26 Maggio, 2017

Adesso non ci sono più alibi. Con l’ordinanza di remissione sopra integralmente riportata, la questione è stagliata con tale nitidezza che, se da un lato non se ne possono mettere in discussione rilevanza e ragionevolezza, non si intravedono neppure spazi per un rinvio al mittente, certo non rimproverabile di non aver verificato preventivamente la compatibilità della norma sospettata di incostituzionalità con il tessuto costituzionale (formula che talora ha rappresentato l’escamotage per non decidere).
Soprattutto, alibi a parte, non c’è più tempo, se solo i giudici di Palazzo della Consulta si rendono interpreti di un’attesa del settore che si è già tradotta, nel corso di alcuni dei tanti giudizi pendenti, in rinvii sine die appunto in attesa della sospirata pronuncia.
Pronuncia che – a tacer d’altro, oltre cioè a indicare a tutti gli operatori la strada maestra nelle peripezie di domani – potrebbe comportare una notevole deflazione indiretta del contenzioso in essere. Infatti l’accoglimento del dubbio, ovverosia la perequazione in parte qua fra verifiche sul campo e verifiche a tavolino, sgombrerebbe presumibilmente il campo da una buona percentuale di liti, in quanto dirimerebbe sul nascere la validità dei provvedimenti sub iudice (cioè quelli per cui è stato instaurato il confronto giudiziario o potrebbe ancora esserlo).
Presumibilmente, si diceva. Perché l’esperienza insegna che non c’è limite all’ingegnosità dei contendenti (chi vede un’allusione soprattutto a una delle parti non sbaglia) nell’escogitare altre obiezioni pur di non mollare la presa e non darla vinta.
Del resto, è vero che la ragionevolezza spinge verso una soluzione di accoglimento sotto forma di lettura additiva dell’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), per cui il termine dilatorio di sessanta giorni intercorrente fra l’emissione del processo verbale di constatazione e la notifica dell’avviso di accertamento non può che essere inquadrato e inteso come regola generale, a valere sempre, in tutti i casi di verifica; altrimenti, e questo si configura come un argomento inscalfibile, il diritto alla presentazione di deduzioni da parte del contribuente dipenderebbe da una scelta discrezionale dell’Amministrazione finanziaria (più ancora che discrezionale: tout court arbitraria, in quanto non necessitante di motivazione specifica).
È, d’altro canto, non meno vero che uno dei due fari del diritto vivente interno, la Corte di Cassazione, si è di recente – e piuttosto inopinatamente, visti taluni suoi illuminati precedenti (1) – schierata per la lettura opposta, attesa la ritenuta «inesistenza, nel diritto tributario nazionale, di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio» (2). Complici, è lecito presumere, valutazioni di origine aliena, cui peraltro, considerati funzione e status di estremo tutore della legittimità costituzionale della legge (cioè la nomofilachia nella sua più alta espressione), la Corte Costituzionale dovrebbe mantenersi rigorosamente estranea (3). Nondimeno, in territori dove sono in gioco poste così alte (in termini di introiti per le casse pubbliche), i pronostici, pur aggrappandosi a riscontri pregressi tutt’altro che insignificanti, denunciano sfumature di azzardo che inducono a sospendere il giudizio (e a trattenere il fiato).
Per converso, la consolazione del bicchiere mezzo pieno viene comunque da un (anch’esso fresco) responso del giudice delle leggi, il quale, proprio a proposito della vigenza di un principio generale del contraddittorio, se ne è fatto convinto assertore, spingendosi a negare la sussistenza della lamentata «disparità di trattamento fra i casi in cui il contraddittorio è previsto da una puntuale disposizione di legge e quelli in cui difetta simile specifica previsione» (4).
Ecce causa malis, si potrebbe dire. È lì la radice, peraltro largamente equivocata, della diatriba: nel contrasto fra la portata – per definizione generale, assorbente, onnicomprensiva – del principio, sorretto dal referto costituzionale (non a caso il dubbio di costituzionalità è sollevato con riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117 Cost.) e asseverato dall’insegnamento europeo (legislatore e giudici), da una parte, e, dall’altra, il vincolo discendente dal tenore letterale della disposizione (meramente interna, benché riguardante un comparto sottratto, si ama ripetere, all’egida del diritto continentale in quanto afferente tributi non armonizzati). È appunto qui che, in seno al Consesso chiamato ad esprimersi, si sta giocando la partita.
In gioco, più esattamente, è la nostra visione del futuro: secondo una lettura proiettata in una dimensione giusnaturalistica (che vede il giudice obbedire in primis ai valori, come a lui affidati da una pluralità di fonti monocordi e consentanei negli obiettivi) oppure ottusamente retrogrado (da Corpus Juris, per intenderci; con tutto il rispetto per ciò che la riforma costantiniana ha rappresentato, specie a livello di compendio, ma pur sempre più di un millennio e mezzo fa).
Attendiamo gli eventi. Fin da ora va però particolarmente apprezzato, dell’annotata ordinanza, l’accenno storico – si torna alla fine degli anni Sessanta – alla memorabile azione demolitoria condotta (anche allora con un’efficace prassi additiva) dalla Corte Costituzionale su alcune norme del codice di procedura penale (gli artt. 304-bis, 304-ter e 304-quater), originariamente dettate per gli atti istruttori raccolti dal giudice e solo per quelli (5). La conclusione ne fu che le garanzie concernenti le attività di indagine condotte dal pubblico ministero e quelle condotte dalla polizia giudiziaria dovevano ricevere identico trattamento perché tanto le une quanto le altre entravano nel processo penale con analogo peso, venivano cioè sottoposte allo scrutinio del giudice penale con il medesimo valore. Oggi, come correttamente è scritto nell’ordinanza, «basta sostituire al concetto di “indiziato di reato” quello di “soggetto nei cui confronti l’Amministrazione prospetta la emissione di un atto di accertamento”».
Fattore in più perché il giudice delle leggi non traligni da un solco di alto profilo civile che ha continuato a scavare nei decenni. Onorando così, oltre che il proprio ruolo (e la collocazione che ha nell’immaginario di noi giuristi), anche quella lettura sistematica che, figlia della razionalità (6), vede come estremamente benefica la reconductio ad unum dell’ordinamento.

