18 Febbraio, 2019

LE SOCIETÀ HANNO EREDI?
BREVI RIFLESSIONI SULLA CANCELLAZIONE DELLE SOCIETÀ
DAL REGISTRO DELLE IMPRESE

Dato che le società, come ha affermato la Suprema Corte in un recente arresto (1), non hanno familiari o parenti, parrebbe logico affermare che le stesse non possano nemmeno avere eredi. Ammesso che una società possa morire, possa cioè cessare le funzioni vitali al pari di un essere umano. Ma le società non muoiono. Più semplicemente, si sciolgono per una delle cause indicate nell’art. 2484 c.c. Si estinguono quando, approvato il bilancio finale di liquidazione, ne viene richiesta la cancellazione dal Registro delle Imprese.
Con la disciplina antecedente al decreto legislativo sulla riforma del diritto societario (2), la permanenza in capo alla società di rapporti non esauriti rendeva inefficace la cancellazione dal Registro delle Imprese (3). In effetti, cancellare una società quando sono pendenti processi avanti al giudice civile, o non sono state liquidate tutte le attività e definite le passività, pare davvero una contraddizione in termini.
Ma così non è più. L’inserimento nell’ambito dell’art. 2495 c.c. dell’inciso «fermo restando l’estinzione della società», quale conseguenza della cancellazione della società, ha reso ininfluente a questo fine la persistenza di rapporti giuridici in capo alla medesima. Da quel momento la società non esiste più come autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici. Per conseguenza, non può più essere destinataria di atti impositivi, e agire o essere convenuta in giudizio (4).
Questo non significa evidentemente che i rapporti obbligatori afferenti alla medesima, ancora pendenti al momento della sua cancellazione dal Registro delle Imprese, possano risolversi nel nulla. Trattandosi di un effetto legato ad una volontaria iniziativa dei soci, detta cancellazione non può evidentemente comportare tout court la scomparsa dei debiti non ancora soddisfatti. Ciò violerebbe il principio di cui all’art. 2740 c.c. secondo cui il debitore «risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri» e non con la semplice cancellazione dei medesimi.
Dopo la cancellazione dal Registro delle Imprese, precisa l’art. 2495 c.c., «i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro diritti nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione».
Intervenendo sulla questione con le note sentenze nn. 6070, 6071 e 6072 del 12 marzo 2013 (5), le Sezioni Unite hanno statuito che ciò si traduce in una sorta di rapporto successorio tra la società che si estingue ed i suoi soci.
I rapporti giuridici facenti capo alla società estinta quindi non scompaiono per effetto della cancellazione della società dal Registro delle Imprese. Sia nei debiti che nei crediti vi subentrano i soci. Fanno eccezione, precisano le Sezioni Unite, le mere pretese, azionate o azionabili in giudizio, ed i «crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore, giudiziale o extragiudiziale». Il mancato espletamento di questa attività, attraverso la quale tali crediti sarebbero eventualmente divenuti certi, necessario requisito per trovare spazio nel bilancio di liquidazione, consente di ritenere che la società abbia inteso rinunciarvi a favore di una rapida conclusione del procedimento estintivo (6).
Per conseguenza, i soci non possono agire per recuperarli a loro nome. Posto che il bilancio finale di liquidazione viene redatto sull’implicito presupposto che tutti i rapporti attivi e passivi siano stati definiti, sarebbe davvero singolare se, “compiuta la liquidazione”, per usare l’incipit dell’art. 2492 c.c., i soci potessero subentrare nei residui attivi per recuperare, a loro nome, quanto sarebbe stato dovuto alla loro società.
Il discorso cambia in relazione a quei diritti non conosciuti al tempo della liquidazione, come ad esempio le sopravvenienze attive, scoperti in epoca successiva alla cancellazione dal Registro delle Imprese. In questi casi, il ragionamento inferenziale porta a ritenere che se il liquidatore avesse saputo della esistenza di tali posizioni, le avrebbe senz’altro fatte figurare nel bilancio di liquidazione.
Il profilo sostanziale così disegnato dalle Sezioni Unite è chiaro anche se in relazione ai crediti l’automatica successione dei soci, come più avanti si vedrà, non trova alcun aggancio in disposizioni normative.
Più complesso l’aspetto processuale.
