30 Maggio, 2017

1. Premessa

Negli ultimi tempi, più volte la Corte di Cassazione si è occupata di tematiche riguardanti il contraddittorio (1) in tema di studi di settore.
L’ordinanza in rassegna, seppur emanata in periodo precedente, è in linea con quella che potremmo definire una deriva restrittiva dell’applicazione del principio, concretizzatasi nella sentenza delle Sezioni Unite n. 24823/2015 (2).
Nell’annotata ordinanza, infatti, i Supremi Giudici ribadiscono una valutazione già effettuata in un proprio precedente (3) e concludono per l’inapplicabilità dell’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), al procedimento di accertamento basato sugli studi di settore (nonché a quello basato sui parametri per la determinazione presuntiva di ricavi e compensi), in quanto il confronto tra contribuente e Uffici finanziari avrebbe già, in questa particolare ipotesi di accertamento standardizzato, uno spazio che assicura le garanzie necessarie a tutelare le ragioni della parte più debole.
La tendenza a restringere i confini del principio del contraddittorio nell’ambito degli accertamenti standardizzati è, peraltro, confermata dall’ordinanza n. 7454/2016 (4), nella quale i Supremi Giudici affermano che se il contribuente diserta il contraddittorio attivato dall’Amministrazione finanziaria, l’Ufficio fiscale – pur dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio col contribuente medesimo, nonostante il rituale invito – può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards previsti dalla normativa, e il giudice può liberamente valutare, nel generale quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (5). Dello stesso tenore è la sentenza n. 4151/2016 (6) emessa dalla Sezione Tributaria della Suprema Corte. Nondimeno, a confermare che il dibattito è ancora aperto, ve ne sono altre che, sempre sullo stesso tema degli accertamenti standardizzati, appaiono muoversi in termini di ampliamento dei confini di operatività del contraddittorio. In questo novero va, a nostro avviso, inclusa la sentenza n. 5715/2016 (7), con la quale i Supremi Giudici hanno annullato l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio finanziario in esito all’applicazione degli studi di settore, affermando che deve ritenersi illegittimo l’atto che accerti i maggiori ricavi senza motivare il rigetto delle giustificazioni poste dal contribuente in sede di contraddittorio (8).
Sembra, dunque, opportuno soffermarsi a valutare le ragioni della difesa del contribuente e la scelta interpretativa della Suprema Corte nell’ordinanza che si annota attraverso un inquadramento sistematico della fattispecie esaminata, anche alla luce della recente evoluzione del dibattito giurisprudenziale.

2. L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame

In esito ad un controllo da parte dell’Agenzia delle entrate della dichiarazione fiscale di una società, dal quale era emerso che l’ammontare dei ricavi dichiarati era sensibilmente diverso da quello derivante dall’applicazione degli studi di settore in relazione all’attività svolta dalla predetta, e fallito l’accordo volto alla definizione con adesione in seno al contraddittorio appositamente instaurato, l’Ufficio finanziario accertava, ai fini IRES, IVA e IRAP, maggiori ricavi, irrogando altresì le relative sanzioni.
La Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento emesso sulla base degli studi di settore. In seguito, la Commissione tributaria regionale rigettava l’appello della contribuente, rimarcando, per quanto d’interesse, il regolare svolgimento del contraddittorio e l’inapplicabilità del termine dilatorio di sessanta giorni previsto dall’art. 12 della legge n. 212/2000.
La società, pertanto, proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, fondandolo su un unico motivo, vale a dire la violazione del settimo comma del predetto art. 12 della legge n. 212/2000.
Secondo la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione l’infondatezza dell’unico motivo di ricorso emerge chiaramente, giusto il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte in una fattispecie similare (9), secondo cui «in tema di accertamento standardizzato mediante parametri e studi di settore, non è applicabile il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, essendo già prevista, a pena di nullità, una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’avviso».
Proseguono i Supremi Giudici sottolineando che la sussistenza delle fase necessaria di contraddittorio procedimentale, nella fattispecie regolarmente espletata, rende inapplicabile la giurisprudenza più recente citata nella memoria presentata dalla contribuente, evidenziando l’inconferenza in relazione al caso in esame degli argomenti sviluppati dall’ordinanza n. 527/2015 (10) emessa dalla stessa Sezione – con la quale è stata rimessa alle Sezioni Unite la valutazione relativa all’operatività o meno di un contraddittorio preventivo, in sede di accertamenti cosiddetti “a tavolino” – richiamata dalla società nel corso della discussione orale.
Alla luce delle sopra riportate considerazioni la Corte di Cassazione ha quindi respinto il ricorso della società, condannandola anche alla refusione delle spese di causa in favore dell’Amministrazione finanziaria regolarmente costituitasi in giudizio.

