29 Gennaio, 2015

 

 

 

 

1. Premessa

Le due sentenze della Commissione tributaria provinciale di Milano sopra riportate affrontano e risolvono in modo molto convincente il problema della obbligatorietà del contraddittorio preventivo nel caso di determinazione sintetica del reddito con riferimento ai periodi di imposta anteriori al 2009.

Si ricorda che l’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (rubricato «Rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche»), in vigore anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), nei commi da 4 a 8 disciplinava la possibilità dell’Ufficio, «in base ad elementi e circostanze di fatto certi», di «determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze» (c.d. “accertamento sintetico”).

Ai fini delle controversie in esame particolare rilevanza assume la norma contenuta nel sesto comma del previgente art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, in base alla quale «il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta». Tale norma consentiva quindi al contribuente di provare, in contraddittorio con l’ente accertatore prima dell’emissione dell’avviso di accertamento (c.d. “contraddittorio preventivo”), che il reddito determinabile sinteticamente trova giustificazione nel possesso di redditi non soggetti ad imposizione progressiva (perché esenti o soggetti ad imposizione sostituiva) o nel possesso di disponibilità finanziarie che originano da disinvestimenti patrimoniali o acquisizioni a titolo gratuito.

La norma sul contraddittorio preventivo, per effetto delle modifiche apportate dal D.L. n. 78/2010, è stata inserita nel settimo comma del novellato art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, con il seguente tenore letterale: «L’ufficio che procede alla determinazione sintetica del reddito complessivo ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento». Il primo comma dell’art. 22 del D.L. n. 78/2010 prevede che le modifiche apportate dal medesimo articolo hanno «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto» (il periodo di imposta 2009).

L’Amministrazione finanziaria, nei propri comportamenti concreti, ha sempre ritenuto che il preventivo contraddittorio disciplinato dal previgente sesto comma dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 non rappresentasse alcun obbligo (sanzionato con la nullità dell’atto impositivo) in capo all’ente accertatore e, conseguentemente, ha spesso notificato avvisi di accertamento alle persone fisiche senza che queste fossero mai state in grado di spiegare preventivamente l’eventuale insussistenza dei presupposti per procedere alla determinazione sintetica del loro reddito.

Nei casi delle controversie a cui si riferiscono le annotate sentenze il reddito è stato determinato sinteticamente sia mediante l’uso delle modalità di calcolo contenute nel D.M. 10 settembre 1992 (emanato in attuazione del quarto comma del previgente art. 38 del D.P.R. n. 600/1973), sia tenendo conto delle movimentazioni bancarie riconducibili al contribuente, ricostruite sulla base dei poteri istruttori di indagine finanziaria forniti agli Uffici tributari dall’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 (rubricato «Poteri degli uffici»).

Inutile dire che se il preventivo contraddittorio avesse potuto essere instaurato, probabilmente sarebbe stato abbastanza agevole evitare le controversie (1), vista la possibilità di dimostrare le fonti di finanziamento delle spese, vere o presunte (calcolate cioè attraverso gli «elementi indicativi di capacità contributiva» individuati dal D.M. 10 settembre 1992), sostenute dal contribuente nel corso dei periodi di imposta oggetto di accertamento, con vantaggio non solo per il contribuente stesso, ma anche per l’Amministrazione finanziaria. Infatti, prima ancora che una procedura obbligatoriamente imposta da una norma di legge, il colloquio con il contribuente dovrebbe essere una normale prassi che garantisce maggiore efficacia dell’azione amministrativa e un più civile rapporto con la persona fisica.

Ciò è particolarmente vero nel caso di persone che non esercitano alcuna attività lavorativa (di lavoro autonomo o di impresa) che si vedono recapitare un avviso di accertamento senza aver subito alcuna verifica fiscale (durante la quale acquisire consapevolezza delle intenzioni degli accertatori e, soprattutto, far valere le proprie osservazioni per smentire le presunzioni dell’Ufficio) o, addirittura, senza aver ricevuto alcun questionario dal quale desumere che l’Amministrazione finanziaria sta analizzando la propria posizione fiscale. Chi si occupa di queste problematiche sa, infatti, che gli Uffici vanno sovente a colpire soggetti passivi “marginali” (dal punto di vista della capacità contributiva) che, per imperizia o mera disattenzione, effettuano movimentazioni per contanti o movimentazioni bancarie, finalizzate a dare o ricevere aiuto economico, che nulla hanno a che vedere con la produzione di redditi imponibili. Se questa è la lotta all’evasione fiscale dubitiamo che sia rivolta nei confronti dei soggetti più appropriati e, cosa ancor più importante, che generi un adeguato flusso di entrate per l’erario.

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2. L’interpretazione delle modifiche apportate dal D.L. n. 78/2010 all’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973

Nelle annotate sentenze particolarmente interessante, rispetto a quanto emerge dalla giurisprudenza disponibile sull’argomento (sulla quale si tornerà nel prosieguo), è lo spunto interpretativo fornito alle norme di riscrittura dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, contenute nel D.L. n. 78/2010 che, all’art. 22, dispone, con il seguente inciso, lo scopo delle regole «al fine di adeguare l’accertamento sintetico al contesto socio-economico, mutato nel corso dell’ultimo decennio, rendendolo più efficiente e dotandolo di garanzie per il contribuente, anche mediante il contraddittorio». La Commissione provinciale di Milano osserva che «invero è inconsueto che il legislatore spieghi nella norma perché si è deciso di modificare la disposizione di legge, solitamente lo fa il Relatore in Relazione. Ritiene il Collegio che una volta che tanto avvenga id est quando il legislatore dà dignità e forza di legge alla ratio modificativa, questa stessa non assolve più ad una funzione di indirizzo interpretativo bensì proprio perché legge va applicata secondo il tenore delle parole nel contesto del sistema. Ne consegue che il testo di legge introduttivo ai commi innovati dell’art. 38 … legittima quanto meno per l’ultimo decennio il ritenere l’obbligatorietà del contraddittorio negli accertamenti in questione» (2).

La Commissione tributaria lombarda affronta anche il problema della apparente contraddizione tra la norma appena menzionata (che enfatizza l’adeguamento di un testo normativo che, conseguentemente, deve ritenersi applicabile, anche per il passato, nel contenuto della norma “adeguatrice”) e la disciplina transitoria contenuta nella seconda parte del primo comma dell’art. 22 del D.L. n. 78/2010, dove si dispone, come già detto sopra, che le modifiche apportate hanno «effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto» (il periodo di imposta 2009).

