29 Luglio, 2014

1. Premessa

L’annotata sentenza dimostra quanto sia ancora diffusa la prassi dell’agente della riscossione di procedere al (tentativo di) recupero coattivo delle somme iscritte a ruolo anche quando non dispone della documentazione attestante l’esistenza del titolo esecutivo o la valida notificazione dello stesso.

Nel caso di specie, in particolare, l’agente della riscossione non è stato in grado di provare in giudizio la regolare notifica delle cartelle di pagamento presupposte ad alcuni degli “inviti di pagamento” notificati al debitore.

Precisiamo subito che le questioni dedotte dalle parti avrebbero meritato un più adeguato approfondimento da parte della Commissione tributaria barese che invece ha preferito liquidarle sbrigativamente e con eccessiva disinvoltura.

Ci sembra quindi propizia l’occasione per approfondire le suddette questioni e verificare se le soluzioni proposte dai giudici pugliesi siano o meno condivisibili.

2. La vicenda processuale

A seguito del mancato pagamento delle somme richieste con tre distinte cartelle di pagamento, Equitalia s.p.a. notificava ad un contribuente tre “intimazioni di pagamento” avverso le quali l’intimato proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Bari.

I motivi di impugnazione dedotti dal ricorrente possiamo così riassumerli: «disconoscimento» degli atti impugnati perché «prodotti in copia fotostatica e non indicanti le modalità di impugnazione, i termini e l’Autorità»; nullità per difetto di notifica delle cartelle di pagamento presupposte agli atti di intimazione; prescrizione del credito azionato.

Si costituiva in giudizio l’agente della riscossione eccependo, preliminarmente, la «tardività di tutte le eccezioni avanzate da parte ricorrente, essendo stato il ricorso introduttivo depositato ben oltre 20 giorni ex art. 617 c.p.c.».

La parte resistente, inoltre, deduceva la tempestiva e regolare notificazione delle presupposte cartelle di pagamento e l’infondatezza di tutte le avverse eccezioni.

[-protetto-]

I giudici baresi, procedendo secondo l’ordine logico delle questioni proposte dalle parti, hanno esaminato per prima quella relativa alla tempestiva proposizione della domanda, traendo essa origine da un’eccezione di «natura processuale e preliminare al merito della controversia».

Tale eccezione, secondo il collegio, è da ritenersi infondata in quanto «per giurisprudenza costante della S.C., in tema di esecuzione esattoriale per la riscossione mediante ruoli di entrate di natura tributaria, si applica il D.P.R. n. 602/1973 che preclude l’esperimento delle opposizioni ex artt. 615 e ss. c.p.c.».

Quanto al contestato disconoscimento delle impugnate intimazioni di pagamento, perché «notificati in copia fotostatica», i giudici ne hanno affermato l’inconferenza (sic!) in quanto, trattandosi di atti provenienti da una delle parti (l’agente della riscossione), risulta applicabile «la disciplina del disconoscimento ai sensi dell’art. 2719 c.c. con riferimento alla contestata conformità della copia all’originale».

Detta ipotesi, ha proseguito il Collegio, «ha il limitato scopo di impedire l’attribuzione alla stessa [copia, n.d.a.] della medesima efficacia probatoria dell’originale», ciò che non impedisce al giudice di accertare aliunde tale conformità, anche a mezzo di presunzioni.

Poiché, nel caso in esame, gli atti impugnati sono stati emessi da un soggetto giuridico di diritto privato – una s.p.a. – i cui azionisti sono però «soggetti di diritto pubblico» (Agenzia delle entrate e Inps), deve presumersi che i suddetti atti «siano di provenienza della p.a. e dalla stessa controllati e [che] non ci sarebbe un interesse ad una differenza tra l’originale e la fotocopia».

Ugualmente infondata è stata giudicata l’eccezione della parte ricorrente relativa alla mancata indicazione dei termini e dell’Autorità competente a conoscere dell’impugnazione degli avvisi di intimazione.

