30 Gennaio, 2015

Una delle criticità, avviando questa breve analisi ricognitiva sulla procedura di iniziativa volontaria, è che non è stata introdotta, diversamente dallo scudo fiscale, l’esimente del contribuente ovvero la sua non punibilità nella qualità di amministratore di società invece prevista dall’art. 1, comma 2-septies, del D.L. 24 giugno 2003, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 212 (1). Così come non è stato previsto che l’autodenuncia non possa costituire elemento utilizzabile a sfavore dei soggetti riconducibili al contribuente in qualità di dominus. Tali criticità permangono (ved. infra art. 5-sexies, comma 2, del D.L. 28 giugno 1990, n. 167, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227) sull’esclusione di “terzi” dagli effetti sfavorevoli della procedura da disclosure. Difatti, anche in questo nuovo testo sulla disclosure, le “coperture” nelle fattispecie plurisoggettive vengono estese ai concorrenti, ad eventuali responsabili in solido ma non ai terzi. Dunque, tutte le evasioni endosocietarie non sono de facto riassorbite, “coperte” attraverso la disclosure dal socio, con l’effetto deteriore che questa autodenuncia potrebbe essere utilizzata dall’Amministrazione finanziaria per colpire gli altri soci che non hanno aderito alla sanatoria o che sono impossibilitati a farlo (presupposte violazione quadro RW) unitamente alla stessa società partecipata, per i tributi di sua competenza. Il tema è quello delle disponibilità estere “private” che originano da illeciti commessi sui bilanci societari. Difatti, lo scarno profilo testuale della norma primaria, ved. D.L. 28 gennaio 2014, n. 4 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2014, n. 50) non sembra abilitare esimenti espansive nell’autodenuncia, con l’effetto deteriore che terzi potrebbero essere coinvolti dall’iniziativa volontaria altrui (questo anche sulle “esclusioni” dei soli coobbligati e concorrenti). Meglio sarebbe stato introdurre ex se un’interdizione universale ovvero l’inutilizzabilità a carico di terzi (non solo coobbligati) degli elementi a sfavore emersi in disclosure. Peraltro, sulle “coperture” penali del soggetto che aderisce alla procedura de qua, si osserva che, mentre l’adesione dev’essere universale e multilaterale (dirette, IVA ed indirette eventuali) non potendo il contribuente escludere alcuni assets recte: redditi esterovestiti, le difese assicurate dalla regolarizzazione non sono “piene”. Così restano fuori dalla tutela penale (anche nel nuovo testo) i reati cartolari da “riscossione”, ossia i reati da omesso versamento, da sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, e quelli societari e ovviamente anche quelli di riciclaggio ex art. 648-bis c.p.

Sulle “riduzioni” delle garanzie patrimoniali, si ritiene che verosimilmente non potrà aderire colui che abbia accompagnato l’esterovestizione dell’evasione con atti “serventi”, dispositivi traslativi sul proprio patrimonio personale (ved. trust, donazioni e cessioni simulate), verificata l‘assenza, retro illustrata, nella disclosure di coperture nel reato di cui all’art. 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di sottrazione fraudolenta al pagamento di tributi.

Ritornando alla multilateralità nella disclosure si osserva che l’iniziativa autonoma, volontaria del socio che si ravvede complica quest’analisi preventiva sulla rischiosità da sommerso del socio rimasto invece inerte, introducendo un inatteso elemento deviante. In altri termini, l’autodenuncia del socio apre scenari eversivi sugli altri soci inerti e sulla società fisiologicamente esclusa dalla disclosure (non redige quadro RW). Ecco perché in questi casi la scelta della “non adesione” e del sommerso con i suoi rischi dev’essere multilaterale, ossia riguardare tutti i soci della società che volgarmente ha evaso – atteso un loro necessario coordinamento. In altri termini, sempre su questo profilo di analisi (fattispecie plurisoggettiva), ritengo che saranno opportunamente evitate scelte, iniziative eterogenee, disaggregate dei soci in relazione all’opzione offerta dalla disclosure, diversamente la rischiosità da sommerso verrebbe verosimilmente alterata, condizionata da comportamenti non coordinati altrui. Per superare queste tensioni ed effetti indesiderati e dare dunque certezza all’iniziativa volontaria del socio, i più auspicano l’introduzione di una clausola di salvaguardia dal tenore non dissimile da quella utilizzata nello scudo-ter. Il riferimento è all’art. 13-bis, comma 3, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102), che inibisce l’uso degli elementi probatori rinvenienti dallo scudo in altri procedimenti. Invero, anche questa formula di salvaguardia non dava rassicurazioni e coperture “piene”, posto che le sedi giudiziarie in cui lo scudo non può essere utilizzato sono quelle amministrativa e tributaria, civile, non anche quella penale. Si pensi al cessionario della fattura inesistente: da un lato non viene perseguito ma dall’altro lato potrebbe far perseguire penalmente il cedente che risulta sprovvisto di “copertura” (lo scudo non copriva questo reato).