A tale riguardo «ritiene il Collegio che l’aporia sia solamente apparente giacché l’interpretazione sistematica porta a privilegiare i contenuti normativi della prima parte del primo comma nel senso che il principio del contraddittorio deve considerarsi pienamente vigente anche nel processo tributario quanto meno a far data della novellazione di rango costituzionale di fine secolo e dalla collegata emanazione, con la legge 212 del 2000, dello Statuto del contribuente».

Si osserva, come verrà meglio approfondito nel prosieguo della presente nota e nelle stesse sentenze, che non solo dalle disposizioni dello Statuto dei diritti del contribuente, ma anche dal testo del sesto comma del previgente art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, si poteva agevolmente desumere la sussistenza del diritto al preventivo contraddittorio in capo alla persona fisica soggetta alla determinazione sintetica del reddito.

3. Lo Statuto dei diritti del contribuente

Come ricordato dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, l’obbligatorietà del contraddittorio preventivo trova la sua autonoma fonte nello stesso Statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212. Molto è stato scritto sull’argomento, ma riteniamo che in merito alla rilevanza dello Statuto dei diritti del contribuente in quanto fonte di previsioni normative aventi la valenza di principi generali dell’ordinamento tributario, ivi incluso il generale diritto al contraddittorio spettante al contribuente in sede di accertamento tributario, un’efficacissima sintesi si trovi in una recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (3).

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In particolare la Corte ha affermato che:

a) L’art. 1 della legge n. 212/2000 «stabilisce, al comma 1, che “le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”» (4).

b) «Anche se è consolidato il principio secondo il quale alle norme statutarie non può essere attribuito, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria (e quindi esse non costituiscono, neppure come norme interposte, parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale) (da ult., Corte Cost., ord. n. 112/2013; Cass. nn. 8254/2009, 8145/2011), tuttavia alla specifica “clausola rafforzativa” di autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come “principi generali dell’ordinamento tributario” non può non essere attribuito un preciso valore normativo: quest’ultima espressione, in particolare, e per quanto qui interessa, deve essere intesa nel significato di “principi generali del diritto, dell’azione amministrativa e dell’ordinamento tributari” e si riferisce evidentemente, in primo luogo, a quelle disposizioni statutarie che dettano norme volte ad assicurare la trasparenza e il buon andamento dell’attività amministrativa e ad orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario (Cass. n. 17576/2002) (5). A buona parte di dette disposizioni va attribuito il ruolo di espressione di principi immanenti nell’ordinamento tributario, già prima dell’entrata in vigore dello Statuto, e quindi di criteri guida per orientare l’interprete nell’esegesi delle norme, anche anteriormente vigenti (oltre a Cass. n. 17576/2002, cit., cfr. Cass. nn. 7080/2004, 9407/2005, 21513/2006, 9308/2013)».

c) «Nell’ambito delle norme statutarie, l’art. 12 assume una rilevanza del tutto peculiare, in ragione del suo oggetto (Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali) e delle finalità perseguite. L’incipit del comma 7, in particolare, nel richiamare il “rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente”, qualifica chiaramente la norma come espressiva dei principi di “collaborazione” e “buona fede”, i quali, ai sensi del precedente art. 10, comma 1, devono improntare i rapporti tra contribuente e fisco e vanno considerati (analogamente al principio di tutela dell’affidamento, più specificamente contemplato nel comma 2 dello stesso art. 10) quali diretta applicazione dei principi costituzionali di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), di capacità contributiva (art. 53) e di uguaglianza, intesa sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3), e quindi, in definitiva, come fondamenti dello Stato di diritto e canoni di civiltà giuridica (cfr., tra le altre, oltre a quelle già indicate, Cass. nn. 24217/2008, 3559 e 25197 del 2009, 21070/2011, 6627/2013)».

d) «La norma [l’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, n.d.a.], poi, introduce nell’ordinamento una particolare e concreta forma di “collaborazione” tra amministrazione e contribuente, attraverso la previsione di un termine dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, prima della cui scadenza, e salvo le eccezioni di cui si dirà, l’atto impositivo come la norma prescrive con espressione “forte” “non può essere emanato”: tale intervallo temporale è destinato a favorire l’interlocuzione tra le parti anteriormente alla (eventuale) emissione del provvedimento, e cioè il contraddittorio procedimentale».

e) «Quest’ultimo è andato assumendo, in giurisprudenza e in dottrina (e nella stessa legislazione), proprio con specifico riferimento alla materia tributaria, un valore sempre maggiore, quale strumento diretto non solo a garantire il contribuente, ma anche ad assicurare il migliore esercizio della potestà impositiva, il quale, nell’interesse anche dell’ente impositore, risulterà tanto più efficace, quanto più si rivelerà conformato ed adeguato proprio in virtù del dialogo tra le parti, ove reso possibile alla situazione del contribuente, con evidenti riflessi positivi anche in termini di deflazione del contenzioso (se non, ancor prima, nel senso di indurre l’amministrazione ad astenersi da pretese tributarie ritenute al fine infondate)» (6).

La Commissione tributaria provinciale di Milano ha, quindi, correttamente interpretato la “novella” legislativa del D.L. n. 78/2010 sulla base del tenore letterale della prima parte del primo comma del suo art. 22, eliminando l’apparente contraddizione con la regola transitoria della seconda parte del medesimo primo comma, alla luce dei principi generali dello Statuto dei diritti del contribuente come chiaramente enunciati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, quantomeno sul fronte dell’obbligatorietà del contraddittorio, consentono di concludere che il predetto D.L. n. 78/2010 non introduce nulla di nuovo o ulteriore rispetto alle regole previgenti. Di notevole rilevanza è altresì l’osservazione secondo la quale l’art. 1 dello Statuto dei diritti del contribuente stabilisce che le norme in esso contenute «possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali» e, come viene enfatizzato nelle sentenze in commento, «la seconda parte del comma primo dell’art. 22 della legge 78 del 2010 non contiene alcuna dichiarazione espressa di richiamo alla facoltà di eccezione di cui all’art. 1 della legge 212/00 e della eventuale voluntas legis di esercizio della detta facoltà sicché appare quanto meno dubbio che la mera indicazione delle modalità di individuazione del dies a quo di vigenza del novellato art. 38 della Legge 600 del 1973 sia sufficiente a soddisfare le sopra ricordate rafforzate a tutela dell’effettività dei principi dello Statuto del contribuente di cui è diretta conseguenza applicativa lo scopo della norma fatto esso stesso norma della prima parte del primo comma del più volte citato art. 22».