3. Inquadramento della tematica

È ben noto che gli studi di settore, unitamente al redditometro, costituiscono la più moderna forma di accertamenti standardizzati basati su dati medi e generalizzati e, quindi, su valutazioni derivanti da calcoli matematici e metodologie statistiche.
Diventa pertanto essenziale, innanzitutto per garantire il rispetto del principio di capacità contributiva, che essi vengano adeguati alla realtà del contribuente interessato dall’accertamento. Per tale motivo, il comma 3-bis dell’art. 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, introdotto con la legge 30 dicembre 2004, n. 311, ha sancito l’obbligo di attivare il contraddittorio con il contribuente prima della notifica dell’atto di accertamento, avendo riguardo agli accertamenti relativi ai periodi di imposta 2004 e successivi.
In questa fase si consente al contribuente di dimostrare l’inapplicabilità del dato derivante dallo studio di settore alla propria situazione effettiva e si chiede all’Ufficio finanziario di motivare l’eventuale atto impositivo, giustificato da un contraddittorio non soddisfacente, confutando punto per punto le argomentazioni del contribuente.
In ragione di ciò, il valore probatorio dello studio di settore è stato ricondotto, dalla dottrina, alla presunzione semplice (11).
E anche in giurisprudenza, con le note sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite nn. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 2009 (12), si è affermato che la qualificazione è corretta e richiede, pertanto, che vengano riscontrati i requisiti della gravità, precisione e concordanza, volta per volta.
L’obiettivo è quello di adattare la situazione risultante dalle elaborazioni standardizzate al caso concreto, in quanto lo studio non sarebbe di per sé idoneo a fondare un atto accertativo in mancanza di ulteriori elementi probatori. Esso, infatti, è elaborato avendo riguardo ad indici di “normalità economica” ai quali si perviene creando dei comparti di contribuenti con caratteristiche comuni. Il contraddittorio consente, di contro, di tenere conto delle effettive condizioni economiche e patrimoniali del contribuente interessato addivenendo, quindi, ad un risultato astrattamente più aderente al principio costituzionale di capacità contributiva.
Per tale motivo, le Sezioni Unite hanno affermato che un accertamento tributario standardizzato che non sia preceduto dal contraddittorio è invalido (13).
Nella vicenda all’attenzione della Suprema Corte si inserisce un ulteriore profilo collegato, come già rilevato, all’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000.
Tale norma dispone che «nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza».
A connotare di maggiore forza la predetta disposizione, con l’ormai famosa sentenza n. 18184/2013 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (14) hanno statuito l’illegittimità degli avvisi di accertamento emanati prima che sia decorso il termine dilatorio di sessanta giorni dalla consegna al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, salvo i casi in cui ricorrano qualificati motivi d’urgenza che legittimino una notifica ante tempus, in linea con quanto già affermato dalla dottrina prevalente (15).
Nel caso in esame si legano le due diverse fattispecie.
Il contribuente, infatti, ha subito un accertamento parametrico effettuato sulla base degli studi di settore e l’Ufficio finanziario, come imposto dalla legge e anche dall’elaborazione giurisprudenziale, ha invitato il contribuente ad esporre le proprie ragioni, al fine di rafforzare la relativa presunzione semplice con i requisiti di gravità, precisione e concordanza emergenti dal contraddittorio.
Il contribuente, dal canto suo, ha aderito all’invito non incorrendo nemmeno nell’ulteriore problematica già delineata nelle citate sentenze a Sezioni Unite nn. 26635, 26636, 26637 e 26638 del 2009 e ribadita dalla Sezione Tributaria (16), secondo la quale il contraddittorio disatteso dal contribuente legittima l’Ufficio finanziario a motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione dei parametri o degli studi de quibus.
Nondimeno, il confronto tra le due parti non è stato proficuo, determinando il fallimento dell’accordo volto alla definizione con adesione in seno al contraddittorio appositamente instaurato.
Successivamente, prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni previsto dall’art. 12 della legge n. 212/2000, l’Ufficio finanziario ha emesso l’avviso di accertamento e lo ha notificato al contribuente.
La difesa del contribuente ha sostenuto che tale avviso è illegittimo in quanto doveva essere concesso al medesimo quel “periodo di riflessione” individuato nella disposizione statutaria di cui al più volte citato art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000.
Nulla si legge in sentenza sul punto, ma dobbiamo supporre che non ci fossero ragioni di urgenza, altrimenti l’intero impianto del ricorso del contribuente sarebbe dovuto saltare, posto che tale circostanza avrebbe legittimato l’aggiramento del termine dilatorio in questione.
I Supremi Giudici nell’annotata ordinanza affermano che ci sia una “abbondanza” di tutela piuttosto che una carenza.
La Corte di Cassazione, pertanto, alla luce di quanto argomentato e, quindi, in ragione di un contraddittorio già espletato, seppur con esito negativo, afferma che gli studi di settore contemplano già una tutela del contribuente da esperirsi nel dibattito con gli Uffici finanziari e, conseguentemente, non ritengono applicabile alla fattispecie in esame l’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000.
Tale conclusione, invero, sembrerebbe in linea con quanto poi affermato dalle Sezioni Unite (17) in tema di principio del contraddittorio riguardo agli accertamenti c.d. “a tavolino”, così come a tutte quelle altre ipotesi in cui il predetto principio non è espressamente previsto.