Nessun problema si è posto nella ipotesi in cui la cancellazione della società avvenga nel corso di un giudizio. Rappresentando l’estinzione l’evento interruttivo di cui all’art. 299 c.p.c., e cioè la perdita da parte della società della capacità di stare in giudizio, i soci sono stati ritenuti legittimati a subentrarle in giudizio sulla base del fenomeno successorio in parola.
In questi casi, l’evento interruttivo deve essere dichiarato in udienza dal procuratore della parte costituita, ovvero notificato alle altre parti. Qualora ciò non dovesse avvenire, magari perché si è verificato quando non era più possibile farlo constatare nel modo così previsto, il processo prosegue e si stabilizza nel grado in cui l’estinzione è avvenuta.
Ciò in virtù del noto principio per cui, quando la parte si è costituita in giudizio a mezzo di un difensore, vale la regola della ultrattività del mandato alle liti. Se l’evento interruttivo non viene dichiarato o notificato dal difensore nei modi e nei tempi previsti dall’art. 300 c.p.c., questi continua a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato. Tuttavia, poiché questa regola vale per il grado in cui l’evento estintivo si verifica, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società «deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta» (7).
Più controversa è la questione della legittimazione passiva dei soci in relazione all’accertamento delle obbligazioni facenti capo alla società. Obbligazioni che, come si accennava, non possono scomparire per il solo fatto che la stessa viene cancellata dal Registro delle Imprese.
Il problema è stato in parte risolto dal D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal Registro delle Imprese. Intervenendo sulla validità ed efficacia «degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi», l’art. 28, quarto comma, ha previsto il differimento quinquennale degli effetti legati alla cancellazione in parola a favore dell’Amministrazione finanziaria.
Ancorché la società risulti estinta, l’Ufficio fiscale può dunque notificare gli atti di cui sopra direttamente nei confronti della società.
Lo scopo della norma è chiaro, ed è quello di costituire deroga al nuovo regime previsto dall’art. 2495 c.c. Trattandosi di disposizione a natura sostanziale, precisa da ultimo la Suprema Corte (8), la stessa non ha effetti retroattivi, potendosi applicare soltanto «ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal Registro delle Imprese sia presentata nella vigenza della nuova disciplina» (9).
Seppure di per sé ampio, l’esperienza insegna che un arco temporale di cinque anni non è normalmente sufficiente per l’espletamento delle ordinarie attività di accertamento, contenzioso e riscossione dell’imposta. Il problema della legittimazione passiva da parte dei soci in relazione agli atti di cui sopra conserva pertanto la sua attualità.
Lo snodo da risolvere non concerne il limite della loro responsabilità, del tutto pacifico sulla base del contenuto del secondo comma dell’art. 2495 c.c., ma il fatto se, trascorsi i cinque anni della proroga, l’avviso di accertamento possa essere notificato alla compagine sociale succeduta alla società e, ancora, se questa compagine sia o meno legittimata a succederle in un giudizio che abbia ad oggetto un tale accertamento.
Secondo le Sezioni Unite sopra menzionate (10), l’attribuzione ai soci di una somma in sede di liquidazione non costituisce condizione per la loro successione alla società. Se così è, i soci dovrebbero pertanto avere piena legittimazione per partecipare a tutti i giudizi che siano in corso o che possano eventualmente insorgere: sul lato attivo, per il recupero di quanto dovuto alla loro società, su quello passivo, ferma la loro responsabilità intra vires di quanto percepito in sede di liquidazione, per contraddire in relazione alle azioni di accertamento avviate dall’Amministrazione finanziaria.
Si parla al condizionale in quanto, su questo tema, la posizione della Corte di Cassazione non è per nulla uniforme. Non tanto sull’enunciato per cui alla società che si estingue senza la previa definizione di ogni rapporto giuridico subentrano i soci in virtù del detto fenomeno successorio, quanto piuttosto sulla portata di questa successione sul piano della legittimazione a contraddire. In alcune sentenze, la Suprema Corte ha ritenuto che il creditore possa coinvolgere i soci anche solo per accertare l’esistenza di un suo credito, e non soltanto per ottenerne il pagamento nei termini di cui all’art. 2495 c.c.
In altre ha invece ritenuto che i soci possano essere coinvolti in un’azione giudiziaria in luogo della cessata società soltanto se hanno percepito somme in sede di liquidazione, e nei limiti di questo importo (11).