[-protetto-]

Sui reati di terzi diversi dall’autore del reato dichiarativo, non coperti dalla disclosure, particolare attenzione va riservata al reato di riciclaggio di cui all’art. 648-bis c.p. Si vuole dire che questi terzi estranei al reato fiscale dichiarativo presupposto di colui che aderisce alla disclosure potrebbero continuare a rispondere del reato di riciclaggio, nonostante la sopravvenuta causa di non punibilità contemplata per il minore reato dichiarativo. In altri termini, nonostante il disvalore penale nei reati dichiarativi, viene ex se neutralizzato, azzerato dall’autodenuncia, i terzi risponderanno sempre del reato di riciclaggio, in quanto la loro condotta intervenuta prima del maturare della causa di non punibilità conserva la sua dimensione illecita. Difatti, la fiscalizzazione e legalizzazione dei patrimoni illeciti non eliminano l’originaria provenienza delittuosa di quel denaro nel suo momento genetico, con l’effetto deteriore che le condotte perfezionate ex ante conserveranno il loro disvalore penale. Questo a maggior ragione quando la disclosure non prevede una causa di non punibilità ma una mera riduzione della pena edittale che ex se non è idonea a rimuovere la dimensione illecita del reato presupposto. Dunque, la procedura di rientro volontario dei capitali illeciti potrebbe aprire scenari inattesi su terzi (2).

I terzi potrebbero essere destinatari di iniziative endoprocedimentali non conosciute da colui che aderisce alla disclosure. Il tema di analisi è quello delle interdizioni e delle cause ostative nella disclosure (3). L’interdizione de qua opera solo per le attività notiziate al contribuente, ovvero a lui notificate, con l’effetto che non dovrebbero rilevare come causa interdittiva alla disclosure le indagini penali in corso non formalmente comunicate al contribuente. Invece perplessità maggiori emergono dalla previsione che la causa ostativa scatta anche se i terzi sono venuti a conoscenza delle prefate attività interinali endoprocedimentali. Pertanto, l’adesione fatta al buio – ignaro il contribuente di un controllo altrove avviato, sui soggetti coobbligati o concorrenti nel reato – potrebbe essere de facto vanificata negli effetti sostanziali. È auspicabile anche per garantire la buona fede e l’affidamento superiore del contribuente sull’assenza di interdizioni alla disclosure, che in contraddittorio con l’ufficio emerga questa iniziativa endoprocedimentale ostativa, altrove intrapresa e non conosciuta dal contribuente. Dovrebbe essere consentito rimuovere la causa ostativa, attraverso la definizione della stessa con pagamento (4). I controlli cartolari ovvero le evasioni di riscossione non costituiscono causa ostativa alla disclosure. Dunque, i ruoli non escludono la disclosure per l’ovvia considerazione che gli stessi “intervengono” sul dichiarato e non sull’evaso, ossia attraverso di essi lo stato recupera le imposte autoliquidate. Ancora sulle interdizioni, il principio di autonomia dei periodi di imposta determina che i controlli avviati su un’annualità non impediscono la disclosure sulle altre non ancora “monitorate”.