4. Considerazioni critiche

La Corte di Cassazione afferma che l’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, non sarebbe applicabile nel caso di accertamento basato sugli studi di settore in quanto, con riferimento a tali strumenti standardizzati, è il già citato comma 3-bis dell’art. 10 della legge n. 146/1998, introdotto con la legge n. 311/2004, ad aver stabilito che deve essere attivato il contraddittorio con il contribuente prima della notifica dell’avviso di accertamento.
In sostanza, i Supremi Giudici richiamano quanto già affermato nella propria precedente e già citata sentenza n. 7960/2014, nella quale avevano precisato che, pur dovendosi riconoscere al principio del contraddittorio in ambito procedimentale una naturale vis espansiva, essa non può travalicare i limiti della procedura di accertamento c.d. standardizzato mediante l’applicazione degli studi di settore. Quest’ultima, infatti, sempre secondo quanto precisato dalla Corte di Cassazione nelle più volte citate sentenze del 2009, prevede la fase – necessaria a pena di nullità dell’accertamento – del contraddittorio procedimentale, alla quale il contribuente deve obbligatoriamente essere invitato a partecipare e della quale l’Ufficio finanziario deve dare conto nella motivazione dell’atto impositivo, salvo il caso di mancata adesione all’invito da parte del contribuente.
Secondo la Suprema Corte, questa fase necessaria di contraddittorio procedimentale, già prevista a pena di nullità, garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’atto impositivo.
Appare, pertanto, opportuno soffermarsi brevemente sugli ultimi risvolti giurisprudenziali riguardanti il contraddittorio, con specifico riguardo all’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000 (18).
È ben noto che, in ambito comunitario, rilevante è stata la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea 3 luglio 2014 resa nella causa C-129/13 e C-130/13 (19), riguardante la materia doganale, ma emblematica in quanto incidente su profili generali. In essa, infatti, si è sottolineata l’importanza del contraddittorio nella fase procedimentale, cioè prima che venga emesso un qualsiasi provvedimento potenzialmente lesivo per il contribuente anche in assenza di una norma di legge che lo preveda espressamente.
Con riguardo al dibattito interno, la tematica è stata ripresa dalle ormai famose sentenze delle Sezioni Unite nn. 19667 e 19668 del 2014 (20), le quali hanno affermato che l’iscrizione di ipoteca non preceduta dalla comunicazione al contribuente è nulla, in ragione della violazione dell’obbligo che incombe all’Amministrazione finanziaria di attivare il “contraddittorio endoprocedimentale”, mediante la preventiva comunicazione al contribuente della prevista adozione di un atto o provvedimento che abbia la capacità di incidere negativamente, determinandone una lesione, sui diritti e sugli interessi del contribuente medesimo. Nondimeno, con la già citata ordinanza n. 527/2015, la Sezione Sesta della Corte di Cassazione ha deciso di rimettere alle Sezioni Unite la valutazione relativa all’operatività o meno di un contraddittorio preventivo anche riguardo agli accertamenti cosiddetti “a tavolino”, cioè a quegli accertamenti che vengono effettuati in relazione a documenti che l’Amministrazione finanziaria ha già a disposizione, a volte perché esibiti dal contribuente medesimo, e il cui esame viene effettuato direttamente nella sede degli Uffici fiscali stessi. E le Sezioni Unite, nella già citata e dirompente sentenza n. 24823/2015, hanno sostenuto che, differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto impositivo. Ne consegue che in tema di tributi “non armonizzati” l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione europea, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e l’opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.
L’ultimo tassello della vicenda è rappresentato dall’ordinanza n. 736/2016 resa dalla Commissione tributaria regionale della Toscana (21), che ha ritenuto necessario devolvere la vertenza alla Corte Costituzionale sollevando la questione di legittimità dell’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, nella parte in cui riconosce al contribuente esclusivamente quando l’Amministrazione finanziaria abbia effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività del medesimo, il diritto di ricevere la copia del verbale con cui si concludano le operazioni di accertamento e di disporre di un termine di sessanta giorni per eventuali controdeduzioni.
È evidente, dunque, come il dibattito sia ancora vivo e forse ancora lontano da una univoca e concreta soluzione, e ciò rende necessario svolgere alcune ulteriori considerazioni sulla tematica in esame.
