29 Dicembre, 2014

 

1. Premessa

L’annotata sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio offre lo spunto per alcune riflessioni sul tema dell’impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità ex artt. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, al fine di verificare se sussistano ipotesi in cui sia possibile dare una risposta positiva.

La fattispecie esaminata, da quanto si evince dal succinto contenuto della sentenza, concerne il tardivo versamento del saldo IRAP per il periodo d’imposta 2005, con contestuale versamento degli interessi e delle sanzioni in misura ridotta, in applicazione dell’istituto del ravvedimento operoso ex art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (1).

L’Amministrazione finanziaria tuttavia, con apposita comunicazione di irregolarità ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973, ha richiesto il pagamento delle sanzioni integrali irrogabili in relazione al suddetto tardivo versamento, ritenendo inefficace il citato ravvedimento operoso in applicazione dell’art. 1, terzo comma, del D.L. 17 giugno 2005, n. 106 (convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 156) (2).

Con tale norma, come è noto, il legislatore ha voluto scongiurare la possibilità che i contribuenti sospendessero i versamenti IRAP in attesa della sentenza della Corte di Giustizia in ordine alla nota vicenda della compatibilità dell’IRAP con l’IVA.

L’art. 1 del D.L. n. 106/2005 ha stabilito, infatti, al primo comma, che la pendenza di un giudizio in merito alla legittimità di una norma tributaria non determina una obiettiva condizione di incertezza ai fini della disapplicazione delle relative sanzioni. Il successivo terzo comma ha disposto, inoltre, l’esclusione dell’applicazione dell’istituto del ravvedimento operoso ex art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997 nonché della riduzione a un terzo delle sanzioni dovute a seguito delle comunicazioni di irregolarità, per effetto dell’esecuzione dei controlli automatici ex art. 2, secondo comma, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, con riguardo alle violazioni dell’obbligo di versamento dell’IRAP relative al saldo per il periodo d’imposta anteriore a quello in corso al 17 giugno 2005 (i.e., il 2004, per i soggetti con periodo d’imposta coincidente all’anno solare), nonché all’acconto e al saldo per il periodo d’imposta in corso al 17 giugno 2005 (i.e., il 2005, per i soggetti con periodo d’imposta coincidente all’anno solare).

Tornando al caso di specie, il contribuente ha ritenuto di impugnare direttamente la citata comunicazione di irregolarità, deducendo il mancato riconoscimento del ravvedimento operoso e l’erronea applicazione dell’art. 1, terzo comma, del D.L. n. 106/2005 (3).

L’Amministrazione finanziaria si è difesa eccependo innanzitutto l’inammissibilità del ricorso, non essendo la comunicazione di irregolarità uno degli atti espressamente impugnabili previsti dall’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

I giudici di prime cure hanno ritenuto inammissibile il ricorso del contribuente.

I giudici di appello, con la pronuncia in rassegna, hanno respinto l’impugnazione del contribuente richiamando superficialmente l’affermazione, consolidata e condivisa, secondo la quale le comunicazioni di irregolarità ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 non sarebbero atti impugnabili, contenendo un semplice invito a fornire chiarimenti in via preventiva (4).

L’annotata sentenza della Commissione regionale laziale non sembra tuttavia del tutto condivisibile, in quanto non recepisce correttamente i principi affermati in materia dalla Corte di Cassazione, omettendo soprattutto di approfondire la natura e le caratteristiche sostanziali della comunicazione impugnata, al fine di appurare effettivamente se questa, al di là del relativo nomen iuris, fosse o meno un atto idoneo a esprimere una pretesa impositiva compiuta e non condizionata.

[-protetto-]

2. L’impugnabilità di tutti gli atti “atipici” che esprimono una pretesa impositiva compiuta e non condizionata

È noto che la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (seguendo invero il solco già tracciato dalle precedenti pronunce della Corte Costituzionale e della Suprema Corte stessa, che hanno valorizzato il principio del diritto di difesa ex artt. 24 e 113 Cost.) ha definitivamente statuito l’impugnabilità di tutti gli atti con i quali l’Amministrazione finanziaria manifesti una pretesa impositiva compiuta e non condizionata, prescindendo dai relativi aspetti formali (i.e., la denominazione, la notifica ex artt. 137 e segg. c.p.c. e 60 del D.P.R. n. 600/1973, l’indicazione dei termini per impugnare e la relativa autorità competente, la motivazione, etc.) (5).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (6) hanno, infatti, affermato il principio secondo cui, ai fini dell’accesso alla giurisdizione tributaria, debbano essere qualificati come avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui l’Amministrazione finanziaria comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita; ancorché tali comunicazioni (c.d. “avvisi bonari”) non si concludano con una formale intimazione al pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva.

