17 Marzo, 2015

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La formula “tralatizia” giurisprudenziale – 3. L’autonoma organizzazione – 4. L’impiego di beni strumentali – 5. L’impiego di lavoro altrui – 6. Conclusioni.

 

 

 

1. Premessa

Con l’art. 11, secondo comma, della legge 11 marzo 2014, n. 23 (“Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”), il Governo è chiamato a chiarire «la definizione di autonoma organizzazione, anche mediante la definizione di criteri oggettivi, adeguandola ai più consolidati principi desumibili dalla fonte giurisprudenziale, ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP)».

Il legislatore, consapevole delle numerose problematiche sorte con riferimento alla definizione del presupposto dell’Imposta regionale sulle attività produttive, con particolare riguardo al concetto dell’“autonoma organizzazione” (1)– fonte di notevole contenzioso e di pronunce spesso non omogenee a livello di giurisprudenza, sia di merito che di legittimità – ha delegato il Governo a porre dei “paletti”, il più possibile chiari e insuscettibili di interpretazioni diverse, per porre fine all’annosa questione.

In questo compito il legislatore delegato dovrà:

ricorrere all’impiego di criteri oggettivi;

uniformarsi ai più consolidati principi desumibili dalla giurisprudenza che si è pronunciata in materia,

al fine di escludere dall’assoggettamento ad imposta professionisti e artisti, nonché piccoli imprenditori, in tutti i casi in cui non sia configurabile l’utilizzo di una “autonoma organizzazione” rilevante nell’esercizio dell’attività del soggetto.

Il compito non è certamente di facile soluzione, considerando le incertezze che hanno contraddistinto le soluzioni interpretative giurisprudenziali e, soprattutto, le profonde differenze esistenti tra le diverse attività che sono ricomprese nello spettro applicativo dell’IRAP e per le quali l’impiego di un determinato apparato organizzativo può risultare, a seconda dei casi, incrementativo dell’attività o semplicemente “indispensabile” alla stessa.

2. La formula “tralatizia” giurisprudenziale

Con formula che si trova “ripetuta” in modo più o meno identico in numerose pronunce della Suprema Corte (2) – che, occorre precisare, è riferibile sia ai lavoratori autonomi che agli imprenditori – risulta che “il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (3), ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’‘id quod plerumque accidit’, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione,

c) oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui”.

Queste “linee guida” dovrà avere presente il legislatore delegato, per espressa previsione, come evidenziato, della legge delega.

[-protetto-]

3. L’autonoma organizzazione

Come risulta dal testo dell’art. 2 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 (rubricato “Presupposto dell’imposta”), che parla di “attività autonomamente organizzata”, l’“autonoma organizzazione”, cui fa riferimento il comma 2 dell’art. 11, L. n. 23/2014, non va intesa come organizzazione che deve essere capace da sola – cioè senza l’intervento del titolare dell’attività – di creare (almeno sperata) ricchezza, in quanto è l’attività – al quale va riferito l’avverbio “autonomamente” – che deve essere organizzata autonomamente dal titolare (4). Con riferimento alla locuzione usata dall’art. 2 citato, avevamo già avuto modo di precisare (5) che “potrà dunque parlarsi … di «organizzazione autonoma»” – come fa il legislatore delegato al comma 2 in questione – “o di «autonomia dell’organizzazione», purché questi termini vadano intesi nel senso anzidetto (ovverosia nel senso di organizzazione posta in essere in modo autonomo dal titolare dell’attività)”. Dunque, il soggetto passivo dell’IRAP deve essere il responsabile dell’organizzazione, il che porta ad escludere dalla soggettività passiva tutti quei soggetti che svolgono la propria attività utilizzando un’organizzazione altrui (si pensi al caso del professionista che si appoggia allo studio di altri o, per riprendere esempi indicati dalla giurisprudenza, al caso dell’attore che reciti in una struttura di spettacolo da altri organizzata e diretta o del chirurgo libero professionista che operi in una clinica altrui) (6).

Quanto precisato comporta il rifiuto della tesi c.d. minimalista, che pure era stata prospettata nel periodo successivo all’introduzione dell’imposta, “che si basa su di un concetto ‘qualitativo’ di autonoma organizzazione che prescinde dalla dimensione e natura del supporto strumentale del professionista incapace di funzionare autonomamente e di ‘sganciarsi’ dalla sua figura ed intuitus personale: dal che deriverebbe una generalizzata esclusione dall’IRAP per tutte le categorie professionali ‘protette’, dotate o meno di organizzazione” (7).

