23 Dicembre, 2014

RIFLESSIONI SVOLTE ALLA LUCE DELLA PIÙ RECENTE POSIZIONE ASSUNTA DALL’AMMINISTRAZIONE DEL TERRITORIO E DELLE ULTIME INNOVATIVE IMPLICAZIONI, PROFILI CONTROVERSI E PROSPETTIVE DI RICOMPOSIZIONE

SOMMARIO: Premessa 1. La circolare dell’Agenzia del territorio n. 6/T/2012; 1.1. Le componenti oggetto della stima; 1.2. Gli approcci possibili ai fini della determinazione della rendita catastale. L’approccio di costo nel procedimento indiretto di determinazione della rendita catastale, quale approccio da preferire; 1.3. Il calcolo del deprezzamento nell’approccio di costo; 1.4. Il saggio di fruttuosità; 1.5. I dubbi interpretativi e applicativi scaturenti dalla circolare n. 6/T/2012 2. L’innovativa sentenza della corte di cassazione 12 aprile 2013, n. 8952 – 3. Considerazioni conclusive.

PREMESSA

Il presente lavoro, in continuità con il precedente contributo già pubblicato in questa Rivista (1), intende offrire agli operatori del settore della produzione di energia da fonti rinnovabili un aggiornamento in merito alla controversa vicenda catastale delle unità a destinazione speciale e particolare, ovvero – più precisamente – della loro classificazione in catasto (l’an) e soprattutto della loro valorizzazione a fini catastali (il quantum).

Partendo dal dato consolidato – sia in dottrina che in giurisprudenza – dell’estensione dell’applicazione dell’ICI (2) a questa classe di impianti produttivi e dei relativi obblighi di dichiarazione in catasto e tenendo conto del “sistema di disciplina” formatosi a seguito dello sforzo creativo svolto dalla giurisprudenza in materia nonché degli interventi interpretativi offerti dall’Amministrazione finanziaria periferica (3), concentreremo l’analisi sul nodo centrale che, ad oggi, tiene ancora banco: il tema della stima della rendita catastale degli impianti di produzione di energia elettrica, sotto il profilo dell’individuazione delle tipologie di impianti da considerare ai fini del calcolo della rendita catastale e della loro coerente valorizzazione.

Al fine di illustrare brevemente la struttura del presente lavoro, si precisa che, prendendo le mosse dagli ultimi interventi registratisi in materia, si cercherà di sviluppare qualche breve considerazione in merito ai problemi rimasti insoluti, anche (rectius: soprattutto) a seguito delle più recenti posizioni assunte dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, al fine di offrire agli operatori del settore uno strumento di orientamento il più aggiornato possibile allo stato dell’arte.

Più precisamente, le direttrici lungo le quali si svilupperà il presente lavoro trovano la loro scaturigine dalle più recenti posizioni su cui si sono assestate la prassi dell’Amministrazione finanziaria e la giurisprudenza di legittimità, ovvero:

la circolare dell’Agenzia del territorio 30 novembre 2012, n. 6/T (4), riguardante la determinazione della rendita catastale delle unità da censire nelle categorie catastali dei gruppi D ed E (delle unità immobiliari a destinazione speciale e particolare), con la quale l’Amministrazione finanziaria «al fine di assicurare una impostazione metodologica coerente ed uniforme di tali tipologie immobiliari, anche in considerazione dei correlati profili tributari, (…) intende fornire, sul tema, chiarimenti ed indicazioni di carattere tecnico-estimativo» (5);

la sentenza della Corte di Cassazione n. 8952/2013 (6), con la quale i giudici di legittimità si sono pronunciati sul criterio da adottare per la determinazione della rendita catastale da attribuire alle centrali elettriche, dichiarando legittima la stima delle turbine e dei macchinari effettuata con il metodo del c.d. “valore medio costante” (7).

Entrambi gli interventi hanno destato una particolare attenzione da parte degli operatori del settore, in quanto possono essere considerati delle tappe importanti del tortuoso percorso di maturazione (evoluzione) della disciplina che caratterizza questi beni.

Con il primo l’Agenzia del territorio ha fornito chiarimenti di natura eminentemente tecnica, non più procrastinabili, legati alla valutazione fiscale degli impianti e macchinari (turbine, pale eoliche, pannelli fotovoltaici, ecc.), solitamente presenti in questa tipologia di immobili, per i quali la valutazione «attesa la finalità perequativa che caratterizza il sistema estimativo catastale, non può prescindere dal considerare i fenomeni di rapido degrado per vetustà ed obsolescenza tipici, in particolare, di beni aventi una vita economica piuttosto breve» (8). Per tale categoria di beni, infatti, secondo quanto si legge nel documento di prassi in questione, «le incertezze manifestate sono da correlare, da una parte, alla naturale evoluzione tipologica e tecnologica che caratterizza tali categorie di immobili e, dall’altra, all’esigenza di un adeguamento delle indicazioni di prassi anche alla luce degli interventi giurisprudenziali succedutisi sul tema» (9).

Infatti il procedimento di rinnovamento di impianti esistenti può essere reso necessario per sfruttare la più lunga vita tecnica delle strutture civili con apparati tecnici nuovi e di migliore concezione (10). È evidente, quindi, che nel momento in cui si procede al classamento dei beni in questione deve essere considerato anche questo aspetto ai fini della corretta individuazione della rendita catastale (11).

Va da subito precisato che i chiarimenti in commento hanno lasciato irrisolte diverse questioni creando incertezze applicative. Restano infatti da chiarire le questioni già sollevate circa la indebita sovrapposizione tra profili reddituali e patrimoniali della tassazione degli immobili d’impresa, che rischia di non tenere conto delle peculiarità degli opifici e di penalizzare le realtà produttive, in particolar modo nell’attuale contesto di perdurante crisi economica, e della quale si auspica una modifica normativa nell’ambito dell’annunciata riforma del catasto (12).

[-protetto-]

Con la citata sentenza n. 8952/2013 (13), giunta dopo anni di faticose vicende interpretative ad esito di un percorso di analisi della disciplina e delle tecniche estimative fortemente controverso, trova riconoscimento autorevole il concetto di “valore medio costante”, in ragione della necessità di operare una stima quantitativa, in relazione a ciascun caso concreto, che risponda a criteri di oggettività e trasparenza. Viene accolto, pertanto, un metodo innovativo che segna il passo nella complessa vicenda della valorizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica, rilevante anche per quelli da fonti rinnovabili (14).

L’interesse per il contenuto della pronuncia si comprende alla luce del fatto che, ad oggi, il tema sul quale si concentrano i maggiori dubbi interpretativi (15) afferisce proprio alla valorizzazione degli impianti ai fini dell’attribuzione della rendita catastale, attività che per la specifica natura di tali beni (16) risulta particolarmente complessa, non ancora efficacemente normata e quindi potenzialmente idonea a generare conflitti tra le società operanti nel settore elettrico e l’Amministrazione finanziaria (17).

