20 Dicembre, 2018

NOTE CRITICHE SULLA TEORIZZATA MA NON DIMOSTRATA POSSIBILITÀ DELL’AVVOCATURA DELLO STATO DI DIFENDERE L’AGENZIA DELLE ENTRATE NEI GIUDIZI DI CASSAZIONE SENZA NECESSITÀ DI UNO SPECIFICO CONFERIMENTO D’INCARICO

Le pronunce in commento sono accomunate dalla soluzione offerta a fronte della questione preliminare sollevata dalle parti private e riguardante l’inammissibilità o meno del ricorso per cassazione proposto dall’Avvocatura generale dello Stato in assenza di idonea investitura da parte dell’Agenzia delle entrate.
Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Semplici della Corte di Cassazione, l’assenza di una preventiva procura a prescindere dalla sua indicazione a margine o in calce al ricorso per cassazione proposto dall’Avvocatura Generale dello Stato su mandato dell’Agenzia delle entrate non determinerebbe l’inammissibilità dell’impugnazione, perché ove essa «si avvalga, nel giudizio di cassazione, del ministero dell’avvocatura dello Stato, non è tenuta a conferire a quest’ultima una procura alle liti, essendo applicabile la disposizione di cui all’art. 1, secondo comma, di cui al R.D. n. 1611 del 1933, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato» (1), in quanto «dopo la costituzione, avvenuta in data 1 gennaio 2001 (D.M. 28 dicembre 2000, art. 1), delle agenzie fiscali, alle quali sono trasferiti i rapporti giuridici relativi alla gestione delle funzioni esercitate dai dipartimenti delle entrate (D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57), dette agenzie, per la rappresentanza in giudizio, possono avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art. 43 T.U. approvato con R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 e successive modificazioni (cit. D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72). In base alla disposizione richiamata (T.U. n. 1611 del 1933, art. 43), l’Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorità giudiziarie, di amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata (per quel che qui interessa) da disposizione di legge: in tali casi, la rappresentanza e la difesa sono assunte dall’Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto d’interessi con lo Stato o con le regioni, fatta salva la facoltà di tali amministrazioni, in casi speciali, di non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato, adottando a tal fine apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza» (2).
Non solo.
Difatti, sempre le stesse pronunce in commento, a giustificazione dell’opinabile deliberato assunto sulla questione oggetto di annotazione, si sono spinte sino al punto di reputare irrilevante o addirittura inconferente il richiamo da parte del controricorrente alle statuizioni già rese sul punto dalle ormai famose sentenze delle Sezioni Unite nn. 3116 e 3118 del 14 febbraio 2006 (3), nella parte in cui hanno ben diversamente ritenuto «che il ricorso dell’Agenzia delle entrate al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato deve avvenire in relazione al singolo procedimento, non rilevando l’eventuale conclusione tra Avvocatura e Agenzia di convenzioni di contenuto generale per l’assunzione del patrocinio, atteso che, pur indubbio che l’Avvocatura dello Stato non possa proporre un ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate senza avere da quest’ultima ricevuto il relativo incarico, nessuna disposizione di legge tuttavia prevede che del conferimento di tale incarico debba farsi esplicita menzione nel ricorso, né ciò può desumersi dal disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 5, che inserisce tra i contenuti necessari del ricorso per cassazione “l’indicazione della procura, se conferita con atto separato”, che fa riferimento esclusivamente alla procura intesa “come negozio processuale attributivo dello ius postulandi, (peraltro, non necessario quando il patrocinio dell’Agenzia delle entrate sia assunto dall’Avvocatura dello Stato) e non invece al negozio sostanziale attributivo dell’incarico professionale al difensore” (v. da ultimo Cass. n. 22434 del 2016)» (4).
Ma le richiamate conclusioni, comuni a tutte le pronunce annotate, non appaiono condivisibili e prestano il fianco a ferma critica.
Ed invero, un’attenta e corretta interpretazione (rectius, lettura) delle sentenze nn. 3116 e 3118 del 2006 già rese dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, e assertive di una conclusione inizialmente ripresa anche dalle Sezioni Semplici (5), avrebbe dovuto condurre a soluzioni diametralmente opposte a quelle espresse dalle pronunce in commento, considerato che i richiamati arresti di legittimità, tutt’altro che inconferenti, hanno viceversa chiarito che «nei procedimenti introdotti successivamente al 1 gennaio 2001 la legittimazione appartiene soltanto all’Agenzia delle Entrate, la quale, secondo il disposto del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72, può semplicemente avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato. Il ricorso a tale patrocinio, in assenza di una disposizione normativa (legislativa, regolamentare o statutaria) vincolante anche nei confronti dei terzi, deve quindi avvenire – anche se non è necessaria una specifica procura – in relazione al singolo procedimento, non rilevando l’eventuale conclusione tra Avvocatura e Agenzia di convenzioni di contenuto generale per l’assunzione del patrocinio, come il protocollo d’intesa del 21 marzo 2001, richiamato nella circolare ministeriale del 30 luglio 2001, n. 71/E/2001/135070», che la «difesa tecnica dell’Agenzia nel giudizio di cassazione, non essendo espressamente prevista – come per il giudizio dinanzi alle commissioni – quella affidata a funzionari dell’ente, la stessa potrà essere affidata, oltre che all’Avvocatura dello Stato, a professionisti esterni. Si tratta di una scelta ovviamente non del tutto libera, dovendo gli organi competenti dell’Agenzia, secondo l’espressa previsione del D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 61, agire in base “ai principi di legalità, imparzialità e trasparenza, con criteri di efficienza, economicità ed efficacia”, con possibilità di essere assoggettati a giudizio contabile di responsabilità per danno erariale nei casi in cui la scelta del professionista esterno non consideri l’alta specializzazione dell’Avvocatura erariale e i minori costi complessivi che il ricorso a quest’ultima in genere comporta», e che l’Avvocatura erariale si può ritenere munita del potere di rappresentanza solo qualora non venga «contestata l’esistenza di una richiesta dell’Agenzia circa l’intervento dell’Avvocatura» stessa (6).
Conseguentemente, quindi, come correttamente evidenziato dalle Sezioni Unite, non si può prescindere dall’applicazione di quanto previsto dagli artt. 163 e 144 c.p.c., ossia «l’atto introduttivo del giudizio deve essere proposto nei confronti del soggetto convenuto e notificato, per le amministrazioni non patrocinate dall’Avvocatura dello stato, direttamente all’ente, in persona del suo rappresentante. Se si segue la regola generale, pertanto, ove l’ente non si sia avvalso del patrocinio dell’Avvocatura (il che deve avvenire per ogni singolo procedimento) essendo l’Agenzia delle Entrate rappresentata dal suo direttore, il ricorso, proposto nei confronti della stessa Agenzia, dovrebbe essere notificato, in via di principio al direttore presso la sede centrale dell’ente in Roma. Identica regola vale per quanto attiene alla notificazione della sentenza conclusiva della fase del merito» (7).
L’espressione riportata tra parentesi, cioè che il conferimento dell’incarico «deve avvenire per ogni singolo procedimento» postula necessariamente, e senza possibilità di diversa interpretazione, che l’Avvocatura dello Stato deve essere investita dello ius postulandi da parte dell’Agenzia delle entrate attraverso un apposito incarico che, per costante giurisprudenza di legittimità, deve essere precedente alla proposizione del ricorso (o controricorso) per cassazione.
A confermare la necessità del preventivo incarico sovviene l’art. 72 (Rappresentanza in giudizio) del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, il quale dispone che «Le agenzie fiscali possono avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’articolo 43 del Testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni». L’espressione «possono» in luogo di “devono” appare tutt’altro che casuale, perché esclude in radice l’automatismo cui sono pervenute le annotate pronunce, e lascia invece alle Agenzie fiscali la scelta di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura o di un professionista esterno, scelta che ovviamente non può prescindere da un apposito e specifico affidamento del relativo incarico.
Ancora, sempre a ulteriore conferma di quanto appena argomentato rileva anche il già citato art. 5 del R.D. n. 1611/1933, il quale prevede espressamente che «Nessuna Amministrazione dello Stato può richiedere la assistenza di avvocati del libero foro se non per ragioni assolutamente eccezionali, inteso il parere dell’Avvocato generale dello Stato e secondo norme che saranno stabilite dal Consiglio dei ministri», ciò detto, e considerato che è notorio che l’Agenzia delle entrate non rientra tra le Amministrazioni dello Stato, non può che trarsi la logica e indiscutibile conseguenza che l’Agenzia fiscale non può essere ritenuta ope legis come rappresentata dall’Avvocatura erariale senza bisogno di mandato ad litem.
In altre parole, quindi, se da un lato è esclusa la necessità di indicare la procura alle liti nel ricorso o controricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate per il tramite dell’Avvocatura di Stato, dall’altro lato è altrettanto innegabile che a fronte di specifica contestazione in ordine al conferimento dello ius postulandi, l’Avvocatura stessa ha il preciso onere di dimostrare l’esistenza dell’incarico ricevuto, non potendo ipotizzarsi in tal caso la sussistenza di quell’automatismo cui sono frettolosamente e incautamente pervenute le pronunce in commento, ossia che l’Agenzia delle entrate debba ritenersi ope legis rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, perché è pacifico e prima ancora “notorio” che così non è.
Infine, ma non da meno, ciò che desta perplessità nelle annotate pronunce è la modalità con cui ben sei decisioni delle Sezioni Semplici della Suprema Corte abbiano disatteso il principio di diritto già espresso in argomento dalle citate sentenze rese dalle Sezioni Unite, e cioè solo attraverso il mero rinvio a precedenti di legittimità provenienti dalle stesse Sezioni Semplici (8) e ad un unico arresto delle Sezioni Unite (9), che però è precedente rispetto a quelli sopra indicati, e quindi da essi superato (10).
Eppure, dovrebbe essere ben noto che a norma dell’art. 374, terzo comma, c.p.c., «Se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso», rimessione di cui ad oggi non consta l’esistenza, di talché le criticate pronunce avrebbero dovuto necessariamente conformarsi al già affermato principio di diritto espresso delle Sezioni Unite o, in caso di sua mancata condivisione, rimettere la questione a quest’ultime.
Così stando le cose non si può che manifestare il più vivo dissenso rispetto alle conclusioni cui sono pervenute le annotate pronunce e, nel contempo, non solo auspicare bensì pretendere che ai principi in tema di ius postulandi espressi dalle Sezioni Unite venga data finalmente la doverosa continuità del caso da parte della giurisprudenza di vertice (11).