A giudizio delle Sezioni Unite, pertanto, affinché possa configurarsi un atto impositivo, come tale impugnabile a norma dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, è essenziale che lo stesso sia idoneo a manifestare una pretesa tributaria compiuta e non condizionata.

Tale conclusione trova decisivo fondamento nella considerazione che, altrimenti, si avrebbe una lacuna di tutela giurisdizionale, in violazione dei principi contenuti negli artt. 24 e 113 Cost. Circostanza questa aggravata dal riconoscimento del carattere esclusivo della giurisdizione tributaria a seguito della riforma operata dalla legge 28 dicembre 2001, n. 448, che non consente che atti non impugnabili in tale sede siano devoluti, in via residuale, ad altri giudici, secondo le ordinarie regole di riparto della giurisdizione.

Ciò impone la valorizzazione, anche in materia tributaria, del principio dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. Principio che induce a considerare direttamente impugnabile ogni atto “atipico” che manifesti una pretesa impositiva compiuta e non condizionata, senza la necessità di attendere che la relativa pretesa tributaria, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è “naturaliter” preordinato, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 citato, atteso l’indubbio sorgere in capo al contribuente, già al momento della ricezione di quella notizia, dell’interesse a invocare una tutela giurisdizionale.

In tale prospettiva le Sezioni Unite, con le citate sentenze, hanno affermato, in via incidentale, che le comunicazioni di irregolarità previste dall’art. 36-bis, terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 54-bis, terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972, non manifesterebbero una pretesa compiuta e non condizionata; ciò in quanto «queste comunicazioni costituiscono … anche un “invito” a fornire “eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi”. Quindi manifestano una volontà impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di autotutela (o attraverso l’intervento del giudice)».

L’orientamento estensivo delle Sezioni Unite in merito all’impugnabilità degli atti “atipici” e degli “avvisi bonari” sopra esposto è stato da subito seguito dalla Sezione Tributaria della Suprema Corte (7), che si è così pronunciata: «va affermato (a) che l’elencazione tassativa degli atti impugnabili innanzi al giudice tributario, nel termine perentorio fissato dal successivo art. 22, contenuta nell’art. 19 del D.Lg.vo n. 546 del 1992, non esclude la facoltà del contribuente di impugnare innanzi al medesimo giudice anche atti diversi da quelli contenuti in detto elenco ma contenenti, come l’avviso di pagamento oggetto del presente processo, la manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria» (8).

Più di recente la Corte di Cassazione (9), pur collocandosi nel solco della giurisprudenza sopra citata, sembra aver ulteriore allargato le “maglie” dell’individuazione degli atti impugnabili, affermando l’impugnabilità «davanti al giudice tributario ogni qual volta vi sia un collegamento tra atti dell’Amministrazione e rapporto tributario, nel senso che tali provvedimenti devono essere idonei ad incidere sul rapporto tributario, dovendosi ritenere possibile una interpretazione non solo estensiva ed anche analogica della categoria degli atti impugnabili previsti dall’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992».

Pertanto, conclude sul punto la citata sentenza, «anche la comunicazione di irregolarità, ex art. 36 bis, comma 3, D.P.R. n. 600 del 1973, che ha tali caratteristiche, portando a conoscenza del contribuente una pretesa impositiva compiuta, è immediatamente impugnabile».

Tale affermazione è stata successivamente confermata dalla sentenza n. 7687/2012 della Corte di Cassazione (10).

Da quanto sopra esposto si evince, dunque, che l’orientamento della Suprema Corte in materia di individuazione degli atti impugnabili pone l’accento sulle caratteristiche intrinseche e sostanziali dell’atto (atipico) impugnato, dovendosi verificare, oltre agli aspetti formali e procedurali, se tale atto sia idoneo a esprimere una pretesa impositiva compiuta e incondizionata (e dunque “definita”).