1. LA CIRCOLARE DELL’AGENZIA DEL TERRITORIO N. 6/T/2012

Fatte le doverose premesse di carattere generale, andando più nel dettaglio ad esaminare i profili di rilievo degli interventi anzidetti, occorre innanzitutto porre in evidenza come sia la stessa circolare n. 6/T/2012 a testimoniare la complessità della materia laddove precisa «come la peculiarità della stima catastale comporti un’applicazione dei procedimenti estimativi classici secondo linee del tutto specifiche, conformi alla normativa di settore e coerenti con gli indirizzi giurisprudenziali formatisi nel tempo sul tema» (18).

Premesso che, sulla base della normativa di riferimento (19), per le unità immobiliari classificate nelle categorie dei gruppi D ed E la rendita catastale si accerta con stima diretta per ogni singola unità, laddove – precisa la circolare – con la locuzione “stima diretta” si intende la stima effettuata in maniera puntuale, proprio in relazione alle caratteristiche peculiari di detti immobili per i quali non risulta possibile fare riferimento al sistema delle tariffe. In tale contesto, la rendita catastale può essere determinata con “procedimento diretto” o con “procedimento indiretto”, di cui ad ogni buon conto la circolare riferisce sinteticamente i passaggi più significativi (20).

1.1. Le componenti oggetto della stima

Rispettando l’ordine logico-argomentativo utilizzato dall’Agenzia del territorio, con specifico riferimento alle componenti da considerare ai fini della stima catastale, in recepimento dei vari interventi della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, la circolare in esame espone quello che deve ormai considerarsi l’orientamento consolidato, anche a seguito dell’emanazione di norme di interpretazione autentica.

E infatti, come è noto, l’individuazione di quali tipologie di componenti impiantistiche sia da includere o meno nella stima catastale è stato oggetto di un acceso dibattito dottrinale e di vari procedimenti contenziosi (21), per poi concludersi con l’affermazione del «criterio generale che tutte quelle componenti che contribuiscono in via ordinaria ad assicurare, a una unità immobiliare, una specifica autonomia funzionale e reddituale stabile nel tempo sono da considerare elementi idonei a descrivere l’unità stessa e influenti sulla quantificazione della relativa rendita catastale» (22).

Sul punto, in particolare, l’Agenzia del territorio precisa che nella stima catastale degli immobili in discorso rilevano sia le strutture edilizie (fabbricati e manufatti edilizi) che le installazioni connesse o incorporate ai fabbricati o comunque stabilmente infisse ad essi, qualora ricorrano le seguenti condizioni:

essenzialità dell’impianto o della installazione ai fini della qualificazione della destinazione economica dell’unità immobiliare (23);

circostanza che gli stessi siano “fissi”, ovvero stabili (anche nel tempo), rispetto alle componenti strutturali dell’unità immobiliare;

inclusione di componenti «all’interno del perimetro delle unità immobiliari, rappresentato nelle planimetrie rese disponibili al catasto e redatte nel rispetto delle disposizioni regolanti la materia» (24).

Ad ulteriore supporto del processo di valutazione da compiere in sede di selezione delle componenti rilevanti ai fini della determinazione della rendita catastale dell’immobile, la circolare sottolinea che gli interventi del legislatore, che hanno confermato l’inclusione nella stima catastale dei generatori di energia, «inducono a valorizzare tutte quelle ulteriori componenti che, poste a monte del processo produttivo o allo stesso funzionalmente connesse, rendono possibile proprio il funzionamento di detti generatori».

Devono, pertanto, essere inclusi nella stima catastale anche gli impianti mobili che configurino nel loro complesso parti stabilmente connesse al suolo o alle componenti strutturali dell’unità immobiliare, nonché le componenti impiantistiche presenti nell’unità immobiliare che contribuiscono ad assicurare alla stessa una autonomia funzionale e reddituale stabile nel tempo o risultino essenziali per caratterizzarne la destinazione. Per contro, non saranno prese in considerazione le apparecchiature mobili e gli impianti che, pur funzionali alle attività dell’immobile, non rappresentano componenti essenziali per la sua destinazione d’uso (25).

1.2. Gli approcci possibili ai fini della determinazione della rendita catastale. L’approccio di costo nel procedimento indiretto di determinazione della rendita catastale, quale approccio da preferire

Il documento di prassi fornisce una riassuntiva elencazione dei tre possibili approcci da utilizzare ai fini catastali, ovvero i metodi reddituale, di mercato e di costo (26).

Tra questi, i procedimenti reddituale e di mercato trovano valida applicazione solo in presenza di un mercato delle locazioni o delle compravendite dinamico, che consenta di reperire un numero di dati sufficiente per definire il probabile canone di locazione, o valore venale, con adeguata affidabilità. E, infatti – la circolare precisa ancora – «con riferimento specifico alle attività di accertamento catastale (…) che la possibilità di utilizzare gli approcci reddituale e di mercato è fortemente limitata, da un lato, dal vincolo normativo costituito dall’epoca censuaria di riferimento, che, ormai lontana nel tempo (biennio 1988-89), aumenta il livello di incertezza che caratterizza le analisi di mercato dei segmenti immobiliari in esame e dall’altro, dalla particolarità e singolarità degli immobili oggetto di accertamento, cui consegue la limitatezza dello stock complessivo di riferimento».

Conseguentemente, «quanto sopra trova conferma nella diffusa tendenza all’impiego dell’approccio di costo da parte, in particolare, degli Uffici provinciali dell’Agenzia nella loro consolidata pratica corrente».

Quale metodo da prediligere ai fini della determinazione della rendita catastale di questa particolare categoria di beni, l’Agenzia del territorio individua quindi l’approccio del costo a nuovo, applicando a questo un adeguato coefficiente di riduzione in rapporto allo stato attuale delle unità.

Sul punto, al fine di assicurare la coerenza con l’approccio di mercato (27), la stima del costo deve tenere conto di un profitto normale (P) del promotore immobiliare:

Valore di mercato = Costo di produzione (K) + Profitto normale (P).

Laddove il costo di produzione di un immobile (K) è, in linea generale, costituito dalla somma di valore del lotto (costituito dall’area coperta e dalle aree scoperte, accessorie e pertinenziali); costo di realizzazione a nuovo delle strutture; costo a nuovo degli impianti fissi; spese tecniche relative alla progettazione, alla direzione lavori e al collaudo; oneri concessori e di urbanizzazione; oneri finanziari.

Il costo delle strutture e degli impianti fissi, laddove realizzati in epoca antecedente a quella censuaria di riferimento (biennio 1988-89), deve essere, inoltre, opportunamente deprezzato in relazione alle condizioni di vetustà e obsolescenza tecnologica e funzionale dell’immobile oggetto di stima (relativamente al costo del lotto, considerata la specifica natura del bene che non è soggetto a fenomeni di degrado per vetustà o per obsolescenza tecnologica e funzionale, non è previsto alcun deprezzamento).

La rendita catastale, quindi, come nel caso dell’approccio di mercato, si determina con la formula inversa della relazione utilizzata per il calcolo della capitalizzazione dei redditi:

Rendita = Valore di mercato x r = (K + P) x r

dove r rappresenta il saggio di fruttuosità.

1.3. Il calcolo del deprezzamento nell’approccio di costo

L’Agenzia del territorio riferisce della necessità per cui, in attività di questo tipo, si possa «svincolare le operazioni di accertamento catastale da circostanze non ordinarie, assicurando, per la determinazione della rendita, criteri perequativi non condizionati dalla individuale capacità di gestione dell’immobile da parte del proprietario» (28).