Avv. Valdo Azzoni

(1) Cfr. Cass., sez. un., 18 settembre 2014, nn. 19667 e 19668, in Boll. Trib., 2014, 1740, con nota di P. ACCORDINO, Il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo nei procedimenti tributari concepito come un principio fondamentale dell’ordinamento la cui violazione determina la nullità dell’atto non preavvisato. Conforme la più avvertita giurisprudenza di merito: per tutti ved. Comm. trib. prov. di Matera, sez. II, 23 marzo 2015, n. 159, ivi, 2015, 1264, con nota di M. TORTORELLI, La violazione del diritto al contraddittorio endoprocedimentale e il vaglio del giudice tributario. In ordine a una fattispecie peculiare (di mancata applicazione del disposto a un soggetto diverso dal contribuente sottoposto ad accesso), cfr. Cass., sez. VI, 18 ottobre 2013, ord. n. 23690, ivi, 2014, 543, con nota di V. AZZONI, Quando la mano destra non sa cosa fa la sinistra; mentre sempre in merito al principio del contraddittorio nel procedimento di accertamento tributario cfr. anche M. CICALA, Attività di accertamento e contraddittorio amministrativo: verso un nuovo intervento delle Sezioni Unite, ivi, 2015, 86; ed A. VOGLINO, La necessitata espansione del diritto al contraddittorio a tutti i procedimenti tributari di ogni genere e specie, ibidem, 146.
(2) Cfr. Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823, in Boll. Trib., 2016, 222, con nota di B. AIUDI, Il contraddittorio? Non ce lo possiamo permettere!. Le linee-guida (tuttora non negoziabili) sono state dettate da Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 1427, con note di V. AZZONI, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?, F. DEL TORCHIO, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza, e U. PERRUCCI, La “sanzione” dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte.
(3) Nel citato commento a Cass., sez. un., n. 24823/2015 a firma di B. AIUDI, si legge l’urticante verità, il nervo scoperto del problema: «Anche se non esplicitamente esposte, alla base dell’annotata sentenza n. 24823/2015 delle Sezioni Unite, vi sono sicuramente considerazioni di questo genere sulla salvaguardia dell’equilibrio del bilancio pubblico e, con esso, delle entrate tributarie dello Stato, compromesse dalle aperture giurisprudenziali nei confronti del contraddittorio come regola generale nell’ambito del procedimento impositivo».
(4) Cfr. Corte Cost. 7 luglio 2015, n. 132, in Boll. Trib., 2015, 1272, con nota di V. AZZONI, Elusione fiscale e tutela del contribuente nell’accertamento ex art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973. Il tutto a prescindere dalla prova del pregiudizio subito dal contribuente per il mancato rispetto del termine dilatorio, su cui cfr. Cass., sez. trib., 7 agosto 2015, n. 16602, ivi, 2016, 302, con nota adesiva di F. DEL TORCHIO, Brevi annotazioni a margine dei diritti e delle garanzie del contribuente sottoposto a verifica fiscale. Il principio è a tal punto pregnante che, ove manchi un termine espressamente enunciato, andrebbe comunque reperito nel sistema. Questo insegna, a proposito dell’obbligo di preventiva comunicazione al contribuente dell’iscrizione di ipoteca, Cass., sez. VI, 12 febbraio 2016, ord. n. 2879, ibidem, 379, con nota di V. AZZONI, Le norme vanno (anche quando non ci sono), i principi restano.
(5) Ex pluribus cfr. Corte Cost. 26 giugno 1965, n. 52, in Foro it., 1965, 1, 1160 (che ha omologato le guarentigie dell’istruzione formale all’istruzione sommaria); Corte Cost. 5 luglio 1968, n. 86, in Giur. cost., 1968, 1430 (che ha fatto altrettanto con le indagini di polizia giudiziaria); e Corte Cost. 3 dicembre 1969, n. 149, ivi, 1969, 2276, un passaggio della quale appare più che mai attuale, là ove si legge che «se al termine “procedimento” si desse un significato restrittivo, con conseguente esclusione di tutte le attività poste in essere al di fuori del normale intervento del giudice, il principio costituzionale di cui si discorre [leggi: la pienezza del diritto di difesa] perderebbe gran parte della sua effettività. Ed invero in un sistema processuale, quale è quello vigente, in cui l’assunzione di vere e proprie prove di reità – e, quindi, la formazione di atti che nel giudizio non hanno minore efficacia di quelli tipicamente istruttori – può avvenire in una fase anteriore o preliminare rispetto al processo, l’esclusione della partecipazione difensiva dell’interessato non può non essere considerata come illegittima preclusione dell’esercizio di un diritto che la Costituzione definisce “inviolabile”. Sembra indubbio, in altri termini, che se la legge ordinaria, collocando la formazione delle prove a carico di un soggetto, ad opera di una pubblica autorità, fuori del vero e proprio processo, potesse farne discendere l’inapplicabilità delle garanzie difensive, il principio vigorosamente affermato dall’art. 24 della Costituzione correrebbe il rischio di essere sostanzialmente eluso».
(6) Cfr. Cass., sez. trib., 5 novembre 2013, ord. n. 24739, in Boll. Trib., 2013, 1684, con nota di V. AZZONI, Brevi riflessioni intorno a uno spiazzante “revirement” concettuale della Suprema Corte.

