21 Giugno, 2016

A distanza di due anni da un precedente arresto di senso contrario (1), la Suprema Corte, melius re perpensa, emette un’importante sentenza in tema di responsabilità penale relativa al reato di omesso versamento dell’IVA in caso di ammissione del contribuente alla procedura di concordato preventivo.
Tizio, legale rappresentante di una società di capitali, viene indagato in ordine al delitto previsto dall’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (omesso versamento dell’IVA); nel corso del procedimento il giudice per le indagini preliminari dispone il sequestro per equivalente sui beni di Tizio il quale ricorre per cassazione, dato che il Tribunale del riesame aveva confermato il provvedimento cautelare del GIP.
L’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 prevede che sia punito con la reclusione da sei mesi a due anni chi «non versa l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo … per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta» (in virtù del rinvio al precedente art. 10-bis).
L’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, prevede che nel caso dei reati di cui al D.Lgs. n. 74/2000 (come nella fattispecie sub judice) si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all‘art. 322-ter c.p. (cioè la confisca per equivalente: il giudice, «con la sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato»).
Parallelamente – ex art. 321 c.p.p. – il giudice «può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca».
In base alla nota sentenza delle Sezioni Unite, «è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica». Viceversa, quando il profitto del reato si realizza in capo alla persona fisica organo della società, e autore del reato, il sequestro va eseguito nei confronti di quest’ultimo. Il sequestro può peraltro essere eseguito nei confronti della società quando la «trasmigrazione del profitto del reato in capo all’ente non si atteggia alla stregua di trasferimento effettivo di valori, ma quale espediente fraudolento non dissimile dalla figura della interposizione fittizia; con la conseguenza che il denaro o il valore trasferito devono ritenersi ancora pertinenti, sul piano sostanziale, alla disponibilità del soggetto che ha commesso il reato, in “apparente” vantaggio dell’ente ma, nella sostanza, a favore proprio» (2).
La Suprema Corte, nella sentenza massimata, chiarisce che l’IVA, essendo un tributo armonizzato, deve sempre essere pagata per l’intero, sicché sull’IVA non può operare la falcidia concordataria: «nel concordato preventivo il debito IVA deve essere sempre pagato per intero – non potendosi quindi intendere la “transazione fiscale”, qualora in esso inclusa, nel senso che sia concordabile una decurtazione del debito – in quanto si tratta di un’imposta le cui ripercussioni si trasmettono nell’ordine pubblico economico internazionale». Così, in effetti, afferma anche la Corte di Giustizia europea (3): ogni Stato membro deve garantire, mediante le opportune misure legislative e amministrative, che l’IVA nel suo territorio sia integralmente riscossa.
Tuttavia il fatto che l’IVA debba essere pagata integralmente non significa che ne sia vietato un pagamento dilazionato, come del resto consente l’art. 182-ter della legge fallimentare di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, in base al quale «con riguardo all’imposta sul valore aggiunto … la proposta può prevedere … la dilazione del pagamento».
Ora – è il ragionamento della Suprema Corte – se la legge, senza vulnerare il principio comunitario che l’IVA deve essere integralmente versata (nel senso che non è un debito ristrutturabile), prevede che il relativo pagamento possa essere dilazionato (con previsione degli interessi), non si vede la ragione perché la dilazione di pagamento non si possa riverberare sulla struttura dell’illecito penale. In altri termini, se nel piano concordatario – alla luce delle situazione di difficoltà finanziaria in cui versa l’imprenditore – si prevede che l’IVA possa essere pagata (per l’intero) entro termini più ampi rispetto a quello stabilito dalla fattispecie incriminatrice, è logico che sia parallelamente spostato in avanti anche il termine decorso (vanamente) il quale scatta la sanzione penale.
Ovviamente il concordato preventivo deve intervenire prima che il reato di omesso versamento dell’IVA si sia perfezionato per l’inutile scadenza del termine (previsto dall’art. 10-ter più volte citato), perché il concordato non ha efficacia sanante relativamente a un reato già consumato.
Osserva in proposito la Suprema Corte che «se, dunque, la dilazione del pagamento del debito IVA (dilazione compensata dalla non elisione di interessi e sanzioni amministrative) rientra nell’ambito del piano concordatario – come conferma un solido orientamento della giurisprudenza civile di questa Suprema Corte già richiamata – e se il concordato preventivo non è una manifestazione di autonomia negoziale, bensì un istituto prevalentemente pubblicistico (che poi il suo stesso accesso sia libera scelta da parte dell’imprenditore in crisi è vero fino a un certo punto, poiché l’alternativa, perlomeno quando la situazione di crisi coincide con lo stato di insolvenza, è il fallimento), è più che illogico considerare ciò tamquam non esset ai fini penali, dissociando settori parimenti pubblicistici dell’ordinamento, ovvero consentendo da un lato al giudice fallimentare di ammettere al concordato preventivo l’imprenditore che nel suo piano progetta di commettere un reato e poi di omologare la deliberazione con cui i creditori hanno approvato (anche) un siffatto progetto criminoso, e dall’altro al giudice penale di sanzionare il soggetto che ha eseguito un accordo omologato (la cui relativa domanda era stata, tra l’altro, ab origine comunicata al pubblico ministero) condannandolo per il reato di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000».