Ne consegue pertanto che in sede di valutazione dello “stato attuale” dell’unità immobiliare occorre considerare le condizioni di vetustà e obsolescenza tecnologica e funzionale che, secondo la circolare, devono essere valutate con riferimento all’epoca censuaria stabilita per legge e tenendo conto del principio catastale dell’ordinarietà.

Sul punto, giova ricordare che se la vetustà tiene conto del fatto che il valore dei beni decade fisicamente nel tempo in relazione alla loro età, l’obsolescenza considera che alcune parti di essi, o il loro insieme, si deprezzano per invecchiamento tipologico, tecnologico e funzionale, non risultando più parzialmente o totalmente idonee al loro originario impiego in condizioni di mercato.

Con riguardo al deprezzamento, occorre precisare che è previsto nell’ordinamento catastale dall’articolo 28 del regolamento, il quale, al secondo comma, precisa che «Qualora non sia possibile determinare il capitale fondiario sulla base degli elementi previsti nel precedente comma (prezzi correnti per la vendita di unità immobiliari analoghe), il valore venale si stabilisce con riguardo al costo di ricostruzione, applicando su questo un adeguato coefficiente di riduzione in rapporto allo stato attuale delle unità immobiliari».

Poiché il momento della revisione generale degli estimi attualmente coincide con il biennio 1988-89, tutto ciò che è realizzato in epoca successiva dovrebbe essere considerato come nuovo.

Con specifico riguardo ai vari metodi indicati per il calcolo del valore deprezzato delle componenti strutturali e impiantistiche in ambito catastale, la circolare suggerisce di far riferimento al breakdown method, che non può «tendere ad annullare del tutto le capacità produttive, e quindi di reddito, dell’unità immobiliare, giacché esse vengono costantemente garantite dagli interventi manutentivi e dal reinvestimento degli accantonamenti per reintegrazione da parte dell’imprenditore ordinario» (29).

Il “degrado” deve essere considerato quale elemento complesso, costituito da alcune componenti elementari: deterioramento fisico rimediabile; obsolescenza funzionale rimediabile; deterioramento fisico non rimediabile; obsolescenza funzionale non rimediabile; obsolescenza esterna intesa come insieme dei fattori fisici, sociali, finanziari e politici che impattano sui valori immobiliari.

1.4. Il saggio di fruttuosità

Il legislatore a suo tempo aveva previsto il ricorso ai saggi di fruttuosità che avrebbe permesso di ponderare il rischio dell’investimento immobiliare in funzione anche della sua durata. Al riguardo la circolare dispone che: «Il saggio di interesse da attribuire al capitale fondiario per determinarne la rendita è il saggio di capitalizzazione che risulta attribuito dal mercato ad investimenti edilizi aventi per oggetto unità immobiliari analoghe. Qualora si tratti di unità immobiliari che, a causa delle loro caratteristiche o destinazione, siano per se stesse non suscettibili di dare un reddito in forma esplicita, si devono, invece, tener presenti i saggi di capitalizzazione che risultano attribuiti dal mercato ad investimenti concorrenti con quello edilizio». Sul punto è interessante la considerazione operata dall’Agenzia del territorio secondo cui, in base a un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, la scelta del saggio non può essere affidata ad alcuna discrezionalità, dovendo piuttosto lo stesso essere uniformemente determinato per ciascun Gruppo di categorie (30), in particolare in misura pari al 2% per gli immobili appartenenti alle categorie del Gruppo D, ovvero al 3% per quelli appartenenti alle categorie del Gruppo E (31).

Sulla base di quanto riferito, e nel considerare positivamente lo sforzo fatto dall’Amministrazione finanziaria che ha accolto, nell’ambito dei procedimenti di attribuzione della rendita catastale, i fattori della vetustà e obsolescenza, ci sembra doveroso sottolinearne alcuni profili critici (32).

Ebbene, tenuto conto che la rendita catastale rappresenta il reddito ritraibile da un dato bene nel suo periodo di vita, calcolato sulla base del valore stimato e della sua durata di vita prevedibile, facendo ricorso al suddetto «saggio di fruttuosità», è evidente che una stima effettivamente corrispondente alle caratteristiche di un bene immobile non possa prescindere dalla sua vetustà.

Il principio per cui la stima deve essere “attuale” per cui cambia in considerazione del mutare delle variabili da considerare (con il fattore vetustà è possibile tener conto della perdita di valore dei beni in relazione alla loro età), deve tenere nella debita considerazione la base normativa su cui si impernia la disciplina catastale dal momento che, come detto, l’estimo catastale impone un dato temporale fisso quando individua il biennio censuario di riferimento 1988/89 quale momento a cui occorre riferire lo stato degli immobili accertati: tutto ciò che è costruito in epoca successiva dovrebbe essere considerato come “nuovo”.

Appare pertanto di chiara evidenza la paradossale e inevitabile conclusione di finire per considerare come nuovo un bene “realizzato” nei primi anni ’90 al pari di uno costruito oggi.

Vi è di più. Occorre fare un opportuno distinguo tra gli edifici costituenti l’opificio per un verso e i macchinari e gli impianti per altro. Infatti, se le componenti edilizie di tali opifici a fine vita sono in condizione di mantenere un «valore residuo» di una certa rilevanza, per quanto riguarda il profilo tecnologico di vita dei macchinari e delle immobilizzazioni tecniche invece la situazione è ben diversa perché, per loro natura, tali installazioni a fine vita non mantengono più un valore residuo, per via delle innovazioni che si susseguono nel tempo soprattutto in caso di tecnologie così sofisticate.

Sotto questo profilo, in dottrina, è stato pertanto rilevato che: «per queste ragioni ai fini della corretta indicazione della rendita catastale degli impianti fissi presenti in un opificio è necessario considerare un “coefficiente di obsolescenza tecnologica” che rappresenti questa dinamica. Tale principio è stato evidenziato dalla dottrina (33) e pacificamente accettato dalla giurisprudenza di merito (34) proprio perché la redditività di una data unità immobiliare deve essere considerata anche con riguardo alla speciale funzione e alle caratteristiche di svalutazione particolarmente rapide legate alla tecnologia degli edifici e dei macchinari di modo che la rendita catastale degli impianti in esame non può prescindere dai deprezzamenti periodici legati alle continue innovazioni» (35).

1.5. I dubbi interpretativi e applicativi scaturenti dalla circolare n. 6/T/2012

Come detto, con la circolare in argomento l’Agenzia del territorio ha ritenuto di poter soddisfare i numerosi dubbi sollevati in materia, suggerendo un’interpretazione delle norme catastali che fosse adeguata alle indicazioni della prassi e comunque tenesse conto degli interventi giurisprudenziali succedutisi sul tema. corre l’obbligo di avvertire, tuttavia, come permangano notevoli perplessità – segnalate dagli operatori del settore nonché dalle associazioni di categoria – in merito a una serie di profili di non poco rilievo.

Con riferimento alle “componenti immobiliari oggetto di stima catastale”, sarebbero necessari ulteriori chiarimenti in merito al discrimine rappresentato dalla inclusione degli impianti all’interno del perimetro delle unità immobiliari (36) nonché al parametro costituito dagli impianti posti a monte del processo produttivo (37) o ancora in relazione a tipologie di impianti per i quali manca il requisito della strutturalità (38).