Nei casi in cui il contraddittorio è previsto in modo specifico da una disposizione che inerisce all’istituto in questione, come accade per gli studi di settore, sembra che secondo i Supremi Giudici non possa essere considerato applicabile il disposto normativo dell’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, considerato sì una sorta di principio generale in materia, ma operante solamente allorquando manchi una specifica disposizione che preveda già come obbligatorio il ricorso al contraddittorio (come appunto accade per i ricordati studi di settore) (22).
La conclusione è in linea con quella alla quale giunge la Suprema Corte nella già citata sentenza a Sezioni Unite. In essa, infatti, si afferma che non esiste una generalizzazione del principio del contraddittorio se non quella discendente dalla giurisprudenza comunitaria con riguardo ai tributi armonizzati. Le precedenti decisioni della Suprema Corte avrebbero, infatti, esaminato casi specifici. Per i tributi “non armonizzati” l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussisterebbe esclusivamente in relazione alle ipotesi in cui tale obbligo sia previsto da una specifica norma di legge.
Nel caso in esame la questione diventa ancora più complicata: in primo luogo perché un contraddittorio, anche se in fase precedente, era previsto ed è stato attivato; secondariamente, il controllo riguardava tributi di entrambe le categorie.
Di conseguenza, a nostro parere, in ordine al primo punto, nonostante quanto concluso dalla Suprema Corte, l’impostazione difensiva del contribuente è condivisibile in quanto aveva fatto leva sui precedenti in terminis che manifestavano una certa apertura ad una applicazione generalizzata ed “espansa” del principio del contraddittorio senza contare che, allo stato, la soluzione univoca e definitiva è ben lontana dal profilarsi all’orizzonte, anche alla luce del diverso approccio al problema aperto dalla Suprema Corte italiana rispetto alla Corte di Giustizia europea.
Basti pensare che, avendo riguardo al dato sostanziale, proprio l’esito negativo del contraddittorio volto a suffragare gli studi di settore e l’impossibilità – per motivi che non è dato conoscere – di pervenire ad un accordo potrebbe incidere sulla decisione del contribuente e spingerlo a ripensare, in quei sessanta giorni, alla scelta privilegiata, tornando indietro sui suoi passi prima che venga notificato l’avviso di accertamento. Non c’è bisogno di ricordare che una definizione precedente alla notifica dell’avviso comporta alcuni benefici per quest’ultimo.
In tale ottica, il rispetto di quel termine dilatorio potrebbe costituire un ulteriore momento deflattivo, quest’ultimo posto a favore di entrambe le parti in causa. Anche per l’Amministrazione finanziaria è utile riscuotere prima e con certezza, e comunque aggiungere un ulteriore momento di riflessione in contraddittorio potrebbe essere solo proficuo e mai dannoso.
Quanto alle conclusioni della Corte di Cassazione, appaiono discutibili sia quelle contenute nell’ordinanza in esame sia quelle che si leggono nella ricordata pronuncia delle Sezioni Unite: è evidente infatti che, proprio alla luce di quanto affermato nella sentenza del Consesso riunito, si correrebbe, in questo caso, più che in altre vicende processuali, il rischio di ledere quantomeno il principio di capacità contributiva, oltre a rendere il contribuente, come rilevato da pregevole dottrina, più che un soggetto passivo un personaggio letterario (23).
La scelta di chiusura manifestata dai Supremi Giudici in modo non organico (tributi armonizzati, sì; non armonizzati, no) delinea proprio l’esigenza di una organicità di disciplina, peraltro, auspicata nella legge delega sulla riforma fiscale.
Difatti l’art. 9, primo comma, lett. b), della legge 11 marzo 2014, n. 23, stabilisce la necessità di «rafforzare il contraddittorio nella fase di indagine» e di subordinare i «successivi atti di accertamento e di liquidazione all’esaurimento del contraddittorio procedimentale».
E, quindi, dispone espressamente che venga dato corso a specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario.
Il percorso ermeneutico della Suprema Corte, che si è concluso con l’intervento delle Sezioni Unite, non sembra in linea con i criteri posti dal legislatore all’interno della delega né tanto meno con quelli, ben più garantisti, espressi a livello comunitario. Appare, anzi, che il contraddittorio venga in questo modo complicato e depotenziato, a scapito di entrambe le parti del confronto.
È dunque auspicabile un intervento chiarificatore del legislatore sul punto (pur nulla togliendo all’imminente intervento della Corte Costituzionale che potrebbe effettivamente ricondurre ad uniformità la materia de qua), con il preciso intento di dare indicazioni sull’applicazione del principio del contraddittorio in ambito procedimentale, prescindendo dalla casistica specifica.
Ci si aspetta, in sostanza, che siano fissate delle regole ineludibili, poste nell’interesse di entrambe le parti, che non lascino spazio a dubbi ed a margini di discrezionalità.