Con riferimento a questa specifica questione non sorgono particolari problemi, né sembra che il legislatore delegato debba intervenire sulla stessa con una norma ad hoc.

Un discorso a parte merita invece la questione degli studi associati, in relazione ai quali si osservano pronunce della Cassazione di contenuto differenziato.

In particolare, secondo un orientamento “rigorista” e sfavorevole ai contribuenti (8), per gli studi associati il requisito organizzativo sarebbe da considerare in re ipsa, a prescindere da qualsiasi indagine di fatto volta ad accertarne in concreto la sussistenza. A sostegno di tale interpretazione, si è affermato che “il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, nel primo periodo stabilisce come presupposto dell’IRAP l’esercizio ‘abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi’; l’esercizio di un’attività con siffatti requisiti non è invece richiesta per le società e per gli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, in quanto ‘l’attività esercitata’ da tali soggetti, a mente del secondo periodo dello stesso art. 2, ‘costituisce in ogni caso presupposto d’imposta’. Il successivo art. 3, tra i ‘soggetti passivi dell’imposta’, che ‘sono coloro che esercitano una o più delle attività di cui all’art. 2’, individua espressamente, al comma 1, lett. c), le società semplici esercenti arti e professioni e quelle ad esse equiparate a norma del TUIR del 1986, art. 5, comma 3, vale a dire ‘le associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni’. L’attività esercitata da tali soggetti, strutturalmente ‘organizzati’ per la forma nella quale l’attività stessa è svolta, costituisce pertanto ex lege presupposto d’imposta (‘in ogni caso’), prescindendosi dal requisito dell’autonoma organizzazione”.

In proposito occorre ricordare che l’ipotesi in cui l’attività professionale sia resa in forma associata, è stata affrontata – con un analogo riferimento alla previsione di cui all’art. 2, secondo periodo, del D.Lgs. n. 446/1997 – dalla circolare 13 giugno 2008, n. 45/E dell’Agenzia delle entrate (9), affermando – in base alla giurisprudenza della Corte di Cassazione (10) – che è “da presumere che l’associazione, atteso lo scopo della medesima, sia dotata di strutture e mezzi (immobili, mobili, arredamenti, macchinari, servizi, collaboratori), ancorché non di particolare onere economico”, e che “è da ritenere che lo scopo della pattuizione dell’esercizio associato di una professione intellettuale sia anche quello di avvalersi della reciproca collaborazione e competenza, ovvero anche della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze … con l’effetto … di configurare … quell’autonoma organizzazione oggettiva dell’attività abitualmente esercitata (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1 – Corte Cost. n. 156/2001), idonea a far presumere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio, bensì di detta organizzazione associativa, costituita proprio per potenziare la produzione di ricchezza (VAP) a vantaggio degli associati, presupposto dell’IRAP” (corsivo nostro). Quasi a conferma della propria interpretazione – come evidenziato sopra – la circolare rammenta che, “ai sensi dell’articolo 2 del D.lgs. n. 446 del 1997, ‘L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta’”, con una previsione generale di imponibilità per le attività svolte da entità collettive.

Sul punto avevamo già avuto modo di osservare (11) come la circolare non evidenzi “in modo sufficientemente preciso che la Cassazione tratta, nel caso di esercizio della professione in modo associato, di presunzione di esercizio mediante un’organizzazione rilevante ai fini IRAP, dovendosi conseguentemente consentire la prova contraria onde escludere l’assoggettamento ad imposizione dell’attività esercitata, ancorché in forma associata” (12).

Ed infatti, secondo un diverso (e preferibile) orientamento della stessa Suprema Corte, che ricomprende anche la sentenza cui fa riferimento la circolare citata (13), se è corretto presumere che lo studio associato sia fornito di una struttura organizzativa, non si può peraltro considerare tale presunzione una presunzione assoluta, dovendosi ammettere la prova contraria (14).

In proposito, ed anche se la delega ha ad oggetto “la definizione di autonoma organizzazione … ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all’imposta regionale sulle attività produttive”, è possibile che il Governo, sempre in cerca di nuovi fondi da reperire, la “utilizzi” per esplicitare, nei confronti degli studi associati – e in considerazione della divergenza di opinioni giurisprudenziali sul punto (anche se la tesi “rigorista” appare minoritaria) – l’applicabilità agli stessi dell’ultima parte dell’art. 2 citato (“L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta”), e quindi l’applicabilità in ogni caso del tributo, senza possibilità di prova contraria.

