18 Giugno, 2019

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1. Premessa

La pronuncia in rassegna ha ad oggetto la vicenda di un soggetto di nazionalità russa, iscritto nei registri della popolazione residente del Comune di Milano dove abitava con la convivente nel cui appartamento aveva eletto la residenza italiana, al quale l’Amministrazione finanziaria italiana ha contestato l’omesso pagamento dell’imposta sui rendimenti degli investimenti effettuati all’estero (gli anni di riferimento sono il 2002, il 2003 e il 2004), nonché la relativa omessa presentazione del modello RW. A parere dell’Ufficio finanziario, infatti, il cittadino russo doveva considerarsi residente in Italia con tutte le conseguenze del caso, anche in relazione alle somme prodotte all’estero. Il contribuente si era difeso in primo e in secondo grado eccependo di essere residente in Russia e non in Italia, considerato che aveva la proprietà di un appartamento in Russia dove si era trattenuto per un periodo di almeno 183 giorni per ciascuna annualità. In primo e in secondo grado i giudici di merito avevano aderito alla ricostruzione offerta dal contribuente.
Nel giudizio di terzo e ultimo grado l’Amministrazione finanziaria impugna la sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano contestando, in sostanza, l’interpretazione offerta dai giudici di merito per i quali la titolarità di un immobile in Russia avrebbe integrato quella nozione di abitazione permanente che rappresenta uno dei criteri utilizzati dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni siglata tra Italia e Federazione Russa per dirimere i casi di doppia residenza.