Peraltro è la stessa Agenzia delle entrate a sostenere quanto affermato nelle annotate sentenze della Commissione tributaria provinciale di Milano. Infatti, l’applicabilità dello Statuto dei diritti del contribuente in tema di diritto al preventivo contraddittorio in sede di accertamento sintetico è stata direttamente affermata nella circolare 15 febbraio 2011, n. 4/E (7), dove, al paragrafo 5, commentando le modifiche all’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 apportate dall’art. 22 del D.L. n. 78/2010, precisa che «in linea con le disposizioni contenute nella legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), l’ufficio finanziario che procede all’accertamento sintetico del reddito complessivo ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o a mezzo di rappresentante per fornire eventuali elementi di prova a proprio favore, e solo successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione».

Non vi è il minimo dubbio che le disposizioni dello Statuto preesistessero alle modifiche apportate all’art. 38 dal D.L. n. 78/2010, e pertanto non è comprensibile come gli Uffici finanziari possano sostenere che le disposizioni sul preventivo contraddittorio non fossero già applicabili anche per gli accertamenti relativi ai periodi di imposta anteriori al 2009, visto che la “novella” del 2010 sul contraddittorio deve ritenersi “in linea” con lo Statuto stesso.

4. La natura procedurale delle norme sull’accertamento sintetico

Oltre alle considerazioni svolte sopra ed accolte dalle sentenze in esame vi è un’ulteriore argomentazione a sostegno della obbligatorietà del contraddittorio, posto che nel caso di cui si tratta gli accertamenti sono stati notificati successivamente all’entrata in vigore del D.L. n. 78/2010. In particolare va notato che le norme di “adeguamento” dell’accertamento sintetico, contenute nel D.L. n. 78/2010, hanno natura procedurale e non sostanziale (cioè non introducono nuove fattispecie impositive). La stessa prassi dell’Amministrazione finanziaria condivide la distinzione tra norme sostanziali e procedurali riconoscendo, per queste ultime, il carattere retroattivo (8). Al riguardo si ricorda che la giurisprudenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con riferimento agli studi di settore (9) che, come approfondito nel prosieguo, appartengono alla categoria dei c.d. “accertamenti standardizzati” (nella quale rientra sicuramente anche l’accertamento sintetico basato sul c.d. redditometro), ha affermato che in tale metodologia di determinazione del reddito deve prevalere lo strumento più recente, con conseguente applicazione retroattiva dello standard più affinato e pertanto più affidabile (10).

5. L’interpretazione letterale dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1972, nel testo previgente

Come sopra ricordato, il sesto comma dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, nel testo previgente alle modifiche apportate dal D.L. n. 78/2010, disponeva che «il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta».

Avuto riguardo alla lettera della norma, è manifestamente evidente che perché il contribuente possa esercitare la facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che lo stesso sia infondato, è necessario che il contribuente disponga della possibilità di un preventivo contraddittorio, cosa che è concretamente attuabile solo se l’Amministrazione finanziaria convochi il contribuente stesso anteriormente all’emissione dell’accertamento. In altri termini si ritiene che dalla menzionata norma derivi un obbligo per l’Amministrazione finanziaria di porre in essere un contraddittorio preventivo con il contribuente, al quale quest’ultimo ha la facoltà di accedervi o meno (altrimenti la facoltà del contribuente non sarebbe esercitabile). Se così non fosse non si comprenderebbe la portata e l’utilità di una simile disposizione.

Peraltro è più che comprensibile la ratio della citata norma che è quella di consentire a un contribuente al quale vengono determinati redditi in via del tutto presuntiva (senza alcuna attività di verifica sul campo o l’invio preventivo di questionari, come avviene normalmente nelle verifiche fiscali agli esercenti impresa od arti e professioni), di giustificare le operazioni dalle quali vengono presunti redditi prodotti e, comunque, di giustificare qualsiasi altra presunzione proposta dall’ente accertatore con l’ovvio scopo di evitare accertamenti privi di fondamento e le conseguenti attività, sia in capo all’amministrazione, sia in capo al contribuente, rappresentate rispettivamente dall’accertamento e dalle difese in sede contenziosa, che sono onerose per entrambi.

Le annotate sentenze della Commissione tributaria provinciale di Milano accolgono il ragionamento appena svolto, affermando che l’esercizio della facoltà di dimostrare che non vi sono redditi imponibili prima dell’emissione dell’accertamento «ha come sostrato che la consente la necessità di un preventivo contraddittorio che non può che estrinsecarsi in una comunicazione dell’ufficio che avvertendo che si sta per emettere l’accertamento invita la parte ad interloquire» (11).

Da ultimo, si ricorda che la stessa Amministrazione finanziaria aveva ben presente la necessità di attivare un contraddittorio preventivo con il contribuente. Si menziona, innanzitutto, la circolare 30 aprile 1999, n. 101/E (12), dove si afferma che «per quanto attiene agli aspetti procedurali, si segnala in primo luogo la necessità di permettere al contribuente di provare preventivamente che il reddito determinabile sinteticamente trova giustificazione, in tutto o in parte, nel possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva, ovvero in altre circostanze di fatto quali, ad esempio, disinvestimenti patrimoniali, percezione di indennizzi che legittimamente non hanno concorso alla determinazione del reddito, atti di liberalità degli ascendenti». Inoltre, l’Agenzia delle entrate, nella circolare 9 agosto 2007, n. 49/E (13), paragrafo 4.2, nell’istruire gli Uffici precisa che «per ciascun contribuente selezionato e inserito nel piano dei controlli sostanziali, al fine di valutarne la complessiva posizione fiscale, è necessario preliminarmente notificare una comunicazione informativa circa gli elementi di capacità contributiva disponibili per i periodi d’imposta oggetto di controllo e del relativo reddito complessivo netto accertabile determinato sinteticamente, con invito ad avvalersi della facoltà prevista dall’art. 38 sesto comma del D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 4 del decreto ministeriale 10 settembre 1992 e successive integrazioni e modificazioni».

6. La giurisprudenza italiana ed europea sul diritto al contraddittorio preventivo

Diverse sono le sentenze nazionali che affrontano il problema del diritto al contraddittorio, alcune delle quali con riferimento ai cosiddetti accertamenti “standardizzati” alla cui categoria appartiene, ovviamente, anche l’accertamento sintetico basato sugli indici presuntivi previsti dai decreti ministeriali (c.d. redditometro).

Si ricorda, innanzitutto, la sentenza della Corte di Cassazione del 7 febbraio 2008, n. 2816 (14), menzionata nelle annotate sentenze, dove si legge come «anche se non sia espressamente previsto, il contraddittorio procedimentale amministrativo sia necessario anche in materia tributaria in forza del principio generale dell’azione amministrativa del giusto procedimento, trattandosi di applicare ad un caso di specie ultima dei criteri elaborati per categorie di soggetti e con efficacia di presunzione semplice, che comporta l’inversione dell’onere della prova e il suo caricamento sulle spalle del contribuente».

