1 Luglio, 2014

SOMMARIO: 1. Il profilo territoriale dell’IVA: un quadro di riferimento 2. La disciplina territoriale delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi prima della Direttiva n. 2008/8/CE 3. Le modifiche introdotte dal c.d. vat package 4. Un nuovo modello di attuazione dell’imposta 5Prospettive future.

 

 

1. Il profilo territoriale dell’IVA: un quadro di riferimento

La disciplina dell’imposta sul valore aggiunto è stata oggetto di recenti e profonde modifiche, da ultimo apportate nell’ordinamento interno con la legge 24 dicembre 2012, n. 228(1), di attuazione della Direttiva del Consiglio 13 luglio 2010, n. 2010/45/UE, contenente nuove disposizioni in tema di fatturazione.

L’intervento, che ha concentrato l’attenzione sul momento di effettuazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA e sulle modalità di loro documentazione (2), si inserisce quale completamento o piuttosto passaggio obbligato nell’ambito del percorso intrapreso dalle istituzioni comunitarie dal 2008 in avanti con l’approvazione delle Direttive 12 febbraio 2008, n. 2008/8/CE, e n. 2008/9/CE, nonché della Direttiva 16 dicembre 2008, n. 2008/117/CE (3) – rispettivamente in tema di territorialità, rimborsi d’imposta e lotta alle frodi – volto ad una revisione sistematica dell’IVA (4).

La Direttiva n. 2010/45/UE rende infatti (tra l’altro) soluzione ad alcune criticità sorte dalle modifiche apportate al profilo territoriale delle prestazioni di servizi, le quali hanno accompagnato l’innovazione dei criteri di collegamento delle operazioni a modalità di attuazione del tributo diversificate rispetto all’ordinario binomio rivalsa-detrazione, estendendo l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile.

Il riferimento è in particolare al vigente art. 66 della Direttiva n. 2006/112/CE, che esclude oggi che gli Stati membri possano derogare al generale criterio dell’effettuazione dell’operazione al momento dell’ultimazione della prestazione quando l’imposta relativa ai servizi sia dovuta dal destinatario in reverse charge: ciò che accade nell’ipotesi di prestazioni transfrontaliere imponibili “a destino”.

È noto che con la precedente Direttiva n. 2008/8/CE si è realizzata quella che è stata definita la “riforma” dei servizi. Il legislatore comunitario ne ha infatti introdotto una disciplina territoriale caratterizzata dalla distinzione tra prestazioni rese a soggetti passivi d’imposta (business to business) e a privati consumatori (business to consumer), differenziazione attraverso la quale passa la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalle modifiche normative: quelli della modernizzazione e della semplificazione del funzionamento del sistema comune IVA.

Si tratta di un regime che affermando, in funzione del destinatario, due distinte regole base di localizzazione dell’operazione (nel luogo di stabilimento del committente nell’ipotesi di servizi BtoB ed in quello del prestatore nel caso di servizi BtoC) accoglie anche per le prestazioni – con evidente novità rispetto al passato – quel principio di tassazione a destinazione fin qui riservato agli scambi intracomunitari di beni.

Pare dunque interessante indagare le ragioni che hanno fondato le scelte rese a livello sovranazionale, definendo il quadro all’interno del quale tali decisioni sono maturate ma anche la prospettiva in cui si pongono, tenendo conto che anche la più recente Direttiva sulla fatturazione si inserisce in quella che è stata definita una road map attraverso la quale si tenterà di procedere ad una graduale rivisitazione dell’imposta all’insegna di alcuni specifici obiettivi riassumibili nei seguenti target: semplificazione, efficienza, neutralità e lotta all’evasione e alle frodi (5).

In tale quadro la territorialità dell’imposta può a ragione essere definita quale profilo centrale del sistema comune IVA, attorno alla quale ruota la realizzazione dei principi che ne regolano il funzionamento e che discendono direttamente dalla natura di tributo teso a colpire il consumo.

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2. La disciplina territoriale delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi prima della Direttiva n. 2008/8/CE

L’analisi della disciplina antecedente alla Direttiva n. 2008/8/CE fa emergere un’intrinseca coerenza interna delle regole di localizzazione delle cessioni di beni, a fronte di un travagliato percorso che ha invece caratterizzato le prestazioni di servizi nella ricerca di definitivi criteri di radicamento territoriale, oggetto nel tempo di ripetute modifiche dettate da ratio diverse.

Quanto al primo profilo, può osservarsi che la localizzazione delle cessioni di beni ha sempre seguito e segue tutt’oggi criteri di territorialità di tipo oggettivo, determinati in ragione del luogo di esistenza fisica dei beni e indipendenti dal luogo di conclusione ovvero esecuzione del contratto nonché da quello di stabilimento dei soggetti tra cui avviene l’operazione.

Già la II Direttiva IVA (6) individuava il luogo di effettuazione delle cessioni senza spedizione o trasporto in quello in cui il bene si trovava all’atto della cessione; il criterio veniva riprodotto tale quale nella VI Direttiva (7) ed è attualmente contenuto immutato nell’art. 31 della Direttiva n. 2006/112/CE vigente.

Nel caso in cui il bene fosse spedito o trasportato, invece, il luogo di cessione era identificato dalla II Direttiva in quello in cui il bene si trovava al momento iniziale della spedizione o del trasporto a destinazione (oggi art. 32 della Direttiva n. 2006/112/CE).

La previsione era tuttavia oggetto di precisazioni legate all’introduzione del regime transitorio degli scambi intracomunitari, cui si accompagnavano novità importanti in tema di territorialità.

La Direttiva 16 dicembre 1991, n. 91/680/CEE, di introduzione della nuova disciplina delle cessioni di beni tra operatori economici comunitari, realizzava infatti, attraverso la localizzazione dell’operazione nel luogo di arrivo del prodotto, l’imposizione a destinazione dello scambio transfrontaliero, nel luogo di suo presumibile consumo.

Anche in questo caso si operava peraltro la scelta di ancorare il luogo di tassazione, se non all’esistenza fisica del bene sul territorio, nondimeno alla sua movimentazione all’interno della Comunità (8) (la previsione di riferimento è oggi l’art. 33 della Direttiva n. 2006/112/CE).