2. Il principio del world wide income taxation

La questione ben esprime quella eventualità, oramai sempre più frequente, che un medesimo soggetto possa essere considerato residente, ai fini fiscali, da una pluralità di Stati con tutte le conseguenze che ne derivano.
Com’è noto, nella tassazione individuale il collegamento territoriale con l’ente impositore assume un ruolo fondamentale: la legislazione tributaria opera in via esclusiva nel territorio statale (c.d. principio di esclusività) e ciò consente, da un lato, che uno Stato possa assoggettare ad imposizione le fattispecie che hanno trovato attuazione sul proprio territorio nazionale, anche se poste in essere da soggetti che con esso (ad esempio gli stranieri) non abbiano vincoli di collegamento particolarmente stabili e, dall’altro, che esso possa assoggettare a tassazione anche fattispecie che hanno trovato attuazione all’estero, se poste in essere da soggetti che con esso presentino un collegamento sufficientemente stabile (come, ad esempio, i soggetti residenti).
Ai fini fiscali, quindi, la cittadinanza di solito non assume un particolare rilievo, mentre la valenza spaziale delle norme tributarie fa sì che sia la residenza il principale criterio di collegamento che giustifica la tassazione all’interno o all’esterno dei confini territoriali di ciascuno Stato (1). La maggior parte dei Paesi industrializzati, infatti, per le imposte sui redditi utilizza il criterio della tassazione dell’utile mondiale (il c.d. principio del world wide income taxation) che prevede la tassazione dei residenti per i redditi ovunque prodotti. D’altro canto, questi stessi Stati non rinunciano ad esercitare la loro potestà impositiva anche nei confronti di coloro che, pur non presentando un vincolo stabile con il loro territorio (c.d. non residenti), sullo stesso producono, seppure occasionalmente, un reddito (c.d. criterio della fonte). La generalizzata applicazione del principio del world wide income taxation da parte dei moderni sistemi impositivi fa sì che uno stesso fatto possa assumere rilievo in relazione a più Stati, originando un potenziale “conflitto positivo di tassazione” che potrebbe integrare un fenomeno di doppia imposizione internazionale per combattere il quale gli Stati stipulano trattati internazionali contro le doppie imposizioni. Questi atti solitamente vengono conclusi sulla falsariga del modello OCSE che, elaborato originariamente fra il 1956 e il 1963, è stato oggetto di aggiornamento nel 2014 (2). A seconda delle tipologie reddituali interessate questi accordi prevedono la possibilità che entrambi gli Stati prelevino un’imposta sullo stesso reddito (c.d. tassazione concorrente) oppure la tassazione esclusiva da parte di uno solo degli Stati. Per le principali categorie di reddito (come ad esempio i redditi di capitale – quali dividendi, interessi e royalties – e gli stipendi) (3) la disciplina convenzionale utilizza il criterio dello Stato del beneficiario prevedendo, cioè, la tassazione definitiva nel Paese di residenza del beneficiario; in alcuni casi, però, la possibilità di tassare viene riconosciuta anche allo Stato in cui è residente il soggetto erogante (c.d. criterio dello Stato della fonte), ma in limiti predeterminati che si concretizzano, in sostanza, nella previsione di aliquote prestabilite che, nella maggior parte dei casi, sono più basse rispetto a quelle vigenti negli ordinamenti nazionali.
Ai sensi dell’art. 1 del citato modello OCSE le rispettive Convenzioni trovano applicazione nei confronti dei soggetti che sono residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti. L’art. 2 ne precisa l’ambito di applicazione alle imposte sul reddito e sul patrimonio (4), l’art. 3 detta le regole interpretative di cui bisogna fare applicazione nell’applicazione delle Convenzioni, ed è l’art. 4 a fornire la definizione di “residenti in uno Stato contraente”.
Ai sensi di quest’ultima disposizione è considerato residente ogni soggetto che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettato ad imposta nello stesso Stato, in ragione del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga; la circostanza che sia la normativa nazionale a definire la residenza di un soggetto nello Stato, può fare sì che un medesimo soggetto sia qualificato come residente in più di uno Stato. Proprio in considerazione di una simile evenienza il secondo paragrafo dell’art. 4 introduce una serie di tie breaker rules per risolvere la questione.
In particolare:
a) l’individuo può considerarsi residente dello Stato contraente nel quale ha un’abitazione permanente (permanent home); nel caso in cui disponga in entrambi gli Stati di un’abitazione permanente, l’individuo è considerato residente nello Stato in cui le relazioni personali ed economiche sono più strette (il c.d. centro degli interessi vitali);
b) se non si può determinare lo Stato in cui l’individuo ha il centro degli interessi vitali o se lo stesso non ha un’abitazione permanente in alcuno dei due Stati, è considerato residente dello Stato contraente in cui soggiorna abitualmente (habitual abode);
c) se l’individuo soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati contraenti ovvero non soggiorna abitualmente in alcuno di essi, è considerato residente dello Stato del quale ha la nazionalità;
d) se l’individuo ha la nazionalità di entrambi gli Stati contraenti o se non ha la nazionalità di alcuno di essi, la questione deve essere risolta di comune accordo dai due Stati.
L’elencazione è espressione di un ordine gerarchico, nel senso che ai fini della loro applicazione i criteri non sono tra di loro alternativi.
L’interpretazione delle tie breaker rules va effettuata alla luce dei criteri interpretativi di cui all’art. 3, secondo comma, del modello di Convenzione OCSE, a norma del quale «le espressioni non diversamente definite hanno il significato che ad esse è attribuito dalla legislazione di detto Stato relativa alle imposte oggetto dell’Accordo, a meno che il contesto non richieda una diversa interpretazione» (5).