Sulla base di tali presupposti, la Corte di Cassazione, pur affermando che le comunicazioni di irregolarità ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 non sono generalmente atti impugnabili, in quanto esprimono una volontà impositiva ancora in itinere e non formalizzata, ha tuttavia riconosciuto, con le citate sentenze n. 7344/2012 e n. 7687/2012, che non può escludersi, in determinate e specifiche circostanze, che anche queste comunicazioni, così come gli “avvisi bonari”, possano esprimere una pretesa tributaria compiuta e non condizionata e, quindi, essere direttamente impugnate dal contribuente avanti le Commissioni tributarie competenti.

3. Applicazione dei principi affermati dalla Corte di Cassazione alla fattispecie in esame

La Commissione tributaria regionale, con la sentenza in esame, affermando sic et simpliciter la non impugnabilità dell’atto impugnato in ragione del suo nomen iuris e della circostanza di non essere l’atto conclusivo del relativo procedimento di liquidazione, non sembra aver applicato correttamente i principi affermati dalla Corte di Cassazione.

Dall’esame della motivazione della sentenza, infatti, si evince che i giudici laziali hanno omesso di effettuare una attenta e puntuale verifica delle caratteristiche intrinseche dell’atto impugnato, al fine di verificare se fosse idoneo a esprimere una pretesa impositiva compiuta e non condizionata, come invece espressamente sottolineato dalla Corte di Cassazione, secondo cui «spetta al giudice di merito sceverare con congrua motivazione gli atti impositivi dagli atti che impositivi non sono, esaminando gli aspetti sostanziali dell’atto, che possono non trovare compiuta corrispondenza nei suoi aspetti formali» (11).

La Commissione regionale ha, invece, preliminarmente affermato che «sono impugnabili solo quegli atti emanati al termine del relativo procedimento amministrativo e che hanno rilevanza esterna, e che esplicano i loro effetti nei confronti dei soggetti interessati. Viceversa non sono impugnabili gli atti propedeutici e interni dell’A.F.».

Tale affermazione non è del tutto conforme ai principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione, che, ferma ovviamente la non impugnabilità degli atti istruttori, ha riconosciuto l’interesse del contribuente a impugnare tutti gli atti che esprimano una pretesa impositiva compiuta e non condizionata, «senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento , si vesta della forma autoritativa propria di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 cit.» (12). Del resto, in applicazione di tale criterio logico-giuridico, i giudici di legittimità hanno ritenuto impugnabili pure le “fatture” emesse per la riscossione della tariffa di igiene ambientale (c.d. “TIA”) (13).

È invece condivisibile in astratto, ma insufficiente a costituire un adeguato esame delle effettive caratteristiche intrinseche dell’atto impugnato, l’affermazione della Commissione tributaria regionale secondo cui «le comunicazioni in genere costituiscono un invito a fornire eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione del tributi. Quindi manifestano una volontà impositiva in itinere e non formalizzala in un atto cancellabile solo in via di autotutela».

ciò che i giudici di appello avrebbero dovuto verificare, tuttavia, era se la comunicazione in questione avesse effettivamente la funzione di rivolgere al contribuente un “invito” a fornire dati o elementi e, dunque, se avesse natura di atto “istruttorio” meramente interlocutorio ovvero, invece, se detta comunicazione, sebbene emessa al fine di incentivare l’adempimento spontaneo del contribuente, esprimesse una pretesa impositiva compiuta e non condizionata.

In tale prospettiva, da quanto si evince dal contenuto della pronuncia in rassegna, che per vero è avara di particolari in ordine al relativo contenuto, si desume quanto segue.

La comunicazione di irregolarità in questione, rendendo noto al contribuente il disconoscimento degli effetti del ravvedimento operoso in applicazione dell’art. 1, terzo comma, del D.L. n. 106/2005, non sembra avere funzione “istruttoria”, in quanto reca una precisa contestazione giuridico-interpretativa che non necessita di ulteriori accertamenti di fatto. Deve ritenersi, pertanto, che detta comunicazione non sia funzionale a permettere al contribuente di fornire chiarimenti in ordine a «eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione» (art. 36-bis, terzo comma, ultimo periodo, del D.P.R. n. 600/1973).

La stessa non ha parimenti la funzione di invitare il contribuente a definire in modo agevolato le relative sanzioni, in quanto ciò è precluso espressamente dallo stesso art. 1, terzo comma, del D.L. n. 106/2005.

