24 Marzo, 2014

 

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – Produzione in giudizio da parte del contribuente – Ammissibilità – Valore probatorio proprio degli elementi indiziari – Configurabilità.

 

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento sintetico – Acquisto di immobile con somma di denaro mutuata dal genitore – Prova – Dichiarazione scritta del genitore e documentazione bancaria concernente apertura di credito a favore del medesimo – Ammissibilità e sufficienza.

 

 Nel processo tributario, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dall’art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione – va riconosciuto non solo all’Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente, e con il medesimo valore probatorio, dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa.

 

Deve essere confermato l’annullamento di un avviso di accertamento fondato sul ritenuto possesso di redditi non dichiarati nel caso in cui, avendo il contribuente acquistato un immobile per un prezzo non compatibile con il reddito dichiarato, esso abbia provato, mediante una dichiarazione scritta del proprio genitore, che il denaro per pagare il prezzo della compravendita immobiliare gli sia stato mutuato da quest’ultimo cui era stata concessa, poco prima dell’acquisto immobiliare, l’apertura di credito bancario documentalmente provata.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Virgilio, rel. Sambito), 27 marzo 2013, sent. n. 7707, ric. Agenzia delle entrate]

 

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per la cassazione della sentenza della CTR del Lazio n. 106/12/08, depositata il 28.10.2008, che, in riforma della decisione della CTP di Roma, aveva accolto il ricorso di M.A. avverso l’avviso d’accertamento con il quale era stato elevato il suo reddito per l’anno 1999, in forza d’investimenti patrimoniali dallo stesso effettuati nel periodo d’imposta.

 Il contribuente resiste con controricorso, illustrato con memoria.

 

[-protetto-]

 

MOTIVI DELLA DECISIONE Col primo motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992 (divieto di prova testimoniale), per avere la CTR fondato la decisione esclusivamente sulle dichiarazioni scritte, prodotte in atti, del padre del contribuente, il quale asseriva di avere ottenuto un finanziamento bancario il cui importo aveva versato al figlio per permettergli di effettuare l’investimento, con onere per questi di successiva restituzione.

 Col secondo motivo, l’Agenzia deduce insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia in quanto la CTR da una parte, afferma che il presupposto impositivo era costituito dalla presunzione di possesso di reddito per gli anni successivi all’investimento, così fraintendendo l’assunto dell’Ufficio, e dall’altra, ritiene sufficiente prova, a favore del contribuente, la certificazione bancaria della concessione della apertura di credito a favore del padre di costui, “ritenendo implicitamente che tale prova non potesse essere fornita dalle dichiarazioni rese alla Commissione dal padre del contribuente”. Entrambi i motivi sono infondati.

 Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 11785 del 2010(1); n. 4269 del 2002(2)) “nel processo tributario, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dall’art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – con il valore probatorio “proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione” (cfr. Corte costituzionale, sent. n. 18 del 2000(3)) – va riconosciuto non solo all’Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente – con il medesimo valore probatorio –, dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonchè l’effettività del diritto di difesa”. Nella specie, la CTR non ha fondato la decisione unicamente sulle dichiarazioni del padre del contribuente, valutabili, appunto, come elemento indiziario a favore di costui, ma le ha ritenute integrate dalla prova documentale, secondo cui l’apertura di credito al padre era stata effettivamente concessa poco tempo prima dell’investimento immobiliare che, attribuito a mezzi propri del figlio, aveva dato causa all’accertamento.

 Conseguentemente non è fondato il primo mezzo, in quanto la CTR ha ritenuto la fondatezza del ricorso in forza di due diversi elementi probatori tra loro congruenti (e non soltanto di uno solo di essi) ed anche il secondo per lo stesso motivo, risultando la decisione correttamente motivata sul piano giuridico e logico, dovendosi escludere rilievo all’obiter dictum sul presupposto dell’accertamento, essendo ben specificato in sentenza che il reddito accertato e l’investimento erano relativi all’anno 1999.

 Il ricorso va, in conclusione, rigettato e la ricorrente va condannata a pagare al contribuente le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

P.Q.M.(Omissis).

 

(1) Cass. 14 maggio 2010, n. 11785, in Boll. Trib., 2010, 1553.

 (2) Cass. 25 marzo 2002, n. 4269, in Boll. Trib., 2002, 1647.

 (3) Cass. 21 gennaio 2000, n. 18, in Boll. Trib., 2000, 311.

 

Le dichiarazioni (scritte) di terzi nel processo tributario

 

Nella vicenda sub judice l’Amministrazione finanziaria accerta in capo ad un contribuente un maggior reddito (rispetto a quello dichiarato) sulla base della capacità di spesa rappresentata dall’acquisto di un immobile.