3. La Convenzione Italia-Russia

Le disposizioni del modello di Convenzione OCSE sopra ricordate trovano applicazione nel caso di specie, considerato che l’Italia ha stipulato con la Russia una Convenzione contro le doppie imposizioni che di quel modello fa un’applicazione pressoché letterale (6). Nel caso sottoposto all’esame dei Supremi Giudici, il contribuente, un cittadino russo, in forza delle normative interne (quella russa e quella italiana) poteva definirsi residente in entrambi gli Stati considerato che, da una parte, era stata fornita la prova di un soggiorno in Russia per almeno 183 giorni e che, dall’altra, lo stesso cittadino russo aveva la residenza in Italia dove era iscritto nell’anagrafe della popolazione residente (7).
Alla luce delle tie breaker rules più sopra riportate, e che trovano applicazione ai sensi dell’art. 4 della Convenzione Italia-Russia, la questione avrebbe dovuto essere decisa, in primis, individuando lo Stato in cui il contribuente disponeva di un’abitazione permanente. Ebbene, la Commissione tributaria provinciale prima e quella regionale poi avevano ritenuto che la titolarità di un immobile in Russia fosse idonea a definire in quello stesso Stato la presenza di un’abitazione permanente; non attribuendo rilievo alcuno alla circostanza che il cittadino russo, in forza del rapporto di convivenza con una cittadina italiana, avesse la disponibilità di un immobile anche in Italia (dove peraltro aveva eletto la propria residenza italiana). L’Amministrazione finanziaria contesta una simile conclusione rilevando che il contribuente, proprio in considerazione del particolare vincolo che lo legava alla cittadina italiana, più correttamente disponeva di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati.
Come chiarisce il commentario al modello di Convenzione OCSE, il concetto di abitazione permanente è riferibile non tanto alla proprietà del bene quanto alla dimora abituale e al luogo in cui l’individuo dispone dell’immobile in modo permanente a proprio uso personale e in modo continuativo, a nulla rilevando che l’abitazione sia in proprietà, in affitto o si tratti di casa di terzi semplicemente tenuta a disposizione. Il commentario chiarisce che per abitazione (home) deve intendersi ogni forma di abitazione: casa o appartamento che appartiene o è detenuto in affitto dal soggetto e anche una stanza ammobiliata in affitto. Ciò che è essenziale è la permanenza dell’abitazione, il che va inteso nel senso che il soggetto l’ha organizzata per renderla disponibile in qualsiasi momento, senza interruzioni e non in maniera occasionale (come potrebbe essere per viaggi di piacere, viaggi educativi, frequentazione di corsi di istruzione, etc.) (8).
Il vincolo affettivo che legava il contribuente alla cittadina italiana, proprietaria dell’immobile milanese dove egli dimorava, quando presente in Italia, e dove aveva eletto la propria residenza, è l’aspetto che l’Ufficio fiscale ha ritenuto essenziale nella definizione di abitazione permanente e che ha chiesto alla Suprema Corte di valutare.
Ebbene, i giudici della Corte di Cassazione osservano che «non è contestato che il M. risiedeva presso l’abitazione di proprietà della convivente, sicché tenuto conto del rilievo che assumeva già nel 2002 la convivenza di fatto, ora riconosciuta e disciplinata dalla L. 20 maggio 2016, n. 76, si deve ritenere che il contribuente disponesse di un’abitazione permanente in Italia». La conclusione dei giudici di terzo grado non stupisce considerato che non è certo una novità per la giurisprudenza della Suprema Corte attribuire un peso di rilievo ai vincoli familiari che ora, grazie alla nuova disciplina contenuta nella legge 20 maggio 2016, n. 76 (9), che è espressamente richiamata, viene a pieno titolo estesa anche ai rapporti di fatto.
Secondo il principio di diritto enunciato, il giudice regionale, al quale la questione è stata rinviata, dovrà quindi risolvere la problematica della doppia residenza utilizzando il criterio successivo previsto dall’art. 4, lett. a), del modello di Convenzione OCSE e verificare innanzi tutto dove il contribuente abbia «il centro degli interessi vitali».
Sempre alla luce di quanto precisa il commentario al modello di Convenzione OCSE, per individuare il «centro degli interessi vitali» sarà necessario prendere in considerazione lo stato dei fatti in modo da stabilire con quale dei due Stati le relazioni personali ed economiche sono più strette. Pertanto bisognerà considerare le relazioni familiari e sociali, l’occupazione, le attività politiche, culturali e di altro genere, il luogo di svolgimento degli affari, il luogo da dove si amministrano le proprietà, etc. Simili circostanze andranno esaminate in maniera complessiva ma, secondo il commentario, è naturale che la considerazione basata sugli atti personali dell’individuo dovrà ricevere una speciale attenzione. Non è detto, però, che questo criterio sia decisivo: per ammissione della stessa Convenzione potrebbe verificarsi che non si possa determinare con certezza lo Stato in cui l’individuo ha il centro degli interessi vitali; la preferenza, in tali casi, è data allo Stato in cui l’individuo ha la dimora abituale (c.d. “habitual abode”). Se anche questo criterio non dovesse avere una valenza dirimente, si dovrà fare riferimento alla nazionalità e, ove il soggetto dovesse avere la nazionalità di entrambi gli Stati, come si è già ricordato, «la questione deve essere risolta di comune accordo dai due Stati».
Questi accordi rientrano nell’ambito delle c.d. procedure amichevoli (MAP – Mutual Agreement Procedure) e consistono in una consultazione diretta tra le Amministrazioni fiscali dei Paesi contraenti che prende avvio su iniziativa del contribuente che ritiene che l’azione di uno o di entrambi gli Stati contraenti determini o anche soltanto possa determinare una doppia imposizione. Sono disciplinate dall’art. 26 del modello di Convenzione OCSE che ne impone l’avvio entro il termine (decadenziale) di due anni a decorrere dalla notifica della misura che ha dato luogo all’imposizione non conforme alle disposizioni della Convenzione.
A conferma della loro crescente rilevanza, il Titolo II del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, nell’apportare alcune modifiche alla legislazione che disciplina il processo tributario, ha inserito nell’art. 39 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che reca le ipotesi di sospensione del processo tributario, un nuovo comma 1-ter in forza del quale le parti hanno la facoltà di ottenere, su concorde richiesta, la sospensione del processo quando sia iniziata una procedura amichevole ai sensi delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni, mostrando, così, di attribuire all’accordo amichevole un ruolo privilegiato nella risoluzione della questione.