Avv. Monica Peronace

(1) Così Cass., sez. trib., 19 luglio 2017, ord. nn. 17835, 17836 e 17837; Cass., sez. trib., 19 luglio 2017, n. 17803; e nello stesso senso pure Cass., sez. VI, 21 febbraio 2017, ord. n. 4459 e Cass., sez. trib., 14 dicembre 2016, n. 25679, tutte qui annotate.
(2) Così Cass. n. 4459/2017, cit.; Cass. n. 25679/2016, cit.; e nello stesso senso Cass. nn. 17835/2017, 17836/2017 e 17837/2017, cit.; e Cass. n. 17803/2017, cit., qui in rassegna.
(3) Cfr. Cass., sez. un., 14 febbraio 2006, n. 3116, in Boll. Trib., 2006, 866, con nota di L. ROSA, Svolta nelle Sezioni Unite: valida la notifica della sentenza di appello e del ricorso in cassazione sia presso l’Agenzia delle entrate centrale che periferica; nonché l’uguale e coeva Cass., sez. un., 14 febbraio 2006, n. 3118, in Boll. Trib. On-line.
(4) Così, in particolare, le pronunce nn. 17835/2017, 17836/2017, 17837/2017 e 17803/2017, citt., qui in commento.
(5) Cfr. infatti Cass., sez. trib., 2 aprile 2010, n. 8071, in Boll. Trib. On-line.
(6) Così Cass. n. 3116/2006 e Cass. n. 3118/2006, citt.
(7) Così sempre Cass. nn. 3116/2006 e 3118/2006, citt.
(8) Ovvero Cass., sez. trib., 19 gennaio 2007, n. 1227; Cass., sez. trib., 5 luglio 2011, n. 14875; e Cass., sez. trib., 4 novembre 2016, n. 22434; tutte in Boll. Trib. On-line.
(9) Ossia Cass., sez. un., 15 novembre 2005, in Boll. Trib. On-line.
(10) Il riferimento, ovviamente, è sempre a Cass. nn. 3116/2006 e 3118/2006, citt.
(11) Per ulteriori notazioni critiche si veda pure V. AZZONI, Dialogo sugli ultimi tempi: l’ipotetica non necessità di un conferimento d’incarico dall’Agenzia delle entrate all’Avvocatura dello Stato per la difesa nei giudizi innanzi alla Corte di Cassazione, pubbl. in questo stesso fascicolo a pag. 1631.

I – II – III

Procedimento – Giudizio di cassazione – Rappresentanza processuale dell’Agenzia delle entrate da parte dell’Avvocatura dello Stato – Non necessita di specifica procura alle liti – Mancanza nel ricorso di espressioni idonee a dare conto di una richiesta di patrocinio – Irrilevanza.

Procedimento – Giudizio di cassazione – Rappresentanza processuale dell’Agenzia delle entrate da parte dell’Avvocatura dello Stato – Convenzioni di contenuto generale stipulate tra l’Agenzia delle entrate e l’Avvocatura dello Stato – Irrilevanza – Menzione della procura alle liti o del conferimento del relativo incarico nel ricorso per cassazione – Non necessita.

Procedimento – Commissioni – Sentenze – Vizio di apparente o inesistente motivazione – Impossibilità di individuare le ragioni di fatto o di diritto della decisione – Costituisce un error in procedendo censurabile per cassazione a norma dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c.

Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi di ricorso – Vizio di apparente o inesistente motivazione della sentenza impugnata – Omessa esposizione delle ragioni di fatto o di diritto della decisione – Costituisce un error in procedendo censurabile a norma dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c.

Ove l’Agenzia delle entrate si avvalga, nel giudizio di cassazione, del ministero dell’Avvocatura dello Stato, non è tenuta a conferire a quest’ultima una procura alle liti, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione di cui all’art. 1, secondo comma, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato, di talché è irrilevante la mancanza, nel ricorso introduttivo della parte pubblica, di qualunque espressione idonea a dare conto di una richiesta di patrocinio rivolta dall’Agenzia delle entrate all’Avvocatura dello Stato per il procedimento avanti la Suprema Corte di Cassazione.

Per quanto sia irrilevante l’eventuale conclusione tra l’Avvocatura dello Stato e l’Agenzia delle entrate di convenzioni di contenuto generale per l’assunzione del patrocinio e per quanto sia indubbio che l’Avvocatura dello Stato non possa proporre un ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate senza avere da quest’ultima ricevuto il relativo incarico, purtuttavia nessuna disposizione di legge prevede che del conferimento di tale incarico debba farsi esplicita menzione nel ricorso, né ciò può desumersi dal disposto dell’art. 366, n. 5), c.p.c., che inserisce tra i contenuti necessari del ricorso per cassazione «l’indicazione della procura, se conferita con atto separato», che fa riferimento esclusivamente alla procura intesa come negozio processuale attributivo dello ius postulandi, peraltro non necessario quando il patrocinio dell’Agenzia fiscale sia assunto dall’Avvocatura dello Stato, e non invece al negozio sostanziale attributivo dell’incarico professionale al difensore.

La sentenza risulta sostanzialmente inesistente allorquando la sua motivazione risulti materialmente carente per tutti gli oggetti del rinvio da essa operato ad altri atti o fatti, e ciò anzitutto come parte formale della sentenza, prima che come parte sostanziale, perché, anche ove fosse possibile motivare rinviando ad atti esterni, come per i precedenti giuridici che possono richiamarsi perché fanno parte del “diritto” che è conosciuto o conoscibile da chiunque e, quindi, anche da chi legge la sentenza per percepirne la giustificazione, sarebbe impossibile individuare quella parte se il giudice non l’ha individuata, con la conseguente impossibilità di comprendere perché, sotto il profilo logico, le difese di parte sarebbero state ritenute infondate; tale vizio, inerendo alla motivazione nella sua interezza ed integrando un error in procedendo, è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Piccininni, rel. Fuochi Tinarelli), 19 luglio 2017, ord. nn. 17835, 17836 e 17837, ric. Agenzia delle entrate]*

RILEVATO CHE:
– l’Agenzia delle entrate impugna per cassazione la decisione della CTR del Lazio che, confermando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto non fondata la pretesa tributaria, per Iva, Irpef ed Irap per l’anno 1999, nei confronti dell’Avv. A.C., ritenendo i maggiori ricavi accertati in esito alle indagini bancarie non provati e giustificati dal contribuente, assumendo con due motivi:
– (a) violazione e falsa applicazione dell’art. 32, primo comma, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973, che consente di imputare gli elementi risultanti dalle indagini bancarie a ricavi dell’attività di lavoro del professionista, salva la possibilità per quest’ultimo di fornire la prova contraria;
– (b) violazione dell’art. 36, d.lgs. n. 546 del 1992, e art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per aver la decisione impugnata omesso integralmente l’individuazione degli elementi di fatto presupposto della controversia, motivando con espressioni meramente generiche e clausole di stile.