Un principio si direbbe ovvio, che non dovrebbe trovare dissenso neanche tra i più severi panpenalisti.

Avv. Fausta Brighenti

(1) Cfr. Cass., sez. un., 5 marzo 2014, n. 10561, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cfr. Cass., sez. un., 5 marzo 2014, n. 10561, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cfr. Corte Giust. UE, sez. IV, 29 marzo 2012, causa C-500/10, in Boll. Trib. On-line.

IVA – Sanzioni penali – Reati tributari – Delitto di omesso versamento dell’IVA – Art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 – Concordato preventivo – Ha natura prevalentemente pubblicistica – Dilazione del pagamento IVA – Rilevanza sulle conseguenze penali – Sussiste.
IVA – Sanzioni penali – Reati tributari – Delitto di omesso versamento dell’IVA – Art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 – Dilazione di pagamento dell’integrale debito IVA contenuta in un concordato preventivo avente natura prevalentemente pubblicistica – Rilevanza sulle conseguenze penali – Sussiste.
IVA – Sanzioni penali – Reati tributari – Delitto di omesso versamento dell’IVA – Art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 – Fumus commissi delicti – Ammissione al concordato preventivo prima della scadenza del termine per effettuare il versamento IVA e prima della consumazione del reato – Esclusione del fumus – Consegue.

Il concordato preventivo, pur originandosi da un impulso del debitore, non è confinato in un dispositivo privatistico, governato esclusivamente dalle parti dei negozi coinvolti in quell’inadempimento complessivo che integra lo stato di crisi di cui all’art. 160, primo comma, della legge fallimentare di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, o addirittura lo stato di insolvenza di cui all’ultimo comma del medesimo articolo, bensì attinge alla soglia pubblicistica, si snoda in un percorso giurisdizionalmente disegnato e vigilato, per ricevere infine una ratifica di quanto deliberato dai creditori sulla proposta del debitore da parte dell’organo giurisdizionale di talché il detto concordato non può ritenersi irrilevante ai fini delle conseguenze penali della condotta conforme al deliberato accordo.
Se la dilazione del pagamento dell’intero debito IVA rientra nell’ambito del piano concordatario e se il concordato preventivo non è una manifestazione di autonomia negoziale, bensì un istituto prevalentemente pubblicistico, è più che illogico considerare ciò tamquam non esset ai fini penali, dissociando settori parimenti pubblicistici dell’ordinamento, ovvero consentendo da un lato al giudice fallimentare di ammettere al concordato preventivo l’imprenditore che nel suo piano progetta di commettere un reato e poi di omologare la deliberazione con cui i creditori hanno approvato un siffatto progetto criminoso, e dall’altro al giudice penale di sanzionare il soggetto che ha eseguito un accordo omologato, la cui relativa domanda sia stata, peraltro, ab origine comunicata al pubblico ministero, condannandolo per il reato di omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Il fumus commissi delicti del reato di omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non è compatibile, nel caso di ammissione al concordato preventivo anteriore alla scadenza del termine per il relativo versamento ovvero anteriore alla consumazione del reato, con l’inclusione del debito IVA nel piano concordatario, nel senso di mera dilazione, senza incidenza sul quantum e in particolare senza conseguenze sul quantum della dilazione stessa, in forza della previsione del pagamento degli interessi, e condurrebbe alla inaccettabile coincidenza tra quello che il concordato preventivo legittima e quello che la legge penale, se intesa in modo avulso dagli altri settori pubblicistici dell’ordinamento giuridico, renderebbe reato.

[Corte di Cassazione, sez. III pen. (Pres. Teresi, rel. Graziosi), 16 aprile 2015, sent. n. 15853]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – 1. Con ordinanza del 22 luglio 2014 il Tribunale di Foggia ha rigettato l’istanza di riesame presentata da F.F. – indagato per il reato di cui all’art. 10 ter del D.Lgs. n. 74 del 2000 – avverso Decreto 19 maggio 2014, con cui il gip dello stesso Tribunale aveva disposto sequestro preventivo per equivalente su beni del suddetto.