Dott. Annalisa Pace
Università di Teramo

(1) Il criterio della residenza è quello utilizzato dalla maggior parte dei paesi industrializzati; tra le immancabili eccezioni si possono citare le Filippine, l’Etiopia e gli Stati Uniti d’America. Quest’ultimi, in particolare, si basano sul principio della cittadinanza: i cittadini americani sono tassati per i redditi ovunque prodotti senza riguardo a dove siano residenti.
(2) Si tratta della nona edizione pubblicata sul sito dell’OCSE il 30 ottobre dello stesso anno, mentre seguono un proprio modello di convenzione e solo in parte il modello di convenzione OCSE gli Stati Uniti; per un ampio e dettagliato commento sulla Convenzione Italia-Usa cfr. MAYR, La nuova convenzione Italia-USA contro le doppie imposizioni sul reddito, in Boll. Trib., 2009, 851.
(3) Sulla tassazione dei redditi di lavoro dipendente da parte dei c.d. inpatriates ved. VITALE, La tassazione del lavoro dipendente prestato in Italia e la treaty exemption, in Boll. Trib., 2009, 930.
(4) La previsione è comune a tutte le Convenzioni stipulate dall’Italia con Paesi dell’Unione europea con l’eccezione di Belgio, Irlanda, Spagna e Portogallo che ne prevedono l’applicazione solo alle imposte sui redditi.
(5) Sui criteri interpretativi da usare nell’applicazione dell’art. 4 del modello di Convenzione contro le doppie imposizioni tra gli altri ved. GAZZO, I profili internazionali della residenza fiscale delle persone fisiche, in Riv. dir. trib., 2002, I, 669.
(6) Si tratta della Convenzione Italia-Russia firmata a Roma il 9 aprile 1996, ratificata con la legge 9 ottobre 1997, n. 370, e in vigore dal 30 novembre 1998.
(7) Secondo la normativa russa un soggetto si qualifica come residente se è fisicamente presente nel Paese per almeno 183 giorni durante un qualsiasi periodo di dodici mesi (art. 207 del Tax Code of the Russian Federation); per permanenza all’estero di durata inferiore ai sei mesi per motivi medici o di istruzione l’individuo si considera come se fosse “fisicamente presente in Russia”. La normativa italiana, come noto, utilizza sia un criterio formale, l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo di imposta, che sostanziale, la residenza o la dimora per la maggior parte del periodo d’imposta (art. 2 del TUIR): in Italia, dunque, non è possibile considerare un soggetto residente limitatamente a una frazione dell’anno d’imposta (a differenza di altri Paesi come, per esempio, Francia, Svizzera, Germania, Gran Bretagna), e in contrasto con la convenzione OCSE (art. 4, par. 10, del commentario) che consente il frazionamento (c.d. split year) dell’anno di imposta. Ne discende che il contribuente che si trasferisce all’estero continuerà ad essere assoggettato a tassazione in Italia anche per tutti i redditi che produrrà dal momento del trasferimento fino al momento di chiusura del periodo d’imposta. Le uniche eccezioni sono rappresentate dalle Convenzioni bilaterali firmate con Germania e Svizzera che, rispettivamente, nel protocollo allegato alla Convenzione (disposizione n. 3 all’art. 4) e nella Convenzione stessa (art. 4, par. 4) prevedono che la fine degli effetti della residenza in uno Stato e l’inizio degli effetti della residenza nell’altro Stato hanno fine e inizio nel giorno del trasferimento. Il Protocollo allegato alla convenzione Italia-Germania recita: «Se una persona fisica è considerata residente dello Stato contraente in base all’art. 4 soltanto per una frazione dell’anno ed è considerata residente dell’altro Stato contraente per il resto dell’anno (cambio di residenza), l’assoggettamento ad imposta, nei limiti in cui esso dipenda dal luogo di residenza, termina nel primo Stato alla fine del giorno in cui è stato effettuato il cambio di domicilio. Nell’altro Stato, l’assoggettamento ad imposta, nei limiti in cui esso dipenda dal luogo di residenza, inizia il giorno successivo al cambio di domicilio». L’art. 4, quarto comma, della Convenzione Italia-Svizzera, prevede testualmente: «La persona fisica che ha trasferito definitivamente il suo domicilio da uno Stato contraente all’altro Stato contraente cessa di essere assoggettata nel primo Stato contraente alle imposte per le quali il domicilio è determinante non appena trascorso il giorno del trasferimento del domicilio. L’assoggettamento alle imposte per le quali il domicilio è determinante inizia nell’altro Stato a decorrere dalla stessa data».
(8) Cfr. par. 13 del commentario al modello di Convenzione OCSE.
(9) Si tratta della legge intitolata Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze, che dopo anni di discussione ha finalmente disciplinato le unioni tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto parificandole in definitiva ai matrimoni; per un primo commento sui suoi riflessi ai fini fiscali cfr. COMELLI – BENAZZI, L’applicabilità, alle persone unite civilmente, delle norme di diritto tributario relative al coniuge, in BONILINI (a cura di), Trattato di Diritto di famiglia – V:Unione civile e convivenza di fatto, Torino, 2017, 537 ss.