CONSIDERATO CHE:
– va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa del controricorrente in ragione della mancanza, nel ricorso introduttivo, di qualunque espressione idonea a dare conto di una richiesta di patrocinio rivolta dall’Agenzia delle entrate all’Avvocatura dello Stato per il presente procedimento, avendo questa Corte reiteratamente affermato (sez. U, n. 23020 del 2005 (1); Cass. n. 1227 del 2007 (2); Cass. n. 14785 del 2011 (3) e altre) che ove l’Agenzia delle entrate si avvalga, nel giudizio di cassazione, del ministero dell’avvocatura dello Stato, non è tenuta a conferire a quest’ultima una procura alle liti, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione di cui all’art. 1, secondo comma, r.d. n. 1611 del 1933, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato;
– è poi inconferente ai fini dell’asserita irritualità della costituzione dell’Agenzia il richiamo a Sez. U, n. 3116 del 2006 (4) ove si afferma che il ricorso dell’Agenzia delle entrate al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato deve avvenire in relazione al singolo procedimento, non rilevando l’eventuale conclusione tra Avvocatura e Agenzia di convenzioni di contenuto generale per l’assunzione del patrocinio, atteso che, pur indubbio che l’Avvocatura dello Stato non possa proporre un ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate senza avere da quest’ultima ricevuto il relativo incarico, nessuna disposizione di legge tuttavia prevede che del conferimento di tale incarico debba farsi esplicita menzione nel ricorso, né ciò può desumersi dal disposto dell’art. 366, n. 5, c.p.c., che inserisce tra i contenuti necessari del ricorso per cassazione “l’indicazione della procura, se conferita con atto separato”, che fa riferimento esclusivamente alla procura intesa “come negozio processuale attributivo dello ius postulandi, (peraltro, non necessario quando il patrocinio dell’Agenzia delle entrate sia assunto dall’Avvocatura dello Stato) e non invece al negozio sostanziale attributivo dell’incarico professionale al difensore” (v. da ultimo Cass. n. 22434 del 2016 (5));
– infondato è pure il rilievo della violazione del principio di autosufficienza da parte dell’Agenzia ricorrente, rispondendo la scelta degli atti riprodotti (avviso di accertamento; atto di gravame dell’Agenzia) ad un criterio di rilevanza e pertinenza rispetto ai motivi fatti valere, riferibili, in particolare, alle doglianze lamentate con l’atto di gravame e all’asserita carenza della decisione impugnata, senza che ne derivi, in alcun modo, una inadeguatezza espositiva del ricorso (o, addirittura, integri la figura del “ricorso farcito”) e senza che, avendone la parte riprodotto il contenuto e specificato gli estremi, abbia inottemperato all’onere di specifica indicazione e produzione;
– è parimenti infondata l’eccepita inammissibilità del ricorso per mancata indicazione della parte, indicata come “A.C.” atteso che l’indicazione nell’intestazione del ricorso è univoca ed è reiterata, in termini altrettanto inequivoci, nel corpo del ricorso, ove è precisato “… sig. C.A., di professione avvocato”, indicazione più volte presente nel prosieguo dell’atto (e degli atti in esso riprodotti) senza che emerga alcuna ambiguità od incertezza;
– passando all’esame del ricorso, appare preliminare l’esame del secondo motivo, con cui l’Agenzia ricorrente lamenta la violazione dell’art. 36, d.lgs. n. 546 del 1992, e art. 132 c.p.c.;
– nella illustrazione di tale motivo, in particolare, si prospetta che la sentenza impugnata presenterebbe una motivazione del tutto apparente, sì da ridondare in mancanza di motivazione e, quindi, da determinare la nullità della sentenza ai sensi della citata norma;
– ne deriva, pertanto, che il vizio, inerendo alla motivazione nella sua interezza (ed integrando un error in procedendo, sicché è correttamente censurato ai sensi del n. 4 dell’art. 360 c.p.c.), è logicamente preliminare rispetto a quello denunciato nel primo motivo, con cui si deduce l’inosservanza dei criteri di accertamento presuntivo riferiti agli accertamenti bancari e alla correlata ripartizione degli oneri probatori;
– il motivo è fondato;
– la motivazione della sentenza impugnata è del seguente tenore, sotto l’intestazione “motivi della decisione” «La Commissione, esaminati gli atti, ritiene infondato l’appello e non condivide le argomentazioni addotte a sostegno dell’atto di appello. Il collegio rileva che l’accertamento operato fonda su semplici presunzioni non supportate da validi elementi probatori sicché le contestazioni e i rilievi mossi non appaiono condividibili e devono essere disattesi. Il contribuente di contro non limita la sua difesa a generiche affermazioni in quanto dimostra e giustifica la causale dei movimenti finanziari contestando l’operato dell’Ufficio che fonda l’azione accertatrice soltanto sui prelevamenti. Va aggiunto che, trovandosi il contribuente in regime di contabilità semplificata, i movimenti finanziari non devono risultare dalle scritture contabili sicché, anche sotto questo profilo, i rilievi dell’Ufficio non sono condivisibili. L’appellante ripropone in questa sede le stesse affermazioni già disattese dai primi giudici, per cui la decisione e la motivazione di 1 grado non meritano censura e vanno confermate mentre l’appello va respinto», a cui segue il dispositivo;
– la CTR, dunque, ha inteso assolvere al suo obbligo di motivazione limitandosi ad enunciare che l’accertamento si basava su semplici elementi presuntivi e che la contestazione del contribuente era fondata per aver giustificato la causale dei movimenti finanziari, che non debbono risultare provati dalle scritture contabili trovandosi il contribuente in regime di contabilità semplificata;
– a proposito della giustificazione fornita dal contribuente, la CTR, peraltro, omette ogni riferimento od indicazione, restando ignoto se (prima ancora che quali) vi siano atti o documenti, neppure risultando alcun riscontro anche indiretto dalle scritture contabili, ritenuto superflue e irrilevanti dalla CTR;
– nella descritta situazione, invero, non si è in presenza di una cd. motivazione per relationem, cioè fondata sulla mera condivisione della rappresentazione contenuta in atti esterni alla sentenza, che risulti fatta propria con forza argomentativa dal giudice, perché detto tipo di motivazione suppone o la riproduzione del contenuto degli atti esterni al fine di farlo valere come argomento a sostegno della decisione e, quindi, come motivazione, o almeno un rinvio agli atti esterni che, pur non riproducendo il contenuto oggetto di esso, si accompagni all’indicazione della ragione di diritto o fattuale che giustificherebbe il valore attribuito e, anzi, all’oggetto del rinvio, in modo da consentire di comprendere appunto il senso della condivisione, al fine di poterlo criticare;
– si è, invece, in presenza non solo di un rinvio che prescinde non solo dalla riproduzione di ciò a cui si è inteso fare rinvio e far proprio come motivazione, ma anche della mancanza di qualsiasi indicazione della ragione giuridica o fattuale che, in quanto emergente dall’oggetto del rinvio, si è ritenuto di condividere;
– non è certo sufficiente il riferimento, del tutto generico, alla contestazione, da parte del contribuente, sull’operato dell’Ufficio che fonda l’azione accertatrice sui prelevamenti, che non esprime, in realtà, alcuna spiegazione, neppure per relationem, della condivisione;
– la motivazione, dunque, risulta materialmente carente per tutti gli oggetti del rinvio come parte formale della sentenza, prima che come parte sostanziale, perché, anche ove fosse possibile motivare rinviando ad atti esterni (come per i precedenti giuridici, che possono richiamarsi, perché essi fanno parte del “diritto” che è conosciuto o conoscibile da chiunque e, quindi, anche da chi legge la sentenza per percepirne la giustificazione), sarebbe impossibile individuare quella parte perché il giudice non l’ha individuata (v. in termini Cass. n. 7402 del 2017 (6));
– ne consegue che è impossibile comprendere perché, sotto il profilo logico, l’appello dell’Agenzia (e, quindi, la pretesa fiscale) sarebbe infondato (pur a fronte delle articolate argomentazioni ivi espresse e degli elementi contenuti nell’avviso di accertamento) e, dunque, al di là della mancanza sotto il profilo formale del requisito di contenuto-forma «della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione», non è possibile neppure individuare tali ragioni, sicché la sentenza risulta sostanzialmente inesistente;
– l’accoglimento del secondo motivo comporta l’assorbimento del primo;
– restano altresì assorbite le richieste in merito all’applicazione dello jus superveniens;
– la sentenza va pertanto cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione, perché provveda all’ulteriore giudizio.

P.Q.M. – La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

(1) Cass. 15 novembre 2005, n. 23020, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 19 gennaio 2007, n. 1227, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass. 5 luglio 2011, n. 14785, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass. 14 febbraio 2006, n. 3116, in Boll. Trib., 2006, 866.
(5) Cass. 4 novembre 2016, n. 22434, in Boll. Trib. On-line.
(6) Cass. 23 marzo 2017, n. 7402, in CED Cassazione.

IV

Procedimento – Giudizio di cassazione – Rappresentanza processuale dell’Agenzia delle entrate da parte dell’Avvocatura dello Stato – Non necessita di specifica procura alle liti – Menzione della procura alle liti o del conferimento del relativo incarico nel ricorso per cassazione – Non necessita.
Imposte e tasse – Riscossione – Rimborsi – Termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso – Art. 38 del D.P.R. n. 602/1973 – Decorrenza – Opera dal versamento del saldo o dal versamento dei singoli acconti a seconda di quando emerga la natura indebita dei pagamenti.

Quando l’Agenzia delle entrate si avvalga, nel giudizio di cassazione, del ministero dell’Avvocatura dello Stato, non è tenuta a conferire a quest’ultima una procura alle liti, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione dell’art. 1, secondo comma, del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, in base alla quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato, e per quanto sia vero che l’Avvocatura dello Stato, per proporre ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate, debba aver ricevuto da quest’ultima il relativo incarico, di questo tuttavia non deve fare specifica menzione nel ricorso, atteso che l’art. 366, primo comma, n. 5), c.p.c., inserendo tra i contenuti necessari del ricorso medesimo «l’indicazione della procura, se conferita con atto separato», fa riferimento esclusivamente alla procura intesa come negozio processuale attributivo del ius postulandi, che non è necessario per il patrocinio erariale, e non anche invece al negozio sostanziale di patrocinio, attributivo dell’incarico professionale al difensore.