Numerose questioni sono state sollevate con riferimento all’approccio di costo nel procedimento indiretto di determinazione della rendita catastale. Innanzitutto, appare poco chiaro il profilo della inclusione nel costo di ricostruzione di spese e oneri indiretti, che possono non essere stati effettivamente sostenuti, ovvero come definire il costo di ricostruzione in base a metodologie attuali, qualora le metodologie dell’epoca non siano di fatto riproducibili.

Inoltre, nulla viene precisato in ordine alle modalità di variazione delle rendite già attribuite utilizzando coefficienti di fruttuosità più elevati del 2%, o senza tener conto dei processi di vetustà e obsolescenza. Al riguardo tuttavia appare evidente come gli Uffici, al fine di garantire la necessaria uniformità tra le rendite con conseguente tassazione in base alla effettiva capacità contributiva, debbano autonomamente procedere alla ridefinizione delle rendite catastali calcolate con procedimenti diversi rispetto a quelli descritti nella circolare.

Dubbi sono stati altresì sollevati con riferimento ad impianti arrivati al termine della vita produttiva.

Enorme è poi l’incertezza relativa alla corretta interpretazione della disposizione secondo la quale la rendita degli impianti dovrebbe essere definita per un periodo censuario decennale, applicando appositi indici per il calcolo del deprezzamento dovuto alla vetustà.

Fermo restando che il primo periodo censuario – iniziato nel 1989 – ed è tuttora in corso, alcuni Uffici hanno ritenuto corretto misurare il deprezzamento dell’impianto a decorrere dalla sua entrata in funzione. Ad esempio, per un impianto in attività dal 2008 e accatastato nel 2013, tali Uffici avrebbero considerato il deprezzamento riferito al decennio 2008-2018. Altri Uffici invece ritengono necessario computare il deprezzamento dall’anno di inizio del periodo censuario, riconoscendo quindi agli impianti entrati in esercizio nel periodo attualmente in corso lo stesso deprezzamento che la circolare definisce per i periodi censuari normali, di durata decennale.

Inoltre, merita certamente qualche ulteriore riflessione il profilo della incidenza di costi ambientali e di ripristino da sostenere alla scadenza nelle ipotesi di esistenza di concessioni, ad abbattimento del valore della rendita.

Infine, sono stati evidenziati i gravi ed evidenti limiti che il metodo del cost approach presenta, ad esempio, per la difficoltà di reperire informazioni su costi di ricostruzione di impianti similari, e soprattutto per la mancata definizione di una precisa e chiara formula di calcolo della vetustà e dell’obsolescenza.

I profili sollevati sono in grado di far apprezzare l’impossibilità di giungere a stime condivise e quindi il rischio di ulteriori margini di conflittualità tra le società operanti nel settore elettrico e l’Agenzia del territorio (considerata anche la disomogeneità dei criteri adottati localmente dagli Uffici periferici per determinare il coefficiente di deprezzamento) (39).

2. L’INNOVATIVA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE 12 APRILE 2013, N. 8952

Come detto, il tema dell’attribuzione della rendita catastale degli impianti di produzione ha determinato notevoli contrasti tra gli operatori economici da un lato e gli Uffici del territorio dall’altro. Più in particolare, il profilo centrale sul quale si sono concentrate le contese di merito riguarda il tema della valutazione delle turbine, sia in relazione alla necessità di considerare i macchinari elettrici ai fini del calcolo della rendita sia in relazione alla definizione di un legittimo criterio di valutazione dei macchinari medesimi.

Tale contrasto ha dato luogo a numerosi contenziosi fiscali su tutto il territorio nazionale; particolarmente significativo è il contenzioso relativo all’attribuzione della rendita catastale a una centrale termoelettrica situata in Lombardia che è recentemente terminato con la citata sentenza della Corte di Cassazione n. 8952/2013.

L’importanza di tale contenzioso risiede nel fatto che il suo sviluppo, nei diversi gradi di giudizio, riflette l’evoluzione legislativa, giurisprudenziale e di prassi sull’accatastamento degli impianti di produzione negli opifici elettrici intervenuta negli ultimi anni, giungendo finalmente a definire la metodologia da adottare nella valutazione degli impianti e dei macchinari.

In sede di attribuzione di rendita catastale per l’impianto considerato, la società ritenne che oggetto della stima diretta del valore del fabbricato dovessero essere soltanto le sue componenti immobiliari, cioè gli elementi costruttivi e di finitura dell’edificio (le fondamenta, i plinti, le tamponature, la copertura, i serramenti, ecc.) con esclusione degli impianti e dei macchinari che al suo interno risultavano installati (40).

Di contro, l’Ufficio del territorio ritenne che il valore attribuito agli impianti e ai macchinari, anche se rimovibili senza alterazione del fabbricato, dovesse essere considerato ai fini dell’attribuzione della rendita catastale dei fabbricati industriali (41), e rettificò la rendita catastale proposta valorizzando non solo le componenti immobiliari ma anche le turbine e i fabbricati.

Sulla base di queste premesse, la società procedette all’impugnazione dell’atto (42) con il quale veniva rettificata la rendita catastale eccependo principalmente che per i macchinari fissati all’immobile mediante viti e bulloni non si verificava il presupposto dell’unione fisica necessario per considerare il bene mobile incorporato nell’immobile (43). Si evidenziava inoltre che la natura di beni mobili dei macchinari e degli impianti rimovibili senza alterazione del fabbricato non risultava condizionata dal fatto che il vincolo di pertinenzialità tra fabbricato e impianti potesse risultare capovolto e quindi l’immobile stesso potesse divenire una pertinenza dell’impianto (44).

Al contrario, l’Ufficio del territorio riteneva che la rendita catastale esprimesse non soltanto la redditività propria del fabbricato ma anche la redditività industriale derivante dagli impianti e dai macchinari presenti (45). L’Ufficio quindi sostenne che gli impianti e i macchinari istallati all’interno dei fabbricati dovessero essere considerati come componenti impiantistiche dell’edificio aventi natura immobiliare fino a quando fossero rimasti incorporati o uniti anche in via transitoria (46).

Se il primo grado si risolse in senso favorevole all’Ufficio (47), il secondo grado ebbe esito opposto. E, infatti, la società impugnò la sentenza di primo grado davanti alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia LXVII, che, accogliendo le ragioni rappresentate nel ricorso, riconobbe il principio secondo cui gli impianti e i macchinari rimovibili senza alterazione dell’edificio non devono essere considerati ai fini del calcolo della rendita catastale del fabbricato industriale.

Questa volta fu l’Ufficio del territorio ad impugnare la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia davanti alla Corte di Cassazione con la cui sentenza n. 21730/2004 è stato affermatoil principio della rilevanza delle turbine ai fini dell’attribuzione della rendita catastale rinviando alla Commissione tributaria regionale affinché procedesse alla valorizzazione dei macchinari (48).

Nel giudizio di riassunzione la società esercente la centrale ritenne opportuno contrastare la valutazione delle turbine effettuata dall’Ufficio proponendo un metodo di valutazione corretto sotto un punto di vista scientifico e coerente con l’ordinamento catastale (49).