Imposte e tasse – Convenzioni contro le dop¬pie imposizioni – Convenzione Italia-Russia – De-finizione dello status di residente ex art. 4 della Convenzione – Nozione di abitazione permanente – Non si identifica con la proprietà dell’immobile, bensì con la situazione di fatto che ne determina la stabile disponibilità – Alloggio di cui il contribuente può disporre stabilmente a qualsiasi titolo – È tale.

L’espressione “abitazione permanente” utilizzata nell’art. 4, secondo comma, della Convenzione Italia-Russia contro le doppie imposizioni, ratificata con la legge 9 ottobre 1997, n. 370, quale criterio per individuare lo Stato in cui il contribuente ha la residenza, va interpretata avuto riguardo alla situazione di fatto che determina la stabile disponibilità materiale di una abitazione in capo al contribuente, conformemente al modello di Convenzione OCSE cui si ispira, considerato che all’espressione «a permanent home available to him» non può essere attribuito altro significato se non quello di un alloggio di cui il contribuente può disporre stabilmente a qualsivoglia titolo, non potendo la caratteristica della permanenza identificarsi nella proprietà di essa ma nel fatto che il soggetto ne possa disporre a suo piacimento per periodi temporali indeterminati, ed in base al secondo criterio previsto dall’art. 4, lett. a), della citata Convenzione, quando la persona dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti è considerata residente nello Stato contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Di Iasi, rel. Zoso), 10 novembre 2017, sent. nn. 26638, 26639, 26640 e 26641, ric. Agenzia delle entrate]*

* Si riporta il testo della pronuncia resa da Cass. n. 26638/2017, essendo le coeve pronunce rese da Cass. nn. 26639/2017, 26640/2017 e 26641/2017 sostanzialmente identiche e, comunque, rinvenibili per esteso in Boll. Trib. On-line.