È con riguardo alle prestazioni di servizi che la difficoltà di individuare il luogo del consumo si è invece manifestata in tutta la sua evidenza, da cui la scelta comunitaria di procedere a successive modifiche normative rispondenti ad esigenze diversificate ma meritevoli di reciproco bilanciamento: da un, lato la necessità di garantire la localizzazione dell’operazione nel Paese di fruizione, in linea con la ratio dell’imposta; dall’altro, quella di assicurare certezza agli operatori del diritto e contestualmente la fattibilità del prelievo attraverso specificazioni del criterio del “luogo di utilizzo” di più facile applicazione.

La II Direttiva sceglieva infatti di individuare il luogo di effettuazione (e dunque di imponibilità) delle prestazioni di servizi in quello nel quale «il servizio reso, il diritto ceduto o concesso o il bene locato» fossero “utilizzati o sfruttati” (così art. 6, par. 3): l’adozione di un criterio di localizzazione incentrato sul luogo di fruizione del servizio – a prescindere dalle difficoltà che poteva comportare sotto il profilo del suo accertamento – appariva quello che meglio si coordinava anche con la disciplina della territorialità delle cessioni di beni e con il presupposto economico dell’imposta (9).

Tale criterio non tardò tuttavia a presentare difficoltà applicative, ponendosi innanzitutto il problema di interpretare la nozione di “utilizzazione”; ciò che conduceva gli Stati membri ad individuare dei parametri “convenzionali” di utilizzo, quali il luogo di residenza del committente, il luogo di residenza del prestatore, il luogo in cui la prestazione veniva resa: presunzioni (relative) che tuttavia riproponevano il problema in tutta la sua complessità (10).

Si inseriva in tale quadro l’intervento comunitario che giungeva con l’approvazione della VI Direttiva IVA e che comportava l’“oggettivazione” del generale criterio del luogo di utilizzazione, proponendosi la finalità di prevenire i conflitti di competenza tra Stati attraverso l’attribuzione di rilevanza a presunzioni per così dire “assolute” di consumo (salva la riproposizione legislativa – residuale – del luogo dell’effettivo utilizzo).

L’art. 9 della Direttiva sceglieva così di localizzare in via generale le prestazioni di servizi nel luogo in cui il prestatore avesse fissato la sede della propria attività economica o avesse costituito un centro di attività stabile a partire dal quale la prestazione di servizi fosse resa, ovvero – in mancanza di tale sede o di tale centro di attività – nel luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale.

Il c.d. luogo di stabilimento del prestatore veniva adottato nella convinzione che tale regola consentisse l’applicazione dell’imposta nel Paese del consumo almeno in un’economia quale quella degli anni ’70 in cui la transnazionalità dei servizi non era ancora un fenomeno diffuso (11).

Rispondeva peraltro tale criterio al principio informatore del modello teorico dell’imposta che prevedeva la tassazione nel Paese di origine, il quale garantendo l’assolvimento delle imposte nel luogo di realizzazione del processo produttivo – indipendentemente dalla destinazione o dal mercato di consumo cui i prodotti fossero indirizzati – avrebbe dovuto consentire la concretizzazione di un vero e proprio mercato interno tra gli Stati membri, caratterizzato dall’assoluta irrilevanza fiscale del passaggio di beni e servizi dei confini statuali.

Accanto al criterio generale, la VI Direttiva introduceva tuttavia una serie di criteri di collegamento speciali per talune tipologie di servizi, legati all’ubicazione del bene cui si riferisse la prestazione ovvero al luogo di esecuzione del servizio o anche al domicilio o alla residenza del committente: da un lato, poiché tali regole si attagliavano meglio ad alcune fattispecie nell’individuazione del Paese di consumo; dall’altro, perché emergeva con la scelta del luogo di stabilimento del prestatore la necessità di evitare che tale criterio di localizzazione si traducesse in vantaggi concorrenziali per le imprese stabilite negli Stati ad aliquota IVA più bassa ovvero creasse fenomeni distorsivi a danno degli operatori stabiliti nell’Unione (12).

Con le modifiche apportate dalla Direttiva n. 91/680/CEE di introduzione del regime transitorio degli scambi comunitari, si includevano inoltre nel regime dell’intra-CE – caratterizzato dalla tassazione “a destinazione” alcuni servizi dal carattere transnazionale: se infatti tale disciplina non interessava di regola le prestazioni di servizi, costituivano eccezione quelle strettamente connesse con i beni mobili e con le loro movimentazioni intracomunitarie.

Si aggiungevano così altri e differenti criteri di localizzazione, i quali sono stati tuttavia oggetto di modifica con la Direttiva n. 2008/8/CE, che ha ricondotto i servizi assoggettati al regime degli scambi intra-UE alla previsione generale di localizzazione delle prestazioni, senza più distinguere a seconda che le stesse interessino l’ambito internazionale o comunitario.

3. Le modifiche introdotte dal c.d. VAT Package

La complessità del sistema di localizzazione territoriale delle operazioni descritto lascia intuire le motivazioni che hanno indotto il legislatore sovranazionale ad interrogarsi, a quarant’anni dall’introduzione dell’IVA, sulla capacità del quadro normativo progressivamente delineatosi a rispondere agli originari obiettivi che la Comunità perseguiva attraverso l’armonizzazione delle imposte sulla cifra d’affari tra gli Stati alla stessa aderenti.

La Direttiva n. 2008/8/CE si inserisce infatti, come risulta dal quadro che precede, in un contesto normativo relativo alle prestazioni di servizi nel quale l’ampiezza delle eccezioni alla tassazione nel luogo di stabilimento del prestatore rendeva quest’ultimo un criterio di fatto residuale (13) – ciò che peraltro era stato affermato dalla stessa Corte di Giustizia nella propria giurisprudenza (14) – e il cui ambito applicativo veniva in taluni casi allargato alle prestazioni di servizi c.d. complesse (15).

La territorialità delle prestazioni di servizi appare di contro oggi caratterizzata dalla distinzione tra servizi resi a soggetti passivi d’imposta (c.d. servizi business-to-businessBtoB) e servizi resi a soggetti privati (c.d. servizi business-to-consumer BtoC), salva la riproposizione di regole speciali per taluni peculiari settori che essenzialmente ricalcano quelle già esistenti ante intervento.

Correttamente si è definito un sistema “duale” (16) quello che risulta dalle modifiche apportate, che hanno accolto il principio della tassazione a destinazione (nel luogo di stabilimento del committente) quale criterio generale di localizzazione delle operazioni tra operatori economici, lasciando che sia invece la tassazione all’origine (nel luogo dunque di stabilimento del prestatore) a regolare le prestazioni transnazionali rese nei confronti di consumatori finali – categoria questa che assume tuttavia un’accezione del tutto nuova corrispondente alla rimodulazione della nozione di soggettività passiva d’imposta.