Inoltre, la citata sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 18 dicembre 2009, n. 26635, secondo la quale la «procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri … costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente» (15).

Infine, con specifico riferimento ad un avviso di accertamento con il quale il reddito viene determinato sinteticamente, deve essere menzionata la sentenza della Corte di Cassazione 17 giugno 2011, n. 13289 (16), dove, dopo un espresso richiamo della sentenza n. 26635/2009, già citata, si legge che «la procedura di accertamento tributario standardizzato … nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente» (17). Si segnala che la menzionata sentenza n. 13289/2011 è stata recepita in varie decisioni delle Commissioni tributarie (18).

Di notevole interesse, nelle sentenze in commento, è altresì il richiamo alla giurisprudenza comunitaria e, in particolare, alla pronuncia della Corte di Giustizia europea 18 dicembre 2008, causa C-349/07 (Sopropè) (19), per la quale «un termine … concesso … affinché [il contribuente, n.d.a.] presenti le proprie osservazioni è … conforme alle prescrizioni del diritto comunitario» (20).

Per la Corte di Giustizia il diritto al contraddittorio rappresenta un principio generale e fondamentale riconosciuto dal diritto comunitario e quindi immediatamente applicabile pure dalle normative interne degli Stati membri, anche se da queste non espressamente contemplato. Secondo i giudici comunitari l’obbligo di contraddire col contribuente incombe «quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità».

Si ricorda che le decisioni della Corte di Giustizia non sono utilizzabili come parametri del giudizio di costituzionalità, quali norme interposte al fine di dedurre la violazione dell’art. 11 Cost. (limitazione della sovranità dello Stato Italiano per effetto della stipula di trattati internazionali), sicché il contrasto rileverebbe per il potere del giudice a quo di non applicare la norma nazionale al fine di non incorrere nella violazione del diritto comunitario, comportamento correttamente seguito dalla Commissione tributaria provinciale di Milano nelle sentenze di cui si tratta.

Su tale tema si ricorda, in aggiunta, che nell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, vi è un espresso richiamo alle regole derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea posto che, nella definizione dei principi generali dell’attività amministrativa, si legge che «l’attività amministrativa (21) persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario».

7. L’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973

Nelle annotate sentenze c’è un rapido accenno anche all’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, dovuto al fatto che l’ente accertatore aveva negato la sussistenza del diritto al contraddittorio in quanto il citato art. 32, nella parte in cui prevede la possibilità di invitare il contribuente a fornire, in ordine agli accertamenti bancari, chiarimenti, dati e notizie, dispone – nell’opinione dell’Amministrazione finanziaria – una mera facoltà dell’Ufficio, da esercitarsi in piena discrezionalità, e non quindi l’obbligo di uno specifico e previo invito in tal senso, sicché dal mancato esercizio di tale facoltà non potrebbe derivare alcuna illegittimità della rettifica operata sulla base degli accertamenti stessi (22).

L’opinione dell’Amministrazione finanziaria – recepita in diverse sentenze della Corte di Cassazione (23) – oltre a non essere condivisibile, non assume alcuna rilevanza ai fini della fattispecie dell’accertamento sintetico di cui si sono occupate le sentenze in esame. Infatti, le sentenze affermano che la disciplina dell’art. 32 rappresenta «regiudicanda diversa (art. 32) rispetto al tema invocato (art. 38)» ricordando che «il punto centrale è l’omesso contraddittorio e non l’utilizzo degli strumenti di legge da parte dell’Ufficio». In altre parole, l’art. 32, rispetto all’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, si pone in un rapporto di mezzo (strumento di indagine) a fine (accertamento di un reddito determinato sinteticamente che, necessariamente, deve essere preceduto da un preventivo contraddittorio con il contribuente).

Inoltre va considerato che il preventivo contraddittorio previsto nelle norme procedurali contenute nell’art. 32 non è disciplinato in modo sovrapponibile rispetto a quello regolamentato nella norma contenuta nel sesto comma dell’art. 38 del medesimo D.P.R. n. 600/1973, nel testo previgente, o nel settimo comma dell’art. 38, nel testo “adeguato” dal D.L. n. 78/2010.

Va infatti evidenziato che la copiosa giurisprudenza di legittimità che (discutibilmente) nega al contribuente il diritto al contraddittorio nel caso di indagini finanziarie condotte a norma dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, si riferisce alla determinazione del reddito di impresa e di lavoro autonomo e del volume di affari ai fini dell’IVA, fattispecie ben diverse dal reddito determinato sinteticamente a norma dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973.

Da ultimo, si ricorda la perdurante centralità del disposto del tuttora vigente art. 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, per il quale «le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale», principio ribadito nello Statuto dei diritti del contribuente, il cui art. 12, quarto comma, è categorico nel delineare la funzione del verbale di constatazione quale strumento di tutela nella fase di verifica (24). Di talché anche le indagini bancarie svolte a norma dell’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 dovrebbero concludersi con un processo verbale, rendendo possibile l’esercizio del diritto spettante al contribuente di produrre le proprie osservazioni prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, a norma del settimo comma dell’art. 12 della citata legge n. 212/2000.

Dott. Alvise Weisz

(1) Nello specifico caso delle sentenze annotate si evince, tuttavia, che non solo l’avviso di accertamento non è stato preceduto da alcun contraddittorio, ma anche che il tentativo di autotutela non ha avuto alcun seguito. Peraltro è ben noto che i tempi e i modi di gestione di quest’ultimo istituto sono molto diversi da quelli che caratterizzano (o dovrebbero caratterizzare) un contraddittorio che precede l’emissione dell’avviso di accertamento.

(2) In tale senso si è espresso anche S. Fiaccadori, L’obbligo del contraddittorio preventivo nell’accertamento sintetico, in il fisco, 2013, 4615, dove si legge che «persino la circostanza che il legislatore si sia affrettato ad affermare che l’adeguamento di questa tipologia di accertamenti sia stata prevista per meglio [rappresentare, n.d.a.] ilcontesto socio-economico dell’ultimo decennio” è ulteriore testimonianza che esso sia il frutto di un processo di studio e di adattamento sufficientemente lungo da comprendere anche le annualità precedenti al 2010, anno di emanazione delle modifiche normative e quindi tale evoluzione ben si può applicare anche al passato recente».

(3) Cfr. Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428, con note di V. Azzoni, Sessanta e non piu sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?; F. Del Torchio, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza; e U. Perrucci, La “sanzione’’ dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte.

(4) Sul punto si veda anche Cass., sez. trib., 14 aprile 2004, n. 7080, in Boll. Trib., 2004, 1339.

(5) Cfr. Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576, in Boll. Trib., 2003, 777.