Secondo la Commissione tributaria provinciale, infatti, risultava a tal fine sufficiente quanto riportato in calce agli atti stessi, ovvero che l’eventuale ricorso avverso essi «deve essere presentato alle medesime autorità (puntualmente specificate), con le stesse modalità e gli stessi termini del ricorso contro i vizi propri della cartella».

Quanto infine all’eccepita nullità della notifica delle cartelle di pagamento presupposte agli impugnati avvisi di intimazione, il Collegio ha evidenziato che l’agente della riscossione aveva prodotto in giudizio la documentazione attestante la regolare esecuzione di tale notifica per una sola cartella di pagamento, quella notificata nel corso del 2003. Per le cartelle di pagamento asseritamente notificate nel 2001, invece, Equitalia s.p.a. aveva inteso provare l’avvenuta notifica attraverso la produzione in giudizio degli “estratti di ruolo”, documenti ritenuti dai giudici “insufficienti” a fornire tale prova.

Per altro verso, ha evidenziato la Commissione tributaria provinciale, con riferimento alle cartelle di pagamento notificate nel 2001 risultava fondata l’ulteriore eccezione di prescrizione del credito, formulata dal ricorrente, visto che le successive intimazioni di pagamento erano state notificate nel corso del 2012, ovvero ben oltre il termine ordinario di prescrizione (dieci anni).

Di qui la decisione di accogliere parzialmente il ricorso ed annullare due dei tre avvisi di intimazione impugnati.

3. L’opposizione agli atti della riscossione

Nel caso che occupa l’agente della riscossione aveva preliminarmente eccepito la tardiva proposizione dell’avverso ricorso, sostenendo che le eccezioni del contribuente si sostanziavano in una “opposizione agli atti esecutivi” proposta, tuttavia, oltre i termini stabiliti dall’art. 617 c.p.c. (venti giorni dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto).

La Commissione tributaria provinciale, come abbiamo testé ricordato, ha giudicato infondato tale assunto, poiché «per giurisprudenza costante della S.C. (cfr. fra le tante la sent. 565/2005) in tema di esecuzione esattoriale per la riscossione mediante ruoli di entrate di natura tributaria si applica il D.P.R. n. 602/1973 che preclude l’esperimento delle opposizioni ex artt. 615 e ss. c.p.c.».

In altri termini, pare di capire, poiché in subiecta materia sono precluse le opposizioni di cui agli artt. 615 e segg. c.p.c., il ricorso è tempestivo.

La motivazione è davvero inadeguata.

In primo luogo osserviamo che in subiecta materia le suddette opposizioni non sono precluse tout court.

A norma dell’art. 57 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, infatti, «non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall’articolo 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; b) le opposizioni regolate dall’articolo 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo. Se è proposta opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi, il giudice fissa l’udienza di comparizione delle parti avanti a sé con decreto steso in calce al ricorso, ordinando al concessionario di depositare in cancelleria, cinque giorni prima dell’udienza, l’estratto del ruolo e copia di tutti gli atti di esecuzione».

È del tutto evidente che le opposizioni di cui discutiamo, sia pure in limiti molto ristretti, sono comunque proponibili dal debitore escusso per debiti di natura tributaria.

È certamente vero, come segnala autorevole dottrina, che «dall’esame delle disposizioni in materia di tutela giurisdizionale nella fase dell’espropriazione forzata tributaria si desume la natura puramente simbolica delle opposizioni» e, ancora, che le limitazioni probatorie e la limitatezza stessa delle eccezioni devolvibili al giudice ordinario «rendono teorica la tutela giurisdizionale dell’esecutato» (1).

Ciò nondimeno, nell’ambito della suddetta espropriazione forzata speciale quelle opposizioni sono certamente proponibili, dinanzi al giudice ordinario, secondo il riparto di giurisdizione disciplinato dall’art. 2, primo comma, seconda parte, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che devolve al giudice tributario le controversie aventi ad oggetto la legittimità della pretesa fatta valere con il titolo esecutivo e dello stesso titolo esecutivo, e al giudice ordinario le opposizioni avverso gli atti dell’esecuzione forzata tributaria.