Secondo questa impostazione, la partecipazione del socio al riparto finale della società non rappresenta dunque soltanto la fonte della sua responsabilità nei confronti dei creditori sociali, ma anche il limite della sua legittimazione ad causam. Intanto il giudice potrà trattare nei suoi confronti un avviso di accertamento della società, in quanto egli abbia percepito somme in sede di liquidazione e, ancora, soltanto se l’ammontare della maggiore imposta accertata non superi questo importo.
Un giudizio che non avesse ad oggetto questo genere di petitum, e cioè il pagamento di tributi per un importo complessivo inferiore al limite di responsabilità del socio per i debiti sociali, non potrebbe dunque essere celebrato nei confronti di questi, non competendogli alcuna legittimazione passiva su domande di tal genere.
La legittimazione ad agire costituisce, è noto, una delle tre condizioni dell’azione; le altre sono la possibilità giuridica e l’interesse ad agire. Intanto un soggetto può essere convenuto in giudizio in quanto egli rappresenta, sul lato passivo, il soggetto effettivamente titolare del rapporto fatto valere, come tale tenuto a subire la chiesta pronuncia.
L’interesse ad agire identifica invece l’esigenza di ottenere un risultato giuridicamente apprezzabile, non altrimenti conseguibile senza attivare quel determinato procedimento. Al pari della legittimazione, anche la valutazione di questa condizione può essere effettuata in qualsiasi stato e grado del processo, anche su iniziativa del giudice. Un fatto che dovesse sopravvenire nel corso del processo comporta pertanto la necessità, indipendentemente dal preventivo accordo delle parti, che si verifichi se, a seguito di ciò, le stesse abbiano o meno perduto l’interesse ad una decisione sul merito (12).
Le decisioni della Suprema Corte quando affermano che i soci sono legittimati ad causam in relazione al rapporto d’imposta della cessata società soltanto se l’oggetto del contendere non supera quanto da loro percepito in sede di liquidazione valorizzano questo dato sull’interesse ad agire. Vero che un processo può essere celebrato soltanto se la decisione finale è utile per la tutela del diritto alla base della domanda (13), esula da questo concetto discutere con i soci del reddito posseduto dalla cessata società, per importi che non siano sussumibili nell’ambito della fattispecie di cui al secondo comma dell’art. 2495 c.c. Se la loro responsabilità per i debiti sociali non copre l’ammontare della pretesa fatta valere dall’Ufficio finanziario, essi non sono tenuti a subire la decisione del giudice.
In questi termini il riparto dell’attivo di liquidazione non determina soltanto l’estensione della responsabilità del socio sul piano quantitativo, ma rappresenta anche una vera e propria condizione dell’azione sul piano dell’interesse ad agire (14). In buona sostanza, soltanto se ha percepito riparti per somme pari o superiori a quelle che sarebbero dovute sulla base dell’accertamento alla società, il socio può essere utilmente coinvolto nella procedura dell’atto impositivo (15).
A fronte di questa posizione, si diceva, vi è quella per cui il socio può essere coinvolto in un’azione di accertamento a prescindere dalla sua responsabilità per i debiti sociali non soddisfatti.
Trattando un caso in cui i soci avevano per l’appunto contestato la loro legittimazione passiva per non aver percepito alcun riparto in base al bilancio di liquidazione, dopo aver ribadito che una tale circostanza «non configura una condizione da cui dipende la possibilità di proseguire nei loro confronti l’azione originariamente intrapresa dal creditore sociale verso la società», la Corte di Cassazione (16) ha ribadito il principio per cui l’interesse del creditore all’accertamento del proprio diritto è un interesse tutelabile a prescindere dal fatto che i soci abbiano percepito un qualche riparto nel contesto della liquidazione della società.
Secondo questa logica, l’interesse ad agire del creditore non si esaurisce nella sola opportunità di ottenere un titolo esecutivo ex art. 2495 c.c. nei confronti dei soci, ma comprende anche quella di ottenere un provvedimento che riconosca semplicemente il suo diritto, da utilizzare per ragioni diverse da quelle legate alla responsabilità dei soci per i debiti sociali. Fra queste ragioni, quella di utilizzare un tale provvedimento «in funzione dell’escussione di garanzie» (17) o, ancora, nel caso di un lavoratore dipendente che aveva impugnato il licenziamento intimatogli da una società poi estinta senza residui di liquidazione assegnati ai soci, per utilizzare la sentenza ai fini «previdenziali, nonché per la maturazione del diritto all’indennità di disoccupazione o mobilità e l’iscrizione nelle relative liste» (18).