(6) Autorevole dottrina ha osservato che «la partecipazione nel procedimento tributario, in quanto costituisce un canone non generale di azione, ma solo un modello procedimentale previsto in rare ipotesi, assume per ciò solo un peso diverso da quello ordinariamente rivestito nel procedimento amministrativo generale. È evidente, infatti, che, proprio per questo, nelle fattispecie in relazione alle quali è stato previsto, il contraddittorio assume un ruolo peculiare che impedisce di degradarne la relativa violazione a mero vizio di forma, di per sé irrilevante»: così A. Fantozzi, Violazioni del contraddittorio e invalidità degli atti tributari, in Riv. dir. trib., 2011, I, 137.

(7) In Boll. Trib., 2011, 272.

(8) Si menziona, ad esempio, la circ. 16 marzo 2005, n. 10/E, par. 3.8, in Boll. Trib., 2005, 438, dove relativamente alla retroattività delle novità sugli accertamenti bancari era stato affermato che «le disposizioni introdotte con i commi 402, 403, 404 della legge n. 311/2004 – ampliative dei poteri di indagine bancaria a disposizione del Fisco – in quanto aventi ad oggetto poteri istruttori, hanno natura procedimentale. Da tale natura deriva che, gli effetti da esse prodotte, si riflettono a carico dei contribuenti anche per gli anni pregressi, con riguardo a tutti gli anni accertabili alla data di effettuazione del controllo». Interpretazione giuridicamente ineccepibile e anche scontata visto che si tratta di una norma la cui retroattività avvantaggia l’Amministrazione finanziaria. Tuttavia, nello specifico caso dell’accertamento sintetico dove la retroattività avvantaggia (o potrebbe avvantaggiare) il contribuente, l’Agenzia delle entrate ha affermato che «la disposizione introdotta dall’art. 22 del decreto legge n. 78/2010, alla quale il decreto del 24 dicembre 2012 dà piena attuazione, prevede espressamente che le modifiche all’articolo 38, commi quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo del D.P.R. n. 600 del 1973 hanno “effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del … decreto”, ossia per gli accertamenti relativi ai redditi dell’anno 2009 e seguenti» (cfr. circ. 15 febbraio 2013, n. 1/E, risposta 1.3, in Boll. Trib., 2013, 274).

(9) Cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, tutte in Boll. Trib., 2010, 303, con nota di M. Proietti, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite.

(10) S. Fiaccadori, L’obbligo del contraddittorio preventivo nell’accertamento sintetico, cit., 4620, precisa che «non vi è dubbio che siamo di fronte ad un obbligo con chiari ed espliciti connotati di natura procedimentale e quindi al di là della circostanza che si voglia seguire l’impostazione della retroattività o irretroattività del nuovo accertamento sintetico, nel caso specifico del contraddittorio, stante la inequivocabile previsione legislativa di cui al comma 7 dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, tale onere preventivo e vincolante ricade sull’ufficio accertante fin dal 31 maggio 2010 anche per le annualità pregresse». Su tale linea si vedano anche Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. II, 18 aprile 2013, n. 74, in Boll. Trib., 2013, 1118, con nota di P. Accordino, Criticità diffuse del nuovo redditometro; e Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. I, 9 ottobre 2012, n. 272, in Boll. Trib. On-line.

(11) In tale senso, oltre vent’anni fa, si era già espressa autorevole dottrina (I. Manzoni, Potere di accertamento e tutela del contribuente, Milano, 1993, 346 ss.) secondo cui «il fatto che la legge attribuisca al contribuente una mera “facoltà” significa solo questo: che, ove l’ufficio comunichi formalmente al contribuente l’intenzione di emettere nei suoi confronti un atto di accertamento sintetico e formalmente lo inviti a dichiarare l’eventuale sussistenza di redditi esenti o tassati alla fonte a titolo d’imposta (o altre notizie all’uopo rilevanti), il contribuente resta comunque libero di dare prova dell’esistenza di tali elementi anche in sede di impugnazione dell’atto di accertamento, senza essere necessariamente obbligato a darla preventivamente. “Facoltà”, infatti, indica una semplice possibilità e non un obbligo. Ma non significa affatto, a contrario, che il contribuente non abbia diritto di esercitare una tale facoltà e non abbia, quindi, il diritto di essere messo concretamente in grado di poter spiegare, prima che gli venga notificato l’accertamento, le ragioni che giustificano la sua maggiore capacità di spesa rispetto al reddito dichiarato. Non avrebbe senso attribuire al contribuente una tale “facoltà”, se poi gli si negasse il diritto di esercitarla, se non fosse lo stesso ufficio a metterlo formalmente in grado di farlo. Un’interpretazione d’ordine logico e sistematico del sesto comma dell’art. 38 porta, quindi, ad affermare che l’ufficio … deve, comunque, prima di notificare un avviso di accertamento sintetico, invitare formalmente il contribuente ad esercitare la facoltà ivi prevista, così da evitargli l’onere di un’ingiustificata provvisoria iscrizione a ruolo della maggiore imposta sinteticamente determinata. Formalità il cui adempimento deve, pertanto, ritenersi costituire una vera e propria condizione di legittimità dell’atto di accertamento e la sua inosservanza causa di invalidità (annullabilità) dell’atto». Ulteriore dottrina ha sostenuto l’obbligatorietà del contraddittorio per effetto della norma contenuta nel sesto comma del previgente art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. In particolare si ricordano L. Tosi, Le predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, Milano, 1999, 388; e G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, 2010, 493, dove si legge che «l’invio di una “richiesta di chiarimenti” (e la conseguente instaurazione del contraddittorio) viene ritenuto obbligatorio per l’Ufficio procedente nelle seguenti ipotesi: a) negli accertamenti fondati sul c.d. metodo sintetico di determinazione del reddito complessivo, al fine di porre il contribuente nella condizione di esercitare concretamente quella facoltà di dimostrare l’esistenza di circostanze impeditive all’operare del “redditometro” che gli è riconosciuta dall’art. 38, comma 6, d.p.r. n. 600/1973». Si veda inoltre Comm. trib. reg. della Puglia, sez. XI, 27 gennaio 2012, n. 9, in Boll. Trib. On-line.

(12) In Boll. Trib., 1999, 734.

(13) In Boll. Trib., 2007, 1294.

(14) In Boll. Trib. On-line.

(15) Si veda anche la relazione n. 94 del 9 luglio 2009 dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di Cassazione.

(16) In Boll. Trib., 2012, 215, con nota di V. Azzoni, Brevi note sul divieto di utilizzazione giudiziale dei documenti sottratti all’accertamento e sul divieto di richiedere documenti già in possesso dell’Amministrazione finanziaria.