4. L’impiego di beni strumentali

Una delle decisioni che dovrà affrontare il legislatore delegato è quella della fissazione di un criterio volto a delineare la rilevanza dei beni strumentali, al di sotto del quale non potrà dirsi sussistente una organizzazione “idonea” ai fini della realizzazione del presupposto impositivo IRAP. Il problema non si presenta certamente di facile soluzione, nella considerazione, già evidenziata, della grandissima varietà e differenza tra le molteplici attività interessate dal tributo, per le quali un determinato impianto di beni può risultare, a seconda dei casi, indispensabile (e quindi non assoggettato a tributo) o meno, per lo svolgimento delle stesse. Si pensi al caso dello studio professionale (15), che ovviamente è imprescindibile per l’attività dell’avvocato, ma che può assumere dimensioni “oltre le quali” da indispensabile assume i connotati di bene certamente incrementativo della potenzialità economica del soggetto interessato: un conto è l’attività professionale svolta in una o due, magari piccole, stanze della propria abitazione, un conto è lo studio separato sviluppato in più stanze, eventualmente anche di dimensioni notevoli.

Considerando la molteplicità delle attività economiche, e la molteplicità dei beni strumentali mediante i quali una stessa attività può essere in concreto svolta (qual è il minimo indispensabile per l’esercizio della professione dentistica, al di sotto del quale l’attività non potrebbe essere svolta se non in maniera, per così dire, deontologicamente poco corretta, e quando invece i beni impiegati dal soggetto sono effettivamente incrementativi ed idonei a “creare valore aggiunto rispetto alla mera attività … supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how”?) (16), il compito per il legislatore delegato appare certamente improbo.

È comunque probabile che il legislatore opterà per la fissazione di un ammontare di beni strumentali (17) pari a un determinato valore (18), al di sotto del quale non potrà dirsi sussistente l’“autonoma organizzazione”; in tal caso, anche se certamente complicato, sarebbe opportuna una sua differenziazione – nello svolgimento di un’attività normativa quasi “regolamentare” (19) – a seconda dei tipi di attività. Non potrà invece essere fissato un limite massimo di reddito (20) superato il quale l’imposta sarebbe in ogni caso dovuta in quanto (a parte la difficoltà obiettiva di tale fissazione, qualora si volesse differenziare per tipologia di attività), il criterio del reddito è stato considerato irrilevante dalla giurisprudenza di legittimità (21), non avendo nulla a che vedere con il concetto di “autonoma organizzazione” (alla cui delimitazione è invece chiamato il legislatore delegato).

5. L’impiego di lavoro altrui

È evidente che, nella definizione di “autonoma organizzazione”, un ruolo di fondamentale importanza riveste il ricorso, nello svolgimento dell’attività, a dipendenti o, più genericamente, a collaboratori, come risulta dalla stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione che, come già evidenziato, deve fungere da “guida” per il legislatore delegato. Il problema, sul punto, è rappresentato dal fatto che anche in tal caso manca un orientamento giurisprudenziale univoco.

Per quando riguarda infatti – volendo utilizzare la “formula” giurisprudenziale – l’impiego “in modo non occasionale di lavoro altrui”, in talune pronunce si è ritenuta sufficiente, per integrare il requisito organizzativo, la presenza anche di un solo collaboratore (22) – purché, come evidenziato, non occasionale – in quanto il lavoro di terzi è elemento di regola idoneo ad incrementare la produttività dell’attività svolta dal soggetto (23).

Viceversa, in altre decisioni, l’impiego di un solo collaboratore non è stato considerato bastevole ai fini che qui interessano (24).

In ogni caso, in base alla normativa ora vigente, si è considerata irrilevante la circostanza che i soggetti impiegati nello svolgimento dell’attività siano collaboratori, familiari (25) o dipendenti (26), potendo trattarsi anche di collaboratori non dipendenti e comunque di soggetti “assunti secondo modalità riconducibili a un progetto, programma di lavoro o fase di esso” (27). Non rilevano invece, ai fini della sussistenza dell’autonoma organizzazione, quelle prestazioni di terzi relative ad attività estranee a quella svolta dal soggetto interessato (es., consulenza fiscale prestata ad un artista), né, di regola, quelle fornite dai c.d. “tirocinanti” (28).

