18 Giugno, 2019

L’ordinanza in rassegna rappresenta l’ennesimo contributo di chiarezza della Suprema Corte reso necessario dalla consuetudine dell’Amministrazione finanziaria di opporsi (pressoché) sistematicamente alla restituzione dei tributi erroneamente versati o non dovuti e di resistere pervicacemente in giudizio, anche quando l’esito della controversia, in senso favorevole al contribuente, sia (o dovrebbe essere) ampiamente prevedibile.
Prevedibilità, come vedremo, che nella materia de qua deriva non tanto e non solo dall’esistenza di numerosi precedenti giurisprudenziali, che pure l’Amministrazione finanziaria avrebbe il dovere di (conoscere e) tenere in adeguata considerazione, ma dalla chiara formulazione della norma regolatrice di cui all’art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, rispetto alla quale ogni disputa interpretativa si rivela soltanto defatigante.
In data 19 giugno 2002 un medico presentava istanza di rimborso dell’IRAP versata per gli anni dal 1998 al 2002, rispetto alla quale, in assenza di riscontro nei successivi 90 giorni, il 17 settembre 2002 maturava il «rifiuto tacito della restituzione», impugnabile dinanzi al giudice tributario ai sensi del combinato disposto degli artt. 19, primo comma, lett. g), e 21, secondo comma, del citato D.Lgs. n. 546/1992.
Avverso il suddetto “rifiuto”, dunque, il contribuente proponeva ricorso, in data 17 settembre 2012, accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Pisa che riconosceva il suo diritto alla restituzione dell’imposta indebitamente versata.
Su appello proposto dall’Agenzia delle entrate, la Commissione tributaria regionale della Toscana ribaltava l’esito del primo giudizio, ritenendo essersi «prescritta l’azione restitutoria, essendo decorsi più di dieci anni dalla domanda di rimborso».
Contro tale pronuncia il contribuente ricorreva per cassazione, contestando la violazione degli artt. 21 del D.Lgs. n. 546/1992, 2946 e 2935 c.c., nell’assunto che «il termine prescrizionale decorresse dal momento in cui il diritto al rimborso fosse esercitabile in giudizio, ovverosia una volta che fosse scaduto il termine di novanta giorni dall’istanza per la formazione di un silenzio-rifiuto, a sua volta impugnabile con ricorso al giudice tributario».
La Corte di Cassazione, ravvisata la “manifesta fondatezza del ricorso” [cfr. art. 375, primo comma, n. 5), c.p.c.], ha proceduto ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. pronunciando l’ordinanza in commento, con la quale ha cassato la sentenza di appello rinviando la causa ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana.
Trattasi di una decisione assolutamente condivisibile nella parte dispositiva, ma piuttosto sbrigativa nella parte motiva, dove rinveniamo, accanto all’ormai consueta rassegna di «precedenti in termini», un’approssimativa asserzione che, presa “alla lettera” e senza ulteriori precisazioni, apparirebbe come un clamoroso svarione del Massimo Collegio.
Ma procediamo con ordine.
I Supremi Giudici hanno osservato, preliminarmente, che i “termini ad anno” si computano secondo il calendario comune, come stabilisce espressamente l’art. 155 c.p.c. (1), cioè «secondo il calendario gregoriano non ex numero sed ex numeratione dierum; dunque il dies a quo va escluso dal calcolo e la scadenza si ha all’ultimo istante del giorno, mese ed anno corrispondente a quello in cui il fatto si è verificato».
In sostanza, per il computo dei termini a mese o ad anno si «prescinde dal numero dei giorni da cui è composto ogni singolo mese o anno» (2) e «si osserva, a norma degli artt. 155, secondo comma, cod. proc. civ. e 2963, quarto comma, cod. civ., il sistema della computazione civile …, nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale» (3).
Fatta tale premessa, la Corte di Cassazione ha precisato che «alla domanda di rimborso o di restituzione del credito maturato dal contribuente si applica, in mancanza di una disciplina specifica posta dalla legislazione speciale in materia, la norma generale residuale di cui all’art. 21, comma 2, proc. trib., prevedente il termine biennale di decadenza per la presentazione dell’istanza, che non esclude tuttavia, una volta maturato il silenzio-rifiuto, la decorrenza del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 cod. civ.».
Torneremo tra breve ad occuparci del momento a cominciare dal quale inizia a decorrere la prescrizione del diritto alla restituzione di un credito tributario.
Per ora vogliamo soffermarci sull’affermazione secondo la quale «alla domanda di rimborso o di restituzione del credito maturato dal contribuente si applica, in mancanza di una disciplina specifica posta dalla legislazione speciale in materia, la norma generale residuale di cui all’art. 21, comma 2, proc. trib.».