 Impugnato l’avviso di accertamento, il contribuente – onerato di fornire la prova che la somma pagata a titolo di prezzo della compravendita immobiliare non deriva da redditi illecitamente non dichiarati – produce in giudizio due documenti: a) una dichiarazione scritta del padre (del contribuente) che riferisce di avere mutuato al figlio il denaro per acquistare l’immobile (con obbligo di restituzione del prestito); b) la certificazione bancaria attestante l’apertura di credito concessa a favore del padre poco tempo prima dell’acquisto dell’immobile.

 Il contribuente perde il primo grado di giudizio, ma i giudici di appello ribaltano la sentenza; in esito al ricorso dell’Agenzia delle entrate, la Corte di Cassazione enuncia i principi massimati.

 La questione affrontata dai Massimi Giudici riguarda la valenza probatoria della dichiarazione scritta – stante il noto divieto della prova testimoniale nel processo tributario – prodotta in giudizio dal contribuente (1).

 La Corte di Cassazione ricorda la sentenza della Corte Costituzionale (investita della questione di legittimità costituzionale – ritenuta infondata – del divieto della prova testimoniale nel processo tributario) secondo cui le dichiarazioni dei terzi rese all’Amministrazione finanziaria (ad esempio, Tizio, cliente di Caio, dichiara alla Guardia di finanza di avere pagato a Caio una somma superiore rispetto a quella risultante dalla fattura) non possiedono valore di prova ma costituiscono solo elementi indiziari (perché assunti unilateralmente al di fuori del processo da una parte in causa); come elementi indiziari non sono idonei, da soli, a dimostrare la pretesa fiscale (2).

 La sentenza della Consulta – salutata con ingiustificato fervore – aveva nella pratica lasciato le cose come stanno; anzi, come si era osservato, «siccome la dichiarazione extraprocessuale del terzo possiede comunque attitudine probatoria, sia pure solo indiziante, può succedere che la sua forza persuasiva derivi proprio dalla sua debolezza e cioè dall’essere l’unica fonte di prova acquisita agli atti (contro la quale il contribuente è sostanzialmente disarmato)» (3).

 È la Corte di Cassazione – nel solco del novellato art. 111 Cost. – che addita una nuova strategia processuale: «in forza del principio di parità delle parti, ben può il contribuente produrre in giudizio dichiarazioni di terzi» (4); «il valore probatorio di tali dichiarazioni è pari a quello delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione finanziaria [di solito si tratta di informazioni apprese da terzi e trasfuse dalla Guardia di finanza in un processo verbale di constatazione, n.d.r.], cioè quello proprio degli elementi indiziari» (5).

 L’annotata sentenza conferma questo orientamento perequativo: il contribuente può produrre in giudizio “testimonianze” scritte; non costituiscono prova ma comunque il giudice deve tenerne conto come elemento indiziario, da valutare insieme agli altri elementi, come la prova logica (id est le presunzioni), la documentazione acquisita, la mancata contestazione dell’Amministrazione finanziaria, ecc.

 Anche nel processo penale – in base al novellato art. 111 Cost. – il difensore dell’indagato può raccogliere dichiarazioni scritte rese da persone in grado di riferire circostanze utili (per il proprio assistito); in particolare, gli artt. 391-bis e 391-ter c.p.p. prevedono la facoltà di introdurre nel processo una dichiarazione scritta e sottoscritta dal dichiarante e autenticata dal difensore che ha «lo stesso valore probatorio astratto delle dichiarazioni acquisite dal p.m., salva la valutazione di attendibilità intrinseca dei dichiaranti» (6).

 Se il terzo dichiara il falso è punibile – ex art. 371-ter c.p. – con la pena della reclusione sino a quattro anni.

 Nel processo tributario il terzo può rilasciare dichiarazioni scritte inveritiere senza incorrere in alcun tipo di sanzione. Il falso ideologico in scrittura privata (art. 495 c.p.) – quale è la falsa dichiarazione scritta del terzo – non è infatti previsto dalla legge come reato. Il terzo dichiarante non può essere soggetto attivo del reato di falsa testimonianza postulando l’art. 372 c.p. una dichiarazione orale resa avanti all’Autorità giudiziaria; il terzo neppure risponde dello specifico reato (ex art. 371-ter c.p.) che possono commettere i soggetti che rilasciano dichiarazioni scritte al difensore dell’indagato, essendo la fattispecie incriminatrice in discorso applicabile solo al procedimento penale.

 Neppure il contribuente che faccia uso nel processo tributario della falsa dichiarazione del terzo commette reati: escluso il reato di frode processuale – art. 374 c.p. – che postula determinati presupposti nella specie non ricorrenti, non può essere ascritto al contribuente neppure il reato ex art. 489 c.p. – uso di atto falso – occorrendo che l’atto usato integri un falso punibile (il che, come si è visto, non è).