Anche in tal caso, il compito del legislatore delegato non appare semplice, e potrebbe essere adempiuto (sempre, possibilmente, suddividendo per tipologia di attività), o individuando un minimo di collaboratori al di sotto del quale non può parlarsi di “autonoma organizzazione”, e dunque l’IRAP non è dovuta (29), ovvero fissando, agli stessi fini, delle “soglie” di spesa per il personale, superate le quali il tributo è viceversa dovuto.

6. Conclusioni

Come osservato, il compito demandato al legislatore delegato dall’art. 11, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23, non si presenta di facile soluzione. Quello che è sicuro è che una disposizione “unica” per tutte le attività, soprattutto con riferimento all’impiego di beni strumentali, se certamente semplifica il compito del legislatore, altrettanto certamente non può lasciare pienamente soddisfatti. La speranza è comunque quella che l’intervento normativo non si risolva in formule vaghe o indeterminate, idonee a creare anziché eliminare incertezze interpretative e, a causa delle stesse, generare nuovo contenzioso.


 

(1) Il tema del presupposto dell’IRAP è stato già oggetto di precedenti lavori su questa Rivista, ai quali si rimanda per approfondimenti: cfr. Colli Vignarelli, Rilevanza dell’organizzazione nell’imposta regionale sulle attività produttive, in Boll. Trib., 2002, 885 ss.; ID., Il “DIES IRAP” è giunto. La nozione di “attività autonomamente organizzata” (Art. 2, D. Lgs. n. 446/97), ivi, 2007, 501 ss.; ID., L’organizzazione rilevante ex art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997: requisito necessario per i soli professionisti?, ibidem, 1685 ss.; ID., IRAP: una possibile “apertura” per gli imprenditori non organizzati?, ivi, 2008, 453 ss.; ID., L’Agenzia delle entrate si pronuncia ancora in tema di rilevanza del requisito organizzativo in materia di IRAP, ibidem, 1125 ss.; ID., IRAP, autonoma organizzazione e attività d’impresa, ivi, 2009,1253 ss.; ID., Si restringe ulteriormente la sfera di applicabilità dell’IRAP nella interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, ivi, 2010, 1093 ss.; ID., Presupposto dell’IRAP: il cerchio si chiude, ivi, 2011, 247 ss.

(2) Cfr. Cass., 16 febbraio 2007, nn. 3673, 3676, 3678, 3680, tutte in Boll. Trib., 2007, 478 ss., con nota di Brighenti, La Cassazione sull’IRAP dei professionisti non organizzati: certezze e dubbi; Cass., 5 marzo 2007, n. 5019; Cass., 5 febbraio 2008, n. 2702, in Boll. Trib., 2008, 526 (per un commento a questa ordinanza v. Colli Vignarelli, IRAP: una possibile “apertura”, cit.); Cass., 9 settembre 2008, n. 23068; Cass., 30 ottobre 2008, n. 26144, in Boll. Trib., 2009, 495, con nota di Brighenti; Cass., 6 novembre 2008, n. 26681, ibidem, 751; Cass., 11 dicembre 2008, n. 29146, ibidem, 330 s., e in Riv. giur. trib., 2009, 123 s., con commento di Bodrito, Non sempre «un solo collaboratore» integra il presupposto dell’IRAP; Cass., 6 aprile 2009, n. 8265; Cass., 14 aprile 2009, n. 8834, in Boll. Trib., 2009, 826 s.; Cass., 25 maggio 2009, n. 12078; Cass., SS.UU., 26 maggio 2009, nn. 12108, 12109, 12110 e 12111, la prima in Boll. Trib., 2009, 1144 ss., con nota di Brighenti, Sezioni Unite: agenti di commercio e promotori fina
nziari esonerati dall’IRAP se non autonomamente organizzati
(per un commento v. anche Della Valle, Non sono assoggettabili ad IRAP gli ausiliari dell’imprenditore privi di autonoma organizzazione, in Corr. trib., 2009, 2228 ss.; Cinieri, Rilevanza dell’“autonoma organizzazione” ai fini Irap per gli agenti di commercio e i promotori, in Il fisco, fasc. 2, 2009, 3983 ss.); Cass., 5 giugno 2009, n. 13038; Cass., 23 giugno 2009, n. 14693; Cass., 26 giugno 2009, n. 15110; Cass., 10 luglio 2009, n. 16220; Cass., 12 marzo 2010, n. 6068; Cass., 28 aprile 2010, n. 10151; Cass., 24 giugno 2010, n. 15249; Cass., 16 settembre 2010, n. 19607; Cass., 13 ottobre 2010, nn. 21122, 21123 e 21124, le prime due in Boll. Trib., 2010, 1808 ss., con nota di Brighenti, Taxisti e contadini fuori dall’IRAP, la prima anche in Il fisco, 2010, fasc. 1, 6512 ss., con commento di Turis, la terza in Corr. trib., 2010, 3730 s., con nota di Della Valle, La delimitazione giurisprudenziale del presupposto dell’IRAP è giunta al capolinea?, ivi, 3725 ss.; Cass., 18 novembre 2010, n. 23370; Cass., 14 aprile 2011, n. 8556; Cass., 21 marzo 2012, n. 4490, in Boll. Trib., 2012, 1275; Cass., 27 febbraio 2013, n. 4923; Cass., 12 aprile 2013, n. 8962, in Boll. Trib., 2013, 974 ss.; Cass., 24 maggio 2013, n. 12967; Cass., 19 luglio 2013, n. 17755; Cass., 9 ottobre 2013, n. 22941, in Boll. Trib., 2014, 616 s.; Cass., 4 dicembre 2013, n. 27213, in Il fisco, 2014, 97 s.; Cass., 9 gennaio 2014, n. 246, ivi, 481 ss.; Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394, ivi, 1193 ss., con nota di Turis; Cass., 2 aprile 2014, n. 7609; Cass., 7 maggio 2014, n. 9790.