Del resto della possibilità di proporre le suddette opposizioni, nei limiti che abbiamo ricordato, si fa cenno anche nella sentenza n. 565/2005 della Corte di Cassazione, richiamata dalla stessa Commissione tributaria provinciale di Bari nella sentenza in esame, dove il Supremo Collegio evidenzia, inequivocabilmente, che a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, il novellato art. 57 del D.P.R. n. 602/1973 «lascia spazio per un intervento giurisdizionale a seguito di opposizioni esecutive» (2).

Motivo per il quale è davvero inspiegabile l’affermazione dei giudici baresi secondo cui tale possibilità sarebbe preclusa nell’espropriazione forzata tributaria.

Ciò chiarito, ad avviso di chi scrive, l’eccezione di Equitalia nel caso di cui ci occupiamo era comunque infondata, ma per una ragione ben diversa da quella addotta dal Collegio giudicante.

Gli atti impugnati dal contribuente, come abbiamo visto, erano delle “intimazioni di pagamento”, atti, com’è noto, che a mente dell’art. 50, secondo comma, del D.P.R. n. 602/1973, l’agente della riscossione deve notificare se intende procedere ad espropriazione forzata quando sia inutilmente decorso un anno dalla notifica della cartella di pagamento, per intimare nuovamente al debitore di adempiere l’obbligo risultante dal ruolo.

Ebbene, il già richiamato art. 2, primo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, è chiaro e inequivocabile nello stabilire che «restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica».

Pertanto, sono opponibili dinanzi al giudice ordinario soltanto gli atti successivi alla notifica (della cartella di pagamento e, ove previsto) dell’intimazione di pagamento.

L’intimazione de qua non è un atto dell’esecuzione forzata, bensì un atto prodromico all’espropriazione forzata tributaria, come ha stabilito ripetutamente la Corte di Cassazione, come tale sicuramente impugnabile dinanzi al giudice tributario (3).

La riconosciuta impugnabilità delle intimazioni di pagamento dinanzi alle Commissioni tributarie, evidentemente, implica l’applicabilità alle relative controversie del complesso delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 546/1992, e quindi anche, e ovviamente, dell’art. 19 del citato decreto che impone l’impugnazione entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla data della notificazione, risultando pertanto di palmare evidenza l’infondatezza dell’eccezione di Equitalia.

4. Il valore probatorio della fotocopia di un atto

Nel caso in esame, come abbiamo visto, il contribuente aveva effettuato una sorta di “disconoscimento” degli atti impugnati perché «prodotti in copia fotostatica e non indicanti le modalità di impugnazione, i termini e l’Autorità».

La questione relativa all’omessa indicazione dei termini, delle modalità e dell’Autorità competente a conoscere dell’impugnazione è stata risolta in punto di fatto, visto che il Collegio barese ha giudicato sufficienti le indicazioni a tal fine riportate in calce alle intimazioni di pagamento impugnate. sul punto pertanto non vi è molto da approfondire, salvo ricordare che anche nell’ipotesi in cui i giudici avessero accertato l’effettiva mancanza delle suddette indicazioni, l’orientamento prevalente ritiene che si tratti di mera irregolarità inidonea ad inficiare la validità degli atti impugnati, comportando semmai, sul piano processuale, «il riconoscimento della scusabilità dell’errore in cui sia eventualmente incorso il ricorrente, con conseguente riammissione in termini per l’impugnativa, ove questa sia stata proposta tardivamente o dinanzi ad un giudice incompetente» (4).

Qualche riflessione stimola invece l’affermazione della Commissione tributaria provinciale di Bari secondo la quale sarebbe inconferente il disconoscimento degli avvisi di intimazione impugnati perché «notificati in copia fotostatica».

Volendo schematizzare il percorso argomentativo che i giudici hanno seguito per giungere a tale conclusione si articola come segue: 1) trattandosi di atti provenienti da una delle parti, risulta applicabile «la disciplina del disconoscimento ai sensi dell’art. 2719 c.c. con riferimento alla contestata conformità della copia all’originale»; 2) detta ipotesi «ha il limitato scopo di impedire l’attribuzione alla stessa della medesima efficacia probatoria dell’originale»; 3) il giudice può accertare aliunde tale conformità, anche a mezzo di presunzioni; 4) nel caso in esame, gli atti impugnati sono stati emessi da un soggetto giuridico di diritto privato – una società per azioni – i cui azionisti però sono «soggetti di diritto pubblico» (Agenzia delle entrate e Inps), motivo per il quale deve presumersi che i suddetti atti «siano di provenienza della p.a. e dalla stessa controllati e [che] non ci sarebbe un interesse ad una differenza tra l’originale e la fotocopia».