Avv. Patrizia Accordino
Università degli Studi di Messina

(1) Sulla rilevanza del principio del contraddittorio nel procedimento di accertamento tributario, in generale, si vedano CICALA, Attività di accertamento e contraddittorio amministrativo: verso un nuovo intervento delle Sezioni Unite, in Boll. Trib., 2015, 86; VOGLINO, La necessitata espansione del diritto al contraddittorio a tutti i procedimenti tributari di ogni genere e specie, in nota a Cass. 14 gennaio 2015, n. 527, ibidem, 146; RUSSO, Urgenza dell’accertamento anticipato e altre casistiche giurisprudenziali sul contraddittorio endoprocedimentale tra fisco e contribuente, ivi, 2014, 816; AIUDI, Il contraddittorio? Non ce lo possiamo permettere!, in nota a Cass. 9 dicembre 2015, n. 24823, ivi, 2016, 232; COLLI VIGNARELLI, Considerazioni sulla tutela dell’affidamento e della buona fede nello Statuto dei diritti del contribuente, in Riv. dir. trib., 2001, 702; ID., Collaborazione, buona fede ed affidamento nei rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria, in Dir. prat. trib., 2005, I, 541; e ID., I principi di affidamento e buona fede, in UCKMAR – TUNDO (a cura di), Codice delle ispezioni e verifiche tributarie, Piacenza, 2005, 44 ss.
(2) Cfr. Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823, in Boll. Trib., 2016, 223, con nota di AIUDI, Il contraddittorio? Non ce lo possiamo permettere!
(3) Cfr. Cass., sez. trib., 4 aprile 2014, n. 7960, in Boll. Trib. On-line, la quale ha affermato che «la tesi della ricorrente, secondo cui l’Ufficio, prima di emettere l’atto impositivo, avrebbe dovuto redigere un verbale di “chiusura delle operazioni”, dal rilascio del quale sarebbe dovuto decorrere il termine dilatorio bimestrale di cui all’art. 12, comma 7, delle legge n. 212 del 2000, è destituita di fondamento, in quanto un tale obbligo di verbalizzazione non trova alcun aggancio normativo nella, esaustiva, disciplina dell’accertamento standardizzato e costituisce il risultato di una commistione di normative aventi ambiti applicativi del tutto distinti».
(4) Cfr. Cass., sez. VI, 14 aprile 2016, ord. n. 7454, in Boll. Trib. On-line.
(5) La Suprema Corte richiama il proprio precedente reso da Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, n. 26635, in Boll. Trib., 2010, 303, con nota di PROIETTI, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite, e alla luce di quest’ultimo e del fatto che è pacifico in causa che la parte contribuente ha disertato il contraddittorio al quale era stata debitamente invitata da parte dell’Ufficio finanziario, afferma che è da ritenersi del tutto corretto che il giudice del merito abbia dato conto del fatto che l’iter procedimentale predisposto dall’Ufficio corrisponde alla fattispecie normativa e abbia poi inquadrato il difetto di collaborazione della parte contribuente nel quadro probatorio rilevante ai fini del processo, pervenendo alla corretta conclusione che l’accertamento doveva ritenersi fondato, alla luce dell’assenza di idonei elementi contrari oggetto dell’onere di prova che in tale particolare ipotesi incombe alla parte contribuente.
(6) Cfr. Cass., sez. trib., 2 marzo 2016, n. 4151, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cfr. Cass., sez. trib., 23 marzo 2016, n. 5715, in Boll. Trib. On-line.
(8) Affermano i Supremi Giudici che è «affetta dal denunciato errore di diritto l’impugnata sentenza, posto che nel ritenere legittimo l’atto impositivo opposto dal contribuente sulla circostanza, tra l’altro, che nella sua redazione l’Ufficio finanziario non avesse tenuto conto delle motivazioni allegate dal contribuente all’atto del contraddittorio – che il medesimo, in ossequio all’onere di autosufficienza, riproduce, senza avversaria contestazione, in questa sede alla pag. 3 del ricorso – disattende manifestamente l’enunciato comando nomofilattico atteso che, come ancora il ricorrente puntualmente documenta senza contestazioni, l’avviso di accertamento notificatogli si limita a dare atto della