In conclusione, mentre con la previgente normativa la persistenza di rapporti non esauriti in capo alla società rendeva inefficace l’effetto estintivo che si voleva ottenere con la cancellazione della medesima dal Registro delle Imprese, dopo la riforma del diritto societario attuata dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la giurisprudenza di legittimità ritiene che la cancellazione dal Registro delle Imprese effettuata in tali condizioni attivi un fenomeno successorio in capo ai soci, legittimandoli al contraddittorio nei confronti dei creditori sociali.
Si può dunque tornare all’interrogativo contenuto nel titolo di questo articolo, e cioè alla possibilità che le società possano avere eredi. Il referente normativo utilizzato per dare corpo a questo congetturato fenomeno in capo ai soci è l’art. 2495, secondo comma, c.c., laddove consente ai creditori sociali non soddisfatti di far valere i loro diritti nei confronti dei soci «fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione».
Questa norma non disciplina tuttavia una devoluzione successoria delle obbligazioni non soddisfatte facenti capo alla società. Più semplicemente, essa consente di “saltare” alcuni passaggi giudiziari per agevolare l’azione verso i soggetti a cui sono state assegnate somme in violazione dell’art. 2491 c.c. Secondo il disposto contenuto in questo articolo, il liquidatore della società non può procedere alla distribuzione tra i soci delle attività della liquidazione se non dopo l’integrale e tempestiva soddisfazione dei creditori sociali.
La norma di cui all’art. 2495 c.c., laddove consente ai creditori pretermessi di fare valere i loro diritti nei confronti dei soci per quanto da questi percepito in violazione di tale disposto, attribuisce ai medesimi una sorta di tutela reale, consentendogli di aggredire, senza ulteriori allegazioni, le attività così distribuite.
Il socio non diventa dunque il soggetto legittimato nei confronti dei creditori sociali in virtù del detto fenomeno successorio, ma soltanto perché, in sede di liquidazione, ha percepito un riparto di attività che non avrebbe dovuto ricevere in quanto i creditori della società non erano stati integralmente soddisfatti.
Nelle medesime condizioni di fatto, un tale risultato sarebbe stato raggiunto anche in assenza della norma in parola.
A questo proposito il creditore sociale avrebbe infatti potuto avviare un’azione per l’annullamento della cancellazione della società dal Registro delle Imprese, siccome eseguita in carenza del presupposto dell’avvenuta integrale liquidazione del patrimonio sociale. Avrebbe poi potuto agire con la revocatoria nei confronti dei soci per obbligarli a restituire alla società quanto percepito in violazione dell’art. 2461 c.c., ovvero per contestare direttamente ai medesimi l’indebito arricchimento a norma dell’art. 2041 c.c. conseguito a suo danno.
Quando l’art. 2495 c.c. consente ai creditori sociali di far valere i loro diritti direttamente nei confronti dei soci evita questi passaggi giudiziari consentendo di pervenire al medesimo risultato finale con evidente economia di mezzi di giudizio. Tutto qui (19).
Se così è, il problema di come consentire all’Amministrazione finanziaria di procedere all’accertamento dell’eventuale maggior reddito posseduto dalla società prima della sua estinzione, per poi utilizzare tale circostanza per i fini ad essa collegati, ad esempio per attivare la presunzione di distribuzione del maggior reddito in capo ai soci, è un problema che non può essere risolto dall’organo della nomofilachia.
Il problema esiste e può essere risolto soltanto da chi l’ha creato, il legislatore.

Avv. Bruno Aiudi

(1) Il riferimento è a Cass., sez. lav., 22 marzo 2017, n. 7336, in Boll. Trib. On-line.
(2) Attuata coi decreti legislativi 17 gennaio 2003, nn. 5 e 6.
(3) Cfr. Cass., sez. II, 4 maggio 2011, n. 9797 (in Boll. Trib. On-line): «La cancellazione di una società di capitali dal Registro delle Imprese non ne determina “ipso facto” l’estinzione, tale effetto verificandosi solo in conseguenza della definizione di tutti i rapporti pendenti. La società conserva, pertanto, in pendenza di una situazione siffatta, la sua piena capacità processuale tanto attiva che passiva e va evocata in giudizio in persona del suo liquidatore o, in mancanza, di un curatore speciale, nominato ai sensi dell’art. 78 c.p.c.».