Più specificamente, la società elettrica decise di ricorrere al metodo del costo effettivo di acquisto o costruzione, opportunamente ridotto per effetto della vetustà e dell’obsolescenza. La vetustà consiste nel decadimento del valore dei beni dovuto al loro utilizzo nel tempo, ossia al loro deterioramento fisico (50). L’obsolescenza consiste invece nel decadimento del valore dei beni per invecchiamento tipologico, tecnologico e funzionale, ossia nel processo per cui i beni vengono superati da nuovi prodotti in commercio (51) e rivalutato in funzione della variazione intervenuta nel valore della moneta. Nel settore elettrico l’obsolescenza è così rilevante da giustificare il frequente rinnovamento degli impianti di generazione al fine di sfruttare la più lunga vita tecnica delle infrastrutture civili, estendendo la vita operativa della centrale elettrica nel suo complesso oppure cambiandone le modalità produttive per aumentarne il rendimento.

Considerando che il valore degli impianti diminuisce rapidamente nel tempo per vetustà ed obsolescenza e che tuttavia è necessario che la rendita catastale rappresenti il rendimento medio riveniente da un opificio nel tempo, si ritenne opportuno sostituire al valore puntuale dell’impianto all’epoca dell’accatastamento il suo “valor medio costante” (52), rappresentato dalla media dei valori attribuibili all’impianto stesso nel residuo periodo di utilizzo ottenuti considerando la riduzione di valore attesa per effetto della vetustà individuando così il metodo di valorizzazione degli impianti e dei macchinari.

Tali considerazioni furono accolte dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (53) che riconobbe la legittimità del metodo del valore medio costante.

Risultava così definitivamente affermato il principio secondo cui per l’attribuzione della rendita catastale agli immobili adibiti ad opificio elettrico è necessario valutare non solo le componenti immobiliari ma anche gli impianti e i macchinari (54).

Alla fine il 12 aprile 2013 fu pubblicata la più volte citata sentenza della Corte di Cassazione n. 8952, con la quale si precisava che «al criterio adottato dall’amministrazione – attestato sui principi su cui si fonda l’estimo catastale, che, partendo dalla ricognizione dello stato di fatto del bene da stimare, prescindono da ogni considerazione di un eventuale degrado degli immobili e dei loro componenti – viene preferito quello proposto dalla società contribuente, che, prendendo le mosse dalla naturale diversità dei tempi di obsolescenza e usura fisica tra beni immobili, impianti e macchinari, rispettoso nella sostanza del sistema impositivo su base catastale, definisca un valore medio costante cui applicare l’aliquota per il periodo di durata del bene».

Giova sottolineare come la Corte di Cassazione non abbia semplicemente affermato il principio della rilevanza della vetustà e dell’obsolescenza nel procedimento valutativo finalizzato all’attribuzione della rendita catastale. Al significativo riconoscimento che tali fenomeni incidono sul valore degli impianti e debbono pertanto essere presi in considerazione unitamente al deprezzamento della moneta in relazione al tempo decorso dall’acquisto dell’impianto fino all’accatastamento, si aggiunge infatti una considerazione ulteriore: allo scopo di disporre di una rendita stabile nel tempo tali fenomeni debbono essere considerati anche per il periodo di futuro utilizzo degli impianti. Alla valutazione di quanto accaduto nel passato si deve aggiungere quindi quella di quanto ragionevolmente potrebbe accadere nel futuro.

3. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

In conclusione, tenuto conto dell’assetto normativo caratterizzante la materia, alla luce degli anzidetti interventi “interpretativi” nonché dei dubbi applicativi ancora caratterizzanti il tema, ci appare utile cercare di fornire la chiave di lettura più aggiornata che tenga conto dei principi di diritto su cui si impernia il nostro ordinamento.

A tal fine, l’aggiornamento svolto impone qualche riflessione in ordine ai principi accolti con la sentenza da ultimo riferita e commentata.

Con la soluzione giuridica del caso posto all’attenzione della Suprema Corte, la giurisprudenza di legittimità, per la prima volta, ha fornito una strada interpretativo-applicativa che si innesta nel complicato percorso della determinazione del valore degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

E, infatti, come detto, il definitivo riconoscimento da parte della giurisprudenza di legittimità della compatibilità con l’ordinamento catastale del metodo di valutazione denominato “valore medio costante” costituisce una novità con la quale sia gli operatori di settore sia l’Agenzia (devono e) dovranno fare i conti.

Sul punto, in attesa dell’auspicato intervento normativo (55) che ponga fine alle incertezze interpretative caratterizzanti tale profilo, la materia conosce un “contrasto” tra la prassi applicativa degli Uffici per un verso e la posizione assunta dalla giurisprudenza per altro, di talché gli operatori del settore – ad oggi – si trovano innanzi al difficile bivio di adeguarsi alla posizione interpretativa su cui si è assestata l’Agenzia del territorio ovvero di seguire le tracce di un metodo di valorizzazione che ha “retto” al vaglio di legittimità degli ermellini.

In tale prospettiva, concentrando la nostra attenzione sul caso di specie e intendendo offrire una sorta di “guida” che sia di supporto agli operatori per affrontare le insidie che – come visto – si celano tra le maglie della materia, per effetto del complesso assetto venutosi a creare, occorre riportare a sistema le “fonti” potenzialmente in conflitto focalizzando il ruolo che le circolari svolgono nel sistema delle fonti.

Per far ciò, preliminarmente, occorre affrontare il tema dell’efficacia delle circolari dell’Amministrazione finanziaria, delle quali occorre distinguere l’“efficacia normativa interna” (ovvero nei confronti dei soggetti appartenenti all’Amministrazione che l’ha emanata) dalla “efficacia normativa esterna” (ovvero nei confronti di soggetti esterni all’Amministrazione che l’ha emanata).

Ebbene, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di legittimità (con una sentenza pronunciata a Sezioni Unite in tema di efficacia di tali atti dell’Agenzia delle entrate) (56), le circolari sono atti della pubblica Amministrazione che «contengono istruzioni, ordini di servizio, direttive impartite dalle autorità amministrative centrali o gerarchicamente superiori agli enti o organi periferici o subordinati», conseguentemente esse «esauriscono la loro portata ed efficacia giuridica nei rapporti tra i suddetti organismi ed i loro funzionari» (57).

Si tratta, insomma, di atti destinati ad esercitare una funzione direttiva nei confronti degli Uffici dipendenti, senza pertanto poter «spiegare alcun effetto giuridico nei confronti di soggetti estranei all’amministrazione, né acquistare efficacia vincolante per quest’ultima» (58).

Declinando tali conclusioni con specifico riferimento alla materia tributaria, ovvero una materia “governata” dal principio costituzionale della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. (59), secondo quanto precisato dagli stessi giudici di legittimità, tali atti non possono in alcun modo «incidere sul rapporto tributario, tenuto anche conto che la materia tributaria è regolata soltanto dalla legge, con esclusione di qualunque potere o facoltà discrezionale dell’amministrazione finanziaria (in questa prospettiva cfr. Cass., Sez. 1^, 25 marzo 1983, n. 2092 e 17 novembre 1995, n. 11931; Cass. Sez. 5^, 10 novembre 2000, n. 14619 e del 14 luglio 2003 n. 11011)».