Tale motivazione ci sembra insufficiente.

Noi non disponiamo del testo integrale dell’eccezione formulata sul punto dal ricorrente, sappiamo soltanto che con essa si è inteso “disconoscere” la conformità agli originali degli atti notificati, dunque non sappiamo se l’intimato, a seguito di tale disconoscimento, abbia contestato l’inesistenza dell’originale, piuttosto che l’illegittimità o l’invalidità delle intimazioni per violazioni delle disposizioni in materia di notifica, piuttosto che l’inefficacia delle intimazioni medesime. In altri termini, non sappiamo quali siano state le conclusioni formulate dal ricorrente nonché quale tipologia di richiesta sia stata avanzata per effetto del suddetto disconoscimento.

Sta di fatto che tale eccezione è stata espressamente respinta, avendo i giudici ritenuto sussistente la conformità agli originali delle fotocopie degli avvisi di intimazione impugnati.

Tale riconoscimento tuttavia è scaturito da un accertamento dei giudici baresi di tipo presuntivo, la cui premessa (o “fatto noto”) è rappresentata dalla natura pubblica dell’ente che ha emesso gli atti (una pubblica amministrazione secondo i giudici), mentre il “fatto ignoto” o la deduzione consisterebbe nella carenza di interesse alla difformità tra copia e originale e, dunque, nella necessaria conformità della prima al secondo.

Ricordiamo allora che a norma dell’art. 2719 c.c. «le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta».

La giurisprudenza di legittimità (5), come ha rilevato la Commissione provinciale barese, ha ripetutamente affermato che l’art. 2719 c.c. (che esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche) è applicabile tanto al disconoscimento della conformità della copia al suo originale quanto al disconoscimento dell’autenticità di scrittura o di sottoscrizione.

I Supremi Giudici inoltre hanno chiarito che, nel silenzio della norma citata in merito ai modi e ai termini in cui i due suddetti disconoscimenti debbano avvenire, è da ritenere applicabile ad entrambi la disciplina di cui agli artt. 212, 214 e 215 c.p.c., con la duplice conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si avrà per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se la parte comparsa non la disconosca in modo formale e quindi specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione e che il disconoscimento onera la parte della produzione dell’originale, fatta salva la facoltà del giudice di accertare tale conformità anche aliunde e tramite presunzioni.

Nella fattispecie in oggetto, Equitalia non ha prodotto in giudizio gli originali degli avvisi di intimazione impugnati, ma la Commissione tributaria provinciale, come abbiamo visto, ha accertato la conformità delle fotocopie agli originali tramite il ragionamento presuntivo sopra ricordato.

Ora la natura giuridica delle società a (totale) partecipazione pubblica, come è Equitalia, è sempre stata molto dibattuta, in dottrina come in giurisprudenza (6), ma si tratta di una questione che, in questa sede, possiamo superare.

Infatti, anche parificando gli atti emessi da Equitalia s.p.a. a quelli emessi dalla pubblica Amministrazione, resta tutta da dimostrare la sua carenza di interesse «ad una differenza tra l’originale e la fotocopia», carenza che, come abbiamo visto, ha consentito al Collegio barese di presumere la conformità agli originali delle fotocopie delle intimazioni di pagamento.

Invero, ad avviso di chi scrive, quella carenza di interesse non può essere affatto presunta in ragione della natura pubblica dell’emittente, tutt’altro.

Considerato che la conformità delle fotocopie agli originali è venuta in rilievo nell’ambito di un processo nel quale una parte aveva disconosciuto tale conformità e che l’emittente degli atti de quibus era la controparte, quest’ultima aveva certamente l’onere di provare in giudizio detta conformità o, quanto meno, aveva l’onere di fornire gli elementi indiziari che consentissero al giudice, appunto, di presumerla.