2. Ha presentato ricorso il difensore, sulla base di due motivi. Il primo motivo denuncia violazione di legge, per non avere il Tribunale ritenuto che l’ammissione al concordato preventivo della S.r.l. di cui l’indagato è il legale rappresentante abbia escluso il fumus commissi delicti, nonostante l’omologazione di un concordato che prevede l’intero pagamento dell’Iva con uno spostamento temporale del versamento. Il secondo motivo lamenta l’omessa verifica della possibilità di espletare un sequestro diretto del profitto, con inadeguata motivazione al riguardo del Tribunale.

MOTIVI DELLA DECISIONE – 3. Il ricorso è fondato.
Il primo motivo verte sull’incidenza del concordato preventivo in ordine alla sussistenza del reato per cui il ricorrente è indagato, rectius in questa fase, in ordine al fumus commissi delicti che deve costituire presupposto del sequestro preventivo.
La questione era stata proposta anche al Tribunale, che infatti da atto nella motivazione dell’ordinanza impugnata che la S.r.l. di cui l’indagato era legale rappresentante aveva depositato ricorso al Tribunale di Lucera per concordato preventivo, che il suddetto Tribunale ammetteva l’11 luglio 2013, omologando poi il 16 aprile 2014. Dunque l’ammissione al concordato preventivo, nota il Tribunale, è anteriore alla commissione del reato contestato, coincidente con il 27 dicembre 2013, cioè con la data in cui avrebbe dovuto essere adempiuta l’obbligazione tributaria in forza del combinato disposto di cui agli artt. 10 ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, e 6, comma 2, della L. n. 405 del 1990.
Il Tribunale afferma di aderire a quella che definisce una giurisprudenza di legittimità “assolutamente maggioritaria”, richiamando peraltro solo due arresti: Cass. sez. 3^, 24 aprile 2013 n. 39101 (1) (per cui nei reati tributari “la presentazione di una proposta di concordato preventivo e la sua approvazione di omologazione da parte del tribunale non fa venir meno la responsabilità dell’amministratore della società che non ha versato quanto dovuto all’erario ai fini degli obblighi IVA”) e Cass. sez. 3^, 14 maggio 2013 n. 44283 (2).
In realtà, occorre anzitutto rilevare che il primo dei due precedenti non appare pertinente alla fattispecie in esame, giacché, per quanto può evincersi da una motivazione peraltro assai concisa, si riferisce a reati consumati anteriormente all’ammissione al concordato preventivo, deducendo – del tutto condivisibilmente – dalla natura istantanea del reato de quo che “ogni vicenda successiva in ordine alla sistemazione delle obbligazioni tributarie dell’ente (così come di quelle altre civili), alla presenza di garanti e di controllori (il Commissario Giudiziale), non elide le conseguenze patrimoniali del delitto e la responsabilità di colui che l’ha commesso”. Di ciò ha ben conto il Tribunale, dato che, in effetti, fonda la sua motivazione su un’ampia trascrizione del nucleo motivazionale dell’altro arresto, Cass. sez. 3^, 14 maggio 2013 n. 44283, in pratica motivando per relationem rispetto a tale pronuncia.
4. Questa ha in primis osservato che pure nel concordato preventivo il debito Iva deve essere sempre pagato per intero – non potendosi quindi intendere la “transazione fiscale”, qualora in esso inclusa, nel senso che sia concordabile una decurtazione del debito –, in quanto si tratta di un’imposta le cui ripercussioni si trasmettono nell’ordine pubblico economico internazionale (richiama la pronuncia, puntualmente, la Direttiva del Consiglio 2006/112/CE del 28 novembre 2006 e la sentenza della Corte di Strasburgo 29 marzo 2012 nella causa C-500/10 (3), Belvedere Costruzioni S.r.l. – per cui ogni Stato membro deve garantire tramite tutte le misure legislative e amministrative che l’Iva sia nel suo territorio interamente riscossa –).