Imposte e tasse – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Garanzie procedurali previste dall’art. 12 della legge n. 212/2000 e loro ambito di applicazione – Questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge n. 212/2000, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117 Cost., nella parte in cui riconosce tali garanzie solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche nei locali di esercizio dell’attività del contribuente, e non anche alle verifiche “a tavolino” effettuate presso la sede dell’Ufficio finanziario – Non manifesta infondatezza.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Garanzie procedurali previste dall’art. 12 della legge n. 212/2000 e loro ambito di applicazione – Questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge n. 212/2000, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117 Cost., nella parte in cui riconosce tali garanzie solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche nei locali di esercizio dell’attività del contribuente, e non anche alle verifiche “a tavolino” effettuate presso la sede dell’Ufficio finanziario – Non manifesta infondatezza.
Imposte e tasse – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Sussistenza solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche nei locali di esercizio dell’attività del contribuente, e non anche in caso di verifiche “a tavolino” effettuate presso la sede dell’Ufficio finanziario – Dubbi di irrazionalità e costituzionalità del sistema – Questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge n. 212/2000, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117 Cost. – Non manifesta infondatezza.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Sussistenza solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche nei locali di esercizio dell’attività del contribuente, e non anche in caso di verifiche “a tavolino” effettuate presso la sede dell’Ufficio finanziario – Dubbi di irrazionalità e costituzionalità del sistema – Questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge n. 212/2000, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117 Cost. – Non manifesta infondatezza.

Imposte e tasse – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale, riguardo ai tributi non armonizzati – Ipotizzata insussistenza, se non nelle sole ipotesi specificamente previste dalla legge – Dubbi di irragionevole disparità di trattamento – Sussistono.

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale, riguardo ai tributi non armonizzati – Ipotizzata insussistenza, se non nelle sole ipotesi specificamente previste dalla legge – Dubbi di irragionevole disparità di trattamento – Sussistono.

Imposte e tasse – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale, riguardo ai tributi armonizzati – Ipotizzata sussistenza – Violazione – Invalidità dell’atto impositivo – Consegue, ma solo se il contribuente assolva l’onere di enunciare in giudizio le concrete ragioni che avrebbe potuto far valere nel contraddittorio e se l’opposizione di tali ragioni si riveli non pretestuosa – Dubbi di irragionevole disparità di trattamento – Sussistono.