Invero nel nostro ordinamento la pubblica Amministrazione, quando è parte di un processo, non beneficia di alcun privilegio rispetto all’onus probandi e, come una qualsiasi parte processuale, deve assolvere all’onere probatorio che su di essa grava a seconda che sia parte attrice ovvero parte convenuta, anche nell’ipotesi in cui la prova attenga alla conformità della copia all’originale di un documento proveniente dalla stessa pubblica Amministrazione.

Per altro verso, sul piano strettamente esegetico, osserviamo che l’art. 2719 c.c. fa riferimento indistinto a qualsiasi tipo di “scrittura”, e non ci risulta che la giurisprudenza di vertice, interpretando tale disposizione, abbia individuato eccezioni di sorta, nemmeno quando il disconoscimento della conformità della copia all’originale riguardi un atto emesso dalla pubblica Amministrazione.

Alla luce delle considerazioni che precedono, sostenere che nell’ambito di un processo, tanto più tributario, la pubblica Amministrazione non abbia interesse «ad una differenza tra l’originale e la fotocopia» di un atto è affermazione semplicemente apodittica che, peraltro, indurrebbe a concludere, erroneamente, che la copia di qualsiasi documento proveniente dalla pubblica Amministrazione (o da un soggetto privato dalla stessa partecipato) deve sempre presumersi conforme all’originale, conclusione davvero inaccettabile.

Per non dire del fatto che, così opinando, l’accertamento in giudizio di quella conformità, che la giurisprudenza ha ammesso potersi effettuare in qualunque modo (anche mediante presunzioni), per i suddetti documenti si ridurrebbe a una mera presa d’atto della loro provenienza, soluzione anche questa totalmente inaccettabile.

5. L’estratto di ruolo non prova la notifica della cartella di pagamento

Il ricorrente aveva eccepito la nullità delle intimazioni di pagamento anche per omessa notifica delle presupposte cartelle di pagamento.

La Commissione tributaria provinciale di Bari, che pure ha rimproverato all’intimato di essere stato «assolutamente generico sul punto» (sic!), ha giudicato fondata la suddetta eccezione per due dei tre atti impugnati e, di conseguenza, ha accolto parzialmente il ricorso.

In particolare i giudici hanno evidenziato che Equitalia, al fine di provare l’avvenuta notifica delle cartelle di pagamento presupposte agli avvisi di intimazione, aveva prodotto in giudizio la relata di notifica [probabilmente l’avviso di ricevimento di una raccomandata, n.d.a.] di una di quelle cartelle di pagamento e l’estratto di ruolo relativo alle restanti due cartelle.

Tuttavia il Collegio ha precisato che l’estratto di ruolo è un «documento insufficiente alla dimostrazione dell’avvenuta notifica» della cartella di pagamento, motivo per il quale, non essendovi prova di tale notifica per due cartelle di pagamento, ha annullato le corrispondenti intimazioni di pagamento e rigettato nel resto il ricorso.

Anche a questo riguardo riteniamo che la motivazione dell’annotata sentenza appaia insufficiente ed eccessivamente “disinvolta” nel liquidare le problematiche giuridiche scrutinate, atteso che il Collegio non illustra affatto le ragioni per le quali ha ritenuto che l’estratto di ruolo non fosse sufficiente a dimostrare l’avvenuta (regolare) notifica della cartella di pagamento.

Invero, le ragioni a sostegno di tale condivisibile posizione sono due.

In primo luogo osserviamo che l’estratto di ruolo è un atto proveniente dallo stesso agente della riscossione che, evidentemente, non può essere utilizzato dal suo autore per provare in giudizio circostanze al medesimo favorevoli.

In secondo luogo vige nel nostro ordinamento un principio, ripetutamente affermato dalla Suprema Corte, secondo cui in tema di notificazioni a mezzo posta, «quando debba accertarsi il perfezionamento della notificazione nei confronti del destinatario, posto che la data del timbro postale sulla busta corrisponde a quella di smistamento del plico presso l’ufficio postale e non dell’effettivo recapito al destinatario, che può anche avvenire in data successiva, l’unico documento attestante la consegna a questi e la sua data è l’avviso di ricevimento della raccomandata, la cui produzione in giudizio è onere che grava sulla parte notificante, e alla cui mancanza … non è dato supplire con atti equipollenti» (7).