(3) A seguito della modifica apportata all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 – convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 – non è più previsto il ricorso in cassazione per il motivo dell’“omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, essendo questo stato sostituito dal motivo dell’“omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. La modifica, nonostante il disposto del comma 3-bis (aggiunto dalla legge di conversione) del citato art. 54 – secondo il quale “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546” – si ritiene applicabile anche al giudizio di cassazione avverso sentenze pronunciate dai giudici tributari: cfr. Cass., SS. UU., 7 aprile 2014, n. 8053 (in Il fisco, 2014, 1682 ss.; per un commento alla stessa v. Carinci, Giudizio “tributario” di cassazione: le Sezioni Unite escludono l’esistenza di un rito speciale, ivi, 2081 ss.); in dottrina, Merone, La riforma del giudizio di Cassazione e la sua applicabilità al processo tributario, in Riv. dir. trib., 2013, I, 249 ss.; contra, Glendi, Novità sul ricorso per cassazione nel processo civile (e in quello tributario?), in Riv. giur. trib., 2012, 833 ss. Secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 8053/2014 citata, comunque, il vizio di motivazione rimane comunque apprezzabile ex art. 111 Cost. (il cui sesto comma, occorre ricordare, prevede che “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”) e si risolve “nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili’, nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’”. Di recente, si trova affermato in Cass. 16 aprile 2014, n. 8850 (in Il fisco, 2014, 2010 ss.), che “il difetto di motivazione su questioni di fatto rientra – per vero – nella violaz
ione di legge, che legittima la proposizione del ricorso per cassazione
ex art. 111 Cost., comma 6, quando si traduca nella radicale carenza della motivazione, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ‘ratio decidendi’ (motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili”.

(4) L’avverbio “autonomamente”, è riferito dall’art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997, all’attività organizzata svolta dal soggetto passivo del tributo. Letteralmente, “autonomamente” significa “in modo autonomo, da sé, senza influenze esterne” (Il grande dizionario Garzanti della lingua italiana, 1987); giuridicamente, dunque, l’attività deve essere organizzata in modo autonomo (da sé, senza influenze esterne) dal soggetto che la esercita. Il legislatore infatti non ha utilizzato l’aggettivo “autonoma” – cioè “che gode di autonomia” (ibidem), riferendolo all’organizzazione, bensì l’avverbio “autonomamente”, riferendolo all’attività.

(5) Colli Vignarelli, Rilevanza dell’organizzazione, cit., 891.

(6) Cass., 25 settembre 2013, n. 22020, in Boll. Trib., 2014, 472 ss., con commento di Brighenti, Presupposto IRAP: il lavoro altrui conta solo se di qualità.