È evidente che una valutazione non secondaria che farà il contribuente, sarà anche il tasso di probabilità (misura la rischiosità) del futuro controllo, unitamente alle modalità dello stesso, notoriamente più invasive, nella misura in cui sui patrimoni esterovestiti, allocati in territori non collaborativi, operano e dominano le inversioni dell’onere probatorio, vedi l’art. 12, comma 2, del D.L. n. 78/2009, come modificato dall’art. 1 del D.L. 30 dicembre 2009, n. 194 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25). Sarà il contribuente a dimostrare la natura extrafiscale del patrimonio ivi detenuto e non dichiarato in RW, diversamente l’intero asset monitorato si converte ex se in reddito. La novella de facto introduce una sanzione indiretta per chi detiene in modo non ufficiale capitali all’estero. Secondo definizioni abusate dai tributaristi il profilo endoprocedimentale che porta al riassorbimento dell’evasione offshore, sarà de facto agevolato per l’Amministrazione finanziaria, operando le presunzioni legali relative di imponibilità (presunzione da “equivalente”). Gli incrementi patrimoniali si considerano ex lege effettuati con redditi evasi. Per gli altri Paesi (white list) non opererà il prefato regime derogatorio, ovvero l’inversione dell’onere probatorio, conservando l’Amministrazione finanziaria, limitatamente ad essi, l’onere dimostrativo della presunta evasione. L’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 12 del D.L. n. 78/2009 prevede una sanzione rinforzata, pari al doppio di quella ordinariamente prevista per la violazione basica di infedele dichiarazione. Non opererà l’aggravio di cui all’art. 1, comma 3, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ossia l’aumento di 1/3 delle sanzioni da infedele dichiarazione, in quanto la presunzione de qua non dovrebbe consentire di qualificare tali redditi come “prodotti all’estero”: scongiurato il rischio dell’applicazione di una pluralità di gravami sanzionatori. Sui delicati profili di diritto transitorio, la norma presuntiva di cui all’art. 12 si applicherà non solo alle patrimonializzazioni e agli incrementi successivi alla sua entrata in vigore, ma anche a quelle già accumulate a questa data. Difatti, la sua qualificazione di norma endoprocedimentale, quasi-sostanziale, “libera” un inatteso effetto retroattivo, per cui si applicherà, come ricordato, anche alle utilità esterovestite generate ovvero costituite all’estero prima della sua entrata in vigore.

Ultronea incisione, addizione alla spiegata invasività della presunzione da “equivalente”, potrà derivare anche dal prolungamento cronologico delle attività per il controllo fiscale su queste attività controlled foreign companies. Il riferimento è al nuovo comma 2-bis nel corpo dell’art. 12 del D.L. n. 78/2009, dove si stabilisce che i termini decadenziali ordinari – vedi gli artt. 43 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 50 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (si dimezzano nel nuovo testo) – vengono raddoppiati. In altri termini, sulle evasioni allocate in Stati black list, l’Amministrazione finanziaria godrà di un sensibile allungamento dei termini ordinari di controllo. Non si comprende il richiamo anche all’IVA, in quanto la conversione reddituale generata dalla presunzione di cui all’art. 12 citato qualifica l’extrareddito come “reddito complessivo” (il patrimonio si converte in questa grandezza). Si vuole dire che, nella rettifica sulle attività black list, l’esubero reddituale viene qualificato dalla norma come reddito complessivo (dato finale di sintesi), perdendosi la memoria storica delle sue diverse componenti, la cui sommatoria appunto determina il “reddito complessivo”. Pertanto, ai fini IVA, non opera l’automatismo proprio delle presunzioni legali relative di imponibilità, con l’effetto che l’Amministrazione finanziaria dovrà qualificare l’extrareddito, ossia provare l’associazione del reddito presuntivamente determinato all’eventuale fonte imprenditoriale o professionale. Conclusivamente su questo profilo endoprocedimentale, si osserva che, nella rischiosità da sommerso, andrà valutata anche questa endemica difficoltà a difendersi sulle evasioni black list, subendo il contribuente l’inversione dell’onere probatorio: l’atto impositivo sul necessario profilo motivazionale/probatorio potrà basarsi sul mero possesso all’estero degli assets non dichiarati (presunzione di utilizzo di “fondi non tassati”). In altri termini, il fisco dovrà limitarsi a ricercare le attività ivi detenute e non veicolate per il quadro RW sul monitoraggio fiscale.