Mancando la prova dell’avvenuta notifica dell’atto presupposto a due delle impugnate intimazioni di pagamento, la Commissione tributaria provinciale di Bari non ha potuto che dichiarare la nullità di tali atti, in applicazione del principio, anche questo consolidatissimo, secondo cui la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, motivo per il quale l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato.

Dott. Domenico Carnimeo

(1) Così G. Tinelli, Statuto dei diritti del contribuente e riscossione coattiva, in Riv. dir. trib., 2012, 3.

(2) Cass., sez. III, 13 gennaio 2005, n. 565, in Boll. Trib. On-line.

(3) Tra le tante ved. Cass., sez. un., 19 novembre 2007, n. 23832, in Boll. Trib., 2009, 882; e Cass., sez. un., 27 gennaio 2011, n. 1865, in Boll. Trib. On-line.

(4) Cfr. Cass., sez. trib., 6 settembre 2006, n. 19189, in Boll. Trib. On-line.

(5) Accanto a Cass. n. 1525/2004, cit., ved. Cass., sez. III, 21 novembre 2011, n. 24456; Cass., sez. III, 25 febbraio 2009, n. 4476; e Cass., sez. II, 21 maggio 2003, n. 7960; tutte in Boll. Trib. On-line.

(6) Molto interessante, al riguardo, è il contributo offerto da G. D’Attorre, Questioni in tema di giurisdizione sugli atti delle società di partecipazione pubblica, in Giur. comm., 2012, 115, in nota a Cass., sez. un., 11 gennaio 2011, n. 392.

(7) Cfr. Cass., sez. trib., 5 settembre 2012, ord. n. 14861, in Boll. Trib. On-line.

Procedimento – Ricorsi – Impugnazione dell’intimazione di pagamento – Inapplicabilità delle norme di cui agli artt. 615 e segg. c.p.c. – Termine per l’impugnazione – È quello ordinario di sessanta giorni di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Documenti – Produzione di documenti in fotocopia – Disconoscimento della conformità all’originale – Ammissibilità ex art. 2719 c.c. – Presunzione di conformità delle fotocopie con l’originale per gli atti provenienti dalla pubblica Amministrazione.

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Impugnazione dell’intimazione di pagamento per omessa notificazione della prodromica cartella di pagamento – Prova dell’avvenuta notifica della cartella di pagamento da parte dell’agente della riscossione – Necessità – Produzione in giudizio dell’estratto di ruolo – Insufficienza – Nullità dell’intimazione di pagamento – Consegue.

Imposte e tasse – Riscossione – Intimazione di pagamento – Impugnazione per omessa notificazione della prodromica cartella di pagamento – Prova dell’avvenuta notifica da parte dell’agente della riscossione – Necessità – Produzione in giudizio dell’estratto di ruolo – Insufficienza – Nullità dell’intimazione di pagamento – Consegue.

 All’esecuzione esattoriale per la riscossione mediante ruoli di entrate di natura tributaria si applica il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che preclude l’esperimento delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi di cui agli artt. 615 e segg. c.p.c., di talché il termine per l’impugnazione dell’intimazione di pagamento è quello ordinario di sessanta giorni previsto dall’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Sebbene all’intimazione di pagamento sia applicabile la disciplina del disconoscimento di cui all’art. 2719 c.c., con riferimento alla contestata conformità della sua copia all’originale, la quale ha lo scopo di impedire l’attribuzione ad essa della medesima efficacia probatoria dell’originale, ciò non impedisce al giudice tributario di accertare aliunde tale conformità anche a mezzo di presunzioni, ed essendo l’agente della riscossione un soggetto giuridico di diritto privato i cui azionisti però sono soggetti di diritto pubblico, quali l’Agenzia delle entrate e l’Inps, si deve presumere che gli atti siano di provenienza dalla pubblica Amministrazione e dalla stessa controllati e che non ci sarebbe interesse ad una difformità tra l’originale e la fotocopia dell’atto in questione.