La modifica segna una svolta importante che ha indotto a farvi riferimento come ad una vera e propria “riforma” dello status quo, ruotando la previgente normativa attorno all’opposto criterio della tassazione nel luogo di stabilimento del prestatore del servizio indipendentemente dalla natura del destinatario dell’operazione.

E tuttavia piuttosto che di una svolta sembrerebbe trattarsi di un ritorno alle origini, se solo si pensa che proprio il criterio dell’effettivo utilizzo – che era quello indicato nella II Direttiva ai fini della localizzazione delle prestazioni rilevanti IVA – viene a costituire l’obiettivo perseguito dall’intervento normativo, come chiarisce il documento della Commissione COM (2003) 822 del 23 dicembre 2003, recante la Proposta di direttiva per le modifiche ai criteri di tassazione delle prestazioni di servizi tra operatori economici (poi tradottosi nella Direttiva n. 2008/8/CE), dove si legge chiaramente che: «La Commissione ritiene che ogni modifica delle norme che disciplinano il luogo di tassazione dei servizi debba puntare, nei limiti del possibile, a realizzare una tassazione nel luogo in cui avviene il consumo effettivo».

Ancora una volta si procede tuttavia ad una individuazione convenzionale del luogo di “effettivo consumo” della prestazione, rintracciato non più in via generale nel luogo di stabilimento del prestatore ma in quello di stabilimento del committente almeno nell’ipotesi in cui il fruitore sia un soggetto passivo d’imposta (17) (18).

Nella prospettiva comunitaria l’“effettivo consumo” dovrebbe peraltro rappresentare il criterio di localizzazione anche delle operazione rese a consumatori finali, scelta tuttavia che l’Unione non ha inteso perseguire per le difficoltà applicative che comporta (19).

La soluzione operativa introdotta con la Direttiva n. 2008/8/CE consiste allora nel medesimo sdoppiamento dei principi di imposizione sanciti per le cessioni di beni intra-UE, da cui la tassazione all’origine quando il destinatario del bene ed oggi del servizio sia un consumatore finale e la tassazione a destino quando la transazione avvenga tra operatori economici.

L’effetto è che la disciplina delle prestazioni di servizi transfrontalieri si avvicina in maniera evidente a quella degli scambi di beni intracomunitari (20), come dimostra anche l’analisi delle modalità di attuazione del tributo di cui al successivo paragrafo.

4. Un nuovo modello di attuazione dell’imposta

Può facilmente osservarsi che la stabilizzazione nei rapporti transnazionali del criterio di tassazione a destinazione rende il tributo tendenzialmente dovuto in un Paese diverso da quello nel quale il prestatore esercita la propria attività, assumendo rilevanza – difformemente rispetto al passato – il luogo di stabilimento di colui che della prestazione risulti destinatario.

Di fronte a simile opzione in punto di territorialità il legislatore comunitario non poteva esimersi dall’affrontare il tema concernente le modalità con cui il soggetto passivo d’imposta potesse assolvere il tributo in uno Stato altro rispetto a quello di stabilimento.

Territorialità e meccanismi applicativi dell’imposta presentano in questo senso un forte nesso funzionale dovuto al fatto che il binomio rivalsa/detrazione – ordinaria modalità di riscossione frazionata del tributo in ogni singolo passaggio della catena economico-produttiva – entra in crisi in tutti i casi in cui, adottata una regola di localizzazione dell’operazione che la renda imponibile “a destino”, l’onere di dichiarazione, liquidazione e versamento venga a gravare sull’operatore economico che non sia stabilito nel Paese di tassazione.

La rilevanza dell’operazione in uno Stato diverso da quello di stabilimento del cedente/prestatore determina in questo senso un duplice effetto: da un lato, la necessità di attrarre nel meccanismo di funzionamento del sistema comune d’imposta le operazioni effettuate da non residenti nel territorio nazionale, la quale è direttamente collegata alla possibilità di considerare gli stessi quali soggetti passivi e quindi di imporre loro obblighi analoghi a quelli imposti ai soggetti residenti (21); dall’altro, l’esigenza di assicurare contestualmente il rispetto del principio di neutralità dell’imposta, anche e soprattutto negli scambi transnazionali, da cui l’importanza di prevedere (in luogo dell’esercizio del diritto alla detrazione) altre forme di fruizione del credito IVA maturato ovvero meccanismi che ne eliminino il sorgere. La struttura addebito/detrazione non può infatti funzionare tra Stati membri in assenza di strumenti di gestione e riparto del gettito ovvero in mancanza di un diritto alla detrazione transfrontaliera. Con la conseguenza che, operate determinate scelte in punto di territorialità, diviene necessario intervenire sul fronte dell’attuazione.

Trovano origine nella relazione funzionale descritta l’originaria previsione della facoltà per gli Stati membri di attribuire – in tutte le ipotesi di transnazionalità – la qualità di debitore del tributo (ovvero person liable for payment) al destinatario dell’operazione che sia a sua volta un soggetto economico (22), nonché il successivo regime degli scambi di beni intracomunitari che assegna la qualità di soggetto passivo d’imposta al cessionario del bene.

Si assiste in questo senso all’introduzione di un nuovo sistema basato sulla simmetria non imponibilità/imponibilità (23) che caratterizza entrambe le ipotesi segnalate e che è stato destinato ad un ampliamento proprio con la Direttiva n. 2008/8/CE.

Le modifiche introdotte all’aspetto territoriale delle prestazioni di servizi – che si rendono imponibili nel luogo di stabilimento del committente per le transazioni BtoB – sono state infatti accompagnate dalla scelta di un’applicazione generalizzata del reverse charge, ciò che permette oggi di affermare che nella disciplina IVA della territorialità e nella sua progressiva evoluzione possono anche cogliersi i segni di un cambiamento più profondo dell’imposta, che viene a mutare sotto i colpi delle previsioni di eccezioni al meccanismo applicativo plurifase a favore di un modello monofase che ne mina le stesse fondamenta (24).

La normativa sovranazionale di riferimento si rintraccia al vigente art. 196 della Direttiva n. 2006/112/CE, laddove è previsto che l’IVA sia dovuta dai soggetti passivi o dalle persone giuridiche (che non siano soggetti passivi identificate ai fini dell’IVA) quando sia loro resa una prestazione di servizi generica e dunque imponibile a destinazione (nel luogo di stabilimento del committente) in tutti i casi in cui il servizio sia reso da un soggetto passivo non stabilito nel territorio del medesimo Stato membro.