E dunque, se il concetto di transazione – che, come ogni concetto giuridico, si muove in un ambito di relatività ontologica –, nell’ipotesi di transazione fiscale, ex art. 182 ter L. Fall., sull’Iva deve intendersi così restrittivamente compresso – invero detta norma lo esplicita nel testo vigente, al primo comma stabilendo che “con riguardo all’imposta sul valore aggiunto … la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento” –, la sua classica sostanza di corrispettività (aliquid datum et aliquid retentum) si traduce, non potendo incidere sul quantum debeatur, esclusivamente in postergazione dell’obbligo di adempimento, non essendo configurabile la falcidia concordataria su un tal debito d’intangibile specialità. Di tutto ciò non è affatto inconsapevole il precedente arresto di questa Terza Sezione Penale, che richiama a sua volta la giurisprudenza della Cassazione civile, in particolare citando Cass. civ. sez. 1^, 4 novembre 2011 n. 22931 (4) (“In tema di omologazione del concordato preventivo, con transazione fiscale, secondo l’istituto di cui all’art. 182-ter legge fall., anche per le procedure cui non sia applicabile ratione temporis l’art. 32 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (conv. nella L. 28 gennaio 2009, n. 2), che ha modificato l’art. 182-ter, comma 1, della L. Fall., prevedendo che la proposta, quanto all’IVA, può configurare solo la dilazione del pagamento, sussiste l’intangibilità del predetto debito d’imposta, in quanto la disposizione, che esclude la falcidia concordataria sul capitale dell’IVA, ha natura eccezionale e attribuisce al credito un trattamento peculiare ed inderogabile; ne consegue che la sua portata sostanziale si applica ad ogni forma di concordato, ancorché proposto senza ricorrere all’istituto della transazione fiscale, attenendo allo statuto concorsuale del credito IVA”) e l’analoga Cass. civ. sez. 5^, 16 maggio 2012 n. 7667 (5) (“In tema di omologazione del concordato preventivo con transazione fiscale, secondo l’istituto di cui all’art. 182-ter, della L. Fall., anche per le procedure cui non sia applicabile ratione temporis l’art. 32 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito nella L. 28 gennaio 2009, n. 2), che ha modificato l’art. 182-ter, comma 1, della L. Fall., prevedendo espressamente che la proposta, quanto all’IVA, può configurare solo la dilazione del pagamento, sussiste l’intangibilità del predetto debito d’imposta, in quanto le entrate derivanti dall’applicazione di un’aliquota uniforme, valida per tutti gli Stati membri, agli imponibili relativi a detto tributo – secondo la direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, la decisione n. 2007/436/CE adottata dal Consiglio in data giugno 2007, e la sentenza della Corte di Giustizia 29 marzo 2012, in causa C-500/10, Belvedere Costruzioni srl – costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione Europea, e quindi, il relativo credito, attenendo comunque a tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, non può essere oggetto di accordo per un pagamento parziale neppure ai sensi dell’art. 182-ter, nella versione introdotta dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5”). Insegnamento nomofilattico che non patisce alcuna incertezza, proprio per la specialità (pubblicistico-comunitaria) dell’oggetto del debito: su tale linea si è collocata da ultimo Cass. civ. sez. 1^, 25 giugno 2014 n. 14447 (6), che, superato oramai ogni dubbio originato dalla successione delle leggi, conferma la minimizzazione dell’incidenza sia della transazione fiscale di cui all’art. 182-ter della L. Fall., sia del concordato preventivo stesso, per la natura sostanziale di intangibilità che connota il debito Iva (“In tema di concordato preventivo, l’art. 182-ter, comma 1, della L. Fall., (come modificato dall’art. 32 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2), che esclude la falcidia concordataria sul capitale dell’IVA, così sancendo l’intangibilità del relativo debito, ha natura sostanziale e carattere eccezionale, attribuendo al corrispondente credito un trattamento peculiare ed inderogabile, sicché la stessa si applica ad ogni forma di concordato, ancorché proposto senza ricorrere all’istituto della transazione fiscale, attenendo allo statuto concorsuale del credito IVA”).
5. Tuttavia, nel caso in esame, il ricorrente non persegue alcuna legittimazione allo scopo di ridurre il debito Iva, dando atto che il concordato preventivo ha riconosciuto, come apertis verbis impone la normativa vigente, l’intera debenza (ricorso, pagina 4: “Il Piano, tempestivamente depositato, prevedeva espressamente il pagamento integrale dell’Iva, oltre sanzioni ed interessi, maturata nell’anno 2012”); e tempestivamente rispetto alla scadenza per il pagamento dell’imposta il concordato avrebbe soltanto comportato lo “spostamento temporale dell’adempimento” (ricorso, pagina 6; dati questi, ovviamente, addotti anche nell’istanza di riesame) ovvero, fin d’ora può rilevarsi, quella dilazione che l’appena citata giurisprudenza di legittimità civile ha individuato come attuabile per il debito Iva nell’ambito di un concordato preventivo.
Occorre però dare atto che, a differenza di quanto sostiene il ricorrente (per cui la giurisprudenza di legittimità richiamata dal giudice di merito sarebbe solo apparentemente contraria alla sua prospettazione), il Tribunale non ha frainteso il contenuto del pertinente precedente di questa Suprema Corte – Cass. sez. 3^, 14 maggio 2013 n. 44283 – cui si avvince nella sua valutazione dell’istanza di riesame. Riporta infatti il Tribunale pure gli ulteriori sviluppi argomentativi della suddetta sentenza, che estendono dal quantum al tempo di adempimento – entrambi ritenendo non modificabili tramite concordato preventivo – l’incidenza della specialità sostanziale del debito Iva.