Nella rischiosità da sommerso va valutato il seguente profilo endoprocedimentale, ossia che il raddoppio dei termini in disclosure dovrebbe operare sempre, mentre a regime se i reati si sono prescritti andrebbe escluso. Si vuole dire che con l’enunciato della Corte Costituzionale (5) il giudice tributario ha l’onere di riscontrare e verificare i presupposti dell’obbligo di denuncia, al fine di evitare che la notizia di reato sia utilizzata pretestuosamente per allungare termini di accertamento oramai decaduti. Così le prime censure di merito sembrano sostenere che il raddoppio dei termini di accertamento è illegittimo in presenza di reato fiscale prescritto, in quanto la prescrizione stessa del reato farebbe venir meno l’obbligo di denuncia, ex art. 331 c.p.p. I giudici di merito ritengono che la prescrizione, essendo una causa di estinzione del reato, determina il venire meno dei presupposti per la denuncia penale e di conseguenza per il raddoppio dei termini. Difatti, in queste ipotesi è verosimile immaginare che il veicolo della notizia di reato (prescritto) sia stata effettuata solo per beneficiare dei termini allungati (utilizzo strumentale), verificata l’impossibilità di integrare le emergenze fiscali con quelle proprie delle indagini penali. Invero, è stato retro illustrato che il raddoppio dei termini ora non opera più: l’art. 5-quinquies, comma 1, lett. a) e b), del D.L. n. 167/1990, così come inserito dall’art. 1 del D.L. n. 4/2014, esclude de facto la sua applicazione.

Non va ignorata, tra le variabili che interferiscono sulle valutazioni dei rischi da sommerso, la norma di sistema sul cumulo giuridico di cui all’art. 12 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (6), sul concorso formale e materiale, in origine ricordata, che ovviamente si applica anche a colui che preferisce permanere nella clandestinità fiscale (gli “aumenti” sulla sanzione base quando si commettono più violazioni anche in più periodi di imposta, il principio della sanzione unica per più periodi di imposta). La norma dispone l’obbligatorietà dell’irrogazione di una sanzione unica quando, con un’azione od omissione, si commettono più violazioni anche relative a tributi diversi oppure si commettono più violazioni formali della medesima disposizione. Il cumulo giuridico si applica anche quando si commettono più violazioni che, nella loro progressione, tendono a pregiudicare la determinazione del tributo così come quando le medesime violazioni – e quelle di carattere formale – vengono commesse per più periodi di imposta. L’unificazione “giuridica” e “non materiale” dei profili sanzionatori in base alla norma de qua, per violazioni commesse in più periodi di imposta, incontra nella definizione da disclosure un limite strutturale nell’art. 16 del D.Lgs. n. 472/1997. La norma de qua dispone che la definizione ad un terzo non può comunque essere inferiore a un terzo dei minimi più gravi relativi a ciascun tributo e, nel D.L. n. 4/2014 (in cui non si apportano modificazioni sul profilo sanzionatorio ovvero sulla sua estinzione), si prevede che la definizione dev’essere confrontata con il terzo della somma dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi, o se più favorevoli, il terzo della somma delle sanzioni più gravi determinate ai sensi del comma 3 dell’art. 16 del D.Lgs. n. 472/1997. In altri termini, il rischio è che la definizione su violazioni del quadro RW, commesse in più anni, per le attività trasferite in Italia (sanzione base che si riduce alla metà), non si possa effettuare ovvero possa risultare poco appetibile, onerosa (non può essere violato quel limite inferiore sulla definizione del profilo sanzionatorio, previsto nel decreto). Il legislatore della disclosure ha fatto rivivere de facto il cumulo materiale per le violazioni commesse in più periodi di imposta, per la verosimile impraticabilità della definizione agevolata delle sanzioni (art. 16, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997). In altri termini, e semplificando, potrebbe risultare più conveniente l’applicazione ordinaria del cumulo giuridico su più annualità in assenza della collaborazione volontaria. Pertanto, nelle nostre valutazioni sulla rischiosità da sommerso, va valutato questo effetto asistemico della disclosure, in relazione all’applicazione del cumulo giuridico, il cui ingresso può condurre ad oneri sanzionatori maggiori di quelli attesi dal contribuente che conserva l’anonimato. Conclusivamente sul profilo dell’unificazione dei profili sanzionatori, con i limiti retro illustrati, il D.L. n. 4/2014 prevede che, aderendo al programma di collaborazione volontaria, l’ipotesi di riduzione alla metà del minimo è obbligatoria e nella sua misura massima quando il contribuente trasferisca o detenga le attività in Italia, in un altro Paese UE, in Norvegia o Islanda, o quando – per i capitali detenuti in Stati diversi dai precedenti – il contribuente autorizzi l’intermediario estero a comunicare al fisco italiano ogni informazione rilevante sulle attività estere (de facto le riduzioni spettano anche in caso di rimpatrio giuridico con tali modalità). Pertanto, limitatamente a queste minori irregolarità (grandemente bonificate nel D.L. n. 4/2014) il rientro sarà più agevole: avrebbe poco senso la scelta (antieconomica) di conservare l’anonimato. Però non va sottovalutato che la studiata riduzione basica alla metà del minimo delle sanzioni da quadro RW non troverà invece ingresso per le diverse e più gravi infedeltà reddituali (potrà essere solo facoltativa, discrezionale). Si vuole dire che sulle evasioni dichiarative (omissioni e infedeltà), le più diffuse, il decreto non prevede la riduzione alla metà, ovviamente troveranno ingresso le “altre” riduzioni strutturali, “di sistema”. Il riferimento è all’acquiescenza, all’accertamento con adesione. Queste ultime si applicheranno anche a colui che non andrà in disclosure, quando verrà raggiunto dagli atti impositivi. Pertanto, sulle evasioni (redditi esterovestiti non dichiarati) lo sconto, previsto dal programma di “rientro volontario”, è minore, con l’effetto deteriore che il suo appeal si ridimensiona grandemente.