ESPOSIZIONE DEI FATTI DI CAUSA – 1. M.A. impugnava l’atto di irrogazione di sanzioni relativo alla violazione di cui all’articolo 5 del decreto-legge numero 167/1990 per non aver dichiarato nel modulo RW del modello unico 2003 investimenti esteri per euro 5.024.280,00 con riferimento al periodo di imposta 2002. La commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva il ricorso con sentenza che era confermata dalla commissione tributaria regionale della Lombardia sul rilievo che l’articolo 4 della convenzione tra Italia e Federazione Russa contro le doppie imposizioni prevede quale primo dei criteri risolutivi, al fine di risolvere il conflitto di residenza, quello secondo cui, quando una persona fisica è considerata residente in entrambi gli Stati contraenti, detta persona è considerata residente nello Stato contraente nel quale ha una abitazione permanente. Ne derivava che, avendo il contribuente dimostrato di essere proprietario nel territorio russo di una casa di civile abitazione sita in Mosca e di essere stato presente nel territorio russo nel corso dell’anno 2002 per 183 giorni, mentre non risultava che in Italia egli possedesse ad alcun titolo una casa di abitazione, si doveva ritenere che egli avesse in Russia, e non già in Italia, una abitazione permanente, sicché doveva essere considerato un soggetto convenzionalmente residente in Russia.

2. Avverso la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate affidato a 2 motivi. Si è costituito in giudizio con controricorso il contribuente.

3. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’articolo 4, comma 2, lettera a, della convenzione Italia-Russia contro le doppie imposizioni, ratificata con legge numero 372/1997. Sostiene che la CTR ha erroneamente ritenuto che l’abitazione permanente vada identificata facendo riferimento alla proprietà o ad altro titolo giuridico in forza del quale il soggetto detiene o possiede l’abitazione. Ciò in quanto la disposizione convenzionale, nel fare riferimento alla natura permanente o meno dell’abitazione, contempla un estremo di fatto e non di diritto poiché deve considerarsi permanente l’abitazione in cui un soggetto sia di fatto in grado di risiedere stabilmente, a prescindere dall’esistenza e dalla qualità del titolo giuridico da cui tale situazione è determinata. Nel caso di specie il contribuente risiedeva a Milano nell’abitazione di proprietà della signora O.G. con la quale aveva una stabile relazione affettiva, come da lui dichiarato nelle risposte ai questionari inviati, e versava regolarmente somme di denaro di importo anche rilevante a favore della signora stessa per il suo mantenimento. Inoltre il contribuente aveva dichiarato al Comune di Milano la residenza presso l’abitazione della signora G. Perciò la corretta applicazione dell’articolo 4, lett. a, della convenzione avrebbe dovuto condurre la CTR a concludere che il contribuente disponeva di un’abitazione permanente sia a Milano che a Mosca e che, quindi, doveva applicarsi non la prima parte all’articolo 4, comma 2, lettera a, della convenzione stessa bensì la seconda parte, secondo cui quando una persona dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti va considerata residente dello Stato contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette. Nel caso che occupa il M. aveva svolto in Italia attività lavorativa continuativa di consulenza commerciale dal 2 maggio 2002, come risultava dalle fatture emesse, aveva presentato dall’anno d’imposta 2002 dichiarazioni dei redditi, deteneva una partecipazione del 45% del capitale sociale della società MI Srl ed aveva finanziato l’acquisto dell’azienda nonché le spese di ristrutturazione del negozio gestito dalla società con un investimento di € 3.500.000,00. Si doveva ritenere, quindi, che il contribuente avesse in Italia più strette relazioni personali ed economiche rispetto alla Russia.

4. Con il secondo motivo deduce omessa ed insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., poiché la CTR ha risolto il problema del conflitto della residenza basandosi unicamente sulla comprovata proprietà di un appartamento a Mosca ma ha del tutto ignorato le circostanze di fatto dedotte dall’Ufficio appellante da cui si evinceva che il contribuente risiedeva anche a Milano perché così egli stesso aveva dichiarato all’anagrafe, avendo altresì affermato che l’appartamento era intestato alla signora G la quale lo aveva acquistato con denaro da lui stesso fornito.