Pur avendo anche ricordato, infatti, che il legislatore ha introdotto (a proposito della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento di cui all’art. 7, comma 1, della L. 27 gennaio 2012, n. 3, come modificato da D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in L. 17 dicembre 2012, n. 221) una – ulteriore rispetto al vigente dettato dell’art. 182-ter della L. Fall. – espressa ipotesi di dilazione del pagamento del debito Iva (ivi stabilendo che il piano che possono concordare con i creditori l’imprenditore non fallibile o il consumatore, “con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate”, potrà “prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”), Cass. sez. 3^, 14 maggio 2013 n. 44283 subito dopo inserisce uno iato logico nel tessuto motivazionale, estendendo quello che definisce correttamente “il principio di indisponibilità della pretesa tributaria in riferimento al debito Iva” anche ai tempi di adempimento mediante l’asserto che non sussiste “una volontà legislativa che ponga in dubbio il principio di indisponibilità della pretesa tributaria in riferimento al debito Iva, consentendone il pagamento dilazionato al di fuori degli accordi di transazione fiscale” (nel caso in esame, il giudice di merito aveva annullato il decreto di sequestro perché il debitore era stato ammesso a concordato preventivo il 23 settembre 2011 laddove il versamento dell’Iva si sarebbe dovuto effettuare il 27 dicembre 2011, e il PM aveva impugnato ritenendo che la dilazione necessitasse transazione fiscale, insufficiente al riguardo essendo il concordato preventivo).
E se fino ad allora aveva argomentato in ordine all’impossibilità di concordare un pagamento parziale, attraverso questo rapido passaggio la pronuncia esclude nel concordato preventivo anche la possibilità di posticipare l’adempimento dell’obbligo Iva, tentando poi di supportare l’asserto tramite una minimizzazione dell’istituto del concordato preventivo, che viene inteso come l’espressione di una mera autonomia privata, ovvero negoziale: “Del resto l’accesso alla procedura di concordato preventivo è atto di autonomia privata, d’iniziativa del debitore, che mira a sfociare nel c.d. patto concordatario con i creditori. Una scelta di questo genere, tutta interna alla volontà del debitore, non può portare, come sua conseguenza, ad elidere gli obblighi giuridici, specie quelli aventi rilievo pubblicistico, come la previsione del versamento dell’Iva alla scadenza di legge, la cui omissione è sanzionata penalmente”.
6. Dunque, secondo questo precedente su cui si impernia il Tribunale nella impugnata ordinanza (ritenendo che, nonostante l’ammissione al concordato preventivo in data 11 luglio 2013 a seguito di richiesta del 19 dicembre 2012, l’omesso pagamento dell’Iva il 27 dicembre 2013 abbia integrato comunque il reato, nonostante il contenuto posticipante del piano concordatario), il concordato preventivo non può incidere sulle scadenze di versamento dell’Iva perché è frutto di un mero atto di autonomia negoziale del debitore rispetto ai suoi creditori. In tal modo, peraltro, Cass. sez. 3^, 14 maggio 2013 n. 44283 non coincide più con l’interpretazione di quella giurisprudenza nomofilattica civile che aveva essa stessa poco prima richiamato (Cass. civ. sez. 1^, 4 novembre 2011 n. 22931 e Cass. civ. sez. 5^, 16 maggio 2012 n. 7667) e che individua la specialità del credito dell’Iva limitatamente al suo quantum anche a prescindere dalla sussistenza, nell’ambito di concordato preventivo, di una transazione fiscale (ragionevolmente, d’altronde, non potendosi in detto contesto obbligare comunque il contribuente a un negozio di accertamento dell’imposta). Invocandola invece, da ultimo, la già citata Cass. civ. sez. 1^, 25 giugno 2014 n. 14447 ribadisce quello che ne qualifica orientamento, laddove in motivazione afferma che l’art. 182-ter della L. Fall. “deve interpretarsi nel senso che la proposta di concordato preventivo, con o senza transazione fiscale, può prevedere, quanto al credito per Iva, solo la dilazione di pagamento essendone in ogni caso intangibile l’importo in quella sede concorsuale”: il che vale a dire che la dilazione può essere stabilita nell’ambito del concordato preventivo anche qualora l’istituto, evidentemente facoltativo, della transazione fiscale non sia stato utilizzato (Cass. civ. sez. 1^, 4 novembre 2011 n. 22931, oltre alla massima già più sopra riportata, aveva infatti evidenziato pure l’ulteriore aspetto della natura facoltativa della transazione fiscale, laddove dichiara che “può disporsi l’omologazione del concordato preventivo, contenente la falcidia di crediti tributari, anche se non sia stato preventivamente attivato il procedimento di cui all’art. 182-ter, comma 2, della L. Fall., al fine del perfezionamento della transazione fiscale ivi disciplinata, poiché dalla mera facoltatività di tale istituto discende che l’eventuale voto contrario dell’Amministrazione finanziaria non impedisce l’approvazione della relativa proposta da parte della maggioranza dei creditori”).