Una notazione sugli imponibili: dovrebbe applicarsi anche a colui che è in sommerso (il suo stato non dovrebbe rappresentare un limite) la determinazione presuntiva, più favorevole dei redditi finanziari, ai sensi dell’art. 6 del D.L. n. 167/1990, applicando ai capitali non dichiarati il tasso di riferimento della Banca centrale europea medio dell’anno.

Ancora, proseguendo quest’analisi sui rischi del sommerso, altre valutazioni di sintesi da farsi nell’iniziativa volontaria del contribuente (se aderire o meno) sono la fiscalità da “sommerso”, ossia i costi fiscali ed extrafiscali, vedi responsabilità penali, la perdita dell’anonimato e l’universalità dell’adesione, non potendo il contribuente selezionare gli imponibili da dichiarare (scattano nuove ipotesi di responsabilità penale sulla dichiarazione infedele, sottomanifestante da disclosure). Ma in questa valutazione preventiva che il contribuente farà, con i suoi consulenti, regna una variabile risolutiva che grandemente pervade questa fase ricognitiva, ossia vi sarà una tendenziale preferenza del contribuente per la “non regolarizzazione”, soprattutto quando quest’ultimo dovrà sanare e dichiarare, ora per allora, evasioni recenti (scarso appeal). Difatti, non essendo la disclosure uno scudo fiscale, per le note resistenze comunitarie, l’adesione rischia di avere effetti espropriativi, retro diffusamente illustrati, del patrimonio esterovestito riemerso (rinnoviamo quelle criticità). Questo effetto degenerativo e deteriore è garantito da un ripristino delle aliquote progressive e proporzionali sugli imponibili che il contribuente non ha dichiarato (non chi per esempio ha ereditato e non redatto il quadro RW), allontanandolo per effetto dalla disclosure (l’unico reale beneficio sarà la riduzione delle sanzioni al minimo). L’evasione, soprattutto quella più recente ovvero non prescritta, come sopra ampiamente ricordato, frena il rientro, con un evidente degrado nell’interesse del contribuente alla regolarizzazione di questi redditi, nella misura in cui i costi della sanatoria, vedi le prime simulazioni, potrebbero anche sopravanzare il valore del patrimonio “rientrato”. Si vuole dire che il cumulo degli oneri fiscali, proporzionali (IVA, IRAP, IVAFE, IVIE e contributi previdenziali) e progressivi e ovviamente sanzionatori, sia pure grandemente ridotti, potrebbero erodere l’intero patrimonio che si vuole regolarizzare. Una conclusione disarmante, poco incoraggiante e certamente deviante rispetto alla praticabilità della sanatoria de qua. Peraltro, non è un’ipotesi inverosimile quella dianzi delineata, verificato che con il raddoppio dei termini – operante de facto quasi sempre, stante la localizzazione controlled foreigns companies dei patrimoni esteri – l’orizzonte temporale, in cui monitorare le evasioni finite all’estero, è quasi decennale. Invece, con la conservazione dell’anonimato il rischio è la confisca definitiva e sanzioni che sono superiori al capitale esportato. Sulle piccole irregolarità, verosimilmente dal solo quadro RW il ritorno sarà più agevole. Pertanto, nei sentimenti del contribuente che si avvicina alla disclosure non vi sono motivazioni legate al risparmio fiscale (poco significative), quanto nel timore di perdere l’ultimo treno offerto dal sistema in un quadro di regolarizzazioni e superamento delle tensioni, prima dell’inasprimento della lotta al sommerso.