(7) Così Cass., n. 3678/2007, cit., che espressamente rigetta la tesi “minimalista”. In proposito v. anche Cass., n. 22020/2013, cit., che, con riferimento all’orientamento della Cassazione espresso nella citata sentenza n. 3678/2007 (e altre), afferma: “Per altro verso è stata respinta anche la tesi prospettata da molti contribuenti, secondo cui dovrebbe intendersi per ‘autonoma organizzazione’ una struttura capace di produrre di per sé sola reddito, prescindendo dall’apporto del professionista o del lavoratore autonomo. Perciò l’imposta non sarebbe mai dovuta, ad esempio, dai singoli che esercitino le cosiddette ‘professioni protette’, in quanto il venir meno del professionista determinerebbe l’automatica cessazione dell’attività e l’azzeramento del reddito”.

(8) Cass., 22 ottobre 2010, n. 21669; nello stesso senso Cass., 29 ottobre 2010, n. 22212.

(9) Per un commento alla circolare si rinvia a Colli Vignarelli, L’Agenzia delle entrate si pronuncia ancora in tema di rilevanza del requisito organizzativo in materia di IRAP, cit.

(10) Cass., 11 giugno 2007, n. 13570, in Boll. Trib., 2007, 1075.

(11) Colli Vignarelli, L’Agenzia delle entrate si pronuncia ancora in tema di rilevanza del requisito organizzativo in materia di IRAP, cit., 1128.

(12) Nella sentenza richiamata dalla circolare n. 45/E/2008 (sent. n. 13570/2007, cit.) si legge infatti che, “ribadito … che l’onere di dimostrare il fatto costitutivo della domanda di rimborso di un tributo spetta al contribuente – nella specie assenza di autonoma organizzazione … il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame al fine di accertare … se, in base alle concrete caratteristiche dello ‘studio impresa’ associato provate dal medesimo, unitamente ad altre prove offerte, è superata la presunzione, sussistente per le ragioni innanzi esposte, che il reddito sottoposto ad IRAP, di cui lo studio associato chiede il rimborso, è stato almeno potenziato e derivato dalla struttura così come organizzata, e non è quindi derivato dal solo lavoro professionale dei commercialisti” (corsivo nostro).

(13) Cass., n. 13570/2007, cit.; nello stesso senso v. anche Cass., 24 giugno 2008, n. 17136 (che richiama testualmente la precedente); Cass., 10 dicembre 2012, n. 22506; Cass., 27 febbraio 2014, n. 4663.

(14) Si legge in Cass., n. 4663/2014, cit., che “la praesumptio hominis secondo cui la sussistenza di uno studio associato costituisce indizio della esistenza di una stabile organizzazione ai fini IRAP costituisce, appunto, una presunzione che può essere superata con adeguata motivazione; così come accaduto nel caso di specie in cui il giudice di merito ha evidenziato la assenza di spese per personale dipendente e la non sussistenza di una autonoma organizzazione”; analogamente, Cass., n. 22506/2012, cit.

(15) In relazione alla rilevanza dello studio professionale, si è passati da pronunce come Cass., n. 5019/2007, cit. – ove si trova affermato, con riferimento alla figura dell’autonoma organizzazione, che “si deve … trattare di un qualcosa … la cui disponibilità non sia, in definitiva, irrilevante perché di regola capace, come lo studio o i collaboratori, di rendere più efficace o produttiva l’attività”, aggiungendosi che “non varrebbe in contrario replicare che così ragionando si giunge a fare dei professionisti una categoria indefettibilmente assoggettata all’IRAP perché, nell’attuale realtà, è quasi impossibile esercitare l’attività senza l’ausilio di uno studio e/o di uno o più collaboratori o dipendenti. È infatti proprio per questo che il D.Lgs. n. 446 del 1997 ha inserito gli autonomi fra i soggetti passivi dell’imposta, in quanto anch’essi si avvalgono normalmente di quella struttura organizzativa che costituisce il presupposto dell’imposta” – a pronunce come Cass., 10 febbraio 2014, n. 2967 (in Il fisco, 2014, 1081 s., con commento di Sassara),ove si trova affermato che “il giudice di merito ha adeguatamente motivato in ordine alla non sussistenza di una ‘stabile organizzazione’ di supporto all’attività del contribuente, medico di base del SSN. In particolare l’utilizzazione di due studi costituisce soltanto uno strumento per il migliore (e più comodo per il pubblico) esercizio della attività professionale autonoma”.

(16) La frase riportata tra virgolette è ripresa da Cass., n. 3678/2007, cit.