Se peraltro il reato ex art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000 è reato omissivo istantaneo, la dilazione del versamento della dovuta Iva rispetto al termine di versamento dell’acconto per il periodo d’imposta successivo, alla cui scadenza il reato si consumerebbe, integrerebbe in re ipsa il reato stesso nel momento in cui il termine ordinario, in forza dell’accordo di posticipazione, sarebbe superato.
Consentendo la dilazione, quindi, si da luogo automaticamente al reato? Non può essere questo, ragionevolmente se non ovviamente, l’effetto del coinvolgimento del debito Iva nel concordato preventivo.
Per supportare, allora, una interpretazione restrittiva nel senso che la dilazione sia ammessa esclusivamente dove menzionata in modo espresso dal legislatore, e cioè in caso di transazione fiscale ex art. 182-ter della L. Fall. – in contrasto, come appena rilevato, con la giurisprudenza nomofilattica civile –, logicamente occorre “svuotare” di incidenza il concordato preventivo di per sé, ovvero il concordato senza transazione fiscale. Ed è proprio, come già si accennava, quello che tenta di fare Cass. sez. 3^, 14 maggio 2013 n. 44283 in quel passaggio motivazionale che può definirsi dirimente nell’iter del suo ragionamento (“l’accesso alla procedura di concordato preventivo è atto di autonomia privata, d’iniziativa del debitore, che mira a sfociare nel c.d. patto concordatario con i creditori. Una scelta di questo genere, tutta interna alla volontà del debitore, non può portare, come sua conseguenza, ad elidere gli obblighi giuridici, specie quelli aventi rilievo pubblicistico, come la previsione del versamento dell’Iva alla scadenza di legge, la cui omissione è sanzionata penalmente”) e che in sostanza contrappone a un istituto asseritamente privatistico obblighi giuridici di rilievo pubblicistico, per giustificare l’assoluta non incidenza del concordato preventivo sulla sussistenza del reato de quo.
7. In realtà, peraltro, sul perseguimento di un accordo transattivo debitore-creditori (di cui permane una ben consistente manifestazione nell’approvazione del concordato da parte dei creditori nella loro adunanza: v. artt. 174 e 178 della L. Fall., globalmente intitolati proprio “deliberazione del concordato preventivo”) si viene a innestare una struttura chiaramente pubblicistica, essendo l’istituto del concordato preventivo una sorta di uscita di sicurezza rispetto alla prospettiva del fallimento e dunque uno di quegli strumenti di tutela non solo dei creditori ma altresì degli interessi economici collettivi che il legislatore ha predisposto per le crisi d’impresa.
Invero il concordato preventivo, pur originandosi da un impulso del debitore come sottolinea Cass. sez. 3^, 14 maggio 2013 n. 44283, non è confinato in un dispositivo privatistico, governato esclusivamente dalle parti (debitore e creditore) dei negozi coinvolti in quell’inadempimento complessivo che integra lo “stato di crisi” (art. 160, comma 1, della L. Fall.) o addirittura “lo stato di insolvenza” (art. 160, u.c.), bensì attinge alla soglia pubblicistica, si snoda in un percorso giurisdizionalmente disegnato e vigilato, per ricevere infine una ratifica di quanto deliberato dai creditori sulla proposta del debitore da parte dell’organo giurisdizionale che non può ritenersi irrilevante ai fini delle conseguenze penali della condotta conforme al deliberato accordo.