Chiariti i profili di efficacia che tali atti dell’Amministrazione finanziaria possono dispiegare, non resta che definire cosa accade nel caso in cui – come nel caso di specie – una circolare contenga indicazioni sull’applicazione delle norme tributarie “in contrasto” con l’interpretazione che di tali norme fornisce la giurisprudenza di legittimità.

I giudici di legittimità, quali garanti per eccellenza dell’attività interpretativa condotta alla luce dei principi di diritto, svolgono un ruolo centrale di guida nell’interpretazione uniforme del diritto e di (tendenziale) sintesi nella formazione del “diritto vivente” (60), in quanto l’interpretazione che essi fanno della norma assurge a tipo o paradigma di fattispecie (61).

Sulla scorta delle anzidette considerazioni, è possibile concludere affermando che le decisioni dei giudici di legittimità (a cui è demandata la definitiva e inappellabile interpretazione della norma), sebbene pronunciate in un ordinamento (il nostro) in cui non vige il principio dello stare decisis (62), svolgono un ruolo di “primazia” nell’interpretazione delle norme di diritto (63) che non può essere messo in discussione dall’azione “interpretativa” che l’Amministrazione finanziaria affida alle circolari.

A parere di chi scrive, pertanto, una circolare dell’Amministrazione finanziaria (quale atto di indirizzo della condotta degli Uffici cui sono rivolte e non già atto vincolante per il privato, destinatario solo mediato e indiretto) che risulti in contrasto con le norme di legge per il tramite dell’interpretazione che di tali norme dà la giurisprudenza, dovrebbe poter essere disattesa nella sua applicabilità nei limiti in cui sussiste il contrasto, al fine di evitare di immettere nell’ordinamento effetti giuridici che comunque non reggerebbero, verosimilmente, alla prova di forza di un contenzioso.

Diversamente, nell’ipotesi in cui gli Uffici ritenessero di dover comunque adottare i criteri valutativi definiti dalla circolare, sebbene in contrasto con quelli confermati dalla giurisprudenza di legittimità, l’operatore titolare del diritto si troverebbe costretto a valutare l’opportunità di avviare un procedimento contenzioso, al fine di vedere riconosciuti applicabili al bene oggetto del proprio diritto criteri valutativi conformi con l’ordinamento.

Da ultimo, per completezza di trattazione, tenendo nella opportuna considerazione il ventaglio delle esigenze operative più ricorrenti nella quotidianità dei soggetti economici interessati al caso di specie, occorre fare qualche breve riflessione per il caso di impianti la cui categoria e rendita sia stata proposta prima della pubblicazione della citata circolare n. 6//T/2012 dei quali l’Ufficio non abbia (ancora) proceduto a rideterminare la rendita.

In tali ipotesi, dunque, nell’incertezza normativa che caratterizza la materia, potrebbe sorgere qualche dubbio operativo, ad esempio, per il caso di rendita definitiva che dovesse risultare superiore a quella che si sarebbe potuto individuare in applicazione dei criteri indicati che la circolare n. 6/T/2012 ha fissato al fine di porre chiarezza nella normativa.

In tal caso, può il soggetto interessato richiedere una “rettifica” della rendita catastale al fine di allineare l’accatastamento al criterio individuato dall’Amministrazione finanziaria?

In merito, si ritiene che la parte interessata al riconoscimento del diritto ad una definizione mirata e specifica del bene considerato potrebbe proporre istanza alla stessa Amministrazione finanziaria la quale, nell’esercizio della potestà di autotutela, potrebbe procedere al riesame dell’accatastamento (64). Si comprende bene come, in ciascuna delle possibilità prese in considerazione nelle fattispecie vagliate, resterebbero aperti i molteplici dubbi interpretativo-applicativi di cui s’è detto e con essi le inevitabili insidie per gli operatori del settore.

Peraltro, in attesa di un intervento legislativo che ponga fine, una volta per tutte, ai dubbi interpretativi propri del tema, è probabile che l’Amministrazione finanziaria – e in particolare gli Uffici locali – lungi dal recepire i principi da ultimo riconosciuti dalla Suprema Corte e tra questi in primis il metodo estimativo del “valore medio costante”, perseveri nella sterile applicazione dei criteri indicati dalla più volte citata circolare n. 6/T/2012, con ciò determinando un’ulteriore (forse anche più grave) incertezza, con conseguenti radicalizzazione delle posizioni contrapposte e incremento dei contenziosi.

È di tutta evidenza, quindi, che non si possa pensare di rinviare oltre l’adozione di una soluzione che affronti il tema una volta per tutte.

Dopotutto, appare ormai chiaro che questa sia l’unica strada percorribile, attesa l’urgenza, per un verso, di dare risposte concrete e affidabili nel lungo tempo agli operatori di un settore strategico come questo, i quali si trovano a fare i conti, tra l’altro, con l’incertezza normativa e applicativa a danno dell’iniziativa economica; per altro, di sanare quel conflitto tra prassi applicativa e interpretazione giurisprudenziale più evoluta fonte di contenziosi che vedranno prevedibilmente soccombente, sul punto, la stessa Amministrazione finanziaria.

          Avv. Iole Nicolai – Dott. Carlo Patrignani – Avv. Chiara Tomassetti

(1) Cfr. I. Nicolai C. Patrignani C. Tomassetti, Riflessioni in tema di impianti eolici, in Boll. Trib., 2012, 1210.

(2) Le considerazioni svolte in giurisprudenza e dottrina con riferimento all’ICI devono considerarsi estensibili alla recente IMU, alla quale quindi d’ora innanzi si intendono riferiti i rinvii all’ICI. Cfr. I. Nicolai C. Patrignani C. Tomassetti, Riflessioni in tema di impianti eolici, cit., 1210.

(3) Sull’avvenuto superamento di una certa giurisprudenza di merito secondo la quale tale particolare tipologia di beni debba essere inquadrata nell’alveo della categoria E, ovvero esente, si è già avuto modo di dire, commentando Cass., sez. trib., 14 marzo 2012, n. 4031, in Boll. Trib. On-line. Parimenti, con riferimento alla valutazione di impianti e macchinari, si è già avuto modo di dar conto della disputa che ha animato il settore in merito alle componenti da considerare ai fini della determinazione della rendita degli opifici, risolto dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Corte Costituzionale nel senso di dover includere le turbine nella stima catastale delle centrali elettriche (art. 1-quinquies del D.L. 31 marzo 2005, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 maggio 2005, n. 88). Cfr. su entrambi i punti I. Nicolai C. Patrignani C. Tomassetti, cit., 1210. Considerando l’incertezza che caratterizzava non solo la giurisprudenza di merito ma anche quella di legittimità, il legislatore ritenne opportuno ricorrere allo strumento della legge di interpretazione autentica della normativa catastale. Secondo l’art. 1-quinquies del D.L. n. 44/2005 «ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 2, della Legge n. 212/2000, l’art. 4 del regio decreto n. 652/1939, convertito con modificazioni dalla Legge 1249/1939, limitatamente alle centrali elettriche, si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi dell’art. 10 del citato regio decreto legge, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell’attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo». Tale norma apparve fin da subito caratterizzata da profili di incostituzionalità (sul punto si veda L. Salvini, Il fisco inciampa sulla rendita delle turbine, in Il Sole 24 Ore del 15 agosto 2005, 24) per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., nella parte in cui la sua efficacia interpretativa veniva limitata ai soli soggetti che esercitano centrali elettriche, creando una disparità di trattamento tra i contribuenti che esercitano attività di centrali elettriche e i contribuenti che tale attività non svolgono. Finalmente nel giudizio relativo all’accatastamento degli impianti di una centrale elettrica la Comm. trib. reg. dell’Emilia Romagna, sez. XIII, 13 luglio 2006, ord. n. 16, in Boll. Trib. On-line, sollevò la questione di legittimità costituzionale in relazione al citato art. 1-quinquies del D.L. n. 44/2005, nella parte in cui «tratta in maniera disomogenea fattispecie sostanzialmente identiche senza alcun criterio apparente di ragionevolezza». Si rinvia alla circ. 22 novembre 2007, n. 14/T, in Boll. Trib., 2007, 1877.

