenuti definitivi è emblematica di un sistema che non funziona, o quanto meno non funziona come dovrebbe e potrebbe.
Ad un’Amministrazione ancora incapace di procedere in tempi ragionevoli al recupero dei propri crediti, ancorché certi e incontestabili, ha prestato ciclicamente soccorso il legislatore, alternando a misure finalizzate all’efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, la proroga o la soppressione dei termini che quell’azione scandiscono, con il solo scopo di salvare procedure destinate alla decadenza.
La giurisprudenza di vertice, dal canto suo, in subiecta materia è stata prevalentemente benevola nei confronti del fisco, spesso preoccupata più di preservare le casse dello Stato che il buon andamento della pubblica Amministrazione.
Non possiamo non concludere denunciando, ancora una volta, l’irragionevolezza, l’irrazionalità e, soprattutto, l’antieconomicità di una disciplina della riscossione che consente al fisco di avviare l’espropriazione forzata a distanza di ben dieci anni dalla definitività dell’atto impositivo, ciò che non solo espone ingiustificatamente il cittadino all’azione esecutiva del creditore pubblico per un termine abnorme, eccessivo, ma mette sovente a rischio la proficuità della stessa azione recuperatoria.
Non resta che attendere (e auspicare) l’ennesima modifica dell’art. 29 del D.L. n. 78/2010 o, ancora una volta, l’inevitabile intervento della Corte Costituzionale.

Dott. Domenico Carnimeo

(1) Ved. art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122).
(2) Vale qui sottolineare che «a seguito della modifica del sistema di riscossione coattivo introdotto con il D.P.R. n. 43/1988, il disposto dell’art. 17, comma 3, del D.P.R. n. 602 del 1973 – secondo cui le imposte, le maggiori imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base agli accertamenti degli uffici devono essere iscritte in ruoli formati e consegnati all’Intendenza di finanza, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo – si applica anche alle imposte diverse da quelle sul reddito e, quindi, anche in materia di IVA», in tal senso cfr. Cass., sez. I, 11 dicembre 1999, n. 13869, in Boll. Trib., 2000, 788.
(3) Cfr. A. CARINCI, Il ruolo tra pluralità di atti ed unicità della funzione, in Riv. dir. trib., 2008, 244.
(4) Per una esaustiva ricognizione delle disposizioni che regolano la riscossione tramite ruolo, in particolare dopo la riforma del 1999, e per uno studio approfondito delle principali questioni in subiecta materia, cfr. F. GHISELLI – M. PICONE, Il termine di notifica della cartella di pagamento, in Boll. Trib., 2004, 1458.
(5) Prima che fosse modificato dall’art. 16 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, l’art. 46 del D.P.R. n. 602/1973 disponeva che alla notifica della cartella di pagamento seguisse la notifica di un “avviso di mora” con il quale si invitava il debitore a pagare le somme iscritte a ruolo entro cinque giorni, decorsi i quali il concessionario procedeva all’espropriazione forzata nei centottanta giorni successivi. Tale avviso, quindi, era un atto avente la funzione di intimare il pagamento al contribuente prima di procedere con l’espropriazione forzata. «Facendo un parallelismo con il processo esecutivo ordinario, l’iscrizione a ruolo rappresentava il titolo esecutivo, mentre l’avviso di mora rappresentava il precetto», così M. BASILAVECCHIA, Riscossione delle imposte, in Enc. dir., XV, Milano, 1989, 1197.