Tale comunicazione sembra, dunque, svolgere sostanzialmente la funzione tipica dei c.d. “avvisi bonari”, ossia di comunicazione volta a favorire lo spontaneo versamento da parte del contribuente delle somme pretese dall’erario, al fine di evitare l’emanazione di uno degli atti impositivi espressamente previsti dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992; simili avvisi tuttavia, per consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, sono idonei a recare una pretesa impositiva compiuta e non condizionata, che legittima la loro impugnazione immediata, senza dover attendere la successiva emanazione di uno degli atti “tipici” contenuti nell’elenco dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1997.

In ragione di quanto sopra, sembra corretto ritenere che la comunicazione di irregolarità de qua fosse idonea a esprimere una pretesa impositiva compiuta e non condizionata e, quindi, incidesse direttamente sul rapporto tributario; ciò giustifica (eccezionalmente) la sua immediata impugnazione, come del resto affermato dalla Corte di Cassazione nella citata sentenza n. 7344/2012.

La tesi per cui le comunicazioni di irregolarità non abbiano necessariamente anche la funzione di “invito” a fornire dati e chiarimenti sembra trovare conferma nel noto orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui l’iscrizione a ruolo ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973, non preceduta dalla relativa comunicazione di irregolarità, non sarebbe nulla ogni qualvolta non sia diretta a modificare il risultato della dichiarazione, non sussistendo «incertezze su aspetti rilevanti della» stessa (art. 6, quinto comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212, Statuto dei diritti del contribuente) (14).

Con ciò non si vuole certamente affermare che tutte le comunicazioni di irregolarità non dirette a modificare il risultato della dichiarazione siano impugnabili, bensì rimarcare la circostanza che non tutte le comunicazioni di irregolarità abbiano necessariamente una finalità “istruttoria”, in quanto possono essere inviate anche solo «per evitare la reiterazione di errori» o «per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali» ovvero per definire le sanzioni in misura ridotta (si pensi alle ipotesi di tardivi versamenti di imposta), per cui il mancato invio della comunicazione non comporta, per la Corte di Cassazione, la nullità della successiva iscrizione a ruolo.

Pertanto, fermo restando che non tutte le comunicazioni di irregolarità (anche non dirette a modificare il risultato della dichiarazione) sono sempre impugnabili, nel caso in esame sembra corretto propendere per la diretta impugnabilità della comunicazione in questione. Ciò in quanto non solo non modifica il risultato della dichiarazione, né concede la facoltà di definire le sanzioni in misura ridotta, bensì si limita a prospettare al contribuente la pretesa impositiva vantata dall’erario in applicazione dell’art. 1, terzo comma, del D.L. n. 106/2005. Essa esprime, dunque, una pretesa tributaria compiuta e non condizionata, come tale direttamente impugnabile.

Una simile comunicazione, non necessitando di alcun approfondimento istruttorio (posto che il ravvedimento operoso è stato disconosciuto in applicazione di una specifica disposizione di legge), determina il sorgere dell’interesse del contribuente ad accedere direttamente alla tutela giurisdizionale ex artt. 24 e 113 Cost., in ordine alla sottostante questione interpretativa, senza dover necessariamente aspettare l’emanazione della successiva cartella di pagamento, con maggior rischio di non riuscire a evitare la riscossione provvisoria del relativo importo o di subire eventuali misure cautelari dell’agente della riscossione.

4. Possibili conseguenze a seguito della successiva notifica della cartella di pagamento

Seguendo la tesi della possibilità di impugnare anche le comunicazioni di irregolarità (che abbiano quelle specifiche caratteristiche sostanziali sopra esaminate), c’è da chiedersi cosa succede in caso di successiva emanazione delle relative cartelle di pagamento.

A giudizio di chi scrive, deve certamente ammettersi l’impugnabilità anche delle successive iscrizioni a ruolo ex artt. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633/1972, ai sensi dell’art. 19, terzo comma, secondo periodo, del D.Lgs. n. 546/1992 (sebbene a rigore solo “per vizi propri”).