Il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso delle imposte sui redditi in caso di versamenti diretti, previsto dall’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che concerne tutte le ipotesi di contestazione riguardanti tali versamenti, decorre dal versamento del saldo nel caso in cui il relativo diritto derivi da un’eccedenza degli importi anticipatamente corrisposti rispetto all’ammontare del tributo che risulti al momento del saldo complessivamente dovuto, oppure rispetto ad una successiva determinazione in via definitiva dell’an e del quantum dell’obbligazione fiscale, mentre non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti in acconto nel caso in cui questi già all’atto della loro effettuazione risultino parzialmente o totalmente non dovuti, poiché in questa ipotesi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin da tale momento.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Biagio, rel. Iannello), 19 luglio 2017, sent. n. 17803, ric. Agenzia delle entrate c. Università Cattolica del Sacro Cuore]

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 giugno 2017 dal Consigliere Emilio Iannello.
Rilevato che l’Agenzia delle entrate ricorre con unico mezzo, nei confronti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (che resiste con controricorso), avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la C.T.R. della Lombardia – in controversia concernente l’impugnazione del rigetto di istanza di rimborso, presentata in data 21/6/2006, dell’Irpeg versata, per gli anni dal 1995 al 2003, in relazione ad immobili di interesse storico ed artistico, in eccedenza rispetto a quella dovuta secondo l’aliquota ridotta di cui all’art. 11, comma 2, legge 30 dicembre 1991, n. 413 – ha confermato la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente;
che i giudici d’appello hanno infatti respinto l’eccezione, iterata dall’Ufficio appellante, d’inammissibilità dell’istanza di rimborso in quanto riferita anche ai versamenti effettuati anteriormente al 21/6/2002, poiché proposta al di là del termine decadenziale di cui all’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ritenendo anche sul punto corretta e non meritevole di censura la decisione di primo grado che l’aveva rigettata richiamando il principio affermato da Cass. n. 23716 del 2004 (1), secondo cui «la decorrenza del termine di decadenza per la presentazione di istanza di rimborso, di cui all’art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973, non può essere fatta coincidere con la data del pagamento, allorché l’erroneità di questo derivi da un evento successivo soltanto dal quale discende in modo incontrovertibile … il carattere di indebito delle somme percepite dall’Amministrazione»: evento nel caso di specie rappresentato dalla emanazione della Circolare n. 2/E del 17/1/2006 (2), da parte dell’Agenzia delle entrate, che aveva riconosciuto la spettanza della chiesta agevolazione;
considerato che la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., dell’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, per avere la C.T.R. rigettato l’eccezione di decadenza richiamando un principio giurisprudenziale valevole nel solo caso in cui il presupposto dell’indebito si sia realizzato in epoca successiva alla data del versamento, ma del tutto inconferente nel caso di specie, nel quale il versamento era da ritenersi indebito sin dall’inizio, in virtù delle previsioni di cui alla legge n. 413 del 1991, a nulla rilevando – sotto il profilo che interessa – l’emanazione della Circolare del gennaio 2006 da parte dell’Agenzia delle entrate;
ritenuto che va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione perché proposto per ministero dell’Avvocatura dello Stato, in mancanza di prova del conferimento di specifico incarico da parte dell’Agenzia ricorrente;
che al riguardo questa Corte ha più volte chiarito, anche a sezioni unite, che quando l’Agenzia delle entrate si avvalga, nel giudizio di cassazione, del ministero dell’Avvocatura dello Stato, non è tenuta a conferire a quest’ultima una procura alle liti, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione dell’art. 1, comma 2, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, in base alla quale gli avvocati dello stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato (v. Cass. Sez. U. n. 23020 del 2005 (3); Cass. n. 11227 del 2007 (4); Cass n. 3427 del 2010 (5));
che non può indurre a diversa conclusione il riferimento della controricorrente alla decisione di Cass. Sez. U. n. 3116 del 2006 (6) – citata per stralcio nella parte in cui ha affermato che il ricorso dell’Agenzia delle entrate al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato deve avvenire in relazione al singolo procedimento, non rilevando l’eventuale conclusione, tra Avvocatura e Agenzia, di convenzioni di contenuto generale per l’assunzione del patrocinio – atteso che è bensì vero che l’Avvocatura dello Stato, per proporre ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate, deve aver ricevuto da quest’ultima il relativo incarico, ma di questo non deve fare specifica menzione nel ricorso, atteso che l’art. 366, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., inserendo tra i contenuti necessari del ricorso medesimo «l’indicazione della procura, se conferita con atto separato», fa riferimento esclusivamente alla procura intesa come negozio processuale attributivo del ius postulandi, che si è visto non esser necessario per il patrocinio erariale, non anche invece al negozio sostanziale di patrocinio, attributivo dell’incarico professionale al difensore (v. Cass. n. 1560 del 2014 (7); Cass. n. 14785 del 2011 (8));
ciò posto e ritenuto che nel merito il ricorso (non tacciabile di non autosufficienza, essendo di mero diritto la questione con esso posta e decidibile sulla base di pochi dati temporali specificamente indicati in ricorso e comunque ricavabili con certezza dalla stessa sentenza impugnata) si appalesa manifestamente fondato e deve pertanto essere accolto;
che invero, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, peraltro affermato anche in fattispecie analoghe, il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso delle imposte sui redditi in caso di versamenti diretti, previsto dall’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (il quale concerne tutte le ipotesi di contestazione riguardanti i detti versamenti), decorre dal versamento del saldo nel caso in cui il relativo diritto derivi da un’eccedenza degli importi anticipatamente corrisposti rispetto all’ammontare del tributo che risulti al momento del saldo complessivamente dovuto, oppure rispetto ad una successiva determinazione in via definitiva dell’an e del quantum dell’obbligazione fiscale, mentre non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti in acconto nel caso in cui, come nella fattispecie deve ritenersi, questi già all’atto della loro effettuazione risultino parzialmente o totalmente non dovuti, poiché in questa ipotesi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin da tale momento (Cass. n. 19479 del 2010 (9); Cass. n. 19484 del 2010 (10));
che tanto meno può assumere rilievo, al fine di spostare in avanti la decorrenza del termine di decadenza, il fatto sopravvenuto rappresentato dalla Circolare ministeriale sopra menzionata, non essendo questa fonte di diritto, ma semplice supporto chiarificatore della posizione espressa in generale, dall’amministrazione, su un determinato oggetto;
che, dunque, non può mai la Circolare rappresentare il presupposto per la restituzione di un’imposta non dovuta e il diritto al rimborso può essere giuridicamente azionato a prescindere da una tale evenienza — tutta interna all’amministrazione — per il sol fatto del pagamento non dovuto (v. e[x] pluribus Cass. n. 1577 del 2014 (11); Cass. n. 20526 del 2013 (12); n. 23042 del 2012 (13); Cass. n. 12447 del 2011 (14); Cass. Sez. U. n. 23031 del 2007 (15));
che in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va pertanto cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., con l’accoglimento parziale del ricorso introduttivo limitatamente ai versamenti effettuati successivamente al 21/6/2002;
che avuto tuttavia riguardo allo svolgimento del processo, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito;
che alla soccombenza segue invece la condanna della controricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

P.Q.M. – accoglie il ricorso; cassa la sentenza; decidendo nel merito, accoglie parzialmente il ricorso introduttivo limitatamente ai versamenti effettuati successivamente al 21/6/2002. Compensa le spese relative ad entrambi i gradi del giudizio di merito. Condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

(1) Cass. 21 dicembre 2004, n. 23716, in Boll. Trib. On-line.
(2) In Boll. Trib., 2006, 133.
(3) Cass. 15 novembre 2005, n. 23020, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass. 16 maggio 2007, n. 11227, in Boll. Trib. On-line.
(5) Cass. 12 febbraio 2010, n. 3427, in Boll. Trib. On-line.
(6) Cass. 14 febbraio 2006, n. 3116, in Boll. Trib., 2006, 866.
(7) Cass. 27 gennaio 2014, n. 1560, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cass. 5 luglio 2011, n. 14785, in Boll. Trib. On-line.
(1) Cass. 13 settembre 2010, n. 19479, in Boll. Trib. On-line.
(10) Cass. 13 settembre 2010, n. 19484, in Boll. Trib. On-line.
(11) Cass. 27 gennaio 2014, n. 1577, in Boll. Trib. On-line.
(12) Cass. 6 settembre 2013, n. 20526, in Boll. Trib. On-line.
(13) Cass. 14 dicembre 2012, n. 23042, in Boll. Trib. On-line.
(14) Cass. 8 giugno 2011, n. 12447, in Boll. Trib. On-line.
(15) Cass. 2 novembre 2007, n. 23031, in Boll. Trib., 2008, 437.

V

Procedimento – Giudizio di cassazione – Rappresentanza processuale dell’Agenzia delle entrate da parte dell’Avvocatura dello Stato – Assunzione in via organica ed esclusiva della rappresentanza e difesa nei giudizi avanti le Autorità giudiziarie di Amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati – Conferimento di apposita procura – Non necessita – Esercizio delle funzioni da parte degli avvocati dello Stato in favore delle pubbliche Amministrazioni senza bisogno di mandato – Consegue.

Procedimento – Notificazioni – Notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali da parte dell’Avvocatura dello Stato – Legittimità – Inesistenza o nullità della notifica eseguita direttamente dall’Avvocatura dello Stato ai sensi della legge n. 53/1994 – Inconfigurabilità.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento per presunzioni – Presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili di una società di capitali a ristretta base azionaria o familiare – Legittimità – Contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado – Non sussiste – Individuazione del fatto noto nella ristrettezza dell’assetto societario e nel vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci.

È infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione in quanto proposto per ministero dell’Avvocatura dello Stato in difetto di ius postulandi per mancanza di preventiva procura scritta, perché dopo la costituzione, avvenuta in data 1° gennaio 2001 (art. 1 del D.M. 28 dicembre 2000), delle Agenzie fiscali, alle quali sono stati trasferiti i rapporti giuridici relativi alla gestione delle funzioni esercitate dai Dipartimenti delle entrate a norma dell’art. 57 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, dette Agenzie, per la rappresentanza in giudizio, possono avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art. 43 del T.U. approvato con R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni, in base al quale l’Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorità giudiziarie di Amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata da disposizione di legge; in tali casi, la rappresentanza e la difesa sono assunte dall’Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto d’interessi con lo Stato o con le Regioni, non essendo nemmeno richiesto il conferimento di apposita procura, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione dell’art. 1, secondo comma, del citato R.D. n. 1611/1933, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato.

L’art. 55 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nel consentire all’Avvocatura dello Stato di eseguire la notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53, prescrive, al secondo comma, che questa si debba a tal fine dotare di un apposito registro cronologico conforme alla normativa, anche regolamentare, vigente e, al terzo comma, dispone modalità speciali per la validità dei registri, ma non detta altre specifiche modalità di esecuzione delle notifiche a mezzo del servizio postale, di talché appare irrilevante la mancanza di specifica procura attributiva del relativo potere e, per quanto non espressamente disposto, si applicano le disposizioni della citata legge n. 53/1994, tra cui anche l’art. 3, terzo comma, che dispone che per il perfezionamento della notificazione e per tutto quanto non previsto dal presente articolo, si applicano, per quanto possibile, gli artt. 4 e seguenti della legge 20 novembre 1982, n. 890.

A fronte di società di capitali a ristretta base sociale o familiare, in caso di accertamento di utili non contabilizzati opera la presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria e la dimostrazione che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti, trattandosi di presunzione che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci, che, in tal caso, caratterizza normalmente la gestione sociale.

[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Cirillo, rel. Vella), 21 febbraio 2017, ord. n. 4459, ric. Agenzia delle entrate]

RILEVATO – che:
1. il giudizio concerne un avviso di accertamento emesso a carico della Costruzioni Piergallini & Pignotti s.r.l. – società a ristretta base sociale esercente attività edilizia – per maggiori imposte Iva, Irap ed Ires dell’anno d’imposta 2004, con conseguente recupero a tassazione nei confronti del socio P.A. (limitatamente alla quota di partecipazione del 50%) degli utili non dichiarati dalla società, che si presumono essere stati ripartiti tra i due soci;

2. il primo motivo, proposto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è fondato, con assorbimento del secondo (peraltro infondato) e del terzo, formulati rispettivamente in relazione ai successivi nn. 4) e 5).

CONSIDERATO – che:
3. è infondata l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso in quanto proposto per ministero dell’Avvocatura dello Stato in difetto di jus postulandi per mancanza di preventiva procura scritta, poiché, come recentemente ribadito da questa Corte (Cass. Sez. 5 sent. 14/12/2016, n. 25679 (1)), «dopo la costituzione, avvenuta in data 1° gennaio 2001 (D.M. 28 dicembre 2000, art. 1), delle agenzie fiscali, alle quali sono trasferiti i rapporti giuridici relativi alla gestione delle funzioni esercitate dai dipartimenti delle entrate (D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57), dette agenzie, per la rappresentanza in giudizio, possono avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi del T.U. approvato con R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43 e successive modificazioni (cit. D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72). In base alla disposizione richiamata (T.U. n. 1611 del 1933, art. 43), l’Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorità giudiziarie, di amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata (per quel che qui interessa) da disposizione di legge: in tali casi, la rappresentanza e la difesa sono assunte dall’Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto d’interessi con lo Stato o con le regioni, fatta salva la facoltà di tali amministrazioni, in casi speciali, di non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato, adottando a tal fine apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza» (cfr. Cass., Sez. V, 09/06/2005 n. 12152 (2) e 13/05/2003, n. 7329 (3)), non essendo «nemmeno richiesto il conferimento di apposita procura, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 1, comma 2, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato» (Cass., S.U. 15/11/2005, n. 23020 (4); Sez. V, 12/02/2010, n. 3427 (5) e 16/05/2007, n. 11227 (6));

4. è altresì infondata la connessa eccezione di inesistenza o nullità della notifica eseguita direttamente dall’Avvocatura medesima ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53, in mancanza di specifica procura attributiva del relativo potere, poiché, come di recente ribadito da questa Corte (Cass. Sez. V, sent. 13/04/2016, n. 7228 (7)) «la legge 18 giugno 2009, n. 69, art. 55, nel consentire all’Avvocatura dello Stato di “eseguire la notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53” prescrive, al comma 2, che questa si debba a tal fine dotare “di un apposito registro cronologico conforme alla normativa, anche regolamentare, vigente” e dispone modalità speciali per la validità dei registri (comma 3), ma non detta altre specifiche modalità di esecuzione delle notifiche a mezzo del servizio postale. Ne segue che per quanto non espressamente disposto si applicano le disposizioni della L. 21 gennaio 1994, n. 53 e dunque anche l’art. 3, comma 3, che dispone che “per il perfezionamento della notificazione e per tutto quanto non previsto dal presente articolo, si applicano, per quanto possibile, L. 20 novembre 1982, n. 890, artt. 4 e segg.»;

5. nel merito, è fondata la censura di falsa applicazione degli artt. 5 e 47, t.u.i.r., nonché degli artt. 2247, 2697, 2727 e 2729 cod. civ., poiché la sentenza impugnata, escludendo la possibilità della prova per presunzioni della avvenuta distribuzione ai soci di utili extrabilancio di società a ristretta base sociale, ed affermando che (a differenza delle società di persone) i soci di società di capitali, sia pure a base ristretta, “non sono mai destinatari di tali redditi se non in forza di una delibera di distribuzione societaria”, si pone in netto contrasto con il consolidato orientamento di questa Corte per cui, a fronte di «società di capitali a ristretta base sociale, in caso di accertamento di utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria e la dimostrazione che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti» (Cass. Sez. VI-5, ord. 24/07/2013, n. 18032 (8)), trattandosi di presunzione che «non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci, che, in tal caso, caratterizza, normalmente, la gestione sociale» (Cass. Sez. V, sent. 29/07/2016, n. 15824 (9); Sez. VI-5, ord. 28/11/2014, n. 25271 (10)), con la precisazione che la presenza di utili occulti è stata espressamente dichiarata logicamente inconcepibile con l’esistenza di un’apposita deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio (Cass. Sez. V, sent. 18/12/2015, n. 25468 (11));

6. la causa va quindi rinviata al giudice di secondo grado per nuovo esame alla luce dei principi sopra enunciati.

P.Q.M. – accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale delle Marche in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

(1) In questo stesso fascicolo infra a pag. 1684.
(2) In Boll. Trib. On-line.
(3) In Boll. Trib. On-line.
(4) In Boll. Trib. On-line.
(5) In Boll. Trib. On-line.
(6) In Boll. Trib. On-line.
(7) In Boll. Trib. On-line.
(8) In Boll. Trib. On-line.
(9) In Boll. Trib. On-line.
(10) In Boll. Trib. On-line.
(11) In Boll. Trib. On-line.

VI

Procedimento – Giudizio di cassazione – Rappresentanza processuale dell’Agenzia delle entrate da parte dell’Avvocatura dello Stato – Assunzione in via organica ed esclusiva della rappresentanza e difesa nei giudizi avanti le Autorità giudiziarie di Amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati – Conferimento di apposita procura – Non necessita – Esercizio delle funzioni da parte degli avvocati dello Stato in favore delle pubbliche Amministrazioni senza bisogno di mandato – Consegue.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Accertamento bancario fondato sulle risultanze dei conti correnti – Equiparazione dei versamenti non giustificati a ricavi o compensi – Costituisce una presunzione legale che comporta l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente – Sufficienza delle sole movimentazioni dei conti correnti a giustificare la presunzione di maggiori ricavi ed onere del contribuente di fornire specifica prova contraria – Conseguono.

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Principio di non contestazione dei fatti dedotti dalle parti – Operatività nel processo tributario sul piano della prova – Sussiste – Condizioni e limiti – Non comporta l’elisione del diverso principio, operante sul piano dell’allegazione, secondo cui la mancata presa di posizione dell’Ufficio finanziario sui motivi di opposizione svolti dal contribuente non equivale ad ammissione delle sue affermazioni che tali motivi sostanziano, né restringe il thema decidendum ai soli motivi contestati.

Procedimento – Commissioni – Sentenze – Vizio di insufficiente motivazione – Sussiste allorquando il giudice non indichi gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento ovvero il criterio logico che lo ha guidato – Obbligo del giudice di delineare adeguatamente il percorso logico seguito – Sussiste.

IRES – Redditi di impresa – Costi – Art. 75 (ora art. 109) del TUIR – Deducibilità di costi non regolarmente contabilizzati – Abrogazione del sesto comma dell’art. 75 del TUIR – Effetti – Automatica deducibilità dei costi – Non sussiste – Possibilità di provarne l’esistenza con mezzi diversi dalle scritture contabili – Sussiste.

È infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione in quanto proposto per ministero dell’Avvocatura dello Stato in difetto di ius postulandi per mancanza di preventiva procura scritta, perché dopo la costituzione, avvenuta in data 1° gennaio 2001 (art. 1 del D.M. 28 dicembre 2000), delle Agenzie fiscali, alle quali sono stati trasferiti i rapporti giuridici relativi alla gestione delle funzioni esercitate dai Dipartimenti delle entrate a norma dell’art. 57 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, dette Agenzie, per la rappresentanza in giudizio, possono avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’art. 43 del T.U. approvato con R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni, in base al quale l’Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorità giudiziarie di Amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata da disposizione di legge; in tali casi, la rappresentanza e la difesa sono assunte dall’Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto d’interessi con lo Stato o con le Regioni, non essendo nemmeno richiesto il conferimento di apposita procura, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione dell’art. 1, secondo comma, del citato R.D. n. 1611/1933, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato.

L’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e l’art. 51, secondo comma, n. 2), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come reso palese dal loro tenore letterale e come confermato dalla giurisprudenza di legittimità, pongono una presunzione legale, ancorché semplice, in forza della quale i versamenti su conto corrente bancario, in assenza di prova contraria del contribuente, che attesti la loro inerenza all’imponibile dichiarato ovvero ad operazioni non imponibili, si presumono rappresentativi di corrispettivi imponibili in forza di una vincolante valutazione legislativa, con la conseguenza che le movimentazioni dei conti correnti possono anche da sole giustificare la presunzione di maggiori ricavi, senza necessità di ulteriori riscontri contabili, salvo specifica prova contraria del contribuente, e non di mera allegazione, che ne dimostri una diversa causale.

Il principio di non contestazione, in astratto non estraneo nemmeno al processo tributario, opera sul piano della prova, cosicché nel processo tributario esso non elide l’operatività dell’altro principio, operante sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario, secondo cui la mancata presa di posizione dell’Ufficio finanziario sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande subordinate avversarie.

Ricorre il vizio di insufficiente motivazione della sentenza ove il giudice di merito non indichi gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento ovvero il criterio logico che lo ha guidato, atteso che il giudice deve delineare il percorso logico seguito, descrivendo il legame tra gli elementi interni determinanti che conducono necessariamente ed esclusivamente alla decisione adottata, mentre deve escludere, attraverso adeguata critica, la rilevanza di ogni elemento esterno al percorso logico seguito, di natura materiale, logica o processuale, ed astrattamente idoneo a delineare conseguenze divergenti dall’adottata decisione.

In tema di accertamento delle imposte sui redditi e in merito alla deducibilità di costi di impresa non regolarmente registrati ai sensi dell’art. 2215 c.c., l’abrogazione dell’art. 75, sesto comma, del TUIR, ad opera dell’art. 5 del D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, non comporta l’automatica deducibilità dei costi suddetti, ma, non incidendo sull’ordinario criterio di distribuzione dell’onere della prova, soltanto la possibilità, prima assolutamente preclusa al contribuente, di provarli anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, purché rispondenti ai requisiti di cui al quarto comma del citato art. 75 del TUIR.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Virgilio, rel. Iannello), 14 dicembre 2016, sent. n. 25679, ric. Agenzia delle entrate]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – 1. D.M., titolare dell’omonima impresa di produzione di borse e pelletteria, e G.C. impugnavano con distinti ricorsi avanti la C.T.P. di Firenze i tre avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio aveva rettificato i redditi d’impresa dichiarati per il 1991, il 1992 e il 1993, elevandoli, rispettivamente, da L. 46.357.000 a L. 725.620.000, da L. 57.935,000 a L. 541.255.000 e da L. 16.240.000 a L. 726.742.000. Gli accertamenti erano scaturiti: a) da indagini bancarie condotte sui conti correnti del M., della C. nonché su quello di una loro dipendente (con delega, peraltro, in favore del M.), da cui erano risultate operazioni attive e passive non contabilizzate, che i contribuenti non erano riusciti a dimostrare non inerenti all’attività d’impresa del M.; b) dal riscontro di costi registrati, in violazione del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, prima della vidimazione del libro giornale.
I ricorsi, riuniti, erano accolti dalla adita C.T.P. con sentenza confermata in grado d’appello dalla C.T.R della Toscana.
I giudici di appello, in particolare, ritennero l’illegittimità delle riprese basate sulle risultanze dei conti correnti, considerando che, in violazione del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, l’ufficio: 1) non aveva convocato il M. e gli altri intestatari dei conti oggetto di verifica, per dare loro la possibilità di giustificare le movimentazioni avvenute sui conti medesimi; 2) non aveva redatto verbale apposito; 3) non aveva consegnato copia di detto verbale agli interessati.
Ritennero, inoltre, l’illegittimità dei recuperi relativi ai costi contabilizzati in ritardo, in quanto questi erano stati registrati nel libro giornale vidimato, seguivano l’ordine cronologico e il ritardo nell’annotazione non superava i dieci giorni sicché rientrava nel termine più ampio (60 giorni) consentito dalla legge.

2. Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate che veniva accolto dalla Suprema Corte, con sentenza n. 10964 del 14/5/2007 (1), la quale cassava quindi la decisione impugnata con rinvio al giudice a quo.

2.1. La Corte ha in particolare ritenuto fondati i primi due motivi di ricorso – con i quali l’Agenzia si doleva, per violazione di legge e vizio di motivazione, della ritenuta illegittimità della determinazione di maggiori ricavi sulla base dei movimenti dei conti correnti bancari in disponibilità del contribuente – rilevando, per quanto ancora in questa sede interessa, che: a) «l’utilizzazione da parte dell’Amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari in disponibilità del contribuente, a fine di accertamento (tanto delle imposte dirette quanto dell’Iva), è legittima, anche in assenza di preventiva convocazione dell’interessato al fine di consentirgli di giustificare le operazioni bancarie oggetto di verifica, giacché nessuna norma impone detta convocazione (cfr. Cass. 16597/03, 6335/02, 10278/00, 11094/99)»; b) «il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, come reso palese dal loro tenore letterale e come confermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 18851/03, 6232/03, 8422/02, 10662/01, 9946/00), pongono una presunzione legale, ancorché semplice, in forza della quale, i versamenti su conto corrente bancario – in assenza di prova contraria del contribuente, che attesti la loro inerenza all’imponibile dichiarato ovvero ad operazioni non imponibili – si presumono rappresentativi di corrispettivi imponibili in forza di una vincolante valutazione legislativa».

2.2. Ha ritenuto altresì fondato, nei sensi come appresso precisati, il terzo motivo con il quale l’Amministrazione finanziaria deduceva «violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia», in relazione al capo della sentenza che aveva ritenuto illegittima la ripresa dei costi reputati registrati in violazione del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 22.
Premesso che la ripresa era fondata, non sulla tardiva registrazione delle operazioni (poiché esse risultavano eseguite nei prescritti sessanta giorni), bensì sull’avvenuta annotazione delle operazioni medesime sul libro giornale in epoca antecedente alla sua vidimazione, in violazione dell’art. 2215 c.c., pure richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, ha osservato al riguardo la Corte che «la sanzione dell’indeducibilità dei costi irregolarmente registrati, pur non contemplata nella previsione del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, era sancita dal d.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 6, poi, tuttavia, retroattivamente abrogato dal d.P.R. n. 695 del 1996, art. 5. Tale abrogazione, peraltro, non ha comportato l’automatica deducibilità dei costi registrati in violazione del combinato disposto del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 22 e art. 2215 c.c. (una volta assolutamente indeducibili in forza della previsione di cui al d.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 6), bensì – non incidendo sull’ordinario criterio della ripartizione dell’onere della prova – l’effetto, più limitato, di ammettere il contribuente alla prova dei costi suddetti (in precedenza radicalmente preclusa), anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, purché costituenti elementi certi e precisi, come prescritto dell’art. 75, comma 4 (Cass. 18000/06, 4218/06, 10090/02)».

3. Pronunciando in sede di rinvio, la C.T.R. della Toscana, con la sentenza in epigrafe, nuovamente rigettando l’appello dell’ufficio, ha confermato la decisione di primo grado, compensando interamente le spese.

3.1. Secondo i giudici di rinvio, infatti, con riferimento alla rettifica operata ai sensi dell’art. 32, comma 1 n. 2, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, il principio affermato dalla S.C. giustificava bensì la cassazione della sentenza di secondo grado che si era espressa in modo difforme, ma non poteva indurre anche alla riforma della sentenza di primo grado poiché questa «al contrario esprime un concetto conforme a quanto affermato dalla Suprema Corte». Rimarcavano al riguardo che i giudici di primo grado avevano ritenuto che, nel caso de quo: i) le presunzioni su cui si è basato l’Ufficio non fossero gravi, precise e concordanti, in quanto non trovavano alcun riscontro significativo in risultanze extracontabili; ii) i ricorrenti avevano fornito la giustificazione, a contrario, di gran parte dei movimenti bancari e la ricostruzione operata non è stata contestata dall’Ufficio; iii) quanto al conto della dipendente P., chiuso nell’anno 1991, né la Guardia di Finanza né l’Ufficio II.DD. avevano inspiegabilmente verificato il fondamento delle affermazioni della sua titolare secondo cui essa aveva utilizzato il conto per altro operatore estraneo alla ditta Migliorini, cosa questa che sminuisce notevolmente il valore indiziario della circostanza. Sul punto i giudici a quibus ritenevano conclusivamente dirimente che la C.T.P. avesse valutato le dette operazioni «estranee alla ditta Migliorini».