(4) In Boll. Trib., 2012, 1699.

(5) Cfr. circ. n. 6/T/2012, cit.; su questo documento di prassi cfr. S. Baruzzi, Circolare n. 6/T del 30 novembre 2012. Determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, in il fisco, 2012, 7589; e M. Del Vaglio, Valutazione di impianti e macchinari per la corretta determinazione della rendita catastale degli opifici, in Corr. trib., 2013, 1207. In questa sede, si segnala appena un recente documento di prassi (circ. 19 dicembre 2013, n. 36/E, in Boll. Trib., 2014, 202) con cui l’Agenzia delle entrate è intervenuta in materia di Impianti fotovoltaici per occuparsi di “Profili catastali e aspetti fiscali”. Con essa (estensibile agli impianti eolici, tant’è che si legge: «in presenza di tematiche riguardanti anche investimenti nell’eolico, le soluzioni prospettate sono applicabili, per quanto compatibili, anche a questi ultimi investimenti»), l’Amministrazione fiscale è intervenuta «per chiarire come rilevano ai fini delle imposte dirette e dell’IVA gli incentivi erogati ai titolari di impianti di energia da fonti rinnovabili, e come sono inquadrati in ambito catastale gli impianti fotovoltaici», senza toccare il tema dei criteri di determinazione della rendita castale.

(6) Cfr. Cass., sez. trib., 12 aprile 2013, n. 8952, in Boll. Trib. On-line.

(7) Cfr. G. Bonardi C. Patrignani, Rendite catastali «rettificate» sulle turbine, in Il Sole 24 Ore del 2 giugno 2013, 18; e ID., L’intervento. Così la rendita catastale delle centrali elettriche. Conferma della Cassazione: i macchinari si valutano al “valor medio costante”, in Quotidiano energia, 10 luglio 2013, www.quotidianoenergia.it.

(8) Cfr. circ. n. 6/T/2012, par. 1, cit.

(9) Cfr. circ. n. 6/T/2012, par. 1, cit.

(10) Sulla base di queste considerazioni, scelte di investimento già adottate possono essere riviste, in quanto tali fattori possono mutare in maniera drastica l’operatività e la redditività di centrali già costruite. Occorre considerare il differente impatto dei fenomeni di degrado per vetustà e obsolescenza su queste installazioni e la conseguente ripercussione sulla vita economica utile degli stessi che dunque risulta più breve rispetto a quella delle componenti edilizie. In questa prospettiva, si precisa tra l’altro che la variazione nel tempo della capacità produttiva di tali impianti comporta una variazione anche del loro valore commerciale.

(11) Sul punto cfr. S. Baruzzi, Circolare n. 6/T del 30 novembre 2012, cit.: «Inoltre, dopo anni di esperienza, ulteriori investimenti possono sfruttare al meglio le innovazione tecnologiche per estendere la vita operativa dell’impianto oppure per cambiarne le modalità produttive. Non a caso, infatti, proprio gli impianti di generazione vengono rinnovati e migliorati due o tre volte durante la vita delle infrastrutture civili. Spesso questi interventi si rendono necessari per migliorare l’efficienza del sistema produttivo e/o per modificarne alcune parti in modo da aumentarne il rendimento, a seconda della richiesta spaziale e temporale della domanda di mercato».

(12) Attualmente è al vaglio del Parlamento la c.d. Riforma del catasto.

(13) Come meglio si dirà, la fattispecie sulla quale si sono pronunciati i giudici di legittimità riguardava la valutazione ai fini catastali di centrali elettriche e afferiva, in particolare, le turbine, in quanto elementi costitutivi degli opifici caratterizzati da una connessione strutturale con l’edificio, tale da realizzare, nell’impostazione della Suprema Corte, un unico bene complesso.

(14) Cfr. L. Ingaramo R. Roscelli, La rendita catastale dei sistemi di produzione di energia elettrica: il valore medio costante, in G. Bonardi C. Patrignani (a cura di), Energie alternative e rinnovabili, Milano, 2010, 561 ss., secondo cui «… nel procedimento di stima da adottare per la determinazione della rendita catastale di una torre eolica, in considerazione della diversa tipologia del macchinario impiegato (aerogeneratore), sono molteplici le riflessioni preliminari prima di effettuare il calcolo della rendita catastale. La questione da affrontare risiede nel principio consolidato dell’estimo catastale, per cui la rendita determinata deve rimanere costante fino a quando non cambiano i valori delle diverse tipologie dei beni del sistema produttivo unitario. Gli aerogeneratori delle torri eoliche, componenti primari ed essenziali dell’opificio, hanno invece, per loro natura, una differenza sostanziale rispetto ai macchinari usualmente presenti negli opifici. Infatti, così come per le turbine delle centrali elettriche o i pannelli fotovoltaici, scontano una continua e rilevante variazione del loro valore con fenomeni di obsolescenza tecnologica significativi. Per tale motivazione, non è possibile applicare le varie metodologie consolidate, inerenti la vetustà o il degrado per obsolescenza (cfr. formula della U.E.E.C.). Per tale motivo è apparso ragionevole allora applicare un “valore medio costante” su cui determinare la rendita catastale, che tenga in considerazione l’aggressivo sviluppo tecnologico di queste macchine e quindi, la repentina obsolescenza tecnologica».