IVA – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale, riguardo ai tributi armonizzati – Ipotizzata sussistenza – Violazione – Invalidità dell’atto impositivo – Consegue, ma solo se il contribuente assolva l’onere di enunciare in giudizio le concrete ragioni che avrebbe potuto far valere nel contraddittorio e se l’opposizione di tali ragioni si riveli non pretestuosa – Dubbi di irragionevole disparità di trattamento – Sussistono.

Imposte e tasse – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Garanzie procedurali previste dall’art. 12 della legge n. 212/2000 – Ipotizzata applicabilità solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche nei locali di esercizio dell’attività del contribuente, e non anche alle verifiche “a tavolino” effettuate presso la sede dell’Ufficio finanziario – Dubbi di irragionevole disparità di trattamento – Questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge n. 212/2000, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117 Cost. – Non manifesta infondatezza.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Diritto del contribuente al contraddittorio anche nella fase precontenziosa o endoprocedimentale – Garanzie procedurali previste dall’art. 12 della legge n. 212/2000 – Ipotizzata applicabilità solo in caso di accessi, ispezioni e verifiche nei locali di esercizio dell’attività del contribuente, e non anche alle verifiche “a tavolino” effettuate presso la sede dell’Ufficio finanziario – Dubbi di irragionevole disparità di trattamento – Questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge n. 212/2000, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117 Cost. – Non manifesta infondatezza.

È rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111 e 117 Cost., la questione di legittimità costituzionale del settimo comma dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludono le operazioni di accertamento e a disporre di un termine di sessanta giorni per eventuali controdeduzioni nelle sole ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria abbia effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente medesimo.

Il settimo comma dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio ivi previsto di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, che decorre dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, determina di per sé l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus (salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza), prevede però un diritto al contraddittorio a favore dei soli contribuenti nei cui confronti siano state effettuate le suddette specie di accessi, ispezioni o verifiche, e ciò suscita una problematica di razionalità rispetto alle altre simili ipotesi in cui il contraddittorio non è imposto, con conseguenti dubbi di costituzionalità del sistema, che sarebbero superati ove si ritenesse sussistente nell’ordinamento un principio generale del contraddittorio applicabile a qualunque genere di procedimento di accertamento tributario.

Genera dubbi di un’ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento l’attuale interpretazione giurisprudenziale secondo cui il diritto nazionale, a differenza del diritto dell’Unione europea, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale comportante in caso di violazione l’invalidità dell’atto, di talché in tema di tributi “non armonizzati” l’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale sussisterebbe esclusivamente nelle ipotesi per le quali tale obbligo risulti specificamente sancito, mentre in tema di tributi “armonizzati” quali l’IVA, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione europea, il predetto obbligo del contraddittorio endoprocedimentale sussisterebbe indipendentemente dalle previsioni interne, ma la sua la violazione comporterebbe l’invalidità dell’atto solo quando il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e l’opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale per le quali è stato predisposto.

È rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di illegittimità costituzionale che investe il settimo comma dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), nella parte in cui riconosce ai contribuenti il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludono le operazioni di accertamento e a disporre di un termine di sessanta giorni per eventuali controdeduzioni nelle sole ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria abbia effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio della loro attività, delineando così una diversità di disciplina e un’irragionevole discriminazione rispetto ai contribuenti che non abbiano subito le suddette specie di accessi, ispezioni o verifiche, che appaiono sospette di incostituzionalità alla luce degli artt. 3, 24, 53, 111 e 117 Cost.

[Commissione trib. regionale della Toscana, sez. I (Pres. e rel. Cicala), 18 gennaio 2016, ord. n. 736, ric. Prefabbricati Pistoiesi s.r.l. c. Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Pistoia]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – I.S. nella qualità di amministratrice della Prefabbricati Pistoiesi srl propone appello avverso la sentenza 494/01/2014 del 27 novembre 2014 con cui la Commissione Tributaria Provinciale di Pistoia accoglieva solo parzialmente il suo ricorso avverso avviso di accertamento relativo ai redditi per il 2008.
L’Agenzia si è costituita in giudizio proponendo appello incidentale

MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. Impostazione della problematica
Si osserva preliminarmente che è irrilevante l’affermazione della Agenzia secondo cui “la società è in concordato preventivo”; sia perché non viene fornito alcun riscontro probatorio; sia perché il debitore in regime di concordato preventivo conserva la piena gestione dei suoi beni e dei suoi rapporti giuridici anche tributari; con l’obbligo solo di orientarli alla funzionalità del soddisfacimento dei creditori, obbiettivo del resto esistente nel caso di specie, posto che il debito tributario inciderebbe negativamente sugli altri creditori.
Passando al merito della causa, appare pregiudiziale la questione sollevata con il quarto e quinto motivo di appello (violazione dell’art. 12, 7° comma dello Statuto del Contribuente, e violazione del contraddittorio endoprocedimentale).
Si tratta di tesi già dedotta con il ricorso introduttivo del processo e respinta dalla sentenza impugnata, in forza della considerazione (ampiamente condivisa nella giurisprudenza della Cassazione) secondo cui la norma citata non si applicherebbe alle verifiche “a tavolino”, ma solo alle verifiche conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche. E nel caso di specie l’accertamento si fondava tra l’altro sulle risultanze di 26 contratti di compravendita stipulati dalla società ed in cui venivano indicati valori ritenuti non congrui dalla Amministrazione.
La decisione del punto coinvolge una questione assai controversa. Cioè la problematica relativa alla sussistenza o meno di un generale obbligo per la Amministrazione di instaurare contraddittorio con il contribuente prima di emettere un atto di accertamento, cioè di formulare una pretesa tributaria non fondata sulle mere dichiarazioni del contribuente, bensì sulla affermazione di dati non forniti dal contribuente stesso. Questione di grande rilievo ove si deduca che la violazione del “diritto al contraddittorio” determina la nullità dell’atto impositivo.
Come noto, il contraddittorio amministrativo-tributario è previsto in numerose norme specifiche che prevedono (esplicitamente o implicitamente) la nullità dell’accertamento emesso in difetto di tale contraddittorio.
Le disposizioni cui si accenna costituiscono un quadro assai eterogeneo e variegato, in cui per l’ampiezza dell’ambito di applicazione spicca l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, qui richiamato dalla parte privata. Ed in base alla sentenza n. 18184 del 29 luglio 2013 (1) delle Sezioni Unite, la norma deve essere interpretata nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.
La norma – pur di ampia applicazione – prevede però un diritto al contraddittorio a favore solo del contribuente “nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività”. E ciò suscita, come ovvio, una problematica di razionalità se le ipotesi in cui il contraddittorio è prescritto vengono poste a confronto con altre simili in cui il contraddittorio non è imposto. Con conseguenti dubbi di costituzionalità del sistema (questione sollevata dalla sezione quinta della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24739 del 5 novembre 2013 (2)).

2. Il contraddittorio amministrativo
Tutti questi dubbi sarebbero stati superati ove si fosse affermata la sussistenza nel nostro ordinamento di un “principio generale del contraddittorio” applicabile anche al di fuori dei casi in cui il contraddittorio (e la conseguente nullità dell’atto emanato in violazione) sono ricavabili dalle specifiche disposizioni. In simile ipotesi, infatti sarebbe venuta meno ogni disparità di trattamento fra casi analoghi, essendo comunque e sempre obbligatorio il contraddittorio amministrativo.
In questo senso sembrava si fossero espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le sentenze 19667 e 19668/2014 (3) secondo cui “la pretesa tributaria trova legittimità nella formazione procedimentalizzata di una “decisione partecipata” mediante la promozione del contraddittorio (che sostanzia il principio di leale collaborazione) tra amministrazione e contribuente (anche) nella “fase precontenziosa” o “endoprocedimentale”, al cui ordinato ed efficace sviluppo è funzionale il rispetto dell’obbligo di comunicazione degli atti imponibili. Il diritto al contraddittorio, ossia il diritto del destinatario del provvedimento ad essere sentito prima dell’emanazione di questo, realizza l’inalienabile diritto di difesa del cittadino, presidiato dall’art. 24 Cost., e il buon andamento dell’amministrazione, presidiato dall’art. 97 Cost.”.
A sua volta, la legge 23/2014, aveva previsto l’introduzione del principio invitando il legislatore delegato a “rafforzare il contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale” (art. 9 primo comma lettera b). Mentre l’ Agenzia delle Entrate (Circolare n. 25/E del 6 agosto 2014 (4) – Dir. Centrale Accertamento avente ad oggetto Accertamento – Prevenzione e contrasto dell’evasione – Anno 2014 – Indirizzi operativi), ha sottolineato “la centralità del rapporto con il contribuente che, nell’ambito dell’attività di controllo, si declina attraverso la partecipazione del cittadino al procedimento di accertamento mediante il contraddittorio, sia nella fase istruttoria sia nell’ambito degli istituti definitori della pretesa tributaria”.
Questo orientamento sembrava, infine, aver trovato una sanzione nella sentenza 132/2015 della Corte Costituzionale (5) che ha dichiarato inammissibile la questione sollevata dalla sezione quinta della Corte di Cassazione con la già citata ordinanza n. 24739 del 5 novembre 2013. La Cassazione aveva ipotizzato una violazione dell’art. 3 della Costituzione in quanto l’art. 37-bis, comma 4, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 (sull’abuso di diritto) prevede(va) il contraddittorio amministrativo solo nelle fattispecie specificamente indicate dallo stesso art. 37-bis e non in tutte le altre ipotesi di abuso enucleate dalla giurisprudenza. A sua volta, la Corte Costituzionale ha ritenuto la non sussistenza della disparità di trattamento in quanto, “secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione nel nostro diritto vige il principio generale del contradditorio, che trova applicazione anche ove non sia enunciato dalle specifiche disposizioni di legge. E quindi, non vi è disparità di trattamento fra i casi in cui il contradittorio è previsto da una puntuale disposizione di legge e quelli in cui difetta simile specifica previsione”.