Tuttavia, nella più volte citata sentenza n. 7344/2012, la Corte di Cassazione ha affermato che la successiva cartella di pagamento sostituisce «la precedente comunicazione di irregolarità e va, quindi, dichiarata la carenza di interesse delle parti relativamente al primo atto di natura impositivo impugnato (comunicazione di irregolarità)». Ciò in quanto, continua la medesima sentenza, «l’emissione della cartella di pagamento integra una pretesa tributaria nuova rispetto a quella originaria che sostituisce l’atto precedente e ne provoca la caducazione d’ufficio, con la conseguente carenza di interesse delle parti nel giudizio avente a oggetto il relativo rapporto sostanziale, venendo meno l’interesse a una decisione relativa a un atto – comunicazione di irregolarità – sulla cui base non possono essere più avanzate pretese tributarie di alcun genere, dovendosi avere riguardo unicamente alla cartella di pagamento che lo ha sostituito integralmente» (15).

Tale opinione, per quanto autorevole, non sembra tuttavia condivisibile, in quanto pregiudicherebbe l’“effettività” della tutela giurisdizionale faticosamente riconosciuta dalla Corte di Cassazione con riguardo agli “atti atipici”, attraverso l’interpretazione estensiva se non anche analogica dell’elenco degli atti impugnabili di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, in applicazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 113 Cost.

Il citato principio di effettività della tutela giurisdizionale infatti trova innanzitutto le sue fonti negli artt. 24, 111 e 113 Cost. nonché negli artt. 6, par. 1, e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950, e nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (16) (che ha il medesimo valore del trattato istitutivo e i cui relativi principi sono richiamati dall’art. 117, primo comma, Cost.). Detto principio esige non solo che la domanda proposta dal soggetto sia esaminata nel merito dal giudice, ma anche che il processo si concluda con una sentenza idonea a dare una risposta effettiva e concreta in ordine al “bene della vita” oggetto della lite (nella specie, l’accertamento del rapporto tributario, essendo il processo tributario notoriamente un processo di “impugnazione-merito” e non già di mero annullamento dell’atto impugnato).

Il principio di effettività della tutela giurisdizionale è stato altresì valorizzato dalla Corte Costituzionale, che ha sottolineato come «il diritto di difesa deve essere regolato dalla legge ordinaria in modo da assicurarne l’effettività e da non renderne l’esercizio estremamente difficile» (17), e dalla stessa Corte di Cassazione, che non ha mancato di ricorrere al principio in parola per risolvere diverse questioni interpretative poste alla sua attenzione (18).

Non sembra altresì convincente l’assunto della tesi criticata secondo cui la successiva emanazione della cartella di pagamento integrerebbe una “pretesa tributaria nuova” rispetto a quella recata da una comunicazione di irregolarità idonea a esprimere una pretesa tributaria compiuta e non condizionata.

In tale ipotesi, infatti, la pretesa tributaria rimane sempre la stessa, in quanto verrebbe semplicemente formalizzata, senza subire alcuna modifica, in uno degli atti tipici espressamente impugnabili.

Né la copiosa giurisprudenza che ha sancito l’impugnabilità degli “avvisi bonari” sembra aver prospettato la possibilità che i giudizi relativi alle impugnazioni così ammesse possano venire meno, per carenza di interesse, a seguito della successiva emanazione di uno degli atti espressamente impugnabili.

5. Conclusioni

Dall’esame dei principi affermati dalla Corte di Cassazione in materia di impugnabilità degli “atti atipici”, sembra possibile affermare che in talune eccezionali circostanze anche le comunicazioni di irregolarità ex artt. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633/1972 possano recare delle pretese tributarie compiute e non condizionate e, quindi, possano (ma non anche debbano) (19) essere direttamente impugnate dinanzi al giudice tributario, come del resto affermato dalla citata sentenza n. 7344/2012 della Corte di Cassazione.

A tal fine l’interprete deve attentamente verificare gli aspetti sostanziali dell’atto, senza fermarsi su quelli meramente formali e procedimentali, quali il nomen iuris, l’eventuale affermazione dell’ente impositore che l’atto non sarebbe impugnabile, l’assenza di intimazione ad adempiere, etc.

In tale prospettiva non è condivisibile la sentenza impugnata che ha negato l’impugnabilità di una comunicazione di irregolarità senza esaminarne gli aspetti sostanziali.

Tale comunicazione, invero, da quanto si evince dal conciso contenuto della sentenza, sembrerebbe semplicemente finalizzata a comunicare al contribuente il disconoscimento degli effetti di un ravvedimento operoso in applicazione dell’art. 1, terzo comma, del D.L. n. 106/2005, con la conseguenza che non persegue alcuna finalità “istruttoria” (non sussistendo «eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione»), né è diretta a consentire la definizione agevolata delle sanzioni (espressamente preclusa dall’art. 1, terzo comma, del D.L. n. 106/2005).