Tale asserzione, come abbiamo anticipato, per come è formulata potrebbe dare luogo ad equivoci o fraintendimenti, non essendo chiaro se la Suprema Corte si riferisca al “contribuente” inteso in senso generale ovvero al “contribuente” che ha introdotto il giudizio de quo.
Nel primo caso, infatti, risulterebbe corretto affermare che, per la generalità dei contribuenti, la domanda di rimborso dei tributi è soggetta al termine di decadenza previsto dalle singole leggi d’imposta e che, in assenza di tale specifica previsione, si applica la «norma generale residuale di cui all’art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992», ovvero il termine di decadenza di due anni dal pagamento del tributo non dovuto.
Ove, invece, per «credito maturato dal contribuente» la Suprema Corte intenda specificamente il credito oggetto della controversia in esame, ovvero l’IRAP indebitamente versata per gli anni dal 1998 al 2002, allora il riferimento al termine di decadenza previsto, in via «residuale», dall’art. 21, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, risulta semplicemente improprio.
Vale ricordare, infatti, che a norma dell’art. 25 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, istitutivo dell’imposta sulle attività produttive (IRAP), «Fino a quando non hanno effetto le leggi regionali di cui all’articolo 24, per le attività di controllo e rettifica della dichiarazione, per l’accertamento e per la riscossione dell’imposta regionale, nonché per il relativo contenzioso si applicano le disposizioni in materia di imposte sui redditi».
Ergo, l’istanza di rimborso dell’IRAP, ritenuta illegittimamente versata, va presentata dal contribuente entro il termine di decadenza previsto dall’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (4), ovvero entro «quarantotto mesi dalla data del versamento» (quattro anni).
Prevedendo, dunque, la “legislazione speciale” in materia di IRAP uno specifico termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso – sia pure attraverso il rinvio alle disposizioni che regolano le imposte sui redditi – deve escludersi categoricamente l’applicabilità in subiecta materia del termine di decadenza di due anni previsto, in via «residuale», dall’art. 21, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992 (5).
Osserviamo, ad ulteriore conforto di quanto precede, che per la disposizione da ultimo richiamata valgono le considerazioni svolte dalla Suprema Corte già con riferimento all’omologa disposizione della previgente disciplina del processo tributario.
In particolare, relativamente al combinato disposto del sesto e settimo comma dell’art. 16 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, i Massimi Giudici avevano precisato che: «anche se la disposizione in esame [sesto comma, n.d.r.] è contenuta nella legge che regola il processo, essa ha, tuttavia, la stessa natura e la stessa funzione dell’art. 38 citato poiché non fa altro che prevedere un termine che vale non per l’azione che si svolgerà davanti al giudice tributario, ma vale per l’istanza di rimborso che deve essere necessariamente e previamente presentata all’Amministrazione (o all’Ente impositore). Anche questa disposizione serve a dare certezza ai rapporti (prevedendo un termine di decadenza), a consentire all’Amministrazione (o all’Ente impositore) di valutare la fondatezza dell’istanza già in sede amministrativa, e ad individuare un meccanismo necessario per la formazione di un silenzio-rifiuto (poiché i 90 giorni decorrono dalla presentazione dell’istanza di rimborso in sede amministrativa). La norma che serve per il processo, invece, è quella contenuta nel comma 7 dell’art. 16, poiché è in essa che si trova disciplinato il termine per proporre il ricorso in sede giurisdizionale, dopo che si è formato il silenzio-rifiuto. Nella specie, allora, l’art. 16, comma 6, non può trovare applicazione poiché la fattispecie deve essere ricondotta necessariamente alla disciplina prevista dall’articolo 38 del D.P.R. n. 602/1973 dettata per le imposte sui redditi. Da ciò consegue che, non avendo l’Amministrazione risposto entro il termine di novanta giorni previsto dall’art. 16, comma 7, del D.P.R. n. 636/1972, si è formato senz’altro il silenzio-rifiuto che poteva essere impugnato dinanzi al giudice tributario fino a quando il diritto alla restituzione non si era prescritto» (6).
La seconda parte della motivazione che precede, peraltro, ci offre lo spunto per fare un’ulteriore e fondamentale precisazione ai fini della presente annotazione: fino a quando non “matura” il silenzio-rifiuto, il contribuente non può agire in giudizio per ottenere la restituzione del tributo indebitamente versato.