3. La sentenza delle Sezioni Unite n. 24823 del 9 dicembre 2015
In una valutazione del “diritto vivente” sul punto in discussione si deve oggi riconoscere un ruolo determinante alla sentenza n. 24823 del 9 dicembre 2015 (6), con cui le Sezioni Unite della Cassazione hanno esercitato con la massima autorevolezza e completezza di argomentazioni la loro funzione di nomofilachia.
La pronuncia in questione chiarisce ed afferma che a differenza dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati” (quali appunti l’IRES e l’IRAP qui in discussione), l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito. Si può poi per completezza ricordare che secondo la sentenza 24823/15 anche in tema di tributi “armonizzati” (quali l’IVA), avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta l’invalidità dell’atto, solo quando il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.

4. La questione di legittimità costituzionale: diritto di difesa e parità delle parti
Per valutare la situazione di diritto sopra delineata, occorre considerare che il processo tributario si caratterizza per la sostanziale assenza di una fase istruttoria o di raccolta delle prove da parte di un giudice terzo, o comunque in contraddittorio. Ancorché l’art. 7 del D.lgs. 546/1992 al suo primo comma reciti “le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta”. Ed al secondo comma soggiunge che “le commissioni tributarie, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, possono richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell’amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici compreso il Corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica”.
Ragioni dovute alla formazione strutturale delle Commissioni composte da magistrati part time inducono i giudici a pervenire alla decisione con celerità, senza indulgere ad indagini ulteriori e da essi stessi gestite.
Di fatto, l’istruttoria fiscale è affidata quasi esclusivamente alla Amministrazione che – ad esempio – raccoglie dichiarazioni di persone informate dei fatti. Dichiarazioni che possono compromettere l’esito del processo anche se, si suole ripetere che non sono vere testimonianze, ossia prove, ma solo indizi.
Il dispositivo che conclude il processo tributario è assai spesso determinato da indizi e quindi la distinzione fra indizio e prova sfuma, diviene quasi impercettibile; in un processo in cui l’esito sfavorevole al privato può essere determinato dal “più probabile che non” e non occorre certo il superamento, necessario invece nel processo penale, di “ogni ragionevole dubbio”.
Di conseguenza, gli “indizi” raccolti dalla Amministrazione svolgono un ruolo decisivo e producono effetti identici a quelli propri di una istruttoria giudiziaria.
Posto che non è possibile, e neppure forse auspicabile, che i giudici tributari si facciano ricercatori o anche solo percettori di prove, ed acquisiscano sistematicamente indizi in contraddittorio, determinando una dilatazione dei tempi incompatibile con la ragionevole durata del contenzioso, appare necessario che il contribuente abbia voce, sia presente anche in quella fase, pur qualificabile come “amministrativa”, in cui si forma il materiale probatorio su cui poggerà un giudizio spesso pronunciato dopo una breve discussione orale.
Del resto, anche nella ipotesi invero poco frequente che il giudice utilizzi a fondo i poteri riconosciutigli dal citato art. 7 della legge processuale, permane comunque la circostanza che l’indagine giudiziaria si affianca (e non sostituisce) l’indagine amministrativa, che gli esiti dell’accertamento amministrativo hanno un’efficacia probatoria identica a quella dell’accertamento disposto dal giudice.
Il contraddittorio amministrativo appare dunque strumentale a garantire il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., ed altresì che le parti processuali si collochino, su un piano se non di compiuta parità almeno “in condizioni di parità” di guisa che il processo risulti “giusto”, come prescrive l’ art. 111 della Costituzione; che si ispira all’art. 6 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo recepita dall’art. 9 della Costituzione Europea; secondo cui “l’Unione aderisce alla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (e quindi il citato art. 6 è posto sotto lo “scudo” degli artt. 11 e 117, 1° comma Cost.). E appare ovvio che non è né giusto né equo un processo in cui le parti non siano poste “in condizione di parità”.