Fa da complemento a tale previsione quella di cui al modificato art. 214, che obbliga gli Stati membri a prendere i provvedimenti necessari affinché sia identificato tramite un numero individuale non solo ogni soggetto passivo che effettui nel loro rispettivo territorio cessioni di beni o prestazioni di servizi che gli diano diritto a detrazione ed ogni soggetto passivo ovvero ente non soggetto passivo che effettui acquisti intracomunitari di beni soggetti all’IVA, ma anche ogni soggetto passivo che riceva prestazioni per le quali sia debitore dell’IVA a norma del citato art. 196 [lett. d)] ovvero sia stabilito nel loro rispettivo territorio ma che effettui nel territorio di un altro Stato membro prestazioni di servizi per i quali l’IVA sia dovuta unicamente dal destinatario a norma del medesimo art. 196 [lett. e)].

Viene così generalizzato ma soprattutto reso obbligatorio e soggetto a monitoraggio il meccanismo dell’inversione contabile che prima vigeva facoltativamente per il caso in cui – in deroga alle regole ordinarie – le prestazioni di servizi fossero soggette ad imposta nello Stato del committente (salvi i servizi relativi agli scambi intra-UE, che seguivano il meccanismo applicativo regolante gli scambi medesimi e dunque accoglievano il principio della imponibilità/non imponibilità propria di questi ultimi) (25).

Peraltro la novità rilevante è oggi da rintracciarsi nell’ampiezza dei soggetti tenuti all’applicazione dell’inversione contabile, ciò che costituisce diretta conseguenza dell’ampliamento (ai fini della territorialità) della nozione di soggetto passivo stabilito.

Ed infatti, ancorché l’obiettivo della speciale nozione “allargata” di soggetto passivo non sia di per sé quello di estendere l’ambito di coloro che sono chiamati ad applicare l’imposta ma piuttosto di influenzare la determinazione del luogo della prestazione, ciononostante la scelta effettuata assume rilievo anche quanto alle modalità di assolvimento del tributo.

Con la conseguenza che anche gli enti non commerciali identificati ai fini IVA devono, in conseguenza del loro status di soggetti passivi stabiliti, provvedere agli obblighi di documentazione e registrazione dell’operazione nonché a quelli di versamento del tributo con riferimento alle prestazioni di servizi ricevute da prestatori stabiliti in altro Stato, anche quando il servizio sia riferibile alla loro attività istituzionale (nel qual caso gli effetti si produrranno dal lato dell’esercizio del diritto alla detrazione che ne sarà precluso) (26).

5. Prospettive future

Possono trarsi alcune conclusioni destinate ad essere oggetto di futura verifica mano a mano che le istituzioni comunitarie daranno attuazione al manifestato intento di progressiva revisione del sistema IVA.

Innanzitutto, le modifiche introdotte dalla Direttiva n. 2008/8/CE in relazione al profilo territoriale delle prestazioni di servizi inducono a ritenere che l’adozione di un sistema impositivo basato sul principio della tassazione all’origine – il quale nelle intenzioni della Commissione europea, consentendo di equiparare operazioni nazionali e operazioni intracomunitarie, avrebbe dovuto rappresentare il punto di arrivo dell’armonizzazione degli ordinamenti IVA nazionali – sia stato definitivamente abbandonato.

Al contempo l’analisi della nuova disciplina consente di affermare che si è inteso legittimare la previsione di un doppio criterio impositivo (tassazione nello Stato di destinazione e tassazione nello Stato di origine), ammettendo la convivenza del modello plurifase e di quello monofase all’interno del sistema d’imposta, sistema nel quale il principio di territorialità assume un ruolo sempre più centrale quale elemento determinante per il corretto svolgimento del tributo (27).

Sotto il primo profilo la conferma della nuova direzione verso cui muove il sistema d’imposta proviene dalle conclusioni espresse nel Libro bianco sul futuro dell’IVA (28), nelle quali la Commissione – preso atto che l’attuazione del principio di tassazione all’origine rimane politicamente irrealizzabile – manifesta la volontà di orientare il proprio impegno sull’elaborazione di concetti alternativi per un sistema dell’IVA basato su un principio di destinazione che funzioni in modo efficace.

Anche il Parlamento europeo – finora convinto sostenitore del principio della tassazione all’origine – ha peraltro per questa via riconosciuto l’esistenza di un’insostenibile situazione di stallo, invitando ad orientarsi verso la tassazione “a destino” (29) e promuovendo con riferimento alla definizione del “luogo di destinazione” un ulteriore esame del concetto di imposizione nel luogo di stabilimento dell’acquirente/destinatario.

La proposta avanzata, nella prospettiva dell’implementazione di un sistema che garantisca che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi siano trattate nello stesso modo, è nel senso di separare le norme in materia di tassazione dal flusso fisico dei beni, assoggettandole al flusso contrattuale; ciò che alla Commissione sembra un approccio promettente che meriterà un esame più approfondito (30).

Emerge la novità di una simile previsione, che scardina il modello della territorialità costruito per le cessioni di beni, fondato sulla possibilità di seguirne le movimentazioni fisiche, per avvicinarlo alle scelte adottate quanto alle prestazioni di servizi e che tuttavia originano dalla loro intrinseca natura immateriale.

Alla separazione della tassazione dal flusso fisico dei beni si è peraltro già assistito nel settore dell’energia elettrica, del gas, del calore e del freddo, che accoglie l’imposizione a destino ancorandola al luogo di stabilimento del cessionario rivenditore ovvero al luogo di utilizzo nell’ipotesi di cessione a consumatore finale (31).

E tuttavia l’estensione di un simile regime a beni materiali e fisicamente individuabili comporterebbe conseguenze di non poco momento, rendendo irrilevante la movimentazione degli stessi per privilegiare criteri di tipo soggettivo, legati alle parti contrattuale e con ogni probabilità ancora una volta al luogo di loro stabilimento. Ciò che riproporrebbe gli stessi profili critici sollevati per le prestazioni di servizi, con la conseguenza che andrà attentamente valutato se l’ulteriore ravvicinamento del trattamento IVA riservato a cessioni e prestazioni produca vantaggi tali da controbilanciare gli effetti negativi di una simile scelta, in primis legati all’evidente incremento di energie che le Amministrazioni fiscali dovrebbero profondere nella verifica del corretto comportamento fiscale dei contribuenti.