In subiecta materia, infatti, vige il principio secondo cui «il ricorso del contribuente al giudice tributario per ottenere il rimborso di somme che egli assume indebitamente versate “postula un provvedimento di diniego, anche in forma tacita, del rimborso, la cui inesistenza invece, dovuta al non ancora avvenuto decorso del termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda di restituzione, previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, comporta l’inammissibilità del ricorso per difetto dell’atto impugnabile e cioè di un presupposto processuale, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, fermo restando che, una volta formatosi il silenzio-rifiuto, il ricorso è sempre proponibile fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto”» (cfr. Cass. nn. 10325 del 1994, 6844 del 1995, 13793 e 22564 del 2004, 1642 del 2005, 6724 del 2008, 21356 del 2012). In sostanza, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, atteso il tenore dell’art. 21 d.lgs. 546/1992, il contribuente ha il diritto di proporre ricorso giurisdizionale avverso il rifiuto tacito dell’amministrazione in ordine alla domanda di restituzione – presentata nei termini di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 – soltanto decorso il novantesimo giorno dalla domanda stessa, ai sensi degli artt. 19 e 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in quanto, prima del decorso di tale termine, la mancata formazione di tale provvedimento negativo, considerando che il giudizio tributario è caratterizzato dalla necessaria impugnazione di un atto amministrativo, comporterebbe l’inammissibilità del ricorso per difetto dell’atto impugnabile e cioè per difetto di un presupposto processuale. Tuttavia, una volta formatosi il silenzio-rifiuto, per decorso del termine di legge dalla proposizione dell’istanza di rimborso (tempestivamente presentata ex art. 38 DPR 602/1973), il ricorso (diversamente da quelli avverso gli altri “atti impugnabili”, di cui al precedente art. 19, assoggettati al termine di decadenza sancito dall’art. 21, comma l), è sempre proponibile nel termine ordinario di prescrizione, ex art. 2946 c.c. (cfr. da ultimo Cass.7303/2012)» (7).
Se, dunque, «il contribuente ha il diritto di proporre ricorso giurisdizionale avverso il rifiuto tacito dell’amministrazione in ordine alla domanda di restituzione … soltanto decorso il novantesimo giorno dalla domanda stessa», è del tutto evidente che la prescrizione di quel diritto non può che iniziare a decorrere soltanto dal momento in cui lo stesso può essere azionato.
In altre parole, una volta che la decadenza sia stata evitata con la tempestiva presentazione dell’istanza di rimborso – ovvero entro il termine previsto specificamente dalla singola legge d’imposta o entro il termine biennale previsto, in via residuale, dall’art. 21, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992 – ed «una volta che sulla richiesta si sia maturato il silenzio rifiuto, o vi sia stato un formale atto di diniego, può essere applicato l’ordinario termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c., decorso il quale il diritto al rimborso si estingue definitivamente (v. Cass. nn. 16477/04, 20528/2013)» (8).
Alla luce delle ineccepibili (oltre che autorevoli) considerazioni che precedono, non vi è chi non veda l’arbitrarietà della pretesa dell’Amministrazione finanziaria di far decorrere il termine ordinario di prescrizione dalla data di presentazione della domanda di rimborso invece che dalla data di maturazione del silenzio-rifiuto.
Tale pretesa contrasta, innanzi tutto, con la norma di carattere generale dettata dall’art. 2935 c.c., a mente del quale «la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere», ma contrasta anche con la chiara prescrizione dell’art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992 che, prima di consentire la proponibilità del ricorso «fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto», fissa un «presupposto processuale» (maturazione del «rifiuto tacito») in assenza del quale il ricorso stesso non può essere proposto e, di conseguenza, la prescrizione non può iniziare a decorrere.
In realtà, in un Paese normale, controversie come quella decisa con l’ordinanza in commento non dovrebbero nemmeno sorgere.
A cosa serve dotarsi di uno Statuto dei diritti del contribuente ed ivi stabilire che «i rapporti tra contribuenti e amministrazione finanziaria sono improntati al principio di collaborazione e buona fede» (art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212) (9), se poi quest’ultima, pur di negare la restituzione di tributi indebitamente percepiti, resiste pervicacemente in giudizio anche quando la fondatezza delle ragioni del contribuente è di marchiana evidenza (10)?