Si possono assai sinteticamente evidenziare questi aspetti, osservando anzitutto che nel momento stesso in cui accede alla relativa procedura il debitore passa dalla gestione autonoma e quindi “privata” dei suoi debiti a uno strumento il quale, pur dando spazio agli interessi privati per conformarsi in concreto, è qualificabile come pubblico, come emerge chiaramente dalla legge fallimentare che lo disciplina. L’accesso, appunto, può essere chiesto dall’imprenditore che si trova in stato di crisi, anche nel senso di insolvenza, sulla base di un piano che propone ai creditori (v. artt. 160 e 161), il cui contenuto non solo è assoggettato a una parziale predeterminazione normativa (v. ancora art. 160), ma, soprattutto, da luogo ad una vera e propria procedura giurisdizionale: comunicata la domanda di concordato al pubblico ministero (art. 161, u.c.) il Tribunale, dopo le necessarie verifiche (che possono sfociare anche nella dichiarazione di inammissibilità della proposta di concordato ed eventualmente, altresì, nella dichiarazione di fallimento: art. 162), “dichiara aperta la procedura di concordato preventivo”, delegandovi un giudice e nominando un commissario giudiziale che esplicherà funzioni di pubblico ufficiale (artt. 163 e 165). Per tutto il periodo che intercorre tra la domanda di concordato pubblicizzata nel registro delle imprese e il conclusivo decreto di omologazione, a dimostrazione ulteriore della natura pubblicistica dell’istituto, di cui gode già prima dell’ammissione operata dall’organo giurisdizionale, la tutela diretta dei singoli creditori per titolo o causa anteriore è in buona parte “congelata” (v. artt. 168 e 169, e art. 55, comma 1; e cfr. art. 169-bis); e durante la procedura di concordato la gestione da parte del debitore dei suoi beni e della sua impresa è a sua volta imbrigliata dalla vigilanza del commissario giudiziale e dalla necessità di autorizzazione del giudice delegato (art. 167). Il conclusivo provvedimento di omologazione gode di un indiscutibile spessore giurisdizionale potendo essere preceduto, nel caso di opposizione, da una vera e propria fase istruttoria (art. 180); e dal diniego di omologazione conclusiva, se ne sussistono i presupposti, su istanza creditoria o del PM si passa direttamente alla sentenza dichiarativa di fallimento, “emessa contestualmente al decreto” che “respinge il concordato”, il quale, in ultima analisi, può qualificarsi peculiare domanda giurisdizionale, alternativa a quella di dichiarazione di fallimento (cfr. art. 180, u.c., ma anche art. 162, comma 2, e art. 160, u.c.).
8. Se, dunque, la dilazione del pagamento del debito Iva (dilazione compensata dalla non elisione di interessi e sanzioni amministrative) rientra nell’ambito del piano concordatario – come conferma un solido orientamento della giurisprudenza civile di questa Suprema Corte già richiamata – e se il concordato preventivo non è una manifestazione di autonomia negoziale, bensì un istituto prevalentemente pubblicistico (che poi il suo stesso accesso sia libera scelta da parte dell’imprenditore in crisi è vero fino a un certo punto, poiché l’alternativa, perlomeno quando la situazione di crisi coincide con lo stato di insolvenza, è il fallimento), è più che illogico considerare ciò tamquam non esset ai fini penali, dissociando settori parimenti pubblicistici dell’ordinamento, ovvero consentendo da un lato al giudice fallimentare di ammettere al concordato preventivo l’imprenditore che nel suo piano progetta di commettere un reato e poi di omologare la deliberazione con cui i creditori hanno approvato (anche) un siffatto progetto criminoso, e dall’altro al giudice penale di sanzionare il soggetto che ha eseguito un accordo omologato (la cui relativa domanda era stata, tra l’altro, ab origine comunicata al pubblico ministero) condannandolo per il reato di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000.
Questa evidente e insostenibile frattura ordinamentale, d’altronde, nulla ha a che fare con l’autonomia che intercorre tra il processo tributario e il processo penale, più volte riconosciuta dalla giurisprudenza nomofilattica (nell’art. 20 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si ravvisa un vero e proprio principio di reciproca indipendenza: cfr. Cass. sez. 2^, 22 novembre 2011-28 febbraio 2012 n. 7739 (7), in motivazione) ma relativa all’accertamento della sussistenza dell’evasione non esistendo alcun vincolo del giudice penale rispetto all’accertamento tributario, e al contrario spettando esclusivamente al giudice penale di accertare e determinare l’importo della imposta evasa ai fini di valutare la concreta configurabilità del reato tributario (sulla inesistenza della pregiudiziale tributaria v. pure Cass. sez. 3^, 15 luglio 2014 n. 37335 (8); Cass. sez. 3^, 4 giugno 2014 n. 38684 (9); Cass. sez. 3^, 7 ottobre 2011 n. 36396 (10); Cass. sez. 3^, 28 maggio 2008 n. 21213 (11); e sulla non incidenza anche dell’accertamento concordato con l’Autorità finanziaria v. Cass. sez. 3^, 2 dicembre 2011-14 febbraio 2012 n. 5640 (12)): diverso, infatti, è il caso in cui nulla vi è da accertare sul piano fattuale essendo indiscussa la condotta dal punto di vista storico, e la questione verte sul dato che detta condotta rientra nel contenuto di un istituto prevalentemente pubblicistico realizzato sotto una governance giurisdizionale, dal quale, logicamente, non può trarre una liceità relativa esclusivamente all’ambito di detto istituto, ovvero una liceità cui il diritto penale rimane impermeabile al punto che il giudice fallimentare avrebbe ricevuto dal legislatore il potere di ammettere la proposta prima, e omologare poi una condotta penalmente illecita.
Una siffatta intersecazione tra le norme penali e le norme concorsuali non può, pertanto, svuotare di contenuto queste ultime, relativizzandone gli effetti di applicazione; un imprescindibile coordinamento dovrà dunque riflettersi non solo sull’elemento soggettivo che anima la condotta, bensì, a priori, sulla sussistenza dell’elemento oggettivo di illecito penale, nel senso di escluderla.