(17) Va segnalato, peraltro, che il contraddittorio non può ridursi ad una mera formalità. Circa la effettiva consistenza del contraddittorio è utile ricordare Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. III, 4 marzo 2013, n. 57, in Boll. Trib. On-line, dove si legge che «facendo ora applicazione, alla fattispecie dedotta in giudizio, del suddetto principio di diritto [diritto al preventivo contraddittorio, n.d.a.], che fa buon uso dei principii costituzionali di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione nonché di buona fede, che devono, sempre, governare i rapporti tra Cittadini e pubblica Amministrazione, non può che conseguirne l’annullamento degli atti impugnati per difetto di motivazione, posto che negli stessi non viene fatto alcun riferimento alla documentazione ed alle deduzioni prodotte dal Ricorrente in sede precontenziosa, non venendo dunque svolta dall’Agenzia, alcuna attività di replica “anticipata” alle stesse». In altri termini, il confronto tra contribuente ed ente accertatore non può essere “di facciata”, ma deve essere utilizzato come elemento istruttorio per l’Ufficio e come strumento di difesa per il contribuente. Pertanto, qualora nell’atto impositivo non si riporti quanto emerso nella fase precontenziosa e, in particolare, non vengano addotte le ragioni per le quali le osservazioni del contribuente devono considerarsi prive di rilevanza probatoria, l’avviso di accertamento deve considerarsi viziato perché non motivato in quanto non specifica, né controbatte alle ragioni difensive espresse, né spiega perché queste siano state ritenute inconsistenti o insufficienti.

(18) Cfr., ad esempio, Comm. trib. prov. di Lecco, sez. II, 20 maggio 2013, n. 87; Comm. trib. prov. di Bari, sez. I, 10 maggio 2013, n. 146; e Comm. trib. prov. di Torino, sez. IV, 8 gennaio 2013, n. 3; tutte in Boll. Trib. On-line.

(19) In Boll. Trib. On-line, e richiamata anche da Cass. n. 18184/2013, cit., precedentemente commentata con riferimento alla valenza generale del principio del diritto al contraddittorio emergente dallo Statuto dei diritti del contribuente.

(20) Cfr. sul punto A. Marcheselli, Il diritto al contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario, in Riv. giur. trib., 2009, 203; e G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., 495; in particolare, quest’ultimo osserva che con la menzionata decisione «la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che, qualora l’Amministrazione finanziaria si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto lesivo, essa deve instaurare il contraddittorio con il contribuente, al fine di consentirgli di manifestare la sua posizione in merito agli elementi sui quali intende basare la rettifica». Altra giurisprudenza comunitaria ha affermato che «il rispetto del principio dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo, in particolare in un procedimento che possa condurre a sanzioni, costituisce, come la Corte ha statuito a più riprese, un principio fondamentale del diritto comunitario. Tale principio impone che i destinatari di decisioni che pregiudichino in maniera sensibile i loro interessi siano messi in condizione di formulare utilmente le proprie osservazioni» (cfr. Corte Giust. CE 12 dicembre 2002, causa C-395/00, par. 51, in Boll. Trib. On-line, e la giurisprudenza comunitaria ivi richiamata).

(21) Il procedimento tributario è unanimemente riconosciuto come parte del più ampio procedimento amministrativo, retto dalla più volte modificata legge 7 agosto 1990, n. 241.

(22) Cfr. Cass., sez. trib., 26 giugno 2006, n. 14675, in Boll. Trib. On-line.

(23) Oltre alla sentenza richiamata nella nota precedente cfr. Cass., sez. trib., 5 febbraio 2009, n. 2752, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 18 gennaio 2002, n. 518, ivi; Cass., sez. trib., 26 febbraio 2002, n. 2814, ivi; Cass., sez. trib., 29 marzo 2002, n. 4601, in Boll. Trib., 2003, 617; Cass., sez. trib., 17 maggio 2002, n. 7267, ivi, 2002, 1099; Cass., sez. trib., 2 dicembre 2005, n. 26293; Cass., sez. trib., 27 giugno 2005, n. 13808; Cass., sez. trib., 23 marzo 2007, n. 7171; Cass., sez. trib., 27 luglio 2007, n. 16720; Cass., sez. trib., 7 settembre 2007, n. 18868; e Cass., sez. trib., 23 gennaio 2008, n. 1405; queste ultime tutte in Boll. Trib. On-line.

(24) In tale senso si sono espresse Comm. trib. reg. della Toscana, sez. VIII, 23 ottobre 2009, n. 68; e Comm. trib. I grado di Trento, sez. I, 2 gennaio 2013, n. 1; entrambe in Boll. Trib. On-line. Per approfondimenti si veda M. Beghin, L’obbligo della previa consegna del processo verbale di constatazione e il problema delle “leggi fantasma”, in Corr. trib., 2014, 167.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento sintetico – Redditometro – Obbligo di preventivo contraddittorio con il contribuente – Sussiste – Art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, nel testo modificato dall’art. 22 del D.L. n. 78/2010, applicabile anche con efficacia retroattiva – Mancanza del contraddittorio – Invalidità dell’accertamento – Consegue.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento sintetico – Redditometro – Natura di presunzione semplice con inversione dell’onere probatorio – Insufficienza degli indici presuntivi per l’accertamento – Consegue – Mero scostamento del reddito dichiarato rispetto a quello determinabile con gli standards – Insufficienza – Necessità del preventivo contraddittorio con il contribuente – Sussiste – Mancanza del contraddittorio – Invalidità dell’accertamento – Consegue.

Va riconosciuta efficacia retroattiva alle disposizioni contenute nel testo dell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, così come modificato dall’art. 22 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), riguardo all’obbligatorietà del contraddittorio preventivo con il contribuente nel procedimento di accertamento sintetico del reddito complessivo netto, con conseguente invalidità dell’avviso di accertamento adottato a carico del contribuente che non sia stato preceduto dall’invito rivoltogli dall’Ufficio finanziario affinché detto contraddittorio venga esperito, e fermo peraltro restando che la mancata instaurazione del contraddittorio preventivo col contribuente che sia stato tempestivamente promosso da quest’ultimo rende comunque illegittimo il procedimento seguito dall’Ufficio medesimo, comportando di per sé l’annullamento del relativo avviso di accertamento.

Anche ai fini dell’accertamento sintetico del reddito complessivo netto del contribuente di cui all’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è indispensabile il preventivo contraddittorio procedimentale, da reputarsi necessario quale regola generale dell’azione amministrativa in forza del principio del giusto procedimento, trattandosi di applicare al caso concreto dei criteri elaborati per categorie di soggetti con efficacia di presunzione semplice comportante l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, di talché anche in tale ipotesi vale il principio secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione di coefficienti induttivi costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è dalla legge predeterminata in base allo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati, meri strumenti di ricostruzione per l’elaborazione statistica della normale redditività, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente col contribuente, a pena di nullità dell’accertamento.