Dott. Domenico Carnimeo

(1) Art. 155 c.p.c.: «Nel computo dei termini a giorni o ad ore, si escludono il giorno o l’ora iniziali. Per il computo dei termini a mesi o ad anni, si osserva il calendario comune. I giorni festivi si computano nel termine. Se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo. La proroga prevista dal quarto comma si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell’udienza che scadono nella giornata del sabato. Resta fermo il regolare svolgimento delle udienze e di ogni altra attività giudiziaria, anche svolta da ausiliari, nella giornata del sabato, che ad ogni effetto è considerata lavorativa».
(2) Cfr. Cass., sez. trib., 6 dicembre 2016, n. 24927, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cfr. Cass., sez. trib., 28 febbraio 2017, n. 5167, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cfr., tra le numerose, Cass., sez. trib., 27 gennaio 2014, n. 1576, in Boll. Trib. On-line.
(5) Cfr. Cass., sez. trib., 9 novembre 2016, n. 22730, in Boll. Trib. On-line.
(6) Cass., sez. trib., 24 febbraio 2004, n. 3662, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cass., sez. trib., 18 febbraio 2015, n. 3187, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cass., sez. trib., 16 ottobre 2015, n. 20964, in Boll. Trib. On-line.
(9) Senza dire dell’art. 97, secondo comma, Cost., secondo il quale «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».
(10) Invero non può non destare forti perplessità la circostanza che l’Avvocatura dello Stato abbia coltivato il giudizio di cassazione pur nella chiarezza del quadro normativo di riferimento che non lascia spazio all’indomita e ingiustificata resistenza erariale a riconoscere i diritti di credito del contribuente.

Imposte e tasse – Rimborsi – Istanza di rimborso – Termine di decadenza – In mancanza di disciplina specifica è biennale ex art. 21, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992 – Silenzio-rifiuto serbato dall’Ufficio finanziario – Impugnazione – Termine decennale di prescrizione – Si applica e decorre dalla maturazione del silenzio-rifiuto e non dalla presentazione dell’istanza di rimborso.

IRAP – Istanza di rimborso – Termine di decadenza – In mancanza di disciplina specifica è biennale ex art. 21, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992 – Silenzio-rifiuto serbato dall’Ufficio finanziario – Impugnazione – Termine decennale di prescrizione – Si applica e decorre dalla maturazione del silenzio-rifiuto e non dalla presentazione dell’istanza di rimborso.