5. La questione di legittimità costituzionale: la nozione di procedimento nell’art. 24 Cost.
Del resto, la Corte Costituzionale ha in passato, con un importante complesso di sentenze, imposto alla recalcitrante Corte di Cassazione di applicare le garanzie previste dagli artt. 304-bis ter e quater introdotti nel codice di procedura penale “Rocco” con la legge 18 giugno 1955, n. 517, anche agli atti di indagine della polizia giudiziaria in considerazione del fatto che essi entravano nel processo penale con valore analogo a quello degli atti istruttori raccolti dal giudice.
È una considerazione che – a maggior ragione – vale per il processo tributario ove è addirittura escluso che il giudice possa procedere ad una attività di acquisizione diretta (o quanto meno con la partecipazione delle parti) delle dichiarazioni di persone informate; e quindi il giudice conosce delle dichiarazioni di costoro solo attraverso i verbali degli accertatori tributari.
Afferma infatti la giurisprudenza che “la disposizione contenuta nell’art. 7, 4º comma, d.leg. 31 dicembre 1992 n. 546, secondo cui nel processo tributario non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale, limita i poteri del giudice tributario ma non pure i poteri degli organi di verifica, e pertanto la limitazione vale solo per la diretta assunzione, da parte del giudice stesso, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, cioè per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio, mentre le dichiarazioni dei terzi, raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono perciò pienamente utilizzabili quali elementi di convincimento” (Cass. civ., sez. trib., 16-7-2014, n. 16223 (7); Cass. civ., sez. trib., 7-2-2013, n. 2916 (8); Cass. civ., sez. trib., 30-9-2011, n. 20032 (9)).
La sancita impossibilità che le persone “informate dei fatti” siano udite nell’ambito della procedura contenziosa con le garanzie del contraddittorio, rende necessaria una garanzia nella fase amministrativa in cui le dichiarazioni di queste persone sono raccolte e documentate. Questa garanzia potrebbe essere limitata alla applicazione del meccanismo di cui al 7° comma dell’art. 12 dello Statuto del contribuente (deposito del verbale e termine di 60 giorni accordato al contribuente per sue eventuali istanze). Ma deve pur sussistere.
Il contribuente verrebbe così posto, sempre per proseguire nell’esempio formulato, nella possibilità di evidenziare le contraddizioni o dubbi sulle dichiarazioni del teste sollecitandone una nuova audizione. E l’omessa od illogica risposta della Amministrazione vizierebbe l’atto impositivo.
Né appare sufficiente a bilanciare gli inconvenienti evidenziati la possibilità riconosciutagli dalla giurisprudenza maggioritaria di “introdurre in giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, compete non solo all’Amministrazione finanziaria, che tali dichiarazioni abbia raccolto nel corso d’indagine amministrativa, ma, altresì, con il medesimo valore probatorio, al contribuente”. È infatti evidente che queste dichiarazioni raccolte privatamente non costituiscono una forma di adeguato contraddittorio anche quando le dichiarazioni siano raccolte (ma con quale autorità ed autorevolezza?) attraverso l’esame dei medesimi soggetti ascoltati dal Pubblico Ufficio.
Si adatta cioè alle questioni in esame quanto affermato – fra le tante – nella sentenza della Corte Costituzionale 149/1969, secondo cui “se al termine “procedimento”, a cui, nel garantire la difesa come diritto inviolabile, fa riferimento l’art. 24 della Costituzione, si desse un significato restrittivo, con conseguente esclusione di tutte le attività poste in essere al di fuori del normale intervento del giudice, il principio costituzionale perderebbe gran parte della sua effettività”. Ciò ovviamente con il limite secondo cui “la nozione “procedimento” non può dilatarsi al di là dei confini necessari e sufficienti a garantire a tutti il diritto di difesa. E poiché in concreto questo non può essere operante prima che un soggetto risulti indiziato del reato, è a partire da questo momento che devono entrare in funzione i meccanismi normativi idonei a garantire almeno un minimo di contraddittorio, assistenza e difesa”. Per rendere calzante la citazione è sufficiente sostituire al concetto di “indiziato di reato” quello di “soggetto nei cui confronti la Amministrazione prospetta la emissione di un atto di accertamento”.
Tutto ciò evidenzia la non manifesta infondatezza del dubbio di illegittimità costituzionale che investe il 7° comma dell’art. 10 [12, n.d.r.] della legge 27 luglio 2000, n. 212, nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludano le operazioni di accertamento (ad esempio compiute mediante acquisizione di dati bancari, o accesso nei locali non di pertinenza del contribuente stesso) e di disporre di un termine di 60 giorni per eventuali controdeduzioni, alle sole ipotesi in cui la Amministrazione abbia “effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività” del contribuente.
E tale quesito è indubbiamente rilevante in quanto, in forza della sentenza 24823/15 il principio del contraddittorio trova applicazione, e solo secondo le modalità indicate dal diritto europeo esclusivamente alla parte dell’accertamento relativo all’IVA, mentre non può essere utilmente invocato per la parte dell’accertamento relativo alle imposte dirette (IRAP, IRES); in questo senso anche la sentenza della sezione tributaria della Cassazione n. 26117 del 30 dicembre 2015 (10) secondo cui ove un accertamento tributario riguardi – come nel caso di specie – per una parte tributi “non armonizzati” (IRES e IRAP), per l’altra tributi “armonizzati” (IVA); e il contribuente deduca la nullità dell’accertamento stesso in quanto non gli è stata offerta la possibilità di interloquire in sede amministrativa, il motivo è infondato con riferimento ai tributi “non armonizzati” perché le garanzie fissate dall’art. 12, comma 7, l. n. 212/2000 trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente (mentre per quanto riguarda i tributi “armonizzati” il motivo – in astratto fondato – era però nel caso di specie inammissibile, in quanto il ricorrente, non aveva dedotto se ed in quale precedente sede processuale avesse specificatamente indicato le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato).