3.2. Analogamente, quanto alla ripresa dei costi registrati in violazione del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, il giudice di rinvio affermava di «condividere la sentenza di primo grado», ritenendo che la stessa si esprimesse «in modo ben diverso» da quella, cassata, di secondo grado.
Sulla scorta quindi delle condivise motivazioni della sentenza di primo grado, osservava in particolare la C.T.R. che:
– le registrazioni effettuate rispettano l’ordine cronologico, il libro giornale è stato bollato prima dell’uso e le registrazioni sono antecedenti alla bollatura di soli 10 giorni per cui non vi è ritardo nelle registrazioni, avendosi tempo per le stesse di sessanta giorni;
– in ogni caso, lo spirito e le finalità della legge non sono state eluse e non vi è stata evasione d’imposta;
– l’Ufficio non ha mosso contestazioni sull’effettività dei costi, basando la ripresa esclusivamente sul rilievo che la relativa registrazione era stata effettuata su un libro giornale non vidimato.
Quest’ultima, secondo i giudici a quibus, costituisce però mera «irregolarità formale» che di per sé «non può comportare il recupero a tassazione delle spese sostenute e non contestate».

4. Avverso tale decisione l’Agenzia delle entrate propone ricorso sulla base di sette motivi, cui resistono i contribuenti, depositando controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE – 4. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate denuncia violazione degli artt. 394 cod. proc. civ.; 53 e 63 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, comma primo n. 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R.: a) effettuato un sindacato di compatibilità della decisione di primo grado rispetto ai princìpi di diritto enunciati nella sentenza di cassazione, anziché pronunciarsi sulla fondatezza dei motivi d’appello alla luce dei princìpi medesimi; b) ritenuto che fosse onere dell’amministrazione riproporre, nell’atto di riassunzione, tutte le censure già formulate nell’atto d’appello.

5. Con il secondo e terzo motivo la ricorrente denuncia – alternativamente ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3 o n. 4, cod. proc. civ. – violazione degli artt. 384 c.p.c.; 63 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; 32, comma 1 n. 2, 33 e 39, comma 1 lett. d, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per avere la C.T.R. negato valore di presunzioni gravi, precise e concordanti, a base della determinazione induttiva dei maggiori ricavi, alle risultanze dei conti bancari, e ciò in ragione del mancato riconoscimento al contribuente della possibilità di fornire la prova contraria nel corso della fase c.d. amministrativa e della mancanza di riscontri nella documentazione extracontabile, così violando il principio di diritto – diametralmente opposto – affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza che ha disposto il rinvio.

6. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697, 2727, 2728 cod. civ.; 32, comma 1 n. 2, 33 e 39, comma 1 lett. d, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. applicato, con riferimento al medesimo tema di lite suindicato, una regula iuris contrastante: a) con il chiaro tenore delle suddette disposizioni; b) con il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia; c) con il contenuto inequivoco del principio di diritto enunciato dalla S.C. nella sentenza che ha cassata con rinvio la decisione dei giudici d’appello.

7. Con il quinto motivo l’Agenzia delle entrate denuncia, sui medesimi punti, anche vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 5, cod. proc. civ., per avere ritenuto che, con riferimento al conto intestato alla dipendente P., la Guardia di Finanza avesse omesso di verificare il fondamento delle affermazioni della stessa circa l’utilizzo del conto nell’interesse di altro operatore estraneo alla ditta Migliorini. Richiama al riguardo quanto in senso contrario specificamente evidenziato nel p.v.c. posto a base dell’accertamento, nonché nell’atto d’appello e nell’atto di riassunzione.

8. Con il sesto e settimo motivo la ricorrente deduce – alternativamente ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3 o n. 4, cod. proc. civ. – violazione degli artt. 384 c.p.c.; 63 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546; 22, comma 1, d.P.R 29 settembre 1973, n. 600; 75 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, per avere la C.T.R., con riferimento alla ripresa dei costi registrati in violazione del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 22: a) attribuito alla contestazione formulata al riguardo dall’ufficio un contenuto diverso da quello accertato dal giudice di legittimità; b) disatteso l’oggetto dell’accertamento ad essa demandato dalla Cassazione, che era quello di verificare se fosse stata offerta o meno dai contribuenti prova dei costi suddetti, con mezzi diversi dalle scritture contabili ma costituenti comunque elementi certi e precisi, come prescritto dal quarto comma dell’art. 75 T.U.I.R. (testo ante riforma).

9. È infondata l’eccezione preliminarmente opposta dai controricorrenti di inammissibilità del ricorso perché proposto per ministero dell’Avvocatura dello Stato in difetto di jus postulandi per mancanza di preventiva procura scritta.
Va al riguardo rammentato che, dopo la costituzione, avvenuta in data 1° gennaio 2001 (art. 1 d.m. 28 dicembre 2009), delle agenzie fiscali, alle quali sono trasferiti i rapporti giuridici relativi alla gestione delle funzioni esercitate dai dipartimenti delle entrate (art. 57 d.lgs. 30 luglio 1999 n. 300), dette agenzie, per la rappresentanza in giudizio, possono avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi dell’articolo 43 del testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, e successive modificazioni (art. 72 d.lgs. n. 300/1999 cit.). In base alla disposizione richiamata (art. 43 t.u. n. 1611/1933), l’Avvocatura dello Stato può assumere la rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi avanti le Autorità giudiziarie, di amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato, sempre che sia autorizzata (per quel che qui interessa) da disposizione di legge: in tali casi, la rappresentanza e la difesa sono assunte dall’Avvocatura dello Stato in via organica ed esclusiva, eccettuati i casi di conflitto d’interessi con lo Stato o con le regioni, fatta salva la facoltà di tali amministrazioni, in casi speciali, di non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato, adottando a tal fine apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza. Nella fattispecie, dunque, non si richiedeva una speciale autorizzazione, né si allega che sarebbe intervenuta un’apposita motivata delibera per escludere la rappresentanza dell’Avvocatura dello Stato (cfr. Cass., Sez. 5, n. 12152 del 09/06/2005 (2), Rv. 581261; Sez. 5, n. 7329 del 13/05/2003 (3), Rv. 562972).
Nemmeno era richiesto il conferimento di apposita procura, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione dell’art. 1, secondo comma, r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni e non hanno bisogno di mandato (v. Cass., Sez. U, n. 23020 del 15/11/2005 (4), Rv. 586486; conf. Sez. 5, n. 3427 del 12/02/2010 (5), Rv. 611687; Sez. 5, n. 11227 del 16/05/2007 (6), Rv. 598575).

10. Sono fondati il secondo e il terzo motivo di ricorso, di rilievo preliminare e congiuntamente esaminabili in quanto, in realtà, veicolanti una medesima e unica censura, non potendo costituire motivo di differenziazione l’alternativa sussunzione della stessa alle previsioni di cui al n. 3 o al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., qualificazione comunque non vincolante per la Corte (v. Cass., Sez. U, n. 17931 del 24/07/2013 (7), Rv. 627268).
Come evidenziato nella sentenza impugnata, la C.T.P. di Firenze aveva accolto il ricorso introduttivo, ritenendo che: i) le presunzioni su cui si è basato l’Ufficio per la determinazione presuntiva di maggiori ricavi non fossero gravi, precise e concordanti, in quanto non trovavano alcun riscontro significativo in risultanze extracontabili; ii) i ricorrenti avevano fornito la giustificazione, a contrario, di gran parte dei movimenti bancari e la ricostruzione operata non è stata contestata dall’Ufficio; iii) la Guardia di Finanza e l’Ufficio avevano omesso di verificare il fondamento delle affermazioni della dipendente Pascarella secondo cui la stessa aveva utilizzato il conto a lei intestato per altro operatore estraneo alla ditta Migliorini; iv) dette operazioni erano comunque estranee alla ditta Migliorini. Queste essendo le rationes decidendi, in parte qua, della decisione di primo grado, l’affermazione contenuta nella sentenza qui impugnata del giudice di rinvio – che l’ha confermata pienamente adagiandosi alle ivi espresse motivazioni – secondo cui esse applicherebbero una regula iuris conforme ai princìpi affermati dalla Suprema Corte, si appalesa erronea e frutto di una lettura monca e distorta di quest’ultima.

10.1. In particolare, l’affermazione sopra riassunta al punto i), postulando l’insufficienza delle presunzioni ricavabili dai movimenti bancari e la necessità che le stesse trovassero «riscontro significativo in risultanze extracontabili», esprime all’evidenza una regola di giudizio esattamente opposta al principio espresso dalla Corte secondo cui «il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, come reso palese dal loro tenore letterale e come confermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 18851/03, 6232/03, 8422/02, 10662/01, 9946/00), pongono una presunzione legale, ancorché semplice, in forza della quale, i versamenti su conto corrente bancario – in assenza di prova contraria del contribuente, che attesti la loro inerenza all’imponibile dichiarato ovvero ad operazioni non imponibili – si presumono rappresentativi di corrispettivi imponibili in forza di una vincolante valutazione legislativa», con la conseguenza – è appena il caso di chiosare – che le movimentazioni dei conti correnti possono anche da sole giustificare la presunzione di maggiori ricavi, senza necessità di ulteriori riscontri contabili, salvo prova contraria del contribuente che ne dimostri una diversa causale.