Detta comunicazione sembra, pertanto, svolgere sostanzialmente la funzione tipica dei cc.dd. “avvisi bonari”, ossia favorire lo spontaneo versamento da parte del contribuente delle somme pretese dall’erario, al fine di evitare l’emanazione di uno degli atti impositivi espressamente previsti dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992. Ma se fosse così, essa esprimerebbe una pretesa tributaria compiuta e non condizionata e, dunque, sarebbe direttamente impugnabile.

Avv. Giulio Chiarizia

(1) In tema di ravvedimento operoso cfr. Aiudi, Il ravvedimento operoso, in Boll. Trib., 2013, 149.

(2) In ordine all’art. 1 del D.L. n. 106/2005, cfr. circ. Assonime 17 giugno 2005, n. 34, e circ. Assonime 29 luglio 2005, n. 44.

(3) Dalla sentenza in esame non è dato sapere per quali ragioni concrete il contribuente abbia ritenuto illegittimo il disconoscimento degli effetti del ravvedimento operoso ex art. 1, terzo comma, del D.L. n. 106/2005.

(4) Cfr. ris. 22 ottobre 2010, n. 110/E, in Boll. Trib., 2010, 1539; e comunic. stampa 23 maggio 2012, n. 67, in Boll. Trib. On-line.

(5) Ci sia consentito, tra i numerosissimi scritti in materia, di rinviare a Chiarizia, Gli atti impugnabili dinanzi ai giudici tributari sulla base degli ultimi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, in Boll. Trib., 2011, 1269; con specifico riguardo all’impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità cfr. Accordino, L’autonoma impugnabilità delle cosiddette comunicazioni di irregolarità, ivi, 2012, 1552; Guidara, Ragioni e possibili implicazioni dell’affermata impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità, in Riv. giur. trib., 2012, 657.

(6) Cfr. Cass., sez. un., 24 luglio 2007, n. 16293, in Boll. Trib., 2007, 1810; e Cass., sez. un., 26 luglio 2007, n. 16428, in Boll. Trib. On-line; per affermazioni analoghe, in precedenza, si veda Cass., sez. trib., 13 ottobre 2006, n. 22015, ivi.

(7) Cfr. Cass., sez. trib., 8 ottobre 2007, n. 21045, in Boll. Trib., 2008, 587, con nota di Chiarizia, Impugnabili tutti gli atti che esprimono una pretesa tributaria compiuta e non condizionata: la Corte di Cassazione consolida tale principio.

(8) Nello stesso senso cfr. Cass., sez. trib., 9 agosto 2007, n. 17526, in Boll. Trib., 2007, 1928, con nota di Chiarizia, La natura tributaria della tariffa di igiene ambientale (TIA): primi chiarimenti e questioni ancora aperte; Cass., sez. trib., 2 ottobre 2008, n. 24429, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. un., 11 maggio 2009, ord. n. 10672, ivi.

(9) Cfr. Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7344, in Boll. Trib., 2012, 1547, con nota di Accordino, Riconosciuta l’autonoma impugnabilità delle cosiddette comunicazioni di irregolarità.

(10) Cfr. Cass., sez. trib., 6 maggio 2012, n. 7687, in Boll. Trib. On-line.

(11) Cfr. Cass. n. 16428/2007, cit.; nonché Cass., sez. trib., 15 maggio 2008, n. 12194, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 29 settembre 2003, n. 14482, in Boll. Trib., 2004, 155.

(12) Cass. n. 7344/2012, cit.

(13) Cfr. Cass. n. 17526/2007, cit.

(14) Cfr. Cass., sez. trib., 23 luglio 2010, n. 17396; e Cass., sez. trib., 14 gennaio 2011, n. 795; entrambe in Boll. Trib. On-line.

(15) Tale impostazione è stata ribadita da Chindemi, Atti impugnabili davanti alle commissioni tributarie, in www.giustizia-tributaria.it.

(16) Proclamata originariamente il 7 dicembre 2000 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee del 18 dicembre 2000, sostituita nel dicembre 2007 e pubblicata nella citata Gazzetta il 30 marzo 2010.