(4) Cfr. Cass., sez. trib., 24 febbraio 2017, n. 4778, in Boll. Trib. On-line.
(5) In Boll. Trib., 2013, 701, con nota di M. PROIETTI, La cancellazione delle società dal Registro delle Imprese tra profili di diritto sostanziale e conseguenze processuali: in attesa che la Consulta si pronunci sulla costituzionalità degli artt. 2495 c.c. e 328 c.p.c., “risponde” la Corte di Cassazione.
(6) Decidendo di farsi cancellare dal Registro delle Imprese senza coltivare la necessaria azione, afferma a questo proposito la Suprema Corte (Cass., sez. I, 16 luglio 2010, n. 16758, in Boll. Trib. On-line), la società pone «in essere un comportamento inequivocabilmente inteso a rinunciare a quelle azioni, facendo così venir meno l’oggetto stesso di una trasmissione successoria ai soci».
(7) In questi esatti termini cfr. Cass., sez. trib., 8 marzo 2017, n. 5988, in Boll. Trib. On-line; nello stesso senso Cass., sez. trib., 5 novembre 2014, n. 23574, ivi.
(8) Cfr. Cass., sez. trib., 2 ottobre 2017, n. 23029, in Boll. Trib. On-line.
(9) Nello stesso senso Cass., sez. trib., 4 settembre 2017, n. 20752, in Boll. Trib. On-line. Nelle circ. 30 dicembre 2014, n. 31/E (in Boll. Trib., 2015, 59) e circ. 19 maggio 2015, n. 6/E (ibidem, 282), si afferma invece che la norma vale anche per le attività di controllo riferite a società che hanno chiesto la cancellazione dal Registro delle Imprese prima del 31 dicembre 2014, data di entrata in vigore del decreto legislativo.
(10) Cfr. Cass. n. 6070/2013, cit.
(11) Sul punto cfr. Cass., sez. trib., 26 giugno 2015, n. 13259, in Boll. Trib., 2015, 1731, con nota di B. AIUDI, Estinzione della società di capitali: sulla responsabilità dei soci.
(12) Cfr. Cass., sez. trib., 4 agosto 2017, ord. n. 19568 (in Boll. Trib. On-line): nel processo tributario, come nel processo civile, la pronuncia di cessazione della materia del contendere deve essere adottata anche d’ufficio, senza che sia necessario un espresso accordo delle parti, atteso che, indipendentemente dalle conclusioni da queste ultime formulate, spetta al giudice valutare l’effettivo venir meno dell’interesse delle stesse ad una decisione sul merito della vertenza.
(13) Cfr. Cass., sez. un., 20 dicembre 2006, n. 27187 (in Boll. Trib. On-line), secondo cui, salvo casi eccezionali, il processo «può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri. Pertanto non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti ma che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto, la quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato e quindi nella sua interezza».
(14) Cfr. Cass., sez. lav., 22 luglio 2016, n. 15218 (in Boll. Trib. On-line): «È inammissibile il ricorso rivolto nei confronti di una società estinta in quanto cancellata dal Registro delle Imprese e nei confronti dei singoli soci che non hanno riscosso alcuna quota all’esito della liquidazione della società, posto che l’azione intrapresa è carente della essenziale condizione dell’interesse ad agire».
(15) Questa è ad esempio la sostanza dell’iter argomentativo di Cass., sez. trib., 31 gennaio 2017, n. 2444 (in Boll. Trib. On-line), quando afferma che i soci possono impugnare una sentenza emessa nei confronti della società soltanto nella «loro qualità di successori, dal lato passivo nel rapporto di imposta, se e nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione».
(16) Cfr. Cass., sez. trib., 7 aprile 2017, n. 9094, in Boll. Trib. On-line.
(17) Così Cass., sez. trib., 8 marzo 2017, n. 5988, in Boll. Trib. On-line.
(18) Come si legge in Cass., sez. lav., 14 giugno 2017, n. 14775, in Boll. Trib. On-line.
(19) Cfr. U. LA PORTA, L’estinzione del soggetto e le vicende delle situazioni soggettive nella cancellazione della società dal Registro delle Imprese, in Riv. not., 2013, 725. La norma non si preoccupa di garantire continuità nella titolarità delle situazioni soggettive passive ma soltanto di garantire continuità di tutela al creditore, assicurandogli l’apprensione di quanto assegnato dai liquidatori in violazione delle regole di svolgimento del procedimento.

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