mancata adesione del contribuente all’accertamento ex art. 5 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, e della parziale riduzione della pretesa senza tuttavia prendere posizione alcuna in ordine all’inidoneità del cluster applicato nella specie, all’insussistenza delle condizioni previste dall’art. 10, secondo comma, della legge 8 maggio 1998, n. 146, e all’erroneità della aliquota, tutte circostanze che il contribuente, nulla eccependo l’Ufficio finanziario, assume e deduce di avere rapportato al procedente e che in ragione di ciò non potevano essere ignorate allorché si fosse inteso dar seguito, come poi avvenuto, all’intenzione di determinare il reddito di impresa presuntivo sulla base di un accertamento standardizzato».
(9) Cfr. Cass., sez. trib., 4 aprile 2014, n. 7960, in Boll. Trib. On-line.
(10) Cfr. Cass., sez. VI, 14 gennaio 2015, ord. n. 527, in Boll. Trib., 2015, 138, con nota di VOGLINO, La necessitata espansione del diritto al contraddittorio a tutti i procedimenti tributari di ogni genere e specie.
(11) Ci si consenta di rinviare ad ACCORDINO, Accertamenti basati su parametri e studi di settore ancora sotto esame, in nota a Cass. 2 aprile 2014, n. 7621, Cass. 6 maggio 2014, n. 9712, e Cass. 12 marzo 2014, ord. n. 5675, in Boll. Trib., 2014, 1109; PROIETTI, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite, in nota a Cass. 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, ivi, 2010, 307; DEL TORCHIO, Presunzioni e valore probatorio degli studi di settore, in nota a Comm. trib. reg. del Piemonte 22 aprile 2008, n. 18, ivi, 2009, 553; GIORGI, L’accertamento basato su studi di settore: obbligo di motivazione ed onere della prova, in Rass. trib., 2001, 659; BEGHIN, Gli studi di settore, le “gravi incongruenze” ex art. 62-sexies del D.L. n. 331/1993 e l’insostituibile opera di adattamento del risultato di normalità economica alla fattispecie concreta, in Riv. dir. trib., 2007, 749; VERSIGLIONI, Prova e studi di settore, Milano, 2007, 191 ss.; e MARCHESELLI, Gli accertamenti analitico-induttivi e gli studi di settore tra presunzioni semplici e legali, in Corr. trib., 2009, 3622.
(12) Cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, in Boll. Trib., 2010, 303, con nota di PROIETTI, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite.
(13) «La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito» In questi esatti termini cfr. Cass., sez. un., n. 26635/2009, cit. Invero, recentissimamente la Suprema Corte ha ulteriormente consolidato il proprio orientamento, affermando che «Nella specifica materia, infatti, questa Corte ha chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte (cfr. Cass. S.U. 26635/2009, Cass. 12558/2010, Cass. 12428/2012, Cass. 23070/2012). In termini di onere della prova, poi, nella citata sentenza delle Sezioni unite, si è affermato, che “l’onere della prova … è così ripartito: a) all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento; b) al contribuente … fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce”»: così, Cass., sez. VI, 1° giugno 2016, ord. n. 11436, in Boll. Trib. On-line.
(14) Cfr. Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428, con note di AZZONI, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?, DEL TORCHIO, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza, e PERRUCCI, La “sanzione” dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte.