(17) Cfr. Corte Cost. 1° febbraio 1964, n. 2, in Boll. Trib. On-line; nello stesso senso ex pluribus Corte Cost. 22 novembre 1962, n. 93, ivi; Corte Cost. 22 dicembre 1969, n. 159, ivi; Corte Cost. 4 aprile 1990, n. 155, in Giust. civ., 1990, I, 2245; Corte Cost. 3 luglio 1996, n. 224, ivi, 1996, I, 2468; Corte Cost. 6 luglio 2004, n. 204, in Boll. Trib., 2004, 1606; Corte Cost. 14 luglio 2006, ord. n. 291, in Giur. cost., 2006, 2995; e Corte Cost. 3 maggio 2012, n. 111, ivi, 2012, 1631.

(18) Cfr. ex pluribus Cass., sez. VI, 21 giugno 2013, n. 15694, in Boll. Trib. On-line, che ha sottolineato l’importanza degli «obiettivi imposti dal principio del cd. “giusto processo” nell’intento di agevolare l’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale delle pretese vantate nei confronti della pubblica amministrazione (art. 24, comma 1, Cost.)»; nonché Cass., sez. VI, 21 giugno 2013, n. 15691, ivi; Cass., sez. I, 17 maggio 2013, ord. n. 12060, in Foro it., 2013, I, 1825; Cass., sez. I, 23 gennaio 2013, n. 1523, in Mass. Foro it., 2013, 49; e Cass., sez. un., 12 dicembre 2012, n. 22782, in Boll. Trib. On-line; ed ancora, con specifico riguardo alla materia tributaria, Cass., sez. trib., 14 dicembre 2012, n. 23062, ivi; e Cass., sez. trib., 12 settembre 2012, n. 15229, ivi.

(19) Nel senso della facoltà e non della doverosità dell’impugnazione degli atti “atipici” cfr. Cass. n. 21045/2007, cit.; e Cass., sez. un., 10 agosto 2005, n. 16776, in Boll. Trib., 2005, 1828.

Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie – Sono solo quelli aventi rilevanza esterna – Atti propedeutici o interni all’Amministrazione finanziaria – Autonoma impugnabilità – Esclusione.

Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie – Comunicazioni di invito a fornire dati o elementi non considerati o valutati erroneamente – Autonoma impugnabilità – Esclusione.

Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie – Comunicazione di irregolarità – Ha carattere interlocutorio – Autonoma impugnabilità – Esclusione.

Nell’ambito amministrativo sono impugnabili solo gli atti emanati al termine del relativo procedimento amministrativo e che hanno rilevanza esterna esplicando i loro effetti nei confronti dei soggetti interessati, di talché non sono impugnabili avanti le Commissioni tributarie gli atti propedeutici o interni dell’Amministrazione finanziaria che, pur facendo parte di un procedimento amministrativo che si concluderà con un provvedimento impugnabile, non esplicano rilevanza esterna e si limitano a far proseguire il procedimento, nel cui ambito sono emessi, verso la sua conclusione finale.

Le comunicazioni in materia tributaria recanti l’invito a fornire eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi manifestano una volontà impositiva in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di autotutela o attraverso l’intervento del giudice, di talché non costituiscono atti autonomamente impugnabili avanti le Commissioni tributarie.

La comunicazione di irregolarità mira a prevenire l’iscrizione a ruolo, ma non la sostituisce in tutte le sue funzioni, ed è un atto che pur contenendo l’enunciazione di aspetti della fattispecie tributaria o della conseguente obbligazione non è impugnabile avanti le Commissioni tributarie se abbia carattere interlocutorio, in quanto è prevista dalla legge l’emanazione di un provvedimento ulteriore per completare il relativo segmento di attività amministrativa, nell’eventualità che non vada a buon fine il tentativo di fissare in via definitiva ed incontestabile tali aspetti mediante l’accettazione del primo atto da parte del suo destinatario.

[Commissione trib. regionale del Lazio, sez. XXIX (Pres. Picozza, rel. Belloni), 8 maggio 2013, sent. n. 134]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSOMOTIVI DELLA DECISIONE – La società … ricorre contro la comunicazione di irregolarità con la quale l’A.F. rilevava, in seguito al controllo automatizzato ai sensi dell’art. 36-bis D.P.R. n. 600 del 1973 la tardività del versamento a saldo IRAP e nella quale veniva indicato l’importo della sanzione dovuta. La società in precedenza aveva provveduto al versamento di Euro 1.114,56 corrispondente ad 1/5 della sanzione minima applicabile (per tardivo versamento) a titolo di sanzione per ravvedimento operoso.