Ancora nella rischiosità da sommerso, valutazioni non secondarie nella prospettiva di aderire riguarderanno anche la discrezionalità che avrà l’Amministrazione finanziaria sulla “liquidazione”, recte: procedure di accertamento della dichiarazione da disclosure. Il riferimento è alle determinazioni fiscali da notiziare al contribuente, che aderirà al programma di “rientro volontario”, attraverso gli accertamenti conseguenti alla dichiarazione de qua. Si vuole dire che, verosimilmente, potrà generarsi un inatteso contenzioso fiscale, quando le determinazioni dell’Ufficio non risponderanno a quelle del contribuente, ad esempio sulla qualificazione di un reddito (un dividendo riclassificato in interesse, o un reddito controlled foreigns companies gravato delle minori aliquote proporzionali, accertato e “tassato” dall’Agenzia delle entrate con le aliquote progressive previste per i dividendi “qualificati”). Inattese code endoprocessuali necessarie per ripristinare le coerenze fiscali perdute. Valutazioni preventive rese difficili anche dalla previsione del nuovo reato per colui che trasmette atti o documenti falsi (art. 5-septies introdotto nel D.L. n. 167/1990 dall’art. 1 del D.L. n. 4/2014 e soppresso in sede di conversione). Limitatamente a questi profili extrafiscali, le responsabilità penali potrebbero coinvolgere anche il professionista che assiste il contribuente nell’iniziativa volontaria (e che magari trasmette le dichiarazioni). Il coinvolgimento potrà riguardare anche gli intermediari finanziari, nel caso fornissero notizie non rispondenti al vero.

Limitatamente ai profili extrafiscali ovvero penali nell’iniziativa volontaria, con le deroghe di cui infra, si osserva che la discrezionalità delle Procure lasciate libere nel loro “ufficio” di autodeterminarsi sulla qualificazione del reato fiscale (obbligatorietà della legge penale vincola le Procure a perseguire i reati), è un elemento che disorienta chi vuole aderire, non essendo indifferente, ai fini della disclosure, la collocazione del reato presupposto fra l’infedele (escluso il suo rilievo penale) e la fraudolenta dichiarazione (solo riduzioni). Ritengo che sia un falso problema, in quanto le evasioni che hanno avuto questa deriva offshore sono state quasi sempre considerate dalla magistratura ricadenti nella fattispecie più grave della dichiarazione fraudolenta. Comunque, una soluzione di sistema e di coerenza che dia certezze al contribuente che vuole perdere l’anonimato e conoscere la tipologia di reato configurabile potrebbe essere quella di prevedere una universale esclusione degli effetti penali che coinvolga tutte le ipotesi dichiarative (e non), diversamente nel dubbio quel contribuente continuerà a permanere nella clandestinità. Riproporre la stessa formula espansiva utilizzata nell’ultima versione dello scudo fiscale, ved. art. 13-bis del D.L. n. 78/2009, che prevedeva la non punibilità per gli illeciti penali tributari di fraudolenta, infedele e omessa dichiarazione di cui gli artt. 2, 3, 4 e 5 del D.Lgs. n. 74/2000, per il reato di occultamento e distruzione di scritture contabili nonché i principali reati societari e di falso ad essi connessi. Così da superare le questioni e tensioni relative al confine sempre labile fra la dichiarazione infedele e quelle di dichiarazione fraudolenta, retro illustrate.

Avv. Fabio Ciani

Università Roma Tre

(1) Ved. circ. 25 settembre 2003, n. 50/E, in Boll. Trib., 2003, 1414.