6. Ulteriori profili di incostituzionalità
Il particolare regime delle operazioni di accertamento a seguito di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente appare infine irragionevolmente discriminatorio in relazione a quei contribuenti che non hanno subito accesso o verifica nei locali.
Alcuni hanno diritto al contraddittorio altri no in relazione al fatto – in sé non pertinente – di aver subito una ispezione. Né è del tutto persuasiva la contro obbiezione: “ma se c’è stata l’ispezione vi è, o può essere, l’acquisizione di dati e documenti non forniti dal contribuente stesso; mentre se i dati sono stati forniti dal contribuente in fondo c’è una sorta di contraddittorio preventivo”.
L’osservazione non copre infatti la gamma intera delle possibili circostanze di fatto. Se viene redatto un accertamento a carico di un soggetto in base a documenti di pertinenza di un altro imprenditore, reperiti in un accesso nella azienda di quest’ultimo, il primo contribuente nulla sa (rectius potrebbe sapere) e si vede piovere addosso magari all’improvviso un accertamento esecutivo. E qualcosa di simile accade ove un accertamento venga emanato sulla base di documenti forniti da terzi (così come accaduto per la “lista Falciani”); o di dati bancari ricavati da un conto neppur direttamente riconducibile al contribuente, ma di pertinenza di altro soggetto (come il coniuge) che si ipotizzi a lui collegato.
Nel caso di specie, ad esempio, sono stati utilizzati dal Fisco anche dati ricavati dai contratti di mutuo stipulati dagli acquirenti, dati non necessariamente noti al venditore.
Con una diversità di disciplina, che appare sospetta di incostituzionalità alla luce dell’art. 3 della Costituzione e dell’art. 53 Cost. (in quanto la capacità contributiva viene accertata con strumenti differenti scelti in base a criteri non razionali).

P.Q.M. – La Commissione, vista la L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24, 53, 111, 117 Cost., la questione di legittimità costituzionale del 7° comma dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, nella parte in cui riconosce al contribuente il diritto a ricevere copia del verbale con cui si concludano le operazioni di accertamento e di disporre di un termine di 60 giorni per eventuali controdeduzioni, nelle sole ipotesi in cui la Amministrazione abbia “effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività” del contribuente; ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale; ordina alla Segreteria che la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati. Così deciso in Firenze, nella Camera di consiglio della prima sezione, il 21 dicembre 2015.

(1) In Boll. Trib., 2013, 1428.
(2) In Boll. Trib., 2013, 1684.
(3) Cass., sez. un., 18 settembre 2014, nn. 19667 e 19668, in Boll. Trib., 2014, 1740.
(4) In Boll. Trib., 2014, 1168.
(5) Corte Cost. 7 luglio 2015, n. 132, in Boll. Trib., 2015, 1278.
(6) In Boll. Trib., 2016, 222.
(7) In Boll. Trib., 2015, 127.
(8) In Boll. Trib., 2013, 884.
(9) In Boll. Trib. On-line.
(10) In Boll. Trib. On-line.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *