17 Febbraio, 2017

SOMMARIO: 1. PREMESSA – 2. LA DISCIPLINA AI FINI IRES; 2.1. La normativa a regime; 2.2. La decorrenza della nuova disciplina e le disposizioni per il primo periodo d’imposta; 2.3. Le disposizioni transitorie – 3. LA DISCIPLINA AI FINI IRAP; 3.1. La normativa a regime; 3.2. La decorrenza della nuova disciplina e le disposizioni per il primo periodo d’imposta; 3.3. Le disposizioni transitorie.

1. PREMESSA

Il regime tributario delle rettifiche di valore su crediti operate dagli enti creditizi e finanziari e dalle imprese di assicurazione, che era stato innovato in modo sensibile dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (1), è stato nuovamente modificato con il D.L. 27 giugno 2015, n. 83 (convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132).
In particolare, l’art. 16 del D.L. n. 83/2015 ha sostituito, ai fini IRES, il terzo comma dell’art. 106 del TUIR, prevedendo la deducibilità dell’intero ammontare delle rettifiche di valore dei crediti verso la clientela iscritti a tale titolo in bilancio nell’esercizio in cui sono contabilizzate (primo comma) (2) mentre, ai fini IRAP, ha novellato gli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, stabilendo l’integrale e immediata rilevanza rispettivamente delle «rettifiche e riprese di valore nette per deterioramento dei crediti, limitatamente a quelle riconducibili ai crediti verso la clientela iscritti in bilancio a tale titolo» (per le banche e gli altri enti e società finanziari) e delle «perdite, le svalutazioni e le riprese di valore nette per deterioramento dei crediti, limitatamente a quelle riconducibili a crediti nei confronti di assicurati iscritti in bilancio a tale titolo» (per le imprese di assicurazioni) (art. 16, sesto comma).
Tali modifiche, in virtù di quanto originariamente previsto dal secondo e settimo comma del predetto art. 16, dovevano applicarsi, sia ai fini IRES (secondo comma) che ai fini IRAP (settimo comma), «dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015» e, quindi, per i soggetti che hanno l’esercizio coincidente con l’anno solare, a decorrere dal periodo d’imposta chiuso al 31 dicembre 2015. L’art. 1, comma 852, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (c.d. legge di stabilità 2016) ha, però, sostituito, ai soli fini IRES e non anche IRAP, le parole «in corso al 31 dicembre 2015» con le seguenti «successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014».
Il D.L. n. 83/2015 contiene poi delle disposizioni volte a regolamentare, tanto ai fini IRES (commi 3, 4 e 5) quanto ai fini IRAP (commi 8, 9 e 10), il primo periodo d’imposta di applicazione della nuova disciplina, le quote delle rettifiche di valore operate negli esercizi precedenti e non ancora dedotte nonché le modalità di determinazione degli acconti dovuti per il predetto periodo d’imposta e per i due successivi.
Seppure la nuova disciplina risulti di più semplice applicazione rispetto alle versioni previgenti, la lettera della norma non appare sempre di immediata comprensione, specialmente con riferimento alle disposizioni di carattere transitorio sopra richiamate. Appare utile, pertanto, limitandosi al caso degli enti creditizi e finanziari, procedere con una disamina delle modifiche apportate dall’art. 16 del D.L. n. 83/2015, trattando prima il nuovo regime applicabile ai fini IRES e poi quello ai fini IRAP.

2. LA DISCIPLINA AI FINI IRES

2.1. La normativa a regime

A seguito delle modifiche apportate dal primo comma dell’art. 16 in esame il terzo comma dell’art. 106 del TUIR dispone che: «Per gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87, le svalutazioni e le perdite su crediti verso la clientela iscritti in bilancio a tale titolo e le perdite realizzate mediante cessione a titolo oneroso sono deducibili integralmente nell’esercizio in cui sono rilevate in bilancio. Ai fini del presente comma le svalutazioni e le perdite diverse da quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso si assumono al netto delle rivalutazioni dei crediti risultanti in bilancio».
Al riguardo è possibile osservare come, rispetto alla previgente disciplina, sia rimasto immutato tanto l’ambito soggettivo di applicazione, che risulta essere circoscritto agli enti creditizi e finanziari di cui al D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87 (3), quanto quello oggettivo, che è limitato alle rettifiche di valore dei «crediti verso la clientela iscritti in bilancio a tale titolo» e, in particolare, alle “svalutazioni” e alle “perdite” relative a tali crediti.
Pertanto, stante il medesimo dato letterale della norma, dovrebbero essere tuttora applicabili i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate a commento dell’ambito oggettivo della previgente disciplina (4) con la conseguenza che dovrebbero rientrare nell’ambito di applicazione del citato art. 106, terzo comma, solamente le rettifiche di valore relative agli importi contabilizzati alla voce 70 “Crediti verso clientela” dello Stato Patrimoniale per quanto riguarda le banche e gli altri enti finanziari (5) e alla sottovoce “Crediti verso clientela” della voce 60 dello Stato Patrimoniale per quanto riguarda gli altri intermediari finanziari (6) (7). Non dovrebbero, invece, essere rilevanti i crediti iscritti in altre voci dello Stato Patrimoniale quali, ad esempio, per le banche e gli altri enti finanziari, le “Attività finanziarie valutate al fair value” (voce 30 dello Stato Patrimoniale), le “Attività finanziarie disponibili per la vendita” (voce 40) e le “Attività finanziarie detenute sino alla scadenza” (voce 50) (8).
Inoltre, per l’individuazione delle voci di conto economico a cui si applica la norma in commento si dovrebbe far riferimento, per quanto riguarda le “svalutazioni e le perdite su crediti”, alle rettifiche su crediti contabilizzate nella voce 130, sottovoce a), del Conto Economico per le banche e gli altri enti finanziari oppure nella voce 100 del Conto Economico per gli altri intermediari finanziari, considerando, però, le rettifiche riguardanti il deterioramento dei soli crediti vantati verso la clientela (e non anche quelli verso banche e altri enti finanziari). Per quanto riguarda, invece, le «perdite realizzate mediante cessione a titolo oneroso» dovrebbero assumere rilevanza le perdite su crediti verso la clientela iscritte nella voce 100, sottovoce a), del Conto Economico per le banche e gli altri enti finanziari (9), oppure nella voce 90, sottovoce relativa ai “Crediti” e, in particolare, ai crediti verso la clientela, del Conto Economico per gli altri intermediari finanziari (10).
Risultano, invece, innovate le modalità di deduzione delle rettifiche in parola in quanto, in base alla nuova formulazione della norma, sono deducibili integralmente nell’esercizio in cui sono contabilizzate non solo le perdite realizzate mediante cessione a titolo oneroso, ma anche le svalutazioni e le altre perdite su crediti verso la clientela. In sostanza, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 83/2015, viene meno l’obbligo di suddividere le rettifiche di valore dei crediti verso la clientela fra svalutazioni e perdite diverse da quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso, da un lato, e perdite realizzate mediante cessione a titolo oneroso, dall’altro lato, e di dedurre le prime in quote costanti nell’esercizio in cui sono contabilizzate e nei quattro successivi mentre le seconde integralmente nell’esercizio di contabilizzazione. Infatti, in base alla vigente normativa, entrambe le predette categorie di rettifiche di valore sono integralmente deducibili nell’esercizio in cui sono iscritte in bilancio (11).
Dovrebbe, invece, rimanere ferma la necessità di escludere dall’importo contabilizzato nelle voci 130a o 100 del Conto Economico (rispettivamente per le banche e gli altri enti finanziari e per gli altri intermediari finanziari) (i) le rettifiche di valore riguardanti il deterioramento dei crediti vantati verso i soggetti diversi dalla clientela, stante la loro esclusione dall’ambito di applicazione del citato art. 106, terzo comma (12), e (ii) gli impatti economici relativi agli interessi di mora eventualmente contabilizzati nelle predette voci considerato che tali interessi potrebbero essere non rilevanti nell’esercizio di iscrizione in bilancio in virtù dello speciale regime di imposizione per cassa previsto dall’art. 109, settimo comma, del TUIR.
Inoltre l’integrale e immediata deducibilità delle rettifiche in parola dovrebbe, in primo luogo, semplificare il trattamento di quelle poste di conto economico a cui va applicato il medesimo regime previsto per tali rettifiche. Si pensi, ad esempio, (i) alle perdite e riprese di valore delle partecipazioni acquisite per il recupero di crediti e alle minusvalenze o plusvalenze derivanti dalla cessione di tali partecipazioni, laddove sia stata ottenuta risposta favorevole dall’Amministrazione finanziaria all’interpello presentato ai sensi dell’art. 113 del TUIR (13); (ii) agli utili o alle perdite derivanti dalla valutazione al fair value delle operazioni di copertura dei crediti verso la clientela in applicazione del principio di simmetria previsto dall’art. 112, quarto comma, del TUIR, nonché (iii) all’utilizzo diretto (cioè in contropartita della fuoriuscita delle somme rispettivamente oggetto di revocatoria o di escussione dei c.d. crediti di firma) sia dei fondi accantonati a fronte di rischi e oneri relativi alle azioni revocatorie promosse dalla curatela fallimentare sia delle passività per i c.d. crediti di firma. In precedenza, invece, la deducibilità differita di una parte delle rettifiche di valore iscritte in bilancio obbligava ad applicare il medesimo regime alle predette poste di conto economico.
In secondo luogo, l’integrale deducibilità delle rettifiche di valore nell’esercizio in cui sono rilevate in bilancio comporta l’assenza di componenti negativi di reddito da dedurre negli esercizi successivi, come invece accadeva in base alle previgenti formulazioni della norma (14) (i c.d. settimi, noni, diciottesimi o quinti) (15).
del TUIR, è stato quindi abbandonato il meccanismo, di carattere forfettario, di deduzione delle svalutazioni dei crediti verso la clientela che era stato introdotto con la legge 28 dicembre 1995, n. 549, e che successivamente era stato modificato solamente per variare la misura in cui le rettifiche di valore iscritte in bilancio assumevano rilevanza fiscale immediata (0,5 per cento, 0,6 per cento, 0,4 per cento, 0,3 per cento o, da ultimo, 20 per cento) e il periodo temporale in cui le rettifiche eccedenti la predetta misura dovevano essere dedotte (sette, nove, diciotto o quattro anni). Al riguardo andrebbe chiarito se l’abbandono di tale meccanismo comporti la reviviscenza della possibilità da parte dell’Amministrazione finanziaria di sindacare l’ammontare delle rettifiche di valore iscritte in bilancio e la corretta imputazione temporale di tali rettifiche. In sede di commento della disciplina introdotta dalla legge n. 549/1995, infatti, era stato osservato (16) come con tale disciplina «il legislatore fiscale viene a rinunciare … anche a controllare il “quantum” delle svalutazioni operate affidandosi alle risultanze del bilancio e alle garanzie che tale documento offre nei criteri di redazione» controbilanciando, però, la piena autonomia riconosciuta alle imprese nel determinare il “quantum” deducibile senza più alcun limite con la circostanza che le svalutazioni erano deducibili nell’esercizio di contabilizzazione solamente per una certa percentuale mentre l’eventuale eccedenza era deducibile in quote costanti negli esercizi successivi. Commentando, invece, la disciplina introdotta dalla legge n. 147/2013 era stato evidenziato come fosse teoricamente possibile ritenere che il regime automatico della deduzione delle perdite non da cessione in cinque periodi d’imposta sostituisse il presidio normativo della competenza temporale per tali componenti reddituali (17).
Infine, va osservato come il novellato terzo comma continua, da un lato, a prevedere la categoria delle «perdite realizzate mediante cessione a titolo oneroso» oltre a quella delle «svalutazioni e … [delle altre] perdite su crediti», nonostante nel nuovo assetto normativo tutte le perdite su crediti verso la clientela siano integralmente e immediatamente deducibili (18), e, dall’altro lato, a riportare la precisazione che «le svalutazioni e le perdite diverse da quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso si assumono al netto delle rivalutazioni dei crediti risultanti in bilancio». La circostanza che la norma richiama sia la categoria delle perdite su crediti realizzate mediante cessione a titolo oneroso sia quella delle altre perdite su crediti – che dovrebbero essere quelle che non derivano dal trasferimento del credito in favore di terzi – potrebbe essere il frutto di una precisa scelta di volere continuare, per individuare le rettifiche di valore che ricadono nell’alveo della norma in esame, a fare riferimento alle specifiche voci 100a) e 130a) del Conto Economico redatto dalle banche e dagli altri enti finanziari oppure alle specifiche voci 90 e 100 del Conto Economico predisposto dagli altri intermediari finanziari. Infatti, in sede di commento della previgente disciplina l’Agenzia delle entrate aveva chiarito che per individuare le perdite realizzate mediante cessione a titolo oneroso e le svalutazioni e le altre perdite su crediti si doveva fare riferimento rispettivamente alla voce 100 e alla voce 130 del Conto Economico redatto dalle banche e dagli altri enti finanziari (19). La predetta precisazione che le svalutazioni e le perdite su crediti diverse da quelle realizzate a titolo oneroso devono essere assunte al netto delle rivalutazioni dei crediti appare, invece, superflua all’interno di tale comma considerato che la norma ormai statuisce l’integrale deducibilità delle svalutazioni e delle perdite su crediti e, pertanto, non dovrebbe esservi più la necessità di individuare la parte di tali rettifiche di valore da non assoggettare alla deduzione per quote costanti in quanto compensata con le riprese di valore da valutazione e da incasso (20).

2.2. La decorrenza della nuova disciplina e le disposizioni per il primo periodo d’imposta

In base a quanto previsto originariamente dal secondo comma dell’art. 16 del D.L. n. 83/2015 la nuova disciplina appena descritta doveva applicarsi a decorrere «dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015» e, quindi, per i soggetti con esercizio sociale coincidente con l’anno solare, a decorrere dall’esercizio chiuso al 31 dicembre 2015.
Tale comma però, come già osservato, è stato modificato dall’art. 1, comma 852, della legge n. 208/2015, che ha sostituito le parole «in corso al 31 dicembre 2015» con le seguenti «successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014». Tale modifica, come riportato nella relazione tecnica alla legge n. 208/2015, è stata apportata al fine di «garantire l’applicazione delle misure nel comma 1 del citato articolo 16 (deducibilità delle rettifiche su crediti in un unico periodo d’imposta) del D.L. n. 83 del 2015 anche ai soggetti con periodo d’imposta non coincidente ovvero superiore all’anno solare». Inoltre, la predetta modifica dovrebbe assumere rilevanza per i soggetti che, chiudendo un periodo d’imposta durante il 2015, si trovano ad avere un esercizio intermedio fra quello in corso al 31 dicembre 2014 e quello al 31 dicembre 2015, a seguito, ad esempio, di una modifica della durata dell’esercizio sociale, di un’operazione straordinaria (come in caso di fusione per incorporazione senza retrodatazione degli effetti fiscale al primo giorno successivo alla data in cui si è chiuso il precedente periodo d’imposta) oppure della messa in liquidazione. In assenza di tale modifica, infatti, si sarebbe posto un problema di coordinamento fra la nuova disciplina che sarebbe stata applicabile solamente a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015 e le disposizioni transitorie, di cui si dirà in seguito, che fanno riferimento alle quote di svalutazioni e perdite su crediti iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2014 e non ancora dedotte. Ad esempio, in caso di fusione per incorporazione in data 31 maggio 2015 di una società con esercizio coincidente con l’anno solare e assenza di retrodatazione fiscale al 1° gennaio 2015, si avrebbe avuto un primo periodo d’imposta chiuso al 31 dicembre 2014, un secondo al 31 maggio 2015 e un terzo al 31 dicembre 2015 (assumendo che anche l’incorporante avesse la durata dell’esercizio coincidente con l’anno solare) con la conseguenza che la nuova disciplina sarebbe stata applicabile solamente a decorrere da tale terzo periodo d’imposta, ma le disposizioni transitorie avrebbe fatto riferimento al primo di tali periodi d’imposta.
Pertanto, alla luce delle modifiche apportate dalla legge n. 208/2015, la nuova disciplina si applica a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, che, comunque, salve le ipotesi sopra richiamate, coincide con quello in corso al 31 dicembre 2015.
Va, però, evidenziato come, in virtù di quanto previsto dal terzo comma dell’articolo in commento, l’integrale deducibilità delle svalutazioni e delle perdite su crediti verso la clientela nell’esercizio di contabilizzazione si applica di fatto solamente a decorrere dal periodo d’imposta successivo. Infatti, tale comma stabilisce che per il primo periodo d’imposta le svalutazioni e le perdite su crediti verso la clientela, diverse da quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso, sono deducibili nei limiti del 75 per cento del loro ammontare mentre la rimanente parte è deducibile nei successivi dieci anni in modo scaglionato sulla base di determinate percentuali indicate al quarto comma.
In sostanza, per effetto di tale ultima disposizione, nel primo periodo d’imposta di applicazione del nuovo art. 106, terzo comma, del TUIR – che, per i soggetti aventi l’esercizio coincidente con l’anno solare, è il 2015 – le svalutazioni e le perdite su crediti verso la clientela, diverse da quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso, non sono integralmente deducibili nell’esercizio in cui risultano iscritte in bilancio, come lo saranno nei successivi periodi d’imposta, ma lo sono solamente per il 75 per cento del loro ammontare.
L’eccedenza del 25 per cento, invece, è deducibile in modo scaglionato nei successivi dieci anni sulla base delle specifiche percentuali indicate al quarto comma dello stesso art. 16. Tali percentuali sono le seguenti: 5 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016; 8 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017; 10 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018; 12 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019 e nei successivi cinque periodi d’imposta e 5 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2025. Ciò comporta l’iscrizione delle relative attività per imposte anticipate che, come confermato dalla relazione illustrativa al D.L. n. 83/2015 (21), potranno essere trasformate al verificarsi dei presupposti previsti dalla norma.
Al riguardo, va osservato, in primo luogo, come l’entrata in vigore della disciplina in parola è stata modificata prevedendo che la stessa è applicabile non più dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015, ma dal periodo successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014. Pertanto, per ragioni di ordine logico, l’eccedenza del 25 per cento dovrebbe essere deducibile, con le percentuali sopra indicate, a partire dal secondo periodo successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e per i successivi nove periodi d’imposta (22).
In secondo luogo, l’ammontare delle svalutazioni e delle perdite su crediti a cui applicare la percentuale del 75 per cento dovrebbe essere al netto delle eventuali riprese di valore su crediti contabilizzate nel medesimo esercizio considerato che la disposizione contenuta nel secondo comma fa esplicito riferimento alle svalutazioni e alle perdite di cui al primo comma che stabilisce come «le svalutazioni e le perdite diverse da quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso si assumono al netto delle rivalutazioni dei crediti risultanti in bilancio». In particolare, in base a quanto chiarito dall’Agenzia delle entrate in sede di commento della previgente disciplina (23), sia le riprese di valore da valutazione sia quelle da incasso dovrebbero decrementare l’ammontare delle svalutazioni e delle perdite su crediti verso la clientela, diverse da quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso.
Nel caso in cui, invece, il saldo delle rettifiche/riprese di valore per deterioramento dei crediti verso la clientela, di cui alla voce 130a o 100 del Conto Economico redatto rispettivamente dalle banche e altri enti finanziari e dagli altri intermediari finanziari, fosse positivo – e, quindi, l’ammontare delle riprese di valore fosse superiore a quello delle rettifiche – l’intero importo dovrebbe concorrere a formare il reddito imponibile dell’esercizio dato che la norma fa riferimento solamente alle svalutazioni e alle rettifiche di valore stabilendo per il 25 per cento di tale ammontare la deducibilità nei successivi dieci periodi d’imposta.

2.3. Le disposizioni transitorie

Il passaggio da un regime che prevedeva la deducibilità in forma rateizzata di una parte delle rettifiche di valore su crediti verso la clientela iscritte in bilancio a un altro, secondo cui le predette rettifiche di valore sono immediatamente e integralmente deducibili nell’esercizio di contabilizzazione, reca la questione, di natura transitoria, del trattamento delle rettifiche di valore che sono state contabilizzate in vigenza della precedente normativa e che non sono state però ancora dedotte nel momento in cui inizia l’efficacia del nuovo regime.
A differenza del precedente mutamento di disciplina, previsto dalla legge n. 147/2013, in cui era stato disposto che le svalutazioni già stanziate in bilancio prima dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2013 continuavano a seguire il regime di deduzione applicabile in precedenza per diciottesimi (ai sensi dell’art. 106, terzo comma, del TUIR) o per noni (ai sensi dell’art. 106, comma 3-bis, del TUIR), il quarto comma dell’articolo in esame stabilisce che le quote non ancora dedotte delle rettifiche di valore dei crediti verso la clientela iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2014 sono deducibili in dieci periodi d’imposta per l’importo che deriva dall’applicazione di determinate percentuali specificate dallo stesso comma.
In particolare, il predetto comma dispone che «le svalutazioni e le perdite su crediti … iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2014 e non ancora dedotte ai sensi del comma 3 dell’articolo 106 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo in vigore anteriormente alle modifiche operate dal comma 1 sono deducibili per il 5 per cento del loro ammontare nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016, per l’8 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017, per il 10 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018, per il 12 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019 e fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2024, e per il 5 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2025».
In sostanza, con tale disposizione viene stabilito che per le quote non ancora dedotte delle rettifiche di valore dei crediti verso la clientela iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2014 viene meno l’originario piano di ripartizione temporale applicabile (in diciotto, nove o cinque anni in quote costanti) e che le stesse sono deducibili in dieci periodi d’imposta a partire da quello in corso al 31 dicembre 2016 con quote non costanti (5 per cento, 8 per cento, 10 per cento, …). Tale deduzione dovrebbe operare in modo indistinto e a livello complessivo, non dipendendo né dall’anno di iscrizione in bilancio delle relative rettifiche di valore né dall’originario piano di rientro delle quote deducibili negli esercizi successivi.
Al riguardo va, in primo luogo, evidenziato come il testuale riferimento alla sola formulazione dell’art. 106, terzo comma, del TUIR, in vigore anteriormente alle modifiche operate con il D.L. n. 83/2015, in base al quale le rettifiche in parola erano deducibili in quote costanti nell’esercizio di contabilizzazione e nei quattro successivi, potrebbe fare pensare che quanto previsto dal citato quarto comma sia applicabile unicamente ai c.d. quinti maturati nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2013 e in quello successivo con la conseguenza che rimarrebbe, invece, immutato il profilo temporale di deducibilità dei c.d. diciottesimi e noni maturati fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012, in cui si applicava rispettivamente il comma 3 e il comma 3-bis dell’art. 106 nel testo in vigore anteriormente alle modifiche apportate dalla legge n. 147/2013.
Tuttavia, se si considera che in una precedente versione in bozza del testo di tale comma si faceva riferimento alle «rettifiche e riprese di valore nette di cui al comma 1 iscritte in bilancio dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 e non ancora dedotte ai sensi del comma 3 dell’articolo 106 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo in vigore anteriormente alle modifiche operate dal comma 1» mentre ora si parla di «svalutazioni e le perdite su crediti … iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2014 e non ancora dedotte ai sensi del comma 3 dell’articolo 106 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 nel testo in vigore anteriormente alle modifiche operate dal comma 1» si dovrebbe concludere che la disposizione transitoria in parola sia applicabile anche ai c.d. diciottesimi e noni maturati fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012 e non ancora dedotti.
L’applicabilità della predetta disposizione transitoria anche ai c.d. diciottesimi trova conferma nella relazione illustrativa al D.L. n. 83/2015 dove viene affermato chiaramente come «il restante 25 per cento delle svalutazioni e perdite su crediti relativi al 2015 dovrà cumularsi con le svalutazioni e le perdite su crediti maturate prima del 2015, ossia quelle iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2014 e non ancora dedotte ai sensi dell’articolo 106, comma 3, del TUIR, nelle versioni previgenti (ai fini dell’IRES), le quali prevedevano la deducibilità dei suddetti componenti negativi in diciottesimi se maturate fino al 2012 e in quinti se maturate successivamente».
Inoltre, se tale disposizione è applicabile anche ai c.d. diciottesimi, allora è ragionevole ritenere, per motivi di ordine logico sistematico, che lo debba essere anche ai c.d. noni. Infatti, da un lato, si tratta sempre di rettifiche di valore iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2012 e non ancora dedotte e, dall’altro lato, la lettera del quarto comma non osta a tale estensione. Infatti, tale comma non richiama il terzo comma dell’art. 106 del TUIR, nel testo in vigore anteriormente alle modifiche apportate dalla legge n. 147/2013, che disciplinava il regime dei diciottesimi, negando così implicitamente l’applicabilità delle disposizioni transitorie ai c.d. noni, che erano, invece, regolati dal comma 3-bis del medesimo articolo, ma il terzo comma del predetto art. 106 nel testo in vigore prima delle modifiche introdotte dal D.L. n. 83/2015, secondo cui le rettifiche di valore erano deducibili in cinque quote costanti.
In secondo luogo, considerato che la decorrenza della nuova disciplina è stata modificata dalla legge n. 208/2015 prevedendo che le nuove disposizioni si applichino a decorrere del periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, anziché da quello in corso al 31 dicembre 2015, la prima quota delle rettifiche di valore pregresse dovrebbe essere deducibile nel secondo periodo successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014. Tale periodo coincide con quello in corso al 31 dicembre 2016 tranne nel caso in cui sia intervenuta durante l’anno 2015 una modifica della durata dell’esercizio sociale, un’operazione straordinaria (come in caso di fusione per incorporazione senza retrodatazione degli effetti fiscale al primo giorno successivo alla data in cui si è chiuso il precedente periodo d’imposta) oppure la messa in liquidazione.
La scelta di iniziare a dedurre le rettifiche di valore pregresse nel secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 comporta che nessun importo di tali rettifiche può essere portato in diminuzione dal risultato del primo esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 (e, quindi, per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare, l’esercizio in corso al 31 dicembre 2015). Infatti, come già evidenziato, il quarto comma dell’art. 16 in commento dispone che tali rettifiche concorrano alla formazione del reddito imponibile della società, quale componente deducibile, a decorrere dall’esercizio in corso al 31 dicembre 2016 (rectius, dal secondo periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014).
Appurate le modalità di deduzione delle rettifiche di valore iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2014 e il periodo d’imposta in cui iniziare a dedurre tali rettifiche applicando le predette percentuali rimane da individuare quali siano le rettifiche di valore da assoggettare alla norma transitoria in parola, considerato che il quarto comma fa riferimento alle «svalutazioni e … [alle] perdite su crediti di cui al comma 1 iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2014 e non ancora dedotte ai sensi del comma 3 dell’articolo 106 del testo unico delle imposte sui redditi».
In assenza di qualsiasi trasformazione delle attività per imposte anticipate (“Deferred Tax Assets” o “DTA”) in crediti d’imposta ai sensi del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10), come successivamente modificato e integrato (24), non dovrebbe esservi dubbio che l’importo da riparametrare sia costituito dai c.d. diciottesimi, noni e quinti da dedurre in base all’originario profilo temporale negli esercizi successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014; la norma, infatti, fa riferimento alle «svalutazioni e … perdite su crediti … non ancora dedotte ai sensi del comma 3 dell’art. 106 del testo unico delle imposte sui redditi».
In presenza, invece, di trasformazione delle DTA in crediti d’imposta non è chiaro, stante il silenzio della norma, se l’importo delle rettifiche di valore da riparametrare, applicando le percentuali stabilite dal quarto comma, sia quello al netto o al lordo della parte di tali rettifiche che sarebbero state di competenza degli esercizi successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014, ma sono state annullate in conseguenza dell’avvenuta trasformazione di DTA in crediti d’imposta prima dell’entrata in vigore della norma in commento e, quindi, prima del 27 giugno 2015.
In particolare, secondo una prima interpretazione, l’importo delle rettifiche di valore da riparametrare sarebbe quello che residua dopo l’eventuale trasformazione delle DTA iscritte nel bilancio in corso al 31 dicembre 2014 in conseguenza dell’evidenziazione in tale bilancio di una perdita civilistica, sempre che tale trasformazione sia avvenuta prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina e, quindi, prima del 27 giugno 2015. Secondo tale interpretazione sarebbero oggetto di riparametrazione i c.d. diciottesimi, noni e quinti che si sono formati per effetto di rettifiche di valore iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2014 e che, alla data di entrata in vigore della nuova norma, sono ancora da dedurre ai sensi della previgente disciplina, con l’esclusione, quindi, delle quote che sono state annullate – e, conseguentemente, non sono più deducibili – per effetto dell’avvenuta (prima del 27 giugno 2015) trasformazione di DTA in crediti d’imposta ai sensi del D.L. n. 225/2010. In presenza di tale trasformazione, infatti, come precisato dall’Agenzia delle entrate nella citata circolare n. 37/E/2012, par. 2.1, è necessario annullare le «variazioni in diminuzione a scadenza più prossima per un ammontare a cui corrisponde un’imposta pari alle DTA trasformate, qualsiasi sia l’asset cui si riferiscono o la disposizione fiscale che le abbia generate». Pertanto, stante la possibilità accordata dall’Agenzia delle entrate, in caso di trasformazione parziale dell’ammontare complessivo di DTA rilevanti, di scelta da parte del contribuente di quali variazioni in diminuzione annullare e l’obbligo di tenere evidenza documentale della scelta effettuata (25), sarebbero oggetto di riparametrazione le quote delle rettifiche di valore che, per effetto delle scelte effettuate e documentate, avrebbero dato luogo, alla data di entrata in vigore della nuova norma, a variazioni in diminuzione nei periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014.
Secondo un’altra possibile interpretazione, invece, dato che la norma richiama solamente le quote di rettifiche di valore da dedurre ai sensi del terzo comma dell’art. 106 del TUIR, e che vige il principio dell’unitarietà del periodo d’imposta, sarebbero oggetto di riparametrazione tutte le quote delle predette rettifiche di valore che, in base alla previgente disciplina, avrebbero dato luogo a variazioni in diminuzione nei periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014, considerando anche quelle annullate in conseguenza dell’avvenuta trasformazione di DTA in crediti d’imposta, tanto se tale trasformazione è stata effettuata nel corso dell’anno 2015 quanto negli anni precedenti. Successivamente a tale riparametrazione sarebbe necessario, in conseguenza delle trasformazioni di DTA già operate, annullare le variazioni in diminuzione a scadenza più prossima.
Secondo una terza interpretazione nel computo delle quote di rettifiche di valore da riparametrare andrebbero conteggiate quelle ancora da dedurre, ai sensi del terzo comma dell’art. 106 del TUIR, negli esercizi successivi a quello in corso al 31 dicembre 2014, senza considerare però quelle annullate per effetto di trasformazioni avvenute entro la chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2014. A differenza della precedente interpretazione, pertanto, secondo tale orientamento sarebbero oggetto di riparametrazione anche i c.d. diciottesimi, noni e quinti che, in base alla previgente disciplina, erano stati annullati per effetto della trasformazione delle DTA operata nell’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014. Anche secondo tale tesi, successivamente alla riparametrazione delle rettifiche di valore, sarebbe necessario, in conseguenza però della sola trasformazione delle DTA operata durante l’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, annullare le variazioni in diminuzione a scadenza più prossima.
La prima interpretazione dovrebbe consentire, a differenza delle altre due, di non modificare le scelte effettuate e documentate in precedenza relativamente a quali variazioni in diminuzione annullare a seguito dell’avvenuta trasformazione delle DTA in crediti d’imposta e, pertanto, appare preferibile (26). Considerato comunque che le tre possibili interpretazioni sopra individuate determinano un diverso profilo temporale di deduzione delle rettifiche di valore iscritte in bilancio fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2014 ancora da dedurre, sarebbe auspicabile conoscere l’orientamento dell’Agenzia delle entrate al riguardo.
Nessuna disposizione transitoria, invece, è stata prevista – come del resto in occasione delle modifiche apportate dalla legge n. 147/2013 – per regolamentare il riassorbimento del fondo costituito con accantonamenti dedotti, ai sensi dell’art. 106, quinto comma, del TUIR, fino al periodo d’imposta precedente quello in corso al 31 dicembre 2013 e degli accantonamenti dedotti mediante l’apposito prospetto extra-contabile (c.d. quadro EC) fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2007 di cui all’art. 109, quarto comma, lett. b), terzo, quarto e quinto periodo, del TUIR, nel testo previgente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 33, lett. q), della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
Dovrebbero comunque essere applicabili i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate in sede di commento della previgente disciplina (27) quando ha precisato che «in considerazione della gestione per masse del fondo di cui si tratta, per ragioni di semplificazione, si ritiene che le quote di fondo dedotte, in linea con il precedente meccanismo di riassorbimento, debbano essere utilizzate al momento della rilevazione di perdite su crediti: – derivanti dalla cessione a titolo oneroso dei crediti verso la clientela, deducibili ai sensi della nuova formulazione dell’articolo 106 del TUIR; – derivanti dalla cancellazione dal bilancio di crediti diversi da quelli verso la clientela, deducibili ai sensi della nuova formulazione del comma 5 dell’articolo 101 del TUIR. Tale impostazione, per ragioni di ordine logico sistematico, risulta applicabile anche ai riassorbimenti delle quote di accantonamenti dedotti mediante l’apposito prospetto extracontabile (c.d. quadro EC) di cui all’art. 109, comma 4, lettera b), terzo, quarto e quinto periodo, nel testo previgente alle modifiche apportate dall’articolo 1, comma 33, lettera q), della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Va da sé che tale ripresa a tassazione non si realizza nelle ipotesi in cui il riassorbimento sia stato operato mediante l’affrancamento ai sensi dell’articolo 1, comma 48, della citata legge n. 244 del 2007».
Al riguardo vi è da chiedersi se sia corretto utilizzare le predette quote di fondo costituite con accantonamenti dedotti anche al momento della rilevazione di perdite su crediti diverse da quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso considerato che si tratta comunque di perdite che nella previgente disciplina avrebbero comportato, in presenza dei requisiti di certezza e obiettiva determinabilità di cui all’art. 101, quinto comma, del TUIR, l’utilizzo dei predetti fondi. In altre parole, andrebbe chiarito se l’impostazione data dall’Agenzia delle entrate per “ragioni di semplificazione” possa essere disattesa a fronte di una più puntuale applicazione della norma che, però, richiede una ripartizione fra svalutazioni e perdite dell’importo complessivamente contabilizzato nella voce 130a del Conto Economico redatto dalle banche e dagli altri enti finanziari oppure nella voce 100 del Conto Economico predisposto dagli altri intermediari finanziari.
Per tali fondi, comunque, nonostante l’avvenuta equiparazione in tema di deducibilità delle svalutazioni alle perdite su crediti, dovrebbe sussistere l’obbligo di utilizzo solo in presenza di perdite su crediti e non anche di svalutazioni considerata la diversa natura di tali categorie, stante la provvisorietà delle svalutazioni, e che gli accantonamenti ai predetti fondi rappresentavano di fatto delle ulteriori svalutazioni operate fino a concorrenza del limite fiscale.
Infine, il quinto comma dell’art. 16 in commento stabilisce che «ai fini della determinazione dell’acconto dell’imposta sul reddito delle società dovuto per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015 e per i due periodi d’imposta successivi non si tiene conto delle modifiche operate dai commi da 1 a 4». In sostanza, tale disposizione obbliga i contribuenti a ricalcolare, in sede di determinazione dell’acconto dovuto per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015 e per i due periodi successivi, il reddito imponibile e la relativa imposta applicando la previgente disciplina.
Tuttavia, considerato che, per effetto delle modifiche apportate dalla legge n. 208/2015 la nuova disciplina non si applica più a decorrere dal «periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015», ma dal «periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014», l’obbligo di ricalcolo del reddito imponibile dovrebbe riguardare più correttamente il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e i due successivi.
Tale obbligo, però, per quanto riguarda l’acconto dovuto per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, dovrebbe operare solo in caso di applicazione del c.d. metodo previsionale considerato che con il metodo storico viene presa a riferimento l’imposta dovuta per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 che è già determinata applicando la previgente disciplina.
In sostanza, prendendo a riferimento, ad esempio, l’acconto dovuto per il secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, l’obbligo di ricalcolo dovrebbe comportare la necessità, da un lato, di sterilizzare la variazione in aumento (25 per cento delle rettifiche di valore rilevante in bilancio) operata in base al terzo comma dell’art. 16 in parola al risultato dell’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e, dall’altro lato, apportare le variazioni, in aumento (4/5 delle rettifiche di valore contabilizzate) e in diminuzione (diciottesimi e quinti di competenza), che si sarebbero apportate in base alla previgente disciplina.

3. LA DISCIPLINA AI FINI IRAP

3.1. La normativa a regime

Per effetto delle modifiche apportate dall’art. 16 del D.L. n. 83/2015 all’art. 6 del D.Lgs. n. 446/1997 le «rettifiche e le riprese di valore nette per deterioramento dei crediti, limitatamente a quelle riconducibili a crediti verso la clientela iscritti in bilancio a tale titolo» concorrono alla formazione del valore della produzione integralmente nell’esercizio di rilevazione in bilancio.
Ai sensi della previgente disciplina, invece, che era applicabile a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, le medesime componenti assumevano rilevanza in quote costanti nell’esercizio di contabilizzazione e nei quattro successivi.
Anche ai fini IRAP, pertanto, rispetto alla previgente disciplina, sono rimasti immutati sia l’ambito soggettivo, che è circoscritto alle banche e agli altri enti finanziari indicati nell’art. 1 del D.Lgs. n. 87/1992 (28), a cui si applica il primo comma del citato art. 6 (29), sia l’ambito oggettivo, che è limitato alle rettifiche e alle riprese di valore nette di credito verso la clientela.
Dovrebbero, quindi, stante il medesimo dato letterale della norma, essere applicabili, anche in tale ambito, i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate a commento della previgente disciplina (30) con la conseguenza che dovrebbe assumere rilevanza il saldo, negativo o positivo, iscritto nella voce 130a) del Conto Economico per le banche e gli altri enti finanziari o nella voce 100 del Conto Economico per gli altri intermediari finanziari (31), limitatamente però a quello riconducibile ai crediti verso la clientela iscritti a tale titolo in bilancio e, quindi, ai crediti contabilizzati nella voce 70 dello Stato Patrimoniale per le banche e gli altri enti finanziari oppure nella voce 60 dello Stato Patrimoniale per gli altri intermediari finanziari.
Risultano, invece, innovate le modalità di concorrenza alla formazione del valore della produzione delle componenti in parola in quanto ora assumono rilevanza integralmente nell’esercizio di contabilizzazione e non più in quote costanti nell’esercizio di iscrizione in bilancio e nei quattro successivi, con conseguente assenza di componenti da far rilevare negli esercizi successivi.
Di conseguenza, in base alla nuova disciplina, il saldo delle rettifiche e delle riprese di valore dei crediti verso la clientela concorre integralmente nell’esercizio di contabilizzazione a formare il valore della produzione quale sottraendo in caso di saldo negativo oppure di addendo in caso di saldo positivo.

3.2. La decorrenza della nuova disciplina e le disposizioni per il primo periodo d’imposta

Ai sensi del settimo comma dell’art. 16 del D.L. n. 83/2016, la nuova disciplina si applica ai fini IRAP a decorrere dal «periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015». Tuttavia, considerato che ai fini IRES la decorrenza è stata modificata prevedendo che le nuove disposizioni si applichino a decorrere dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, è ragionevole ritenere, per motivi di ordine logico, che anche ai fini IRAP valga quest’ultima decorrenza. Come già detto, comunque, salve specifiche eccezioni (32), il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 coincide con quello in corso al 31 dicembre 2015.
È inoltre opportuno osservare come, in virtù di quanto stabilito dal successivo ottavo comma, l’integrale concorrenza delle componenti in parola al valore della produzione si applicherà di fatto solamente a partire dal periodo d’imposta successivo. Infatti, il predetto comma stabilisce che per il primo periodo d’imposta di applicazione della nuova disciplina le rettifiche e le riprese di valore nette sono deducibili nel limite del 75 per cento del loro ammontare mentre la rimanente parte è deducibile nei dieci anni successivi, in modo scaglionato sulla base di determinate percentuali indicate al nono comma. Ciò comporta, così come ai fini IRES, l’iscrizione delle relative attività per imposte anticipate che potranno, come confermato dalla relazione illustrativa al D.L. n. 83/2015, essere trasformate al verificarsi dei presupposti previsti dalla norma (33).
In particolare le percentuali di deducibilità applicabili negli anni successivi sono le seguenti: 5 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016; 8 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017; 10 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018; 12 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019 e nei cinque periodi d’imposta successivi e 5 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2025.
Al riguardo va osservato, da un lato, come l’eccedenza del 25 per cento dovrebbe, in realtà, per ragioni di ordine logico, iniziare a essere deducibile nel secondo esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, qualora si ritenga che anche ai fini IRAP il primo periodo d’imposta di applicazione della nuova disciplina è il periodo successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014.
Dall’altro lato, la disposizione in parola disciplina espressamente solamente il caso in cui il saldo della voce di conto economico in cui sono contabilizzate le rettifiche e le riprese nette di valore dei crediti verso la clientela (voce 130a) o voce 100 di CE) sia negativo – e, quindi, concorra a formare il valore della produzione quale componente deducibile – e non anche quando tale saldo sia invece positivo.
La norma, infatti, fa riferimento solamente alle rettifiche e alle riprese di valore nette stabilendo che tali componenti «sono deducibili nei limiti del 75 per cento del loro ammontare. L’eccedenza è deducibile secondo le modalità stabilite al comma 9». Nulla viene detto, invece, nel caso in cui il saldo della voce di conto economico rilevante sia positivo, che si verifica quando l’ammontare delle riprese di valore è superiore a quello delle rettifiche di valore dei crediti verso la clientela.
Si pone, quindi, il dubbio se in tale ipotesi il saldo positivo di tale voce debba concorrere integralmente nell’esercizio di contabilizzazione alla formazione del valore della produzione oppure lo debba fare nel limite del 75 per cento del suo ammontare rinviando il rimanente 25 per cento ai dieci anni successivi sulla base delle predette percentuali.
Secondo una prima possibile interpretazione, che è più aderente alla lettera della norma, l’eventuale saldo positivo risultante dal conto economico dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2015 (rectius, dell’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014) dovrebbe concorrere alla formazione del valore della produzione integralmente in tale esercizio, considerato che, in primo luogo, l’ottavo comma disciplina espressamente solamente il caso in cui le rettifiche di valore eccedano le riprese di valore e, quindi, il saldo della voce costituisca un componente negativo di reddito deducibile e, in secondo luogo, che le riprese di valore fino a concorrenza delle rettifiche di valore assumono di fatto integralmente e immediatamente rilevanza fiscale. Dovrebbe, pertanto, essere applicabile quanto previsto dal sesto comma, essendo l’ottavo comma una disposizione derogatoria rispetto a quanto stabilito nel sesto comma che, però, non sarebbe applicabile nel caso di specie. Secondo un’altra possibile interpretazione, l’eventuale saldo positivo dovrebbe rilevare nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2015 (rectius, nell’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014) solamente per il 75 per cento del suo ammontare e per la rimanente parte negli esercizi successivi in base alle predette percentuali, ciò in modo coerente con quanto succede in caso di saldo negativo e in linea con la previgente disciplina in cui tanto il saldo negativo quanto quello positivo concorreva alla formazione del valore della produzione in cinque esercizi. Sul punto è auspicabile un chiarimento da parte dell’Agenzia delle entrate.

3.3. Le disposizioni transitorie

Così come ai fini IRES, anche ai fini IRAP, viene disciplinata la transizione dal vecchio regime al nuovo delle rettifiche e riprese di valore dei crediti verso la clientela contabilizzate negli esercizi in corso al 31 dicembre 2013 e nei successivi. Il nono comma, infatti, stabilisce che: «le rettifiche, le perdite, le svalutazioni e le riprese di valore nette di cui al comma 6 iscritte in bilancio dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 e non ancora dedotte ai sensi della lettera c-bis) del comma 1 dell’articolo 6 … del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, nel testo in vigore anteriormente alle modifiche operate dal comma 6 sono deducibili per il 5 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016, per l’8 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017, per il 10 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018, per il 12 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019 e nei successivi cinque periodi d’imposta, e per il 5 per cento nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2025».
In sostanza con tale disposizione viene stabilito che i c.d. quinti maturati nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2013 e in quello successivo e non ancora dedotti sono deducibili, in modo indistinto e per massa, a prescindere dall’anno in cui si sono formati, in dieci periodi d’imposta a partire da quello in corso al 31 dicembre 2016 secondo determinate percentuali.
Al riguardo, va osservato, in primo luogo, come stante l’applicabilità anche ai fini IRAP, per ragioni di ordine logico, della nuova decorrenza ai fini IRES introdotta dalla legge n. 208/2015, le rettifiche di valore iscritte in bilancio dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 dovrebbero iniziare a essere deducibili non nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2015, ma più precisamente nel secondo esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014. Tali esercizi, comunque, come già sottolineato, di fatto coincidono, tranne nel caso in cui la società abbia modificato, anche a seguito di un’operazione straordinaria, la durata dell’esercizio sociale e conseguentemente si sia verificata la chiusura di uno o più periodi d’imposta fra quello in corso al 31 dicembre 2014 e quello al 31 dicembre 2015.
In secondo luogo, nonostante la norma faccia riferimento ai periodi d’imposta in corso a specifiche date (31 dicembre 2017, 31 dicembre 2018, 31 dicembre 2019, …), le predette rettifiche dovrebbero essere deducibili nel secondo esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e nei nove esercizi immediatamente successivi, a prescindere dal fatto che tali periodi siano effettivamente in corso a tali date. Infatti, non avrebbe senso posticipare la deducibilità di una o più quote in presenza di periodi d’imposta intermedi che non contengono la data del 31 dicembre. Inoltre, gli importi da dedurre, calcolati applicando le predette percentuali, non dovrebbero essere ragguagliati in caso di periodo d’imposta inferiore o superiore all’anno, considerato che l’Agenzia delle entrate nella citata risoluzione n. 82/E/2003 aveva chiarito che l’importo delle quote di svalutazioni su crediti verso la clientela deducibili negli esercizi successivi ai sensi dell’art. 71 (ora 106), terzo comma, del TUIR, è stabilito in misura fissa indipendentemente dalla durata del periodo d’imposta e, quindi, a prescindere dalla durata dello stesso.
In terzo luogo, si pone anche ai fini dell’imposta in parola la tematica analizzata ai fini IRES, a cui pertanto si fa rinvio, dell’individuazione delle rettifiche di valore a cui applicare le predette percentuali in presenza di trasformazioni di DTA in crediti d’imposta e, in particolare, se siano da considerare le rettifiche di valore al lordo o al netto di quelle che sono state annullate in conseguenza dell’avvenuta trasformazione di DTA in crediti d’imposta ai sensi del D.L. n. 225/2010.
In quarto luogo, la predetta disposizione transitoria si occupa esplicitamente solamente dell’ipotesi in cui il saldo delle rettifiche e delle riprese di valore nette iscritte in bilancio dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 sia un costo da dedurre negli esercizi successivi, ma non anche dell’ipotesi in cui, invece, tale saldo sia positivo, che si verifica quando l’ammontare complessivo delle riprese di valore eccede quello delle rettifiche. Tale comma, infatti, prevede che «le rettifiche, le perdite, le svalutazioni e le riprese di valore nette di cui al comma 6 iscritte in bilancio dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013 e non ancora dedotte … sono deducibili per il …». Si pone, quindi, il dubbio se, nel caso in cui il saldo fra riprese e rettifiche di valore verso la clientela sia positivo, si debba continuare ad applicare la previgente disciplina, facendo concorrere tale saldo al valore della produzione dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2015 (rectius, dell’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014) e dei successivi esercizi secondo l’originario profilo temporale e quantitativo, o sia richiesto, invece, di applicare, in modo coerente, le medesime percentuali previste in ipotesi di saldo negativo, con rilevanza in dieci periodi d’imposta e con quote non costanti (34). L’applicazione della previgente disciplina appare preferibile considerato che la norma transitoria in parola non tratta espressamente tale ipotesi e, quindi, dovrebbe potersi continuare ad applicare in modo ultrattivo la norma previgente – che prevedeva, appunto, la concorrenza delle rettifiche e riprese di valore nette nell’esercizio di rilevazione in bilancio e nei quattro successivi per quote costanti – trattandosi di rapporti già esistenti alla data di entrata in vigore della nuova disciplina che ha abrogato quella precedente. Inoltre, in ottica di semplificazione, considerato che il nono comma in esame sembra far riferimento al valore complessivo delle rettifiche, perdite, svalutazioni e riprese di valore iscritte in bilancio dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, si potrebbe applicare la previgente disciplina solamente alla somma, se positiva, dei saldi rilevati nel bilancio dei vari esercizi in cui era applicabile tale norma, con possibile compensazione fra saldi di segno opposto e conseguente trattamento unitario. Anche per tale aspetto sarebbe auspicabile che l’Agenzia delle entrate facesse conoscere il suo orientamento al riguardo.
Infine, il decimo comma dell’art. 16 del D.L. n. 83/2015 stabilisce che «ai fini della determinazione dell’acconto dell’imposta sulle attività produttive dovuto per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015 e per i due periodi d’imposta successivi non si tiene conto delle modifiche operate dai commi da 6 a 9». In sostanza, tale disposizione obbliga i contribuenti a ricalcolare, in sede di determinazione dell’acconto dovuto per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015 e per i due periodi successivi, il reddito imponibile e la relativa imposta applicando la previgente disciplina.
Tuttavia, considerato che le modifiche apportate ai fini IRES dalla legge n. 208/2015 in tema di decorrenza della nuova disciplina – vale a dire non più a decorrere dal «periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2015», ma dal «periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014» – dovrebbero essere applicabili per ragioni di ordine logico anche ai fini IRAP, il predetto obbligo di ricalcolo del reddito imponibile dovrebbe riguardare più correttamente il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e i due successivi.
Tale obbligo, però, per quanto riguarda l’acconto dovuto per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, dovrebbe operare solo in caso di applicazione del c.d. metodo previsionale (35) considerato che con il metodo storico viene presa a riferimento l’imposta dovuta per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 che è già determinata applicando la previgente disciplina.
In sostanza, prendendo a riferimento, ad esempio, l’acconto dovuto per il secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, l’obbligo di ricalcolo dovrebbe comportare la necessità, da un lato, di sterilizzare la variazione in aumento (25 per cento delle rettifiche di valore rilevante in bilancio) apportata in base al terzo comma dell’art. 16 in parola al risultato dell’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e, dall’altro lato, apportare le variazioni, in aumento (4/5 delle rettifiche di valore contabilizzate) e in diminuzione (quinti di competenza), che si sarebbero apportate in base alla previgente disciplina.