Non appare a questo punto condivisibile, allora, l’impostazione adottata dal precedente maggiormente valorizzato dal giudice di merito, ovvero Cass. sez. 3^, 14 maggio 2013 n. 44283, per quanto concerne la sussistenza del fumus commissi delicti, dovendosi in conclusione ritenere che il fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, non è compatibile – nel caso di ammissione al concordato preventivo anteriore alla scadenza del termine per il relativo versamento ovvero anteriore alla consumazione del reato – con l’inclusione del debito Iva nel piano concordatario, nel senso di mera dilazione, senza incidenza sul quantum e in particolare senza conseguenze sul quantum della dilazione stessa, in forza della previsione del pagamento degli interessi.
9. Aggiunge peraltro il Tribunale, quale ulteriore fondamento dell’asserito fumus, che “le somme incassate a titolo d’Iva e destinate, quindi, ad essere versate all’erario non sono nella libera disponibilità del contribuente il quale, se non provvede a versarle nelle scadenze prestabilite, non può ritenersi estraneo a tale incombenza, in caso di concordato preventivo e successiva nomina di liquidatore”, per cui “il F., quale rappresentante legale della società nel periodo antecedente alla scadenza del termine per il versamento, non versando alle scadenze prestabilite l’Iva dovuta quando la società non era sottoposta a concordato, ha inequivocabilmente fornito un contributo causale alla commissione del fatto, creando materialmente i presupposti per il successivo omesso versamento”.
A parte l’incomprensibile riferimento a un liquidatore come nominato a seguito di concordato preventivo, il Tribunale pratica in tal modo una interpretazione inammissibilmente estensiva della condotta penalmente rilevante, rendendola, in effetti, antecedente alla scadenza del termine per il versamento. Se l’imputazione del reato omissivo istantaneo in questione (sulla sua natura di reato istantaneo che si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo v. S.U. 28 marzo 2013 n. 37424 (13); Cass. sez. 3^, 6 marzo 2013 n. 19099 (14); Cass. sez. 3^, 14 ottobre 2010 n. 38619 (15)) riguarda l’omesso versamento dell’Iva in data 27 dicembre 2013 (poco prima nell’argomentazione in esame lo stesso Tribunale aveva affermato: “Giova rammentare che il reato di omesso versamento Iva è un reato omissivo istantaneo, che si perfeziona il dicembre successivo all’anno cui si riferisce il debito d’imposta (nel caso in esame il 27. 12. 2013)”) non si vede come possano esercitare alcuna incidenza sul piano penale (che è ovviamente diverso da un piano unicamente fattuale) condotte anteriori al 27 dicembre 2013. Quel che rileva, invero, in un reato istantaneo non è la serie causale, se mai ve ne è una, storicamente antecedente alla condotta che lo integra, bensì esclusivamente quest’ultima (significativamente, da ultimo, si è esclusa per il reato in questione la configurabilità del tentativo, dal momento che prima della scadenza del termine vi è ancora completa possibilità di adempimento all’obbligo di versamento: Cass. sez. 3^, 22 gennaio 2014 n. 12248 (16)).
Dunque, il discorso si polarizza di nuovo sulla inaccettabile coincidenza tra quel che il concordato preventivo legittima e quel che la legge penale, se intesa in modo avulso dagli altri settori pubblicistici dell’ordinamento giuridico (il che è, in sostanza, una reductio ad absurdum), renderebbe reato. E si deve pertanto concludere che il fumus commissi delicti, per il necessario coordinamento già sopra evidenziato, nel caso di specie non può sussistere.
In conclusione, assorbito il secondo motivo del ricorso, l’ordinanza deve essere annullata senza rinvio, l’annullamento estendendosi altresì al decreto di sequestro preventivo del 19 maggio 2014 emesso dal gip del Tribunale di Foggia, con conseguente ordine di restituzione di quanto sequestrato all’avente diritto.

P.Q.M. – Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal gip del Tribunale di Foggia in data 19 maggio 2014.

(1) In Boll. Trib. On-line.
(2) In Boll. Trib. On-line.
(3) In Boll. Trib. On-line.
(4) In Boll. Trib., 2012, 619.
(5) In Boll. Trib. On-line.
(6) In Boll. Trib. On-line.
(7) In Boll. Trib. On-line.
(8) In Boll. Trib. On-line.
(9) In Boll. Trib. On-line.
(10) In Boll. Trib. On-line.
(11) In Boll. Trib. On-line.
(12) In Boll. Trib., 2012, 475.
(13) In Boll. Trib., 2014, 864.
(14) In Boll. Trib. On-line.
(15) In Boll. Trib. On-line.
(16) In Boll. Trib. On-line.

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