 La dichiarazione scritta proveniente dal terzo – difettando di apposita sanzione in caso di falsità – offre pertanto meno garanzie rispetto ad altre dichiarazioni la cui falsità è punibile.

 Tuttavia, siccome nel processo tributario vige il principio di non contestazione (cfr. il novellato art. 115 c.p.c., la cui applicazione non è esclusa dal rito tributario), se l’Ufficio, costituito in giudizio, non contesta il contenuto della dichiarazione resa dal terzo, i fatti ivi riportati devono ritenersi per provati (qui non c’entra il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria: la questione riguarda solo il contegno processuale dell’Amministrazione finanziaria in ordine a una pretesa fiscale di cui è contestato lo stesso presupposto).

 In caso di contestazione, il giudice tributario può verificare la provenienza e la veridicità delle dette dichiarazioni incaricando per l’incombente la Guardia di finanza (7).

 In ogni caso, il giudice è tenuto a motivare l’inutilizzazione delle dichiarazioni del terzo: «in osservanza del principio delle parità delle parti – applicabile anche nel processo tributario – il giudice tributario deve prendere in considerazione le dichiarazioni extraprocessuali di persone informate dei fatti, sia che siano rese all’ufficio finanziario o alla Guardia di finanza, sia che siano rese al contribuente o a chi lo assiste» (8).

 In definitiva, la dichiarazione scritta del terzo serve, ma occorre un elemento ulteriore, anche di carattere presuntivo; un quid pluris che, nella vicenda sub judice, è stato rappresentato dall’apertura di credito bancario concesso al padre del contribuente (fatto noto, da cui è ragionevole inferire, in via presuntiva – alla luce della dichiarazione del genitore del contribuente – che la somma di denaro ottenuta con l’apertura di credito sia stata dal padre mutuata al figlio che l’ha utilizzata al fine precipuo di acquistare l’immobile).

Avv. Fausta Brighenti

 

 (1) L’argomento è stato ampiamente trattato sulle pagine di questa Rivista a partire, da ultimo, da A. Colli Vignarelli, Dichiarazioni di terzi, intercettazioni telefoniche e giudizio tributario, in Boll. Trib., 2013, 804; si vedano anche i contributi di F. Ciani, Processo tributario: discontinuità giurisprudenziali nell’utilizzo delle dichiarazioni di terzi, ivi, 2010, 942; A. Iannaccone, Brevi note sulla utilizzabilità e valenza probatoria delle dichiarazioni dei terzi nel processo tributario, ibidem, 1318, in nota a Cass., sez. trib., 24 marzo 201, n. 7118, e a Cass., sez. trib., 10 marzo 2010, n. 5746; A. Colli Vignarelli, Dichiarazioni di terzi, confessione (stragiudiziale) e processo tributario, ivi, 2009, 1733; A. Iannaccone, Notazioni critiche sugli ultimi orientamenti di legittimità circa la valenza probatoria delle dichiarazioni dei terzi nel processo tributario, ivi, 2008, 1533, in nota a Cass., sez. trib., 11 gennaio 2008, n. 450; F. Brighenti, Valenza probatoria delle dichiarazioni rese da terzi nel processo verbale di constatazione, ibidem, 338, in nota a Cass., sez. trib., 27 settembre 2007, n. 20353; A. Iannaccone, La valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi e il giusto processo tributario, ibidem, 157, in nota a Cass., sez. trib., 16 maggio 2007, n. 11221; A. Amatucci, Condizioni e limiti per l’utilizzo delle dichiarazioni dei terzi nel processo tributario, ivi, 2003, 983; L. Rosa, Sull’efficacia probatoria delle dichiarazioni rilasciate da terzi nel processo verbale di constatazione, ivi, 2000, 628, in nota a Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. VII, 9 dicembre 1999, n. 89; S. Lombardi, Dichiarazione di terzi contenute in processi verbali: riflessioni su prova testimoniale, prova documentale ed elemento indiziario, ivi, 1996, 764.

 (2) Cfr. Corte Cost. 21 gennaio 2000, n. 18, in Boll. Trib., 2000, 311, con nota di B. Aiudi, Giusto processo?.

 (3) Cfr. A. Martinelli, Gli atti del Fisco nel processo, 2009, 56.

 (4) Cfr. Cass., sez. trib., 16 aprile 2008, n. 9958, in Boll. Trib.On-line.

 (5) Cfr. Cass., sez. trib., 17 giugno 2008, n. 16348, in Boll. Trib.On-line; e da ultimo cass., sez. trib., 14 gennaio 2011, n. 767, in Boll. Trib., 2011, 465.

 (6) Cfr. Cass., sez. II pen., 22 novembre 2007, n. 43347, inBoll. Trib.On-line.

 (7) Cfr. Cass., sez. trib., 26 marzo 2003, n. 4423, in Boll. Trib., 2003, 870.

     (8) Cfr. Cass. n. 4423/2003, cit.

 

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