Quanto al secondo dei profili richiamati, la decisione di far convivere due distinti modelli di attuazione dell’imposta pare allo stato trovare ulteriore conferma anche nelle soluzioni che si stanno prospettando nel settore della lotta alle frodi IVA, nell’ambito del quale vanno ricordate le modifiche apportate all’art. 199-bis della Direttiva n. 2006/112/CE dalla Direttiva 16 marzo 2010, n. 2010/23/UE, che consente l’applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell’inversione contabile alle prestazioni di determinati servizi a rischio (32).

Interessante segnalare al riguardo, quale più recente novità sul tema, la presa di posizione del Consiglio dell’Unione europea, che ha raggiunto sul punto un importante accordo politico nella riunione della Commissione Affari economici e finanziari del 22 luglio 2013.

Il Consiglio ha focalizzato l’attenzione proprio sul meccanismo dell’inversione contabile, manifestando l’intenzione di adottare due distinte misure di intervento, consistenti: a) in un meccanismo di c.d. reazione rapida alle frodi, con possibilità di applicare l’inversione contabile in relazione a specifiche forniture di beni e servizi per un breve periodo in deroga alle previsioni della Direttiva; b) nell’introduzione della facoltà per gli Stati membri di adottare temporaneamente e per alcuni settori a più alto rischio ugualmente il meccanismo del reverse charge (33).

Lo strumento dell’inversione contabile da un lato perché ancorato all’imponibilità a destino delle operazioni e, dall’altro, quale strumento di contrasto alle frodi, diviene così per tale via modalità attuativa dell’imposta di pari rango rispetto a quella ordinaria e, anzi, sotto certi aspetti incentivata.

Lo studio degli effetti dell’introduzione di un meccanismo di inversione contabile generalizzato ancorché su base facoltativa era già stato promosso dal Consiglio, nella riunione ECOFIN del 5 giugno 2007, laddove si chiedeva alla Commissione di esaminare due misure “di più ampia portata” per combattere la frode dell’IVA e, in particolare, l’assoggettamento delle operazioni intracomunitarie a imposizione e la possibilità di ricorrere su base facoltativa ad un meccanismo di inversione contabile generale.

Nella successiva riunione del 4 dicembre 2007 (nella quale si adottava proprio il c.d. VAT Package) (34), il Consiglio invitava la Commissione a presentare le sue conclusioni sui lavori relativi alle predette misure, poi intervenute con la Comunicazione COM(2008)109 (35).

In quella sede, pur affermando che l’introduzione di una procedura di inversione contabile generale avrebbe ridotto sensibilmente la c.d. frode carosello intracomunitaria nonché altre forme di frode connesse con le detrazioni, la Commissione esprimeva tuttavia la preoccupazione che tale procedura potesse incidere negativamente sulle entrate degli Stati membri a causa di nuove forme di frode – in particolare i consumi non soggetti a tassazione e l’uso improprio della partita IVA – per combattere le quali sarebbero state necessarie misure di accompagnamento che avrebbero complicato il sistema e creato nuovi oneri a carico delle imprese e delle Amministrazioni finanziarie.

Rilevava in particolare la Commissione che con una generalizzata applicazione dell’inversione contabile:

il sistema si sarebbe fondato sulla distinzione tra i soggetti passivi (che possono effettuare acquisti nell’ambito del sistema di inversione contabile) e tutti gli altri soggetti, con la conseguenza che nuove responsabilità avrebbero gravato sui soggetti passivi onerati di tale individuazione;

il nuovo meccanismo avrebbe condotto ad un aumento del numero di domande di rimborso da parte dei soggetti passivi che non sarebbero stati più in grado di detrarre l’imposta a monte sui piccoli acquisti, dato che loro operazioni a valle non sarebbero state tassate nell’ambito del sistema di inversione contabile;

per rimediare alla scomparsa dei pagamenti frazionati, sarebbe poi stato necessario introdurre l’obbligo della dichiarazione compensativa, idonea a permettere una verifica incrociata delle informazioni provenienti dai fornitori e dagli acquirenti;

il costo per le Amministrazioni finanziarie sarebbe dipeso in gran parte dalle misure di controllo da esse messe in atto; se da un lato si sarebbero infatti avuti aumenti delle entrate, grazie alla riduzione della frode legata alle detrazioni IVA, dall’altro controlli specifici sarebbero stati inevitabili in altri settori poiché nel quadro del sistema di inversione contabile la maggior parte dell’IVA è pagata dai fornitori finali nella catena di produzione che in molti Paesi possono essere più piccoli e meno affidabili delle poche grandi imprese che pagano attualmente un’ampia quota dell’IVA nella maggior parte degli Stati membri: è chiaro in tal senso che il controllo del commercio al dettaglio, per la natura stessa del settore, richiede maggiori risorse, in particolare se tutti i dettaglianti ricevono forniture non soggette a tassazione.

Osservava inoltre la Commissione che una tale modifica fondamentale del sistema IVA a seguito dell’introduzione, su base facoltativa, della procedura di inversione contabile generale avrebbe avuto ripercussioni considerevoli sulla coerenza e sull’armonizzazione del sistema IVA dell’UE e sulle sue possibilità di sviluppo futuro. Una Unione europea con due sistemi IVA fondamentalmente diversi avrebbe infatti dovuto tener conto di entrambi i sistemi in sede di elaborazione e di esame della normativa, ciò che avrebbe creato difficoltà di sviluppo e miglioramento degli stessi, concludendo dunque nel senso che «il sistema di inversione contabile generale dovrebbe essere introdotto su base obbligatoria in tutta l’UE o abbandonato» (36).

Quanto precede fa emergere le perplessità della Commissione in ordine ad un cambiamento epocale quale quello di un generale mutamento delle modalità applicative del tributo (dal modello plurifase a quello monofase) e la preoccupazione sugli effetti di simile scelta.

Non può tuttavia non constatarsi come il cambiamento sia allo stato in atto e come l’ampliamento del reverse charge, ancorché non la sua applicazione generalizzata, abbia prodotto proprio quegli effetti rispetto ai quali la Commissione manifestava le proprie preoccupazioni.

Non potrà dunque che attendersi di verificare l’impatto delle modifiche sul comportamento degli operatori, monitorando in particolare che nel sistema così rimodulato gli acquirenti non si qualifichino come imprenditori o professionisti per evitare l’addebito dell’IVA e poi destinare il bene così acquistato all’uso personale senza avere scontato l’imposta sul consumo: da cui un’evasione d’imposta che si aggiungerebbe alle diverse ulteriori forme di fenomeni fraudolenti volti a consentire la monetizzazione da parte dell’acquirente, in danno dell’erario, dell’imposta non versata dal cedente (37).