[Commissione trib. provinciale di Milano, sez. XLVII (Pres. Piccinni Leopardi, rel. Mazza), 8 gennaio 2014, sent. nn. 45 e 46]

IN FATTO E IN DIRITTO – Per il tramite del suo difensore P.A. ha impugnato l’avviso di accertamento n. … del 2010 con cui l’Ufficio resistente, con la procedura di cui all’art. 38 comma quarto, quinto, sesto e settimo del dpr 600 del 1973, aveva accertato per l’anno di imposta 2005 nei confronti del contribuente ricorrente un reddito imponibile del 2004 ai fini IRPEF e relative addizionali di euro 204.456,03.

Il ricorrente lamentava la illegittimità della pretesa tributaria per vizi di forma e per travisamento del merito ed erronea ricostruzione della situazione di fatto ed in ogni caso concludeva per l’annullamento dell’atto. In subordine ed in via gradata chiedeva la sospensione del procedimento per la incostituzionalità delle norme così come applicate, l’annullamento di tutte le presunzioni ed infine di non ritenere applicabili le sanzioni, era proposta altresì istanza cautelare sulla quale si dichiarava non luogo a provvedere perché “l’atto costituito da un avviso di accertamento per se stesso è privo di efficacia esecutiva”.

Il ricorrente ricorda nell’atto introduttivo il fatto che – come ricevuto il citato avviso di accertamento – tempestivamente depositava presso l’Ufficio istanza di autotutela, che ha allegato al ricorso in uno con tutti i relativi allegati, con la quale riteneva di aver dato all’Ufficio stesso la prova che il reddito determinato sinteticamente doveva ritenersi inesistente in quanto il suo assistito ha utilizzato somme che erano già nella sua disponibilità senza che vi fosse stata alcuna produzione di reddito imponibile e lamenta di non aver ricevuto alcun riscontro alla detta istanza.

Ritiene il Collegio, esaminate in modo approfondito sia la tesi del ricorrente sia le controdeduzioni sul punto della resistente (argomentazioni tutte di cui si darà di seguito conto), che il primo motivo di doglianza sotto il profilo formale sia fondato e poiché esso argomento ha natura ed efficacia dirimente ne consegue che il suo accoglimento rende superfluo l’esame delle argomentazioni degli, e le controdeduzioni sugli, altri motivi principali e subordinati del ricorso.

È ben noto al Collegio il mutamento operato dal DL 78 del 2010 alle diverse disposizioni di legge dell’articolo 38 e che esse innovate norme siano ritenute come applicabili agli accertamenti relativi ai redditi conseguiti nel periodo d’imposta per il quale alla data di emanazione del medesimo decreto non erano ancora scaduti i termini di presentazione della dichiarazione mentre si ritiene che gli accertamenti relativi ai periodi di imposta precedenti continuano ad essere regolati dal previgente testo dell’articolo 38.

La lettura però del comma 1 dell’art. 22 del DL 78/10 nella parte in cui spiega la ratio della innovazione normativa consente conclusioni diverse rispetto a quelle prese nella seconda parte dello stesso comma primo. Invero è inconsueto che il legislatore spieghi nella norma perché si è deciso di modificare la disposizione di legge, solitamente lo fa il Relatore in Relazione. Ritiene il Collegio che una volta che tanto avvenga id est quando il legislatore dà dignità e forza di legge alla ratio modificativa, questa stessa non assolve più ad una funzione di indirizzo interpretativo bensì proprio perché legge va applicata secondo il tenore delle parole nel contesto del sistema.

Ne consegue che il testo di legge introduttivo ai commi innovati dell’art. 38 “al fine di adeguare l’accertamento sintetico al contesto socio-economico, mutato nel corso dell’ultimo decennio, rendendolo più efficiente e dotandolo di garanzie per il contribuente, anche mediante il contraddittorio, all’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600,” legittima – quanto meno per l’ultimo decennio – il ritenere l’obbligatorietà del contraddittorio negli accertamenti in questione.

La seconda parte del primo comma però pare contraddire la prima perché restringe l’operatività della disposizione al futuro riservando esso obbligo di contraddittorio agli “accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Ritiene il Collegio che l’aporia sia solamente apparente giacché l’interpretazione sistematica porta a privilegiare i contenuti normativi della prima parte del primo comma nel senso che il principio del contraddittorio deve considerarsi pienamente vigente anche nel processo tributario quanto meno a far data dalla novellazione di rango costituzionale di fine secolo e dalla collegata emanazione, con la legge 212 del 2000, dello Statuto del Contribuente, corpo di norme munito dal legislatore di clausola rafforzativa di autoqualificazione delle norme stesse in quanto attuative delle norme costituzionali (così Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17576 del 10/12/2002 (1), Rv. 559127) sicché quanto viene esplicitato nella novellazione ordinaria sopra citata altro non è che il riconoscimento in positivo di un valore immanente del sistema – il contraddittorio appunto – la cui assenza non può che esitare l’annullamento dell’atto.

Il ricorrente ha infatti protestato che il comma 6 dell’art. 38 D.P.R. 600/1973 nel testo in allora vigente, in base al quale “il contribuente ha facoltà di dimostrare, anche prima della notificazione dell’accertamento, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” significa che l’esercizio di essa facoltà ha come sostrato che le consente la necessità di un preventivo contraddittorio che non può che estrinsecarsi in una comunicazione dell’ufficio che avvertendo che si sta per emettere l’accertamento invita la parte ad interloquire.

La lettura data dal ricorrente dell’allora vigente comma sesto dell’articolo 38 che già ha in sé i propri elementi di fondatezza, trova altresì pieno sostegno nella legge 27 luglio 2000 n. 212, meglio conosciuta come Statuto dei diritti del contribuente, che – ai sensi dell’articolo uno comma primo – per il suo contenuto attuativo dei principi generali dell’Ordinamento ed in particolare degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione ha valenza rinforzata rispetto alle altre norme primarie in campo tributario (valga per tutte, Cass. 14 aprile 2004 n. 7080 (2)). Sono perciò previsti a tutela dei contribuenti, fra gli altri, i diritti di informazione (art. 5), di conoscenza degli atti (art. 6), di chiarezza e motivazione delle pretese avanzate nei confronti del contribuente (art. 7), di tutela dell’affidamento della buona fede, all’articolo 10 dove in particolare al comma primo si statuisce che i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede (Resta in tema di Legge 212/00 da svolgere un approfondimento sulla cogenza dei suoi principi di cui si dirà infra nel luogo proprio).