(15) Cfr. COLLI VIGNARELLI, La violazione dell’art. 12 dello Statuto e la illegittimità dell’accertamento alla luce dei princi¬pi di collaborazione e di buona fede, in BODRITO – CONTRINO – MARCHESELLI (a cura di), Consenso, equità e imparzialità nello Statuto del contribuente. Studi in onore del Prof. Gianni Marongiu, Torino, 2012, 499 ss.; AZZONI, Accertamento nullo se notificato, senza congrua motivazione, prima dei 60 giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione, in nota a Comm. trib. prov. di Brescia 11 novembre 2010, n. 535, in Boll. Trib., 2011, 1333; RUSSO, Urgenza dell’accertamento anticipato e altre casistiche giurisprudenziali sul contraddittorio endoprocedimentale tra fisco e contribuente, ivi, 2014, 816; FIORINI, Ancora sulla nullità dell’avviso di accertamento anticipato senza giustificati motivi oggettivi, in nota a Comm. trib. prov. di Aosta 20 dicembre 2013, n. 23, ibidem, 544; PROVENZANO, Notazioni a margine della giurisprudenza di merito sul rispetto del termine dilatorio di 60 giorni per le deduzioni del contribuente riguardo alle operazioni di verifica e per l’emissione dell’avviso di accertamento, in nota a Comm. trib. prov. di Latina 9 agosto 2010, n. 380, e Comm. trib. prov. di Milano 10 maggio 2010, n. 126, ivi, 2011, 623; DE BENEDICTIS, Solo un’adeguata motivazione, in relazione alla particolare urgenza, legittima l’avviso di accertamento emesso anticipatamente, in nota a Cass. 3 novembre 2010, n. 22320, ibidem, 69; BRIGHENTI, Avviso di accertamento anticipato: è nullo se manca la motivazione sull’urgenza, in nota a Corte Cost. 24 luglio 2009, n. 244, ivi, 2009, 1725; TABET, Sospensione del potere impositivo dopo la chiusura delle operazioni di verifica?, e PERONACE, L’invalidità dell’accertamento adottato senza rispettare il termine per le deduzioni del contribuente sulle operazioni di verifica, in nota a Comm. trib. prov. di Cosenza 5 gennaio 2006, n. 158, Comm. trib. prov. di Treviso 28 febbraio 2005, n. 7, e Comm. trib. prov. di Treviso 9 marzo 2005, n. 14, ivi, 2006, risp. 1056 e 1057; N. CHIECHI – F.S. CHIECHI, I diritti del contribuente sottoposto a verifiche fiscali. L’emanazione dell’atto di accertamento prima dei 60 giorni dalla notifica del p.v. di constatazione, ivi, 2004, 256; MARONGIU, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2010, 182; e BASILAVECCHIA, Quando le ragioni di urgenza possono giustificare l’anticipa¬zione dell’accertamento?, in Corr. trib., 2010, 3969.
(16) Cfr. Cass., sez. trib., 15 giugno 2010, ord. n. 14313; e Cass., sez. trib., 30 novembre 2010, ord. n. 24198; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(17) Cfr. Cass. n. 24823/2015, cit.
(18) Per un inquadramento più completo ci sia consentito rinviare ad ACCORDINO, Considerazioni in tema di principio del contraddittorio, alla luce della più recente giurisprudenza, in Riv. dir. trib., 2015, 64.
(19) Cfr. Corte Giust. UE, sez. V, 3 luglio 2014, cause riunite C-129/13 e C-130/13, in Boll. Trib., 2015, 458, con nota di SERRANÒ, Innovativo e sostanziale contributo della Corte di Giustizia europea in tema di contraddittorio endoprocedimentale tributario.
(20) Cfr. Cass., sez. un., 18 settembre 2014, nn. 19667 e 19668, in Boll. Trib., 2014, 1742, con nota di ACCORDINO, Il diritto del contribuente al contraddittorio preventivo nei procedimenti tributari concepito come un principio fondamentale dell’ordinamento la cui violazione determina la nullità dell’atto non preavvisato.
(21) Cfr. Comm. trib. reg. della Toscana, sez. I, 18 gennaio 2016, ord. n. 736, pubbl. in questo stesso fascicolo a pag. 960, con nota di AZZONI, L’applicazione generalizzata del principio del contraddittorio endoprocedimentale ed i profili di incostituzionalità dell’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000: alla Corte Costituzionale l’ardua sentenza.
(22) Cfr. SCALINCI, Lo Statuto e l’“auretta” dei principi che … incomincia a sussurrar: il contraddittorio preventivo per una tutela effettiva e un giusto procedimento partecipato, in Riv. dir. trib., 2014, 883.
(23) Cfr. BEGHIN, Il contraddittorio endoprocedimentale tra disposizioni ignorate e princìpi generali poco immanenti, in Corr. trib., 2016, 479, il quale sottolinea che «il soggetto sottoposto al controllo fiscale finisce per presentarsi, agli occhi dell’Amministrazione finanziaria, come il visconte dimezzato del capolavoro di Italo Calvino o il giano bifronte degli antichi romani: un soggetto a due facce, alle quali dovrebbe corrispondere, chissà per quale ragione, una diversa intensità delle garanzie in fase istruttoria».