10.2. Analogamente è a dirsi quanto all’affermazione di cui al pt. ii), secondo cui sarebbe da ritenere sufficiente, nel caso in esame, l’avere – i contribuenti – «fornito la giustificazione … di gran parte dei movimenti bancari …».
Va anzitutto rilevato al riguardo che la frase (propriamente, frase complessa o periodo) «i contribuenti hanno fornito la giustificazione, a contrario, di gran parte dei movimenti bancari e la ricostruzione operata non è stata contestata dall’ufficio» (contenuta nella sentenza di primo grado e testualmente ripresa e fatta propria, senza alcuna sottrazione o aggiunta, in quella del giudice di rinvio), diversamente da quanto sostenuto dai controricorrenti (secondo cui essa attesterebbe che i contribuenti hanno fornito «la prova» della riferibilità dei movimenti a causali diverse da quelle presunte dall’ufficio), non è altrimenti interpretabile se non come riferita ad una attività (dei contribuenti) meramente assertiva, ovvero di mera allegazione della esistenza di una giustificazione dei movimenti bancari contraria alla presunzione operata dall’ufficio, non invece probatoria. Ciò sia perché è questo il significato proprio delle parole usate (e, del resto, né il giudice di primo grado, né quello di rinvio, fanno al riguardo menzione, neppure generica, di prove offerte dai contribuenti), sia perché non altro senso può darsi alla seconda proposizione («… la ricostruzione operata non è stata contestata dall’ufficio») che, coordinata con la prima per il tramite della congiunzione «e», concorre a comporre il periodo con determinante contributo di significato, se non quello – nella prospettiva dei giudici di merito – di consentire di acquisire a fondamento della decisione detta allegazione (ossia l’avere i contribuenti «fornito la giustificazione») senza necessità di una conferma probatoria, proprio perché, a sollevare i contribuenti dal relativo onere, varrebbe, secondo la C.T.R., la mancata contestazione da parte dell’ufficio.
Tale ragionamento, però, non può ritenersi giuridicamente corretto.
Occorre infatti rammentare che il principio di non contestazione (in astratto non estraneo nemmeno al processo tributario) opera sul piano della prova, cosicché nel processo tributario esso non elide l’operatività dell’altro principio – operante sul piano dell’allegazione e collegato alla specialità del contenzioso tributario – secondo cui la mancata presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente non equivale ad ammissione delle affermazioni che tali motivi sostanziano, né determina il restringimento del thema decidendum ai soli motivi contestati, posto che la richiesta di rigetto dell’intera domanda del contribuente consente all’Ufficio impositore, qualora le questioni da quello dedotte in via principale siano state rigettate, di scegliere, nel prosieguo del giudizio, le diverse argomentazioni difensive da opporre alle domande subordinate avversarie (v. Sez. 5, n. 13834 del 18/06/2014 (8), Rv. 631297; Id., n. 7789 del 03/04/2006 (9), Rv. 590424).
Anche in tale passaggio argomentativo è dunque ravvisabile una patente violazione del principio di diritto affermato nella sentenza di cassazione con rinvio, la quale al contrario ha stabilito che, a fronte delle presunzioni validamente ricavabili dai movimenti bancari, il contribuente è gravato da uno specifico onere di prova contraria (e non dunque di mera allegazione).
Principio, questo, che, oltre e prima ancora che essere conforme a consolidata interpretazione giurisprudenziale del dato normativo, costituiva comunque regola del caso concreto vincolante per il giudice di rinvio.
La violazione della stessa nei termini detti da parte della C.T.R. costituisce dunque error in procedendo (per palese inosservanza dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ.: v. Sez. L, n. 6461 del 25/03/2005 (10), Rv. 580271) e deve condurre all’accoglimento della detta censura. Rimangono conseguentemente assorbiti il primo e il quarto motivo.

11. Non incorrono invece in tale vizio le concorrenti affermazioni sopra riassunte ai punti iii) e iv), le quali esprimono la valutazione, di merito, secondo cui quanto dichiarato dalla dipendente P. consentirebbe di ritenere dimostrata la riferibilità del conto a lei intestato a soggetto estraneo alla ditta Migliorini.
Tale ratio decidendi – solo concorrente con le altre sopra viste, in quanto riguardante solo uno dei conti esaminati – non postula una inversione dell’onere della prova e, dunque, non può dirsi in contrasto con il principio di diritto affermato nella sentenza che ha disposto il rinvio, ma si espone alla censura di vizio motivazionale dedotta con il quinto motivo di ricorso, il quale si appalesa fondato e merita anch’esso accoglimento.
Le riferite affermazioni si risolvono, invero, in una immotivata valutazione di inidoneità degli elementi posti a base dell’accertamento a dimostrare la riferibilità ai contribuenti del conto intestato alla dipendente P., senza però alcun concreto riferimento agli elementi considerati che consenta di apprezzare la congruenza di tale valutazione e il percorso logico seguito per giungere ad essa.
È costante giurisprudenza di questa Corte che ricorre il vizio di insufficiente motivazione ove il giudice non indichi gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento ovvero il criterio logico che lo ha guidato. Il giudice deve delineare il percorso logico seguito, descrivendo il legame tra gli elementi interni determinanti che conducono necessariamente ed esclusivamente alla decisione adottata; mentre deve escludere, attraverso adeguata critica, la rilevanza di ogni elemento esterno al percorso logico seguito, di natura materiale, logica o processuale, ed astrattamente idoneo a delineare conseguenze divergenti dall’adottata decisione (v. ex multis, Cass. Sez. L, n. 11198 del 12/11/1997 (11), Rv. 509810).
Tale onere non risulta nella specie in alcuna misura assolto, avendo la C.T.R. omesso di indicare gli elementi posti a base delle esposte conclusioni: omissione tanto più rilevante e apprezzabile nella specie a fronte degli specifici elementi di valutazione indicati dall’ufficio, in astratto certamente rilevanti ai fini della valutazione da compiere e riferiti in ricorso (pagg. 34-35) con l’indicazione altresì delle fonti di prova e della rispettiva collocazione negli atti processuali (in assolvimento dunque dell’onere di autosufficienza).

12. Sono fondati anche il sesto e settimo motivo di ricorso, anch’essi espressivi di un’unica medesima censura e, quindi, congiuntamente esaminabili.
La ripresa dei costi registrati in violazione del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 22, è stata ritenuta illegittima dal giudice di rinvio essenzialmente sulla base della considerazione secondo cui il rilievo dell’ufficio riguardava una mera irregolarità formale (registrazione dei costi effettuata su un libro giornale non vidimato), di per sé non comportante il recupero a tassazione, e non anche l’effettività dei costi medesimi.
Non può dubitarsi che una tale ratio decidendi decampa totalmente dai limiti segnati dalla sentenza che ha disposto il rinvio, che aveva demandato al giudice di merito di rivalutare la fattispecie, quanto al profilo in esame, alla luce del principio di diritto secondo cui «in tema di accertamento delle imposte sui redditi ed in merito alla deducibilità di costi di impresa non regolarmente registrati ai sensi dell’art. 2215 c.c., l’abrogazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 6, ad opera del D.P.R. n. 695 del 1996, art. 5, non comporta l’automatica deducibilità dei costi suddetti, ma, non incidendo sull’ordinario criterio di distribuzione dell’onere della prova, soltanto la possibilità, prima assolutamente preclusa al contribuente, di provarli anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, purché rispondenti ai requisiti di cui al quarto comma del citato art. 75».
Tale principio infatti postulava, quale implicita ma univoca premessa in fatto, da ritenersi acquisita e non più rivedibile in sede di rinvio, che anche l’effettività dei costi fosse contestata dall’ufficio e del resto tale contestazione è ovviamente implicita nella ripresa a tassazione dei medesimi.
Anche in questo caso, dunque, la C.T.R. postulando una mancata contestazione dell’ufficio circa l’effettività dei costi de quibus e, in ragione di essa, la non necessità per i contribuenti di darne la prova, incorre, per le medesime ragioni già esposte in precedenza (v. supra par. 10.2), nella denunciata violazione del principio di diritto affermato nella sentenza di cassazione con rinvio che al contrario demandava al giudice di rinvio di valutare se tale prova fosse stata oppure no offerta dai contribuenti «anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, purché rispondenti ai requisiti di cui al quarto comma del citato art. 75 (T.U.I.R., testo ante riforma, n.d.r.)».

13. In accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, perché proceda a nuova valutazione della fattispecie facendo applicazione dei principi affermati nella precedente sentenza di questa Corte che, totalmente disattesi per le ragioni dette dal giudice a quo, non possono ovviamente che essere pienamente ribaditi in questa sede.

P.Q.M. – La Corte accoglie il secondo, terzo, quinto, sesto e settimo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il primo e il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione.

(1) In Boll. Trib. On-line.
(2) In Boll. Trib. On-line.
(3) In Boll. Trib. On-line.
(4) In Boll. Trib. On-line.
(5) In Boll. Trib. On-line.
(6) In Boll. Trib. On-line.
(7) In Boll. Trib. On-line.
(8) In Boll. Trib. On-line.
(9) In Boll. Trib. On-line.
(10) In Mass. Giur. it., 2005.
(11) In Mass. Giur. it., 1997.

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