Avv. Stefano Rota

(1) Per una disamina del regime fiscale introdotto dalla legge n. 147/2013 ved. circ. 4 giugno 2014, n. 14/E, in Boll. Trib., 2014, 846; circ. Assonime 30 maggio 2014, n. 18; circ. Assonime 12 giugno 2014, n. 20; e circ. Consorzio studi e ricerche fiscali 26 febbraio 2014, n. 2.
(2) Come precisato dalla stessa relazione illustrativa al D.L. n. 83/2015 tale disposizione si applica anche alle imprese di assicurazioni stante il rinvio dell’art. 16, nono comma, del D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 173, all’art. 71 (ora 106) del TUIR.
(3) Ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, sono definiti enti creditizi e finanziari le banche, le società di gestione del risparmio, le società finanziarie capogruppo di gruppi bancari iscritti nell’apposito albo, le società di intermediazione mobiliare, gli intermediari finanziari, gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento di cui ai Titoli V, V-bis e V-ter del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, nonché le società esercenti altre attività finanziarie indicate nell’art. 59, comma 1, lett. b), del predetto decreto n. 385/1993. Fintanto che l’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 106, comma 3, del TUIR, era limitato ai soli «crediti derivanti dalle operazioni di erogazione del credito alla clientela» la disciplina in parola era di fatto applicabile solamente agli enti creditizi e finanziari che erogavano finanziamenti alla clientela e, quindi, alle banche, alle società di leasing, di factoring, di credito al consumo nonché ogni altro intermediario finanziario che erogava tali finanziamenti. A seguito, invece, della sostituzione del riferimento alle «operazioni di erogazione del credito alla clientela» con quello ai «crediti verso la clientela iscritti in bilancio a tale titolo», operata dalla legge n. 147/2013, e confermata dal D.L. n. 83/2015, la platea degli enti creditizi e finanziari che possono applicare tale norma si è allargata, potendo assumere rilevanza anche i crediti genericamente derivanti dalle prestazioni di servizi produttive di ricavi, purché iscritti in bilancio come crediti verso la clientela. Va, infine, evidenziato come il D.Lgs. n. 87/1992, cui anche altre disposizioni di carattere tributario fanno rinvio per individuare l’ambito oggettivo di applicazione delle stesse – ad esempio l’art. 6 del D.Lgs. n. 446/1997, l’art. 96, comma 5, del TUIR, l’art. 2, comma 2, del D.L. 30 novembre 2013, n. 133 (convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 2014, n. 5), nonché, da ultimo, l’art. 1, commi 65 e 66, della legge n. 208/2015 – è stato abrogato dal D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 136, con cui è stata attuata la Direttiva 2013/34/UE relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese.
(4) Cfr. circ. n. 14/E/2014, cit. In senso conforme si esprime R. PARISOTTO, Modificato il regime IRES e IRAP di svalutazione e perdite su crediti delle banche, in Corr. trib., 2015, 2327, in considerazione della continuità della norma in commento rispetto alla legge n. 147/2013.
(5) Cfr. Il bilancio bancario: schemi e regole di compilazione, circ. 22 dicembre 2005, n. 262, aggiornata integralmente in data 21 gennaio 2014, edito da Banca d’Italia e applicabile alle banche iscritte nell’albo di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 385/1993 e gli enti finanziari di cui all’art. 1, comma 1, lett. c), del D.Lgs. n. 87/1992.
(6) Cfr. Istruzioni per la redazione dei bilanci e dei rendiconti degli Intermediari finanziari ex art. 107 del TUB, degli Istituti di pagamento, degli IMEL, delle SGR e delle SIM, emanate da Banca d’Italia in data 21 gennaio 2014.
(7) Seppure l’Agenzia delle entrate nella circ. n. 14/E/2014, cit., richiami solamente gli schemi di bilancio stabiliti per le banche e gli altri enti finanziari dalla Banca d’Italia e, quindi, solo le voci 70 “Crediti verso clientela” dello Stato Patrimoniale e 130a) e 100a) del Conto Economico, l’art. 106, comma 3, del TUIR, non può che essere applicabile anche alle rettifiche di valore contabilizzate nelle voci 100 e 90 del Conto Economico relative ai “Crediti verso clientela” iscritti nella voce 60 dello Stato Patrimoniale dagli altri intermediari finanziari (quali, ad esempio, le società di leasing, le società di factoring, le società di intermediazione mobiliare e le società di gestione del risparmio), che ricadono nella definizione di enti creditizi e finanziari di cui al D.Lgs. n. 87/1992, in quanto altrimenti si avrebbe un’ingiustificata disparità di trattamento e non avrebbe senso il richiamo contenuto nell’art. 106, comma 3, del TUIR, agli enti creditizi e finanziari in genere.
(8) Cfr. circ. n. 14/E/2014, par. 2.1, cit.
(9) In tal senso si esprime circ. n. 14/E/2014, par. 2.1, cit.
(10) Cfr. nota 9.
(11) Un’eccezione all’integrale e immediata deducibilità delle rettifiche di valore dei crediti verso la clientela si potrebbe avere nel caso di svalutazioni operate in corso d’anno che si riferiscono a crediti oggetto nel medesimo esercizio di conferimento, scissione o fusione senza retrodatazione fiscale, qualora si ritenga che tali rettifiche non possano assumere, anche dopo le modifiche apportate dalla legge n. 147/2013, rilevanza in capo alla società conferente, scissa o incorporata né come svalutazioni, in considerazione del fatto che i relativi crediti non risultano iscritti nel bilancio dell’esercizio in cui sono rilevate tali rettifiche, né come perdite su crediti stante il regime di neutralità fiscale che caratterizza tali operazioni. I conferimenti d’azienda, infatti, così come le fusioni e le scissioni, non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze rispettivamente ai sensi degli artt. 176, comma 1, 172, comma 1, e 173, comma 1, del TUIR. Sulla qualificazione come perdite su crediti delle svalutazioni operate in corso d’esercizio, cfr. ris. 20 ottobre 2014, n. 92/E, in Boll. Trib., 2014, 1480; e in dottrina M. LEO, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Milano, 2014, 1811. Inoltre, sempre in vigenza di una precedente versione dell’art. 106 del TUIR, era stato osservato dapprima come «la presenza dei crediti svalutati nel bilancio è una condizione necessaria, ai sensi del disposto di cui all’art. 106, comma 3, del TUIR, ai fini del riconoscimento fiscale delle svalutazioni su crediti» e poi come le svalutazioni operate in corso d’anno di crediti oggetto di conferimento nel corso dello stesso esercizio assumono rilievo non in capo al conferente, ma al conferitario (così parere ABI 8 settembre 2006, n. 952).
(12) Le rettifiche relative a crediti diversi da quelli iscritti in bilancio verso la clientela dovrebbero essere deducibili solamente ai sensi e alle condizioni dell’art. 101 del TUIR (in senso conforme, M. LEO, op. cit., 1799). Le svalutazioni di tali crediti, infatti, non dovrebbero essere deducibili considerato che non rientrano nel campo di applicazione del comma 3 dell’art. 106 del TUIR, in quanto vantati nei confronti di soggetti diversi dalla clientela, né dovrebbero poter rientrare in quello del comma 1 del medesimo articolo dato che, a seguito delle modifiche recate dalla legge 28 dicembre 1995, n. 549, le disposizioni contenute in tale comma dovrebbero essere applicabili solamente nei confronti dei soggetti diversi dagli enti creditizi e finanziari di cui al D.Lgs. n. 87/1992, per i quali, invece, è riservato il regime dettato dal comma 3 di tale articolo. Infatti, dalla lettura delle istruzioni al modello Unico 2014 (2013) – che è l’ultimo modello a riportare il prospetto dei crediti per gli enti creditizi e finanziari – si ricava che la sessione da compilare per l’indicazione delle svalutazioni deducibili ai sensi del comma 1 dell’art. 106 del TUIR, è riservata ai soggetti diversi dagli enti creditizi e finanziari e dalle imprese di assicurazione, i quali, invece, devono compilare un’altra sezione del medesimo prospetto. Ciò trova anche conferma nella circ. n. 14/E/2014, par. 2.1, cit., dove l’Agenzia delle entrate ha precisato che per i crediti che non rientrano nell’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 106, comma 3, del TUIR, «le relative rettifiche di valore saranno riconducibili alle disposizioni di cui al comma 5 dell’art. 101 del TUIR».
(13) Cfr. circ. 3 agosto 2010, n. 42/E, in Boll. Trib., 2010, 1236.
(14) In base alle previgenti formulazioni dell’art. 106, comma 3, del TUIR, infatti, solamente una parte delle rettifiche di valore era deducibile nell’esercizio in cui erano rilevate in bilancio mentre la rimanente parte era deducibile, in quote costanti, negli esercizi successivi. In particolare, prima delle modifiche apportate dalla legge n. 147/2013, «le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio … sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,30 per cento del valore dei crediti risultanti in bilancio, aumentato dell’ammontare delle svalutazioni dell’esercizio. L’ammontare complessivo delle svalutazioni che supera lo 0,30 per cento è deducibile in quote costanti nei diciotto esercizi successivi» mentre dopo tali modifiche «le svalutazioni e le perdite su crediti verso la clientela iscritti in bilancio a tale titolo, diverse da quelle realizzate mediante cessione a titolo oneroso, sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono contabilizzate e nei quattro successivi. Le perdite su crediti realizzate mediante cessione a titolo oneroso sono deducibili integralmente nell’esercizio in cui sono rilevate in bilancio».
(15) Si tratta, come chiarito dalla stessa Agenzia delle entrate, di posizioni soggettive (cfr. ris. n. 92/E/2014, cit.), che, costituendo componenti negativi di reddito autonomi, non interferiscono più con le vicende successive dei crediti (cfr. ris. 1° aprile 2003, n. 82/E, in Boll. Trib. On-line) e che devono continuare ad assumere rilevanza fiscale secondo l’originaria cadenza temporale (sette, nove, diciotto o quattro anni successivi) anche se i crediti a cui, in modo analitico o forfetario, afferiscono sono stati incassati o ceduti (cfr. circ 1° agosto 2013, n. 26/E, in Boll. Trib., 2013, 1254; e ris. n. 92/E/2014, cit.). In particolare, con la predetta ris. n. 92/E/2014 è stato precisato che «le quote non dedotte nell’esercizio in cui la svalutazione su crediti è contabilizzata … non rappresentano un credito del contribuente nei confronti dell’erario, ma esclusivamente una posizione giuridica soggettiva, che esplicherà i propri effetti nella misurazione del reddito dei futuri periodi di imposta attraverso le corrispondenti variazioni in diminuzione». Va, poi, ricordato che nelle previgenti formulazioni dell’art. 106 (già art. 71), comma 3, del TUIR, le svalutazioni su crediti si consideravano immediatamente riconosciute ai fini fiscali, determinando l’allineamento del valore fiscale dei crediti verso la clientela al relativo valore contabile, ancorché le stesse assumessero rilevanza fiscale, quali componenti negativi di reddito, in modo ripartito nel tempo. Trattandosi di posizioni soggettive, i c.d. settimi, noni, diciottesimi o quinti dovrebbero essere, in caso di scissione, alla luce anche di quanto previsto espressamente dalla norma in tema di plusvalenze rateizzate ai sensi dell’art. 86 del TUIR, ripartiti fra la società scissa, che le ha generate, e la o le società beneficiarie in proporzione delle rispettive quote di patrimonio netto contabile trasferite o rimaste ai sensi dell’art. 173, comma 4, del TUIR, considerato che tali posizioni sono slegate, come già evidenziato, dalle successive vicende dei crediti verso la clientela da cui originano, anche nell’ipotesi di dismissione dell’intero