In sede di ricorso alla CTP viene eccepita l’illegittimità del suddetto avviso per mancato riconoscimento dell’applicabilità dell’istituto del ravvedimento operoso e nel merito per non aver l’Ufficio tenuto conto di quanto già versato a titolo di sanzione per ravvedimento operoso nonché la erronea applicazione dell’art. 1 comma 3 D.P.R. n. 106 del 2005.

L’Ufficio nel costituirsi in giudizio, in via preliminare eccepiva la non impugnabilità della comunicazione di irregolarità, nel merito precisava che la differenza tra la somma versata a titolo di ravvedimento operoso e quella dovuta a titolo di sanzione amministrativa corrispondente al 30% di quanto versato tardivamente, sarebbe stata iscritta a ruolo.

La CTP ha respinto il ricorso basando il proprio convincimento sul fatto che le comunicazioni di irregolarità emanate dall’A.F. non sono atti impugnabili non essendo annoverati fra gli atti elencati nell’art. 19 D.Lgs. n. 546 del 1992.

L’appello è proposto dal contribuente che ritiene, al contrario, che la comunicazione delle irregolarità, è un atto impugnabile avanti alle commissioni tributarie perché la comunicazione ha caratteristiche tali da poter essere assimilata, tanto sul piano del contenuto, quanto e ancor più su quello degli effetti, agli atti di cui al citato art. 19 del decreto legislativo n. 546/92. Infatti la comunicazione contiene la determinazione precisa e definitiva del quantum preteso a titolo di sanzioni per il tardivo pagamento dell’IRAP. La comunicazione viene altresì contestata nella parte in cui l’Ufficio ha liquidato la sanzione nella misura massima del 30% dell’imposta dovuta e quindi ha ritenuto inapplicabile la disciplina di cui all’art. 13 D.Lgs. n. 472/1997 e dell’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 462/1997 ed evidenzia di aver versato in data 29/1/2006, l’imposta dovuta per l’anno 2005 e i relativi interessi per un totale di Euro 18.784,66 e la sanzione determinata nella misura prevista per beneficiare dell’istituto del ravvedimento operoso per un importo di Euro 1.114,56.

Questa commissione ritiene l’appello non meritevole di accoglimento e come tale va rigettato.

Nel campo amministrativo sono impugnabili solo quegli atti emanati al termine del relativo procedimento amministrativo e che hanno rilevanza esterna, e che esplicano i loro effetti nei confronti dei soggetti interessati. Viceversa non sono impugnabili gli atti propedeutici o interni dell’A.F. che pur facendo parte del procedimento amministrativo, si concluderà con il provvedimento impugnabile, non esplicano rilevanza esterna, e si limitano a far proseguire quel procedimento, nel cui ambito sono emessi, verso la conclusione finale.

Le comunicazioni in genere, infatti, costituiscono un invito a fornire eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione del tributi. Quindi manifestano una volontà impositiva in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di autotutela.

In sostanza non risultano impugnabili quegli atti intesi ad evitare controversie giurisprudenziali, mediante la comunicazione al soggetto di situazioni che appaiono rilevanti per l’accertamento o di contenuti di una pretesa tributaria, onde offrire la possibilità di dimostrare l’infondatezza, o in alternativa di soddisfare subito le pretese del fisco, rinunciando a contestazioni a fronte di una riduzione delle sanzioni amministrative. La comunicazione di irregolarità mira a prevenire la iscrizione a ruolo, ma non la sostituisce in tutte le sue funzioni. In sostanza è un atto che pur contenendo l’enunciazione di aspetti della fattispecie tributaria o della conseguente obbligazione, non è impugnabile se risulta avere carattere interlocutorio, in quanto è prevista dalla legge l’emanazione di un provvedimento ulteriore per completare quel segmento di attività amministrativa, nell’eventualità che non vada a buon fine il tentativo di fissare in via definitiva ed incontestabile tali aspetti mediante l’accettazione del primo atto da parte del destinatario. [Per, n.d.r.] La particolarità della materia trattata, è consigliabile compensare le spese di giudizio.

P.Q.M. – Respinge l’appello del contribuente. Spese compensate.


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