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento basato sugli studi di settore o sui parametri per la determinazione di ricavi e compensi – Obbligo di preventivo contraddittorio col contribuente – Sussiste – Termine dilatorio di 60 giorni per l’adozione dell’accertamento previsto dall’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000 – Inapplicabilità all’accertamento standardizzato.

In tema di accertamento standardizzato mediante parametri o studi di settore non è applicabile il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, previsto dal settimo comma dell’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), e decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, essendo già prevista, a pena di nullità, una fase necessaria di contraddittorio procedimentale che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’avviso di accertamento.

[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Bognanni, rel. Perrino), 26 marzo 2015, ord. n. 6054, ric. Grancara Impianti s.r.l. c. Agenzia delle entrate]

IN FATTO – In esito ad un controllo dell’Agenzia delle entrate della dichiarazione fiscale della società, da cui era emerso che l’ammontare dei ricavi dichiarati era sensibilmente diverso da quello derivante dall’applicazione degli studi di settore in relazione all’attività svolta dalla contribuente, e fallito l’accordo volto alla definizione con adesione in seno al contraddittorio appositamente instaurato, l’ufficio ha accertato, ai fini IRES, Iva ed Irap maggiori ricavi, irrogando altresì le relative sanzioni.
La locale Commissione tributaria provinciale ha respinto il ricorso proposto avverso l’avviso e quella regionale ha rigettato l’appello della contribuente, rimarcando, per quanto d’interesse, il regolare svolgimento del contraddittorio e l’inapplicabilità del termine dilatorio di sessanta giorni previsto dall’articolo 12 dello statuto dei diritti del contribuente.
Avverso questa sentenza propone ricorso la società per ottenerne la cassazione, che affida ad un unico motivo, illustrato con memoria, al quale l’Agenzia delle entrate replica con controricorso.

IN DIRITTO – 1. Il ricorso può essere definito in camera di consiglio, risultando manifestamente infondato.
2. L’infondatezza dell’unico motivo di ricorso, proposto ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., col quale la società lamenta la violazione del 7° comma dell’articolo 12 dello statuto dei diritti del contribuente emerge chiaramente, giusta il principio di diritto affermato dalla Corte in fattispecie similare (Cass. 4 aprile 2014, n. 7960(1)), secondo cui «in tema di accertamento standardizzato mediante parametri e studi di settore, non è applicabile il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, essendo già prevista, a pena di nullità, una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’avviso».
2.1. E la sussistenza delle fase necessaria di contraddittorio procedimentale, nella fattispecie regolarmente espletata, rende inapplicabile la giurisprudenza più recente citata in memoria, evidenziando l’inconferenza in relazione al caso in esame degli argomenti sviluppati dall’ordinanza n. 527/15(2) di questa sezione, richiamata dalla società nel corso della discussione orale.
3. Il ricorso va in conseguenza respinto.
3.1. Le spese seguono la soccombenza.
Sussistono i presupposti di applicazione dell’articolo 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002.

P.Q.M. – la Corte: respinge il ricorso e condanna la società contribuente a rifondere le spese di lite sostenute dalla parte costituita, liquidate in euro 3000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Dichiara la sussistenza dei presupposti di applicazione dell’articolo 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002.

(1) In Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 14 gennaio 2015, ord. n. 527, in Boll. Trib., 2015, 138.

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