Dott. Marta Proietti

* Il presente lavoro costituisce estratto della tesi di dottorato di ricerca in Diritto tributario delle società, Università LUISS Guido Carli, ciclo XXV.

(1) Si tratta della c.d. legge di stabilità per il 2013, che incorpora alcune previsioni – volte al recepimento della Direttiva 2010/45/UE in vigore dal 1° gennaio 2013 – già contenute nel c.d. decreto salva infrazioni, il D.L. 11 dicembre 2012, n. 216, non convertito in legge. L’art. 1, comma 362, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, ha stabilito che restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base delle norme del citato decreto non convertito. I primi chiarimenti alla legge n. 228/2012 sono giunti con la circolare 3 maggio 2013, n. 12/E (in Boll. Trib., 2013, 682), par. 6 e 7, sul tema della fatturazione e delle modifiche apportate al regime degli scambi intra-UE.

(2) Solo per citare i contributi pubblicati sul tema in questa Rivista, cfr. A.A. Ferrario, Le prestazioni di servizi a seguito della Direttiva 2010/45/UE. Tra nuovi obblighi di fatturazione ed esigibilità dell’IVA, in Boll. Trib., 2013, 191 ss.; ID., Gli scambi intracomunitari di beni dopo la Direttiva 2010/45/UE, ibidem, 414 ss.; M. Peirolo M.De Nardi, Termini di regolarizzazione dei servizi “generici”resi da soggetti stabiliti in altri Paesi UE, ibidem, 340 ss.

(3) Tutte le Direttive citate costituiscono modifica della Direttiva 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE.

(4) Le menzionate Direttive, che avrebbero dovuto essere recepite entro il 1° gennaio 2010, sono state attuate con il D.Lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, in vigore dal 20 febbraio 2010. Il decreto era stato preceduto dalla circ. 31 dicembre 2009, n. 58/E (in Boll. Trib., 2010, 131), emanata in coincidenza della data a partire dalla quale la Direttiva n. 2008/8/CE avrebbe esplicato i propri effetti e in cui si segnalava agli operatori che «alcune delle disposizioni contenute nella Direttiva Servizi risultano sufficientemente dettagliate e tali da consentirne la diretta applicazione almeno per ciò che riguarda le regole generali». Si riteneva, nelle more dell’adozione del formale provvedimento di recepimento, di fornire istruzioni operative di massima sulla base delle previsioni contenute nella Direttiva che apparivano oggettivamente suscettibili di immediata applicazione. Era nondimeno di tutta evidenza l’inidoneità di un atto non cogente a dare attuazione alle modifiche europee, permanendo una situazione di incertezza normativa che secondo alcuni commentatori (F. Ricca, Per individuare il luogo dei servizi applicabile la direttiva europea, in Corr. trib., 2010) avrebbe dovuto a ragione giustificare l’inapplicabilità delle sanzioni per eventuali irregolarità commesse dagli operatori nella fase dal 1° gennaio al 20 febbraio 2010 (data di entrata in vigore del decreto). Si rammenta che il D.Lgs. n. 18/2010 ha tuttavia previsto (art. 5), con efficacia retroattiva, l’applicabilità delle modifiche a tutte le operazioni rilevanti IVA effettuate dal 1° gennaio.

(5) Tali obiettivi vengono esplicitati nella Comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale, COM (2011) 851 del 6 dicembre 2011, nota come Libro bianco sul futuro dell’IVA, che ha seguito la consultazione pubblica avviata con la diffusione da parte della Commissione europea del documento COM(2010) 695/4, Green paper on the future of VAT: towards a simpler, more robust and efficient VAT system. Lo studio degli apporti forniti ha dapprima condotto all’elaborazione da parte della Commissione di un rapporto contenente l’analisi e la sintesi delle 1.726 risposte ricevute, Summary report of the outcome of the public consultation on Green paper on the future of the VAT towards a simpler, more robust and efficient VAT system, Brussels, 2 dicembre 2011, Taxud.c.1(2011)1417007. In un secondo momento è stato pubblicato il citato Libro bianco, che per l’appunto alla luce delle indicazioni ricevute, ha individuato gli obiettivi verso i quali si muoverà l’Unione al fine di garantire un sistema IVA più semplice, efficace e a prova di frode. Per un commento al documento, tra gli altri, P. Centore, L’«overview» dell’IVA per il 2012, in L’IVA, 2012; ID., “Libro bianco”: la revisione dell’IVA europea e il superamento del regime transitorio, in Fisc. comm. internaz., 2012; S. Olivieri, Verso un nuovo e generale sistema dell’IVA, in Le Società, 2012.

(6) Direttiva 9 dicembre 1969, n. 69/463/CEE, art. 5, par. 4.

(7) Direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, art. 8, par. 1, lett. b).

(8) Parimenti, l’attraversamento dei confini della comunità “in entrata” e “in uscita” assume rilievo traducendosi nelle distinte categorie delle importazioni e delle esportazioni.

(9) Si specificava tuttavia nell’Allegato A, al n. 11), che il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, avrebbe potuto adottare (prima del 1° gennaio 1970) disposizioni speciali relative a talune prestazioni di servizi per le quali ciò si dimostrasse necessario, derogando eventualmente al generale criterio del luogo di utilizzo. Sino all’adozione di tali disposizioni, per semplificare la riscossione dell’imposta, rimaneva inoltre in capo a ciascuno Stato membro la facoltà di derogare altresì al suddetto principio, adottando le disposizioni utili ad evitare la doppia o la mancata imposizione.

(10) Sul tema, tra gli altri, P. Adonnino, La territorialità nell’IVA, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1973, I.

(11) Tale convinzione sarebbe stata priva di dimostrazione secondo R. Baggio, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria, Milano, 2009, 612.

(12) Si pensi ai servizi c.d. orientati al cliente (incluso il commercio elettronico diretto e i servizi di telecomunicazione che più tardi avrebbero trovato specifica regolamentazione rispettivamente con le Direttive 7 maggio 2002, n. 2002/38/CE, e 17 giugno 1999, n. 1999/59/CE), settori rispetto ai quali la tassazione nel luogo di stabilimento del prestatore faceva sì che le operazioni fossero assoggettate a tassazione anche se rese a soggetti extracomunitari, mentre nessuna garanzia di imposizione sussisteva laddove fossero operatori non Comunitari a rendere servizi elettronici a soggetti residenti nella Comunità.

(13) Non è mancato chi abbia provocatoriamente fatto in questo senso riferimento all’ipocrisia della normativa comunitaria P. Maspes, La problematica individuazione della territorialità IVA in base allo status del committente, in Corr. trib., 2011; e M. Logozzo, La territorialità ai fini IVA delle prestazioni di servizi generiche, ivi, 2010.

(14) La Corte di Giustizia ha infatti sempre negato la preminenza del criterio generale dell’art. 9, par. 1, della VI Direttiva, rispetto ai criteri di cui all’art. 9, par. 2, individuando piuttosto in tale ultima previsione un regime speciale per alcune categorie di prestazioni di servizi particolari: di tal che, secondo la Corte, il disposto del paragrafo 1 sarebbe stato adottato solamente per “motivi di semplificazione” e configurandosi quale criterio propriamente residuale avrebbe dovuto ritenersi applicabile solo laddove i criteri speciali non avessero potuto trovare applicazione (cfr. Corte Giust. CEE 4 luglio 1985, causa C-168/84, caso Berkholz; Corte Giust. CEE 26 settembre 1996, causa C-327/94, caso Jürgen Dudda; Corte Giust. CE 6 marzo 1997, causa C-167/95, caso Maatschap e altri; e Corte Giust. CE 15 marzo 2001, causa C-108/00, caso Syndacat des producteurs indépendants; tutte in Boll. Trib. On-line).

(15) Si veda per averne esempio Corte Giust. UE 25 gennaio 2001, causa C-429/97, Commissione c. Repubblica francese, in Boll. Trib. On-line, avente ad oggetto il regime IVA applicabile alle operazioni di raccolta, smistamento, trasporto e smaltimento di rifiuti poste in essere da società stabilite in uno Stato membro diverso da quello della materiale esecuzione (Francia) e in parte subappaltate a società in quest’ultimo stabilite. Se le prestazioni dai subappaltatori eseguite in Francia risultavano pacificamente ivi soggette ad IVA, dubbi si ponevano con riferimento a quelle prestazioni rese in Francia dal soggetto estero, qui imponibili in ragione del criterio speciale del “luogo di materiale esecuzione” solo se considerate “prestazione di servizi aventi per oggetto lavori relativi a beni mobili materiali”. La Corte affermava in quella sede che il principio generale (stabilimento del prestatore) comportava un criterio sicuro, semplice e praticabile per il collegamento di tale tipo di prestazione, garantendo una tassazione razionale ed omogenea della prestazione complessa considerata nel suo insieme ed atto da evitare conflitti di competenza fra gli Stati membri.

(16) M. Logozzo, La territorialità ai fini IVA delle prestazioni di servizi generiche, cit.

(17) La ragione è chiarita nel citato documento della Commissione COM (2003) 822 del 23 dicembre 2003, dove si evidenziava che «i servizi resi alle imprese vengono utilizzati per produrre beni o altri servizi. Il loro costo è incluso nel prezzo dei beni. Pertanto, si potrebbe concludere che per la maggior parte dei servizi, se non per tutti, il luogo di consumo è il luogo in cui il destinatario ha stabilito la propria attività, cioè il luogo in cui sono consumati i servizi».

(18) Vale osservare che la tassazione nel luogo di destinazione è principio condiviso dalle linee guida elaborate dall’OCSE in materia di territorialità IVA dei servizi transnazionali tra soggetti passivi (cfr. versione del febbraio 2013, che consolida le precedenti inserendovi alcune novità in tema di tassazione dei servizi forniti a imprese multilocalizzate e servizi direttamente connessi a beni immobili) ed è stato altresì avallato dalle economie non OCSE intervenute nella prima riunione del Global forum sull’IVA del 12 novembre 2012 (la cui seconda edizione si terrà nell’aprile 2014 a Tokyo). Pubblicata l’ultima bozza, l’OCSE ha peraltro lanciato anch’essa una consultazione pubblica i cui risultati sono stati parimenti resi noti (5 agosto 2013) sul sito istituzionale dell’organizzazione.

(19) Significative in questo senso le riflessioni della Commissione nella proposta di Direttiva menzionata, secondo la quale: «il principio generale della tassazione nel luogo in cui avviene il consumo effettivo dovrebbe valere anche nel caso dei servizi prestati a persone non soggetti passivi o a consumatori finali. A differenza di quanto avviene per le prestazioni di servizi rese a soggetti passivi, nel caso dei servizi prestati a consumatori finali è ancora più importante determinare il luogo di consumo, perché l’IVA non è detraibile e pertanto costituisce una parte delle entrate dello Stato membro. In questo momento, pur rispecchiando meglio il principio della tassazione nel luogo di consumo, l’applicazione della regola generale della tassazione nel luogo in cui è stabilito o domiciliato il destinatario comporterebbe anche dei notevoli problemi sul piano pratico. Non è realistico aspettarsi dai consumatori finali un’autoliquidazione dell’imposta (cioè, l’applicazione del meccanismo dell’inversione contabile) sui servizi acquistati in un altro Stato membro per essere consumati nel loro luogo di stabilimento o domicilio. In alternativa, si potrebbe chiedere ai prestatori di servizi di iscriversi in ogni Stato membro di consumo per riscuotere e rimborsare l’imposta allo Stato membro in cui è stabilita o domiciliata la persona che non è soggetto passivo. In questo modo, però, sarebbe imposta, cosa non auspicabile, una serie di oneri amministrativi supplementari agli operatori commerciali».

(20) Come pure osservato da R. Miceli, Riforma della territorialità IVA, in Treccani. Il libro dell’anno del diritto 2012, 575.

(21) In questi termini M. Giorgi, Detrazione e soggettività passiva nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 2005, 172.

(22) La previsione era espressamente contenuta nella Direttiva n. 77/388/CEE e veniva recepita dal legislatore italiano già nel 1973 statuendo l’allora vigente art. 17 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, che fosse il soggetto passivo residente che realizzava l’acquisto nell’esercizio della propria attività, a farsi carico degli obblighi relativi all’operazione, auto-fatturandola e provvedendo ai conseguenti adempimenti formali. Inizialmente prevista per le sole cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate occasionalmente nel territorio dello Stato da soggetti residenti all’estero, l’auto-fatturazione ha assunto nel tempo un’applicazione generalizzata (eliminandosi il carattere dell’occasionalità già con le modifiche apportate dal D.P.R. 23 dicembre 1974, n. 687).

(23) Sul tema M. Giorgi, Le «simmetrie» del sistema IVA in vigore dal 2010, in Corr. trib., 2010.

(24) L. Salvini, L’IVA tra origine e destinazione. Il reverse charge nell’IVA comunitaria e nell’IVA interna, in Sovranità fiscale degli stati tra integrazione e decentramento, Atti del convegno di Ravenna, quaderno di Giur. imp., 2006.

(25) Nell’ordinamento interno l’art. 44, oggi abrogato, del D.L. n. 331/1993 prevedeva che per le prestazioni di cui all’art. 40, commi 4-bis, 5 e 6 (prestazioni di servizi relativi a beni mobili in transito tra Stati membri, servizi di trasporto intracomunitario di beni e relative prestazioni di intermediazione, prestazioni accessorie ai trasporti intracomunitari e relative prestazioni di intermediazione), rese da soggetti passivi d’imposta non residenti, l’imposta fosse dovuta dal committente se soggetto passivo nel territorio dello Stato.

(26) Che la nuova idea di “soggettività passiva” non incidesse in alcun modo sulla spettanza o meno dell’esercizio del diritto alla detrazione – attenendo esclusivamente ad altri ambiti (in particolare quello della localizzazione territoriale dell’operazione con le conseguenze connesse quanto al meccanismo applicativo d’imposta) – era peraltro espressamente chiarito, in considerazione dell’importanza della questione, in sede interpretativa già dalla prima circolare dell’Agenzia delle entrate di commento alla Direttiva n. 2008/8/CE, la menzionata circolare n. 58/E/2009. In riferimento agli enti non commerciali che pur non essendo soggetti passivi IVA fossero identificati ai fini del tributo per avere effettuato acquisti di beni intra-UE sopra soglia o per avere esercitato l’opzione per la tassazione in Italia, chiariva la circolare che: «il fatto stesso di possedere tale numero identificativo, anche se non attribuisce la qualifica di soggetto passivo in senso proprio, fa sì che non debba più distinguersi se il committente ha ricevuto una determinata prestazione nell’ambito della propria attività istituzionale o economica in quanto la tassazione avviene comunque in Italia. È bene precisare che nei casi predetti tali soggetti, benché assimilati agli operatori economici ai fini della territorialità del tributo, non potranno esercitare il diritto a detrazione in quanto trattasi comunque di acquisti effettuati al di fuori dell’esercizio di attività commerciale». Su tale profilo insisteva anche la circ. 29 luglio 2011, n. 37/E (in Boll. Trib., 2011, 1232), confermando l’impostazione resa, da ritenersi comunque aderente al dettato e alla ratio delle previsioni sovranazionali che intendono semplificare la disciplina territoriale e le modalità applicative del tributo senza tuttavia incidere su di un elemento strutturale dell’imposta quale la detrazione.

(27) In questi termini R. Miceli, Riforma della territorialità IVA, cit., 578.

(28) Già richiamato alla nota 6.

(29) Così il Parlamento europeo nella risoluzione del 13 ottobre 2011 sul futuro dell’IVA, n. (2011/2082(INI)), dove rilevava «in relazione alle operazioni transfrontaliere intracomunitarie, che l’attuale sistema dell’IVA non risponde più all’impegno di applicare il principio del paese d’origine inizialmente assunto dagli Stati membri, dal momento che manca un sostegno politico tra gli stessi Stati membri ai fini di una cooperazione in materia di applicazione di detto principio». Concordava pertanto con la proposta della Commissione sulla necessità di riconoscere lo status quo e di passare al principio della destinazione ed esprimeva il parere che un sistema dell’IVA basato sul luogo di consumo, sia per i beni che per i servizi, rappresenti una soluzione promettente che merita un ulteriore approfondimento e che deve essere accompagnata dall’introduzione, da parte degli Stati membri, di sportelli unici efficienti. Sottolineava sul punto che l’introduzione di sportelli unici per l’IVA a partire dal 1° gennaio 2015 dovrebbe continuare a rimanere una priorità assoluta dell’Unione europea.

(30) Punto 5.4. del Libro bianco.

(31) Direttiva 7 ottobre 2003, n. 2003/92/CE, e Direttiva 22 dicembre 2009, n. 2009/162/UE, di estensione della disciplina alle cessioni di calore e freddo.

(32) Per una disamina completa della funziona originaria e dell’evoluzione dello strumento del reverse charge v. Di Stefano, Analisi sull’ipotesi di estensione generalizzata del reverse charge, Tesi di dottorato, LUISS Guido Carli, Dipartimento di giurisprudenza, Dottorato di Ricerca in Diritto tributario delle società, 2012.

(33) Il comunicato è reperibile su http://www.consilium.europa.eu. L’accordo pare peraltro recepire la proposta di risoluzione del Parlamento europeo del 4 giugno 2013, formulata in riferimento alla Relazione annuale 2011 sulla tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea – Lotta contro la frode – COM(2012)0408. Rilevava il Parlamento al punto 33 che «fin dalla sua introduzione, il modello di riscossione dell’IVA è rimasto invariato» e tuttavia «tale metodo è ormai superato, alla luce delle numerose modifiche intervenute nel contesto tecnologico ed economico»; aggiungeva di «deplora[re] che due importanti iniziative volte a combattere le frodi IVA, ossia la proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda un meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA (COM(2012)0428) e la proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l’applicazione facoltativa e temporanea del meccanismo dell’inversione contabile alla cessione di determinati beni e alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi (COM(2009)0511), siano attualmente bloccate in sede di Consiglio».

(34) Consiglio UE del 4 dicembre 2007, comunicato stampa n. 15698/07 del 4 dicembre 2007.

(35) Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento, al Comitato economico e sociale europea, su una strategia coordinata per migliorare la lotta contro le frodi a danno dell’IVA nell’Unione europea, COM (2008) 807.

(36) Nuovi spunti di riflessione sembrano provenire dallo studio di fattibilità di innovative modalità di riscossione dell’imposta (in particolare il c.d. split payment model in applicazione del quale l’acquirente o il destinatario della prestazione avrebbe la possibilità di pagare l’IVA direttamente alle autorità fiscali e l’importo netto al fornitore o al prestatore) e sul quale il Libro Verde, cui si rimanda, ha chiamato ad esprimere la propria opinione.

(37) Sul tema dei nuovi sistemi fraudolenti cui le modifiche potrebbero dare adito M. Giorgi, Le «simmetrie» del sistema IVA in vigore dal 2010, cit.; e P. Maspes, La problematica individuazione della territorialità IVA in base allo status del committente, in Corr. trib., 2011.

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