Della necessità del contraddittorio procedimentale antecedentemente alla legge 78 del 2010 quale regola generale dell’azione amministrativa in senso lato se ne trova espressione anche nella giurisprudenza di legittimità dove si legge che “anche se non sia espressamente previsto il contraddittorio procedimentale amministrativo è necessario anche in materia tributaria in forza del principio generale dell’azione amministrativa del giusto procedimento, trattandosi di applicare ad un caso di specie dei criteri elaborati per categorie di soggetti e con efficacia di presunzione semplice che comportano inversione dell’onere della prova e del suo caricamento sulla spalla del contribuente (Cass. 7 febbraio 2008 n. 2816 (3))”; la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è dalla legge determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati meri strumenti di ricostruzione per l’elaborazione statistica della normale redditività ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

È fonte del diritto, osserva altresì il Collegio, una volta risolta dalla Corte costituzionale la questione sulla collocazione nell’ordinamento delle sentenze della Corte di giustizia europea nel senso che le decisioni del giudice nazionale non possono affermare principi in contrasto con quelli affermati dalla Corte, la sentenza 18 dicembre 2008 nella causa 349 del 2007 (4) per la quale “un termine concesso affinché il contribuente presenti le proprie osservazioni è conforme alle prescrizioni del diritto comunitario”.

L’Ufficio nelle sue controdeduzioni al fine di dimostrare la correttezza e la legittimità del suo operato in sede di accertamento da incrementi patrimoniali di cui all’art. 38 – 4° comma del D.P.R. n. 600/73 ha spiegato le procedure cui si attiene per accertare essi incrementi ricordando altresì che la Suprema Corte (tra le altre, Sez. V 2656 del 7 febbraio 2007 (5)) reputa pienamente legittimo il ricorso all’accertamento sintetico tutte le volte che risulti incompatibilità tra una rilevante capacità contributiva, comprovata da una serie di evidenze obiettive con l’assenza (omessa presentazione) di una dichiarazione dei redditi ai fini fiscali ovvero con la presenza una dichiarazione dei redditi ai fini fiscali del tutto inadeguata rispetto a tali manifestazioni di ricchezza, valorizzando infine, prima di passare all’analisi della situazione patrimoniale/fiscale del ricorrente, il fatto che fondamento dell’accertamento sintetico è che il procedimento di quantificazione del reddito complessivo netto, avviene sulla base di determinati indici esteriori di ricchezza del reddito medesimo.

L’Ufficio ha richiamato altresì copiosa giurisprudenza ma in tema dell’articolo 32 del d.p.r. 600 del 1973 come ha dimostrato ricorrente producendo una memoria con una approfondita disamina di ogni singola sentenza citata dall’Ufficio e dimostrando come ognuna di essa si riferisca a regiudicanda diversa (art. 32) rispetto al tema invocato (art. 38) e ricordando che il punto centrale è l’omesso contraddittorio e non l’utilizzo degli strumenti di legge da parte dell’Ufficio.

D’altra parte si deve rilevare che in parte qua lo stesso Ufficio ha diramato ben prima della novella dell’art. 38 istruzioni in forza delle quali “per ciascun contribuente selezionato inserito nel piano dei controlli sostanziali, al fine di valutarne la complessiva posizione fiscale, è necessario preliminarmente notificare una comunicazione informativa circa gli elementi dì capacità contributiva disponibili per i periodi di imposta oggetto di controllo e del relativo reddito complessivo netto accertabile determinato sinteticamente con l’invito ad avvalersi della facoltà prevista dall’articolo 38 sesto comma del d.p.r. 600 /1973” (circolare Agenzia delle Entrate del 9 agosto 2007 n. 49/E (6) paragrafo 4.2) sicché non può revocarsi in dubbio la diffusa consapevolezza degli operatori del diritto tributario della necessità del contraddittorio anche in siffatte procedure successivamente all’inserimento in Costituzione del relativo corpo di norme e la correlata emanazione dello Statuto del contribuente.

Osserva il Collegio che dell’innovativo contenuto della Legge 212 del 2000 e della sua influenza sulla regiudicanda già si è detto supra, qui rinviandosi per evidenziare che esse norme, recita l’art. 1, “costituiscono principi generali dell’Ordinamento Tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”.

La seconda parte del comma primo dell’art. 22 della legge 78 del 2010 non contiene alcuna dichiarazione espressa di richiamo alla facoltà di eccezione di cui all’art. 1 della Legge 212/00 e della eventuale voluntas legis di esercizio della detta facoltà sicché appare quanto meno dubbio che la mera indicazione delle modalità di individuazione del dies a quo di vigenza del novellato art. 38 della Legge 600 del 1973 sia sufficiente a soddisfare le sopra ricordate rafforzate formalità a tutela dell’effettività dei principi dello Statuto del Contribuente di cui è diretta conseguenza applicativa lo scopo della norma fatto esso stesso norma della prima parte del primo comma del più volte citato art. 22.

Osserva il Collegio, perché non vi possano essere equivoci (che potrebbero trovare fonte indiretta nelle controdeduzioni dell’Ufficio che sono nel senso della piena legittimità degli istituti dell’art. 38) che non è revocabile in dubbio la legittimità e la doverosità dell’uso degli strumenti giuridici di cui all’art. 38 per provvedere alle esigenze di effettività tributaria che è valore che ogni cittadino deve considerare primario per la conservazione e promozione della Repubblica; la questione sollevata dal ricorrente è altra, ciò è a dire se il complesso dell’Ordinamento giuridico vigente (e vivente) non comporti la doverosità del preventivo contraddittorio in tema.

In questo contesto normativo e giurisprudenziale devesi riconoscere per le ragioni fin qui ampiamente illustrate piena efficacia retroattiva alle novellate disposizioni dell’art. 38 in tema di obbligatorietà del preventivo contraddittorio con conseguente annullamento nella regiudicanda dell’avviso di accertamento perché non preceduto dall’invito rivolto dall’Ufficio al contribuente perché sia esperito, ed in ogni caso il fatto che non si sia stato dato corso al contraddittorio con il contribuente ricorrente una volta che questi l’aveva tempestivamente ritualmente attivato si risolve comunque in un atto illegittimo da parte dell’Ufficio che comporta di per sé l’annullamento dell’avviso di accertamento in questione (n. … del 2010 nei confronti di P.A.).

P.Q.M. – La Commissione accoglie il ricorso, spese compensate.

(1) In Boll. Trib., 2003, 777.

(2) In Boll. Trib., 2004, 1339.

(3) In Boll. Trib. On-line.

(4) In Boll. Trib. On-line.

(5) In Boll. Trib. On-line.

(6) In Boll. Trib., 2007, 1294.

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