I termini ad anno si computano secondo il calendario comune a norma dell’art. 155 c.p.c., cioè secondo il calendario gregoriano e non ex numero sed ex numeratione dierum, e dunque il dies a quo va escluso dal calcolo e la scadenza si ha all’ultimo istante del giorno, mese ed anno corrispondente a quello in cui il fatto si è verificato, e alla domanda di rimborso o restituzione del credito tributario maturato dal contribuente si applica, in mancanza di una disciplina specifica posta dalla legislazione speciale in materia, la norma generale residuale di cui all’art. 21, secondo comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, prevedente il termine biennale di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso, che non esclude tuttavia, una volta maturato il silenzio-rifiuto, la decorrenza del termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c., con la conseguenza che il decorso della prescrizione, che comincia solo se e quando il diritto può essere fatto valere ex art. 2935 c.c., è sospeso durante il tempo di formazione del silenzio-rifiuto, laddove la richiesta di un rimborso s’intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 90 giorni dalla data della sua presentazione senza che l’Ufficio finanziario si sia pronunciato.

[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. e rel. Cirillo), 22 gennaio 2018, ord. n. 1543]

RAGIONI DELLA DECISIONE – La Corte, costituito il contraddittorio ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. (come modificato dal decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197), osserva con motivazione semplificata:
1. Il 19 giugno 2002 il dr. M.M. presentò domanda di rimborso dell’IRAP versata per gli anni dal 1998 al 2002. Il silenzio-rifiuto, formatosi alla data del 17 settembre 2002 (art. 21 proc. trib.), fu impugnato dal contribuente il 17 settembre 2012, con ricorso accolto dalla CTP-Pisa. La decisione, appellata dal fisco, fu riformata dalla CTR-Toscana che ritenne essersi prescritta l’azione restitutoria, essendo decorsi più di dieci anni dalla domanda di rimborso.

2. Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione di tale decisione, ritenendo che – a mente dell’art. 21 proc. trib. e degli artt. 2946 e 2935 cod. civ., il termine prescrizionale decorresse dal momento in cui il diritto al rimborso fosse esercitabile in giudizio, ovverosia una volta che fosse scaduto il termine di novanta giorni dall’istanza per la formazione di un silenzio-rifiuto, a sua volta impugnabile con ricorso al giudice tributario. Il fisco insiste, invece, per la conferma della decisione d’appello.

3. Il ricorso è fondato.

3.1 È assolutamente pacifico che i termini ad anno si computano secondo il calendario comune (art. 155 cod. proc. civ.), cioè secondo il calendario gregoriano non ex numero sed ex numeratione dierum; dunque il dies a quo va escluso dal calcolo e la scadenza si ha all’ultimo istante del giorno, mese ed anno corrispondente a quello in cui il fatto si è verificato (Cass. Sez. 3, 4/03/1962, n. 499 ed altre).

3.2 Alla domanda di rimborso o restituzione del credito maturato dal contribuente si applica, in mancanza di una disciplina specifica posta dalla legislazione speciale in materia, la norma generale residuale di cui all’art. 21, comma 2, proc. trib., prevedente il termine biennale di decadenza per la presentazione dell’istanza, che non esclude tuttavia, una volta maturato il silenzio-rifiuto, la decorrenza del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 cod. civ. (Cass., Sez. 5, 20/08/2004, n. 16477 ed altre). Dunque, il decorso della prescrizione, che comincia solo se e quando il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.), è sospeso durante il tempo di formazione del silenzio-rifiuto a norma dell’art. 21 proc. trib., laddove la richiesta al fisco di un rimborso s’intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 90 giorni dalla data della sua presentazione, senza che l’ufficio si sia pronunciato (conf. in generale Cass., Sez. U, 06/04/2012, n. 5572).

3.3 Ne deriva che il giudice d’appello, nel ritenere tardiva la domanda giudiziale del 17 settembre 2012 a fronte del silenzio-rifiuto formatosi il 17 settembre 2002, si è discostato dai superiori principi di diritto ai quali il giudice di rinvio si dovrà attenere in seguito alla necessaria cassazione della sentenza impugnata.

P.Q.M. – La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

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