(6) Disponeva l’art. 17 del D.P.R. n. 602/1973, nella versione originaria, in vigore dal 1° gennaio 1974, che «L’iscrizione nei ruoli dell’imposta dovuta sui redditi dichiarati deve effettuarsi, a pena di decadenza, in tempo utile perché l’ultima o unica rata scada entro dodici mesi dalla fine dell’anno o dell’esercizio cui la dichiarazione si riferisce. Le somme riscuotibili ai sensi dell’art. 3, ad esclusione di quelle di cui al n. 2) dello stesso articolo, non versate sono iscritte, a pena di decadenza, nei ruoli speciali, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. In ogni altro caso le imposte o le maggiori imposte corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio debbono essere iscritte nei ruoli, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo». Il successivo art. 25, sempre nella versione originaria, in vigore dal 1° gennaio 1974, stabiliva che «Gli esattori, non oltre il giorno cinque del mese di scadenza della prima rata successiva alla consegna dei ruoli, devono notificare al contribuente la cartella di pagamento. La cartella deve indicare il tributo, il periodo d’imposta, l’imponibile, l’aliquota applicata e l’ammontare della relativa imposta, l’importo dei versamenti di acconto eseguiti ai sensi dell’art. 3, primo comma, n. 2), le somme dovute dal contribuente a titolo d’imposta nonché per interessi, sopratasse e pene pecuniarie, la ripartizione in rate, la specie del ruolo, la data di consegna di esso all’esattore e ogni altro elemento in conformità al modello approvato con decreto del Ministro per le finanze, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale».
(7) Cfr. F. ZOLEA, Le modalità e i termini di iscrizione a ruolo dopo la riforma della riscossione, in Boll. Trib., 2001, 805, il quale peraltro osservava che «l’interpretazione più «garantista» dell’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973 era poco persuasiva, poiché era difficile immaginare che in uno stesso testo normativo (il D.P.R. n. 602/1973, come modificato dal D.Lgs. n. 46 del 1999) il legislatore avesse inteso considerare decadenziali due termini, ma avesse, poi, esplicitamente qualificato come tale soltanto uno di essi (quello di cui all’art. 17)».
(8) Cfr. Cass., sez. I, 19 luglio 1999, n. 7662, in Boll. Trib., 2001, 783.
(9) Cfr. Cass., sez. trib., 7 gennaio 2004, n. 10, in Boll. Trib., 2004, 620.
(10) Il riferimento è a Corte Cost. 1° aprile 2003, ord. n. 107, in Boll. Trib., 2003, 632.
(11) Cfr. S. MICALI, La tutela dell’affidamento del contribuente tra termini di trasmissione del ruolo al concessionario e notifica della cartella di pagamento, in Boll. Trib., 2004, 328.
(12) Significativo, nel contesto normativo all’epoca vigente, il titolo di un interessante contributo di U. PERRUCCI, Cartelle di pagamento a notifica illimitata?, in Boll. Trib., 2003, 87.
(13) Cfr. S. MICALI, op. cit., 328.
(14) F. GHISELLI – M. PICONE, op. cit., 1458.
(15) Oltre che in Corte Cost. n. 107/2003 (ved. nota sub 10), cit., significative indicazioni in tal senso erano contenute in Corte Cost. 19 novembre 2004, ord. n. 352, in Boll. Trib. On-line.
(16) Cfr. U. PERRUCCI, Dalla finanziaria un termine nuovo ma troppo ampio per la notifica delle cartelle di pagamento, in Boll. Trib., 2005, 416.
(17) Cfr. Corte Cost. 15 luglio 2005, n. 280, in Boll. Trib., 2005, 1160, con nota di F. BRIGHENTI, Balla con le faine.
(18) Degna di nota è anche la successiva precisazione della Consulta, secondo cui «la dichiarazione di incostituzionalità colpisce certamente la soppressione, operata dal D.Lgs. “correttivo” n. 193/2001, del termine olim previsto dall’art. 25, ma non sarebbe mancata – come si era già avvertito con l’ordinanza n. 352 del 2004 – anche se non fosse intervenuta tale “correzione” della norma. Ed infatti, come emerge dalla sommaria descrizione delle disposizioni che si sono succedute nel disciplinare il procedimento di riscossione delle imposte liquidate ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973, l’atto finale ed “esterno” del procedimento stesso (la notifica della cartella) è sempre stato legato ad un atto precedente (consegna dei ruoli all’esattore) a sua volta legato ad atti preesistenti: e poiché questa concatenazione di atti era scandita da termini, a partire da ciascuno dei quali decorreva il successivo, ne derivava – per quanto generosi, rispetto all’elementare attività demandata all’Amministrazione, fossero quei termini – certezza relativamente al termine ultimo entro il quale il contribuente doveva venire a conoscenza della pretesa del fisco».