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE – 1. Osserva la Corte che entrambi i motivi di ricorso debbono essere esaminati congiuntamente in quanto sottendono la medesima questione giuridica. Essi sono ammissibili in quanto non sottendono una diversa valutazione del fatto controverso ma concernono la corretta interpretazione di norme giuridiche.
L’articolo 4, comma 2, della convenzione Italia-Russia contro le doppie imposizioni, ratificata con legge numero 372/1997, prevede che «1. Ai fini della presente Convenzione, l’espressione “residente di uno Stato Contraente” designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è ivi assoggettata ad imposta, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione, luogo di costituzione o di ogni altro criterio di natura analoga. Tuttavia, tale espressione non comprende le persone che sono assoggettate ad imposta in detto Stato soltanto per il reddito che esse ricavano da fonti situate in detto Stato. 2. Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati Contraenti, la sua situazione è determinata nel seguente modo: a) detta persona è considerata residente dello Stato Contraente nel quale ha un’abitazione permanente. Quando essa dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati Contraenti, è considerata residente dello Stato Contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali);» (seguono altri criteri elencati per ordine gerarchico).
La questione che si pone è se per “abitazione permanente” debba intendersi un fabbricato in proprietà od in uso in base ad altro titolo giuridico oppure un fabbricato di cui il contribuente possa comunque disporre.
Al fine di pervenire alla corretta interpretazione della norma di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a, della convenzione Italia-Russia contro le doppie imposizioni occorre analizzare il testo del modello di Convenzione elaborato in sede OCSE – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, sulla base del quale sono stati elaborati i testi dei trattati internazionali per evitare le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio dei rispettivi residenti.
Il modello di convenzione OCSE per evitare le doppie imposizioni in materia di imposta sul reddito e sul patrimonio e prevenire le evasioni fiscali prevede, all’art. 4: «For the purposes of this Convention, the term “resident of a Contracting State” means any person who, under the laws of that State, is líable to tax therein by reason of his domicíle, residence, piace of management or any other criterion of a similar nature, and also includes that State and any political subdivision or loca/ authority thereof. This term, however, does not include any person who is liable to tax in that State in respect only of income from sources in that State or capita! situated therein. Where by reason of the pro visions of paragraph 1 an individuai is a resident of both Contracting States, then his status shall be determined as follows: a) he shall be deemed to be a resident only of the State in which he has a permanent home available to him; if he has a permanent home available to him in both States, he shall be deemed to be a resident only of the State with which his personal and economic relations are closer (centre of vital interests);».
Secondo il modello di convenzione OCSE, dunque, la persona fisica è considerata residente nello stato se in esso ha a disposizione una abitazione permanente da intendersi come una situazione di fatto, considerato che all’espressione “… a permanent home available to him” non può essere attribuito altro significato se non quello di un alloggio di cui il contribuente può disporre stabilmente a qualsivoglia titolo, non potendo la caratteristica della permanenza identificarsi nella proprietà di essa ma nel fatto che il soggetto ne può disporre a suo piacimento per periodi temporali indeterminati.
Ritiene, perciò, questo collegio che l’espressione utilizzata dagli stati contraenti e ratificata nella legge di conversione numero 372/1997, laddove menziona l’abitazione permanente quale criterio per individuare lo stato ove il contribuente ha la residenza, vada interpretata al lume del tenore letterale del modello OCSE di riferimento cui si sono ispirati le parti contraenti e, dunque, avuto riguardo alla situazione di fatto che determina la stabile disponibilità di fatto di una abitazione in capo al contribuente.
Ora, nel caso che occupa non è contestato che il M. risiedeva dal 7.5.2002 a Milano alla Via … presso l’abitazione di proprietà della convivente O.G. sicché, tenuto conto del rilievo che assumeva già nel 2002 la convivenza di fatto, ora riconosciuta e disciplinata dalla legge 20 maggio 2016 n. 76, si deve ritenere che il contribuente disponesse di una abitazione permanente in Italia. Ne consegue che la CTR, al fine di accertare se il M. dovesse essere assoggettato ad imposta nello Stato italiano, avrebbe dovuto applicare il secondo criterio previsto dall’art. 4, lett. a, della Convenzione citata, secondo cui quando la persona dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati Contraenti, è considerata residente nello Stato Contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette.

2. Il ricorso va, dunque, accolto e l’impugnata decisione va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione che, adeguandosi ai principi esposti, procederà alle necessarie verifiche e deciderà nel merito oltre che sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M. – La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia Entrate, cassa l’impugnata decisione e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione.

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