In caso di impugnazione dell’intimazione di pagamento per omessa notificazione della prodromica cartella di pagamento non è sufficiente che l’agente della riscossione produca in giudizio la copia dell’estratto di ruolo, poiché tale documento non è idoneo a dimostrare l’avvenuta notifica della cartella di pagamento.

 [Commissione trib. provinciale di Bari, sez. IV (Pres. e rel. Tomasicchio), 27 febbraio 2013, sent. n. 13]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSOMOTIVI DELLA DECISIONE – Con ricorso depositato il 4/10/2012 B.A., rappresentato e difeso dall’avv. A.M.M., ricorre avverso n. 3 intimazioni di pagamento emesse da Equitalia sud s.p.a., notificate il 7/8/2012 e precisamente:

1) n. … avente ad oggetto la complessiva somma di Euro 10.780,84 con riferimento alla cartella esattoriale n. …, presumibilmente notificata il 31/5/2001;

2) n. … avente ad oggetto la complessiva somma di Euro 78.148,86 con riferimento alla cartella esattoriale n. …, presumibilmente notificata il 26-3-2003;

3) n. … avente ad oggetto la complessiva somma di Euro 95.119,38 con riferimento alla cartella esattoriale n. …, presumibilmente notificata il 17/10/2001.

Eccepisce preliminarmente il ricorrente il disconoscimento di tutti gli atti perché prodotti in copia fotostatica e non indicanti le modalità di impugnazione, i termini e l’autorità. Nel merito rileva la nullità delle cartelle esattoriali, sulla base delle quali sono state emesse le intimazioni, per difetto di notifica. Eccepisce, altresì, la prescrizione. Chiede, pertanto, previa sospensione degli atti impugnati, l’annullamento delle tre intimazioni con vittoria di spese ed onorari da distrarsi in favore del difensore anticipatario.

In data 25/10/2012 si costituisce Equitalia sud s.p.a., eccependo preliminarmente la tardività di tutte le eccezioni avanzate da parte ricorrente, essendo stato il ricorso introduttivo depositato ben oltre 20 giorni ex art. 617 c.p.c.

Nel merito contro deduce sulla tempestiva e regolare formazione del ruolo, dovendosi ritenere operante per la notifica, l’ordinario termine decennale di prescrizione decorrente dalla consegna del ruolo a mani del concessionario. Rileva ancora, in ordine alla mancata indicazione dei termini e dell’autorità, che la stessa non inficia l’atto di illegittimità od inefficacia, trattandosi di mera irregolarità. Ribadisce, allegando idonea documentazione, la regolarità della notifica delle cartelle esattoriali alla base delle intimazioni impugnate. Chiede, pertanto, che la Commissione dichiari la tardività dell’opposizione, nel merito il rigetto del ricorso con vittoria di spese.

All’udienza del 28-11-2012 la commissione accoglie la richiesta di sospensione e fissa l’udienza del 30-1-2013 per la discussione nel merito.

Alla suddetta udienza la Commissione decide come da dispositivo.

Il ricorso è parzialmente fondato con riferimento alle intimazioni di cui ai punti 1) e 3), le cui cartelle esattoriali sono state notificate rispettivamente il 31-5-2001 ed il 17-10-2001.

È bene partire nell’analisi della fattispecie oggetto del ricorso dall’eccezione di parte convenuta con riferimento alla tardività della domanda perché depositata oltre il termine di gg. 20 ex art. 617 c.p. La stessa è di natura processuale e preliminare al merito della controversia.

Per la resistente Equitalia si applica all’impugnazione delle intimazioni di pagamento la disciplina prevista dal c.p.p. agli artt. 615 e ss. c.p.c., attinente alle opposizioni del debitore agli atti esecutivi. L’assunto non è fondato. Per giurisprudenza costante della S.C. (cfr. tra le tante la sent. 565/2005 (1) ) in tema di esecuzione esattoriale per la riscossione mediante ruoli di entrate di natura tributaria si applica il D.P.R. n. 602 del 1973 che preclude l’esperimento delle opposizioni ex artt. 615 e ss. c.p.c.