(19) Una considerazione, questa, che avevamo ampiamente anticipato in D. CARNIMEO, A proposito della notifica delle cartelle di pagamento. Ristabilito il termine perentorio per la notifica delle cartelle di pagamento dalla legge finanziaria 2005, ma il contribuente resta ancora indefinitamente esposto all’azione esecutiva del fisco, in Boll. Trib., 2005, 250.
(20) Così Cass., sez. trib., 30 novembre 2005, n. 26104, in Boll. Trib., 2006, 619.
(21) Cfr. Cass., sez. un., 16 febbraio 2009, n. 3698, in Boll. Trib., 2009, 547. La Suprema Corte, nell’occasione, chiarisce che Corte Cost. n. 280/2005, cit., ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973 «nella parte in cui non prevede un termine, fissato a pena di decadenza, entro il quale il concessionario deve notificare al contribuente la cartella di pagamento delle imposte liquidate ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600», precisando altresì che la sentenza della Consulta «non riguarda le cartelle emesse a seguito di procedimenti liquidatori diversi (come è nella fattispecie) da quello previsto dall’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, riguardo alle quali non sussiste perciò alcuno jus superveniens». Il principio, vale osservare, è stato affermato in una fattispecie nella quale il contribuente, che aveva impugnato una cartella di pagamento emessa a seguito di accertamento dell’ufficio divenuto definitivo, a quanto pare aveva invocato la suddetta sentenza della Corte Costituzionale, quale jus superveniens, per giustificare l’ammissibilità della relativa eccezione per la prima volta nel giudizio di appello. Di qui il responso del Supremo Consesso secondo cui «il sopravvenire della sentenza costituzionale non giustifica la caducazione della declaratoria di inammissibilità dell’eccezione di decadenza dell’amministrazione dal potere impositivo, ai sensi dell’art. 57 del D.Lgs. n. 546 del 1992, rispetto alla quale il contribuente non svolge nessun altra censura».
(22) Nell’ordine Cass., sez. trib., 13 marzo 2009, n. 6148; Cass., sez. trib., 13 marzo 2013, n. 6264; Cass., sez. trib., 10 dicembre 2014, n. 26009; Cass., sez. trib., 17 dicembre 2014, n. 26476; e Cass., sez. trib., 30 dicembre 2015, n. 26055; tutte in Boll. Trib. On-line.
(23) Cfr. Cass., sez. trib., 15 maggio 2015, n. 9943, in Boll. Trib. On-line.
(24) Salvo che non sia decorso un anno dalla notifica dell’avviso di accertamento, ipotesi nella quale l’espropriazione forzata deve essere preceduta dalla notifica dell’avviso di cui all’art. 50 del D.P.R. n. 602/1973.
(25) Cfr. Cass., sez. trib., 21 maggio 2014, n. 11176, in Boll. Trib. On-line.
(26) Così Cass., sez. trib., 15 gennaio 2007, n. 667, in Boll. Trib. On-line.
(27) Cfr. Cass., sez. trib., 23 ottobre 2015, n. 21623, in Boll. Trib. On-line.
(28) Dispone l’art. 2935 c.c. che «i diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni».
(29) Cfr. Cass., sez. I, 11 gennaio 1999, n. 179, in Boll. Trib. On-line.
(30) Per un “primo commento” delle novità introdotte in materia di accertamento delle imposte dirette e dell’IVA dal D.L. n. 78/2010 si veda U. PERRUCCI, Una variante del “solve et repete” (sempre che il “repete” non sia precluso dal fallimento del contribuente), in Boll. Trib., 2010, 1039.
(31) Così L. LOVECCHIO, La concentrazione della riscossione nell’accertamento nella manovra d’estate 2010, in Boll. Trib., 2010, 1607.
(32) Art. 8, comma 12, lett. a), n. 3), del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44).
(33) Ciò che sarebbe dovuto avvenire «a partire dal 1° ottobre 2011» e per i «periodi d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007».
(34) Cfr. L. LOVECCHIO, La riforma della riscossione dopo l’attuazione della legge delega n. 23/2014, in Boll. Trib., 2015, 1605.
(35) Così L. LOVECCHIO, La riforma della riscossione dopo l’attuazione della legge delega n. 23/2014, cit., 1605.

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