(2) Sulla multilateralità nella disclosure ovvero sul coinvolgimento di terzi nell’iniziativa volontaria del contribuente, ved. Cordeiro Guerra, Effetti della voluntary disclosure sul reato di riciclaggio e sugli obblighi di segnalazione di operazioni sospette, in Corr. trib., 2014, 671 ss., il quale osserva che dalla «disclosure … potrebbe emergere la consapevole partecipazione di terzi nell’occultamento del profitto di delitti fiscali; attività che, in quanto intervenuta prima del maturare della causa di non punibilità contemplata per l’omessa o infedele dichiarazione, conserverebbe la sua dimensione illecita. Ciò in particolare, poiché secondo un interessante indirizzo giurisprudenziale della cassazione in ordine al condono d cui alla legge n. 289/02, se è vero che il condono ha l’effetto di rendere leciti i profitti di evasione fiscale, ciò può dirsi effetto di una previsione legislativa specifica che sana i profitti di evasione fiscale, ma solo nel momento della loro utilizzazione successiva al condono stesso … Ma non elimina la originaria provenienza delittuosa di quel denaro nel suo momento genetico. Ancora più evidente e radicale tale evenienza per i casi di reati fiscali diversi da quella appena menzionati, per i quali è contemplata una riduzione di pena che come tale neanche è idonea a rimuovere la dimensione illecita del reato presupposto».

(3) Sul tema delle preclusioni e delle interdizioni alla disclosure ved. Tomassini, Come rendere più appetibile la voluntary disclosure, in Corr. trib., 2014, 757, che illustra, attraverso un quadro universale, le diverse tipologie di interdizioni alla disclosure,

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soprattutto nelle fattispecie plurisoggettive, ved. concorrenti o coobbligati «… va posto l’accento sul fatto che la causa ostativa scatta anche se sono venuti a conoscenza delle attività di controllo i soggetti solidalmente obbligati o concorrenti nel reato. È auspicabile tuttavia che il riscontro di tale circostanza avvenga in contraddittorio con l’agenzia prima dell’inizio della procedura, non potendosi vanificare ex post il buon esito della stessa per fatti magari nemmeno conoscibili dal contribuente. Resta il fatto che in ogni caso il riferimento ai concorrenti nel reato appare un po’ incerto. Si ritiene comunque che dovrà trattarsi di atti notificati a tali soggetti in cui emerga chiaramente la presenza di attività ispettive in corso sul contribuente aderente».

(4) Sulla rimozione delle cause ostative, cfr. Tomassini, op. cit., 761, il quale osserva che «circostanza di grande rilevanza che potrebbe essere chiarita in via interpretativa dall’agenzia è la possibilità di accedere alla voluntary disclosure da parte di soggetti che rimuovono la causa ostativa. Si pensi a chi riceve una contestazione riferita a un’attività all’estero e la definisce pagamento il quantum dovuto. Successivamente dovrebbe essere messo nelle condizioni di presentare richiesta di voluntary disclosure in quanto al momento della richiesta ha rimosso la causa ostativa».

(5) Cfr. Corte Cost. 25 luglio 2011, n. 247, in Boll. Trib., 2011, 1489, con nota di Brighenti, Corte Costituzionale: salvo (con riserva) il raddoppio dei termini di accertamento.

(6) Sul coordinamento tra le “riduzioni” eccezionali delle sanzioni da rw di cui all’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 472/1997, e quella di sistema sulla loro definizione ex art. 16, comma 3, dello stesso decreto, ved. Cavallaro, Voluntary disclosure: confessare per regolarizzare, in Corr. trib., 2014, 764 ss., il quale nello studio del prefato concorso osserva che … per la prima volta l’Agenzia delle entrate ha esteso in via interpretativa l’applicabilità di tale norma anche alle sanzioni sul monitoraggio fiscale, proprio per favorire operazioni di emersione e regolarizzazione. Il comportamento collaborativo del contribuente viene ritenuto dunque una circostanza di carattere eccezionale che attenua il disvalore della condotta del contribuente e che quindi fa scattare la speciale riduzione delle sanzioni … la speciale riduzione di cui all’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 472/1997, può concorrere con l’ulteriore riduzione delle sanzioni di cui all’art. 16, comma 3, del medesimo decreto. Se così non fosse stato, l’interpretazione dell’Agenzia in materia di riduzione delle sanzioni fino alla metà del minimo sarebbe come inutiliter data.