Passando all’esame delle eccezioni di parte ricorrente è inconferente la prima relativa al disconoscimento degli atti (nella specie gli avvisi di intimazione) notificati in copia fotostatica. Invero, provenendo l’atto da una parte quale l’agente della riscossione è applicabile la disciplina del disconoscimento ai sensi dell’art. 2719 c.c. con riferimento alla contestata conformità della copia all’originale. Detta ipotesi ha il limitato scopo di impedire l’attribuzione alla stessa della medesima efficacia probatoria dell’originale. Ciò, però, non impedisce al giudice di accertare aliunde tale conformità anche a mezzo di presunzioni (Cass. Sent. n. 1525/2004 (2) ). Nel caso di specie l’avviso di intimazione è stato emesso da un soggetto giuridico, il concessionario, di diritto privato essendo una s.p.a. i cui azionisti però sono soggetti di diritto pubblico, quali l’Agenzia delle Entrate e l’Inps. Pertanto, si presume che gli atti siano di provenienza dalla p.a. e dalla stessa controllati e non ci sarebbe un interesse ad una differenza tra l’originale e la fotocopia.

Ugualmente infondato è il secondo rilievo avanzato da parte ricorrente relativo alla nullità dell’avviso di pagamento che non indica i termini e l’autorità compente per l’impugnazione. Negli avvisi in atti si legge, dopo l’elenco delle somme dovute, che “Contro i vizi propri (che peraltro in calce sono anche specificati a titolo di esempio) di questo avviso può presentare ricorso. Il ricorso deve essere presentato alle medesime autorità (puntualmente specificate) con le stesse modalità e gli stessi termini del ricorso contro i vizi propri della cartella”. Pertanto, il suddetto atto mette in condizioni il contribuente di sapere quando e a chi presentare l’impugnazione.

In ordine alla eccepita nullità per difetto di notifica delle cartelle esattoriali, parte ricorrente è assolutamente generica sul punto, deducendo solo che il sig. B. non ha mai ricevuto le cartelle esattoriali che, non opposte, hanno poi originato gli avvisi di pagamento. Parte resistente ha soddisfatto il suo onere probatorio producendo la documentazione da cui evincere l’avvenuta notifica con specifico riferimento solo alla cartella esattoriale n. …, notificata il 26-3-2003. Per le altre notificate il 2001 ha prodotto solo copie dell’estratto di ruolo, documenti insufficienti alla dimostrazione dell’avvenuta notifica. Pertanto, risulta fondata l’eccezione con riferimento agli avvisi di cui al punto 1) e 3).

Ugualmente parzialmente fondata è l’eccezione di prescrizione con riferimento ai soli avvisi di cui ai punti 1) e 3) in quanto le relative cartelle esattoriali sono state emesse l’anno 2001, oltre dieci anni prima degli avvisi di pagamento notificati il 7-8-2012. Detto termine prescrizionale, peraltro, non è stato contestato da parte resistente.

Di contro la cartella notificata il 26-3-2003, di cui all’avviso al punto n. 3), non è prescritta e, come su evidenziato, regolarmente notificata. Pertanto, con riferimento a quest’ultima il ricorso deve essere rigettato.

Appare equo compensare le spese di giudizio tra le parti in considerazione del parziale accoglimento del ricorso.

P.Q.M. – La Commissione accoglie parzialmente il ricorso e per l’effetto annulla:

l’intimazione di pagamento n. …, avente ad oggetto la complessiva somma di Euro 10.780,84 con riferimento alla cartella esattoriale n. …, notificata il 31/5/2001;

l’intimazione di pagamento n. …, avente ad oggetto la complessiva somma di Euro 95.119,38 con riferimento alla cartella esattoriale n. …, notificata il 17/10/2001.

Rigetta nel resto. Spese compensate.

(1) Cass. 13 gennaio 2005, n. 565, in Boll. Trib. On-line.

(2) Cass. 28 gennaio 2004, n. 1525, in Boll. Trib., 2005, 1240.

 

 

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