(17) Non assumeranno rilievo invece altri costi da considerare “irrilevanti” – anche secondo la giurisprudenza – nell’ambito del concetto di “autonoma organizzazione”, come le “spese … sostenute, non per l’acquisto beni strumentali … ma … per ‘spostamenti e viaggi, anche all’estero’”: così Cass., n. 27213/2013, cit. È evidente, infatti, che a differenza delle spese per beni strumentali, che possono essere “indice” di una struttura organizzativa, lo stesso non può dirsi per altre spese, come le spese di viaggio indicate; conforme, Cass., 26 marzo 2014, n. 7153.

(18) Come già avvenuto, ai fini dell’esenzione IRAP, con il regime dei “contribuenti minimi” di cui all’articolo 1, commi da 96 a 117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (applicabile ora ai c.d. “nuovi minimi” ex art. 27, D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), che fissava un limite all’acquisto di beni strumentali, nel triennio precedente, per un valore non superiore a 15.000 euro.

(19) In una ipotesi siffatta, è probabile che la fissazione degli importi massimi sarà demandato ad apposito decreto ministeriale, come prevedeva l’art. 1, comma 515, L. 24 dicembre 2012, n. 228: “Nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito, a decorrere dal 2014, un fondo finalizzato ad escludere dall’ambito di applicazione dell’imposta regionale sulle attività produttive, di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, le persone fisiche esercenti le attività commerciali indicate all’articolo 55 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, ovvero arti e professioni, che non si avvalgono di lavoratori dipendenti o assimilati e che impiegano, anche mediante locazione, beni strumentali il cui ammontare massimo è determinato con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze adottato previo parere conforme delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che si esprimono entro trenta giorni dalla data di trasmissione del relativo schema. La dotazione annua del predetto fondo è di 188 milioni di euro per l’anno 2014, di 252 milioni di euro per l’anno 2015, e di 242 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016”; su tale disposizione è “intervenuto” dapprima l’art. 12, comma 1, lett. e), D.L 28 giugno 2013, n. 76 (convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 99), disponendo una riduzione della dotazione del Fondo, di 150 milioni di euro per l’anno 2014 e di 120 milioni di euro per l’anno 2015, e successivamente l’art. 1, comma 407, L. 27 dicembre 2013, n. 147, prevedendo che “l’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 1, comma 515, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, è soppressa a decorrere dall’anno 2015”.

(20) A differenza di quanto previsto dal sopra citato regime dei “minimi” (ricavi o compensi non superiori a 30.000 euro).

(21) Cfr. Cass., n. 26681/2008, cit. (per un commento a questa sentenza v. IorioSereni, Professionisti. Anche con redditi elevati l’Irap non è dovuta, in Il fisco, 2008, fasc. 2, 7957 ss.); Cass., 5 febbraio 2008, n. 2710; Cass., n. 13038/2009, cit.; Cass., 10 settembre 2009, n. 19515; Cass., n. 19607/2010, cit., che ha cassato la sentenza di appello in quanto la stessa aveva “ritenuto nella specie ‘sintomatici di organizzazione adeguata’ solamente ‘apprezzabili compensi libero-professionali, tutt’altro che insignificanti e modesti, desunti dal quadro RE delle dichiarazioni dei redditi’”; Cass., n. 22020/2013, cit., ove si trova affermato che sono esclusi dall’applicazione dell’IRAP “anche professionisti con elevati guadagni quando alla realizzazione di tali guadagni non concorra alcuna organizzazione o concorra una organizzazione ad essi non riconducibile”; Cass., 2 dicembre 2013, n. 27032; Cass., n. 27213/2013, cit., ove si trova affermato che i “compensi percepiti” dal professionista sono “elementi … inidonei ad individuare il presupposto impositivo, ai fini IRAP, dell’autonoma organizzazione, … potendo essi anche ricollegarsi all’esercizio dell’attività professionale senza alcuna effettiva organizzazione di capitali e lavoro altrui”.

(22) Cfr. Cass., n. 29146/2008, cit.; Cass., n. 8265/2009, cit., ove si trova affermato che “la presenza … di una segretaria” (part-time) “costituisce elemento sufficiente ad integrare, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il requisito della ‘autonoma organizzazione’”; Cass., n. 14693/2009, cit., ha confermato una sentenza di Commissione regionale che aveva “interpretato il requisito della autonoma organizzazione come presenza anche modesta di elementi di organizzazione”, tra cui la presenza di un solo dipendente part-time; Cass., n. 6068/2010, cit., ove si trova affermato che “l’utilizzazione di personale dipendente, anche nella misura minima di una persona, configura il presupposto dell’autonoma organizzazione”; Cass., n. 7609/2014, cit., ha ravvisato il presupposto impositivo dell’IRAP nella circostanza che “l’attività della contribuente veniva svolta avvalendosi del lavoro di una dipendente, ancorché con mansioni di segretaria part-time”; Cass., n. 9790/2014, cit., ove si trova affermato che “l’essersi avvalso di un dipendente ovvero di un collaboratore non occasionale integra di per sé il requisito della ‘stabile organizzazione’”.