comparto, e, pertanto, non dovrebbero poter essere qualificati come posizioni connesse specificatamente a o per insiemi agli elementi del patrimonio scisso (in senso conforme M. CONFALONIERI, Trasformazione, fusione, conferimento, scissione e liquidazione di società, Milano, 2015, 691; M. DI SIENA, La scissione. Aspetti fiscali, in G. CRISTOFORI (a cura di), Operazioni di finanza straordinaria, Milano, 2010, 828; M. DI SIENA, La scissione di società, in E. DELLA VALLE – V. FICARI – G. MARINI (a cura di), Il regime fiscale delle operazioni straordinarie, Torino, 2009, 185). In caso di fusione, invece, la società incorporante o risultante dalla fusione dovrebbe subentrare nel diritto di dedurre i c.d. settimi, noni, diciottesimi e quinti generati in capo alla società incorporata considerato che, da un lato, la società risultante dalla fusione o l’incorporante subentra dalla data in cui ha effetto la fusione, ai sensi dell’art. 172, comma 4, del TUIR, negli obblighi e nei diritti delle società fuse o incorporate relativi alle imposte sui redditi e, dall’altro lato, le posizioni soggettive rappresentano, ad avviso dell’Agenzia delle entrate (cfr. ris. 19 marzo 2002, n. 91/E, in Boll. Trib. On-line), ogni situazione giuridica attiva e passiva generata dalla normativa sulle imposte dirette e cioè anche quelle situazioni di potere e di dovere che avrebbero spiegato effetto nella misurazione del reddito della società oggetto di operazione straordinaria nei periodi d’imposta successivi a tale operazione. In caso di cessione di azienda o ramo d’azienda, che comprende anche i crediti verso la clientela che hanno generato rettifiche di valore da dedurre negli esercizi successivi, il cedente, come precisato nella ris. n. 92/E/2014, cit., deve continuare a dedurre tali posizioni soggettive secondo l’originaria cadenza temporale, non essendo legittimato ad apportare nell’esercizio di cessione dei crediti una variazione in diminuzione per l’intero importo residuo di tali componenti; ciò, ragionevolmente, anche qualora successivamente venga meno la qualifica di ente creditizio e finanziario della società che ha generato tali posizioni dato che si tratta di un diritto acquisito che prevede la deducibilità in quote costanti secondo una specifica cadenza temporale. In ipotesi, infine, di conferimento di azienda o ramo d’azienda, tali componenti non dovrebbero poter essere trasferiti alla conferitaria, considerato che si tratta, come sopra evidenziato, di posizioni soggettive slegate dalle successive vicende dei crediti da cui originano e che, come puntualizzato dalla stessa Agenzia delle entrate (cfr. ris. 22 maggio 2007, n. 110/E, in Boll. Trib., 2007, 1621; e ris. 18 agosto 2009, n. 227/E, in Boll. Trib. On-line), il conferimento di azienda, sebbene usufruisca del regime di neutralità fiscale, non è assimilabile ad un’operazione di fusione o scissione per le quali vige il principio di successione universale delle società risultanti dalle operazioni stesse in tutte le posizioni soggettive delle società fuse, incorporate o scisse, ma prevede una successione fiscale limitata, in conformità all’oggetto del conferimento, agli elementi attivi e passivi che compongono l’azienda conferita (in senso conforme si esprime l’ABI nella circ. 30 marzo 1998, n. 7, par. 3.2.5.2, emessa a commento delle disposizioni introdotte dal D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, dove sottolinea come l’ammontare delle rettifiche di valore che è deducibile negli esercizi successivi in quanto eccedente il limite fiscale «non rientr[a] tra gli elementi dell’attivo e del passivo dell’azienda conferita. Dette eccedenze infatti, se pure maturate tenendo conto dei crediti poi conferiti, rappresentano elementi rilevanti ai soli fini della definizione della situazione fiscale della società conferente, in quanto tali destinati ad esaurire la loro funzione nell’ambito delle obbligazioni tributarie della medesima»).
(16) Cfr. circ. Assonime 10 maggio 1996, n. 50.
(17) Cfr. M. LEO, op. cit., 1806.
(18) Ancorché a seguito delle modifiche apportate dalla norma in commento tanto la categoria delle «perdite su crediti realizzate mediante cessione a titolo oneroso» quanto quelle delle “svalutazioni” e delle altre “perdite su crediti” siano deducibili integralmente nell’esercizio di iscrizione in bilancio, dovrebbe essere comunque necessario, in presenza di fondi costituiti con accantonamenti dedotti ai sensi dell’art. 106, comma 5, del TUIR, oppure ai sensi dell’art. 109, comma 4, lett. b), terzo, quarto e quinto periodo (in vigore fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2007), del TUIR, continuare a inquadrare le rettifiche di valore iscritte in bilancio in una di tali categorie e tenerne separata evidenza dato che, come sarà meglio descritto nel successivo par. 2.3, le perdite su crediti, a differenza delle svalutazioni, non sono deducibili fino a concorrenza di tali accantonamenti. In assenza, invece, di tali fondi, non dovrebbe essere più necessario operare tale inquadramento considerato che a tali categorie, come già rilevato, è riservato il medesimo trattamento; ad esempio, in caso di svalutazione di un credito verso la clientela in corso d’anno e successiva cessione del credito prima della chiusura dell’esercizio, la rettifica di valore iscritta in bilancio dovrebbe essere immediatamente e integralmente deducibile a prescindere dalla qualificazione come svalutazione o come perdita dell’importo contabilizzato.
(19) Cfr. circ. n. 14/E/2014, parr. 2.2 e 2.3, cit.
(20) Sulla rilevanza nell’ambito della previgente disciplina sia delle riprese da valutazione che di quelle da incasso ai fini dell’individuazione degli importi da computare in diminuzione dalle rettifiche di valore da dedurre in via frazionata in quinti, cfr. circ. n. 14/E/2014, par. 2.2, cit.
(21) La relazione illustrativa al D.L. n. 83/2015 precisa, infatti, che: «la modifica legislativa incide sulle imposte anticipate (DTA). Mentre in base alla legislazione previgente, ricorrendone le condizioni, la deducibilità in cinque quote costanti annuali poteva generare imposte anticipate (DTA iscrivibili in bilancio relativamente ai quattro quinti e la cui deducibilità fiscale doveva essere rinviata agli esercizi successivi), con la modifica legislativa, consentendosi la deducibilità integrale nell’anno di iscrizione delle svalutazioni e perdite su crediti, non si genereranno più DTA. Tuttavia, limitatamente al 2015 la quota del 25 per cento delle svalutazioni e perdite su crediti la cui deducibilità è sospesa continua a generare DTA trasformabili in credito di imposta». In assenza di tale precisazione, si sarebbe posto il dubbio della trasformabilità di tale quota dato che il comma 55 dell’art. 2 del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10), fa riferimento alle DTA iscritte a fronte di rettifiche di valore di cui all’art. 106 del TUIR, mentre l’iscrizione delle DTA sulla quota del 25 per cento discende dall’art. 16 del D.L. n. 83/2015.
(22) Sebbene il comma 4 dell’art. 16 in esame per l’individuazione dei periodi d’imposta in cui dedurre il predetto 25 per cento e le quote non ancora dedotte delle rettifiche di valore pregresse faccia riferimento a periodi d’imposta in corso a specifiche date (31 dicembre 2016, 31 dicembre 2017, …), tali periodi dovrebbero essere i dieci periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2015 (rectius, successivi al periodo d’imposta che segue quello in corso al 31 dicembre 2014) considerato che altrimenti potrebbe non esservi continuità nella deduzione di tali quote; ciò dovrebbe valere anche se la durata dei successivi periodi d’imposta fosse inferiore o superiore a 12 mesi considerato che, in base a quanto chiarito dall’Agenzia delle entrate nella ris. n. 82/E/2003, cit., la quota delle rettifiche di valore su crediti verso la clientela iscritte in un esercizio precedente è deducibile negli esercizi successivi in misura fissa indipendentemente dalla durata del periodo d’imposta. Pertanto, nel caso di modifica della durata dell’esercizio sociale con anticipazione della chiusura, per esempio dal 31 dicembre 2017 al 31 ottobre 2017, la seconda quota delle rettifiche in parola dovrebbe essere deducibile nel periodo d’imposta chiuso al 31 ottobre 2017 mentre la terza in quello chiuso al 31 ottobre 2018 (che è l’esercizio in corso al 31 dicembre 2017). Una diversa interpretazione comporterebbe la deduzione della seconda quota solamente nel periodo d’imposta chiuso al 31 ottobre 2018, in quanto in corso alla data del 31 dicembre 2017, senza alcuna deduzione nell’esercizio 1° gennaio – 31 ottobre 2017 perché non comprendente la data del 31 dicembre.
(23) Cfr. circ. n. 14/E/2014, par. 2.2, cit.
(24) Sulla disciplina della trasformazione in crediti d’imposta delle attività per imposte anticipate prevista dai commi 55-58 dell’art. 2 del D.L. n. 225/2010, come successivamente modificati e integrati, cfr. circ. 28 settembre 2012, n. 37/E, in Boll. Trib., 2012, 1406; circ. 16 giugno 2014, n. 17/E, ivi, 2014, 1095; circ. ABI, serie tributaria, 4 ottobre 2011, n. 15; circ. Assonime 5 novembre 2013, n. 33; circ. Assonime 25 luglio 2014, n. 24; circ. Assonime 12 giugno 2014, n. 20; circ. Consorzio studi e ricerche fiscali 6 giugno 2014, n. 4; nonché in dottrina S. ROTA, La trasformazione in crediti d’imposta delle attività per imposte anticipate alla luce dei chiarimenti forniti con la circolare 28 settembre 2012, n. 37/E, in Boll. Trib., 2013, 169 ss.
(25) Cfr. circ. n. 14/E/2014, par. 2.1, cit.
(26) Sul punto è stato osservato, così R. PARISOTTO, Il regime fiscale dei crediti bancari, in Strumenti finanziari e fiscalità, 2015, n. 20, 58, come «sarebbe da seguire un criterio sostanziale considerando che nella contabilità aziendale nel momento in cui la DTA è stata trasformata essa è stata puntualmente identificata – leggasi attribuita ad una fattispecie – non essendo ragionevolmente immaginabile che ciò avvenga in un momento successivo e quindi imponendo scelta successiva soprattutto laddove esistano anche altre fattispecie di DTA trasformabili es. su attività immateriali».
(27) Cfr. circ. n. 14/E/2014, cit.
(28) Cfr. nota 5.
(29) Il comma 1 dell’art. 6 del D.Lgs. n. 446/1997 è applicabile alle banche e gli altri enti e società finanziari indicati nell’art. 1 del D.Lgs. n. 87/1992, ad esclusione di quei soggetti per i quali l’art. 6 prevede una specifica modalità di determinazione del valore della produzione che sono le società di intermediazione mobiliare e gli intermediari, diversi dalle banche, abilitati allo svolgimento dei servizi indicati nell’art. 1 del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (comma 2), le società di gestione dei fondi comuni di investimento (comma 3) e le società di investimento a capitale variabile (comma 4).
(30) Cfr. circ. n. 14/E/2014, cit.
(31) Cfr. nota 9.
(32) Cfr. par. 2.2.
(33) Cfr. nota 23.
(34) L’ipotesi di far concorrere integralmente nell’esercizio in corso al 31 dicembre 2015 (rectius, nell’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014) l’eventuale sbilancio complessivo positivo non dovrebbe essere percorribile considerato che non è prevista né nella norma previgente né dalla norma transitoria.
(35) L’applicabilità del c.d. metodo previsionale anche ai fini IRAP discende dall’art. 30, comma 3, del D.Lgs. n. 446/1997, in base al quale: «nel periodo d’imposta per il quale la dichiarazione deve essere presentata sono dovuti acconti dell’imposta ad esso relativa secondo le disposizioni previste per le imposte sui redditi. Gli acconti sono versati con le modalità e nei termini per queste stabiliti».

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