(23) Sul punto v. Colli Vignarelli, Rilevanza dell’organizzazione, cit., 892; ID., Il “DIES IRAP” è giunto, cit., 504.

(24) Cfr. Cass., n. 22020/2013, cit., ove si trova testualmente affermato: “Sembra al Collegio che l’automatica sottoposizione ad IRAP del lavoratore autonomo che disponga di un dipendente, qualsiasi sia la natura del rapporto e qualsiasi siano le mansioni esercitate vanificherebbe l’affermazione di principio desunta dalla lettera della legge e dal testo costituzionale secondo cui il giudice deve accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento potenziatore ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito, tale da escludere che l’IRAP divenga una (probabilmente incostituzionale) ‘tassa sui redditi di lavoro autonomo’. Vi sono, a giudizio del Collegio, ipotesi in cui la disponibilità di un dipendente (magari part-time o con funzioni meramente esecutive) non accresce la capacità produttiva del professionista, non costituisce un fattore ‘impersonale ed aggiuntivo’ alla produttività del contribuente, ma costituisce semplicemente una comodità per lui (e per i suoi clienti)”. Escludono che la presenza di un dipendente part-time sia elemento sufficiente a determinare la sussistenza di una organizzazione rilevante ai fini IRAP, Cass., n. 17755/2013, cit., e Cass., 18 febbraio 2014, n. 3758, in Il fisco, 2014, 1081 s.; afferma che, “ai fini della sussistenza di una autonoma organizzazione”, non “assume valore decisivo la presenza di una segretaria”, Cass., n. 7153/2014, cit.

Buy cheap Viagra online

(25) In relazione all’organizzazione, la legge non fa alcun riferimento all’attività prestata dai familiari del titolare, al fine di considerarla irrilevante ai fini della soggettività passiva IRAP (a differenza di quanto avveniva in materia di ILOR con l’art. 115, secondo comma, lett. e-bis), T.U. n. 917/1986, che escludeva dall’imposta i redditi di impresa derivanti da attività commerciali, organizzate prevalentemente con il lavoro proprio e dei familiari, ovvero con il lavoro dei soci, a condizione che il numero degli addetti, esclusi gli apprendisti fino a un massimo di tre, compreso il titolare ovvero i soci, non fosse superiore a tre); in dottrina vi è chi, invece, ritiene che la collaborazione dei familiari non sia sufficiente a realizzare il requisito dell’organizzazione rilevante ai fini IRAP: v. ad esempio Barbieri, IRAP: soggetti ai quali si riferisce l’imposta alla luce della pronuncia n. 156/2001 della Corte Costituzionale, in Il fisco, 2002, 567. Nello stesso senso del testo – sul presupposto, peraltro da lui non accolto, della necessità di una “soglia minima di «eterorganizzazione»” – v. Schiavolin, L’imposta regionale sulle attività produttive, in Commento agli interventi di riforma tributaria, a cura di Miccinesi, Padova, 1999, 779 s.

(26) Cass., 2 aprile 2007, n. 8166, ove si afferma che il lavoro altrui utilizzato “non necessariamente” deve essere “prestato quale lavoro dipendente”; Cass., 16 aprile 2007, n. 8971; Cass., n. 10151/2010, cit.; Cass., n. 8962/2013, cit.; circ. n. 45/E/2008, cit.

(27) Così circ. n. 45/E/2008, cit.

(28) Circ. n. 45/E/2008, cit.; con riferimento ai c.d. “tirocinanti”, nello stesso senso v. la circolare del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili n. 2/IR del 5 giugno 2008, in Il fisco, 2008, fasc. 1, 4367, nonché Cass., n. 8834/2009, cit.; Cass., 5 febbraio 2014, n. 2520.

(29) Operando allo stesso modo dell’art. 115, 2° comma, lett. e-bis), T.U. n. 917/1986, quando ancora esisteva l’ILOR: v. nota 25.