(15) Risultano infatti ormai allineate le posizioni della giurisprudenza e dell’Amministrazione finanziaria sulle questioni più controverse che negli anni hanno caratterizzato il dibattito relativo all’assoggettamento a ICI degli impianti da fonti rinnovabili, tra le quali in questa sede si ricorda, in particolare, il tema dell’assimilazione alle centrali elettriche degli impianti eolici. Cfr. Cass., sez. trib., 14 marzo 2012, n. 4028, in Boll. Trib. On-line: «I parchi eolici, in quanto costituiscono centrali elettriche, rispetto alle quali il sistema normativo non offre indicazioni che ne giustifichino un trattamento differenziato, sono accatastabili nella categoria “D/1-Opificio” e le pale eoliche debbono essere computate ai fini della determinazione della rendita, come lo sono le turbine di una centrale idroelettrica, poiché anch’esse costituiscono una componente strutturale ed essenziale della centrale stessa, sicché questa senza quelle non potrebbe più essere qualificata tale, restando diminuita nella sua funzione complessiva ed unitaria ed incompleta nella sua struttura»; e Cass., sez. trib., 14 marzo 2012, n. 4029, ivi: «Gli aero generatori sono l’elemento principale di un impianto eolico e ne costituiscono le turbine (turbine a vento o turbine coliche) che generano l’energia elettrica sfruttando la forza del vento, allo stesso modo in cui, mutatis mutandis, le turbine idrauliche trasformano in energia elettrica la forza dell’acqua nelle comuni centrali idroelettriche. Un parco eolico, quindi, assolve ad una funzione assolutamente analoga a quella di una centrale idroelettrica, salvo la diversa fonte naturale (vento, in un caso, acqua, nell’altro) dalla cui forza è derivata per effetto delle turbine l’energia elettrica prodotta». Analogamente, cfr. Cass., sez. trib., 14 marzo 2012, n. 4030, in Boll. Trib. On-line. Cfr. D. De Girolamo, Imposizione IMU e impianti eolici, in G. Bonardi C. Patrignani (a cura di), Energia Fiscalità Incentivi Agevolazioni, Milano, 2013, 105 ss.

(16) A titolo esemplificativo, si segnala Comm. trib. prov. di Avellino, sez. I, 10 luglio 2012, n. 338, inedita, nella quale, dando atto proprio della specificità dei beni in questione, i giudici hanno considerato (sia pure parzialmente) incongruo il valore della rendita come rideterminato dall’Agenzia del territorio:«si ritiene comunque aderire, seppure parzialmente, alle valutazioni espresse dalla parte con specifico riferimento alla incongruità dei valori attribuiti a titolo di rendita catastale considerata la particolarità dei beni sottoposti a verifica. Al riguardo, non può non condividersi che trattasi di strutture il cui valore venale non è suscettibile di omologazione e standardizzazione oltre che, per la loro peculiarità, necessari di continua manutenzione oltre che di attenzione tecnologica nel senso che gli impianti de quibus sono sicuramente esposti a repentino e continuo deprezzamento anche per il naturale susseguirsi di aggiornamenti tecnologici per cui è onere costante monitorare la obsolescenza … ritiene ridurre del 20% quanto classato dall’Agenzia del Territorio».

(17) Una questione, questa, costituente un nodo centrale, da ultimo nuovamente posta all’attenzione delle Autorità dagli operatori del settore nei tavoli di discussione aperti intorno al tema, anche successivamente all’emanazione della richiamata circ. n. 6/T/2012, cit., attesa l’eccessiva discrezionalità lasciata agli Uffici del territorio nell’interpretazione e nella conseguente applicazione delle disposizioni vigenti. Infatti i profili sui quali si concentrano ancora i maggiori dubbi interpretativi riguardano una serie di parametri – attesa la scarsa idoneità degli stessi a fornire indicazioni univoche in sede di valutazione degli impianti – cui fa ricorso la circolare medesima, tra i quali: – la determinazione del valore dell’immobile all’epoca censuaria 1988-89 in base a “costi di ricostruzione”; – l’applicazione al costo di ricostruzione per gli immobili di epoca precedente al 1988-89 del coefficiente di vetustà, spesso effettuata senza tenere adeguatamente conto della specificità delle singole realtà produttive; – l’applicazione di un coefficiente di deprezzamento che consenta di tenere conto della vita utile e del valore residuo degli impianti inclusi nella determinazione della rendita.

(18) Sulla scorta di siffatte riflessioni, secondo quanto è possibile leggere nel documento di prassi in questione, sulla premessa che le unità censite nelle categorie dei gruppi D ed E sono costituite da “immobili” non ordinari, non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni, si precisa come di tale circostanza occorre tener conto al momento del classamento.

(19) Cfr. l’art. 30 del regolamento per la formazione del catasto edilizio urbano, approvato con D.P.R. 10 dicembre 1949, n. 1142. Al riguardo cfr. circ. n. 6/T/2012, cit.: «Per quanto concerne gli immobili in esame, il citato articolo 8 del regolamento prevede che “La classificazione non si esegue nei riguardi delle categorie comprendenti unità immobiliari costituite da opifici … costruiti per le speciali esigenze di una attività industriale o commerciale e non suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni. Parimenti non si classificano le unità immobiliari che, per la singolarità delle loro caratteristiche, non siano raggruppabili in classi, quali stazioni per servizi di trasporto terrestri e di navigazione interna, marittimi ed aerei, fortificazioni, fari, fabbricati destinati all’esercizio pubblico del culto, costruzioni mortuarie, e simili”. L’articolo 30 stabilisce, inoltre, che “Le tariffe non si determinano per le unità immobiliari indicate nell’articolo 8. Tuttavia la rendita catastale delle unità immobiliari appartenenti a tali categorie si accerta ugualmente, con stima diretta per ogni singola unità”. Si precisa, innanzitutto, che con la locuzione “stima diretta” si intende la stima effettuata in maniera puntuale sugli immobili a destinazione speciale o particolare, per i quali, proprio in relazione alla peculiarità delle relative caratteristiche, non risulta possibile fare riferimento al sistema delle tariffe. In tale contesto, la rendita catastale può essere determinata con “procedimento diretto” o con “procedimento indiretto”».

(20) Cfr. circ. n. 6/T2012, cit.: «Il procedimento diretto è quello delineato dagli articoli 15 e seguenti del regolamento, ove si stabilisce che la rendita catastale si ottiene dal reddito lordo ordinariamente ritraibile, detraendo le spese e le eventuali perdite. Il reddito lordo ordinario è il canone di locazione, fatte salve le eventuali aggiunte e detrazioni di cui agli articoli 16 e 17 (tra le prime, le spese di manutenzione ordinaria sostenute dal locatario anziché dal proprietario; tra le seconde, alcune spese condominiali sostenute dal proprietario anziché dal locatario). Il procedimento indiretto è, invece, quello previsto dagli articoli 27 e seguenti del regolamento, nei quali si precisa che il reddito ordinario può essere calcolato a partire dal valore del capitale fondiario, identificabile nel valore di mercato dell’immobile (se esiste un mercato delle compravendite), ovvero nel valore di costo di ricostruzione, tenendo conto, in quest’ultimo caso, di un adeguato “coefficiente di riduzione in rapporto allo stato attuale delle unità immobiliari” (deprezzamento)».

(21) La stessa circolare, in proposito, fa notare come «mentre per quanto concerne le parti strutturali (fabbricati e manufatti edilizi), da computare ai fini della stima catastale, non si evidenziano particolari elementi di criticità, l’individuazione delle tipologie di componenti impiantistiche da includere o meno in detta stima è, da qualche tempo, al centro di ampio dibattito dottrinale ed oggetto di vari interventi giurisprudenziali» e quindi evidenzia come «al fine di chiarire quali impianti, fra quelli presenti nell’unità immobiliare, hanno rilevanza catastale si ritiene necessario fornire specifiche linee guida, sulla base della legislazione vigente, che possano costituire un utile riferimento sia per le attività di accertamento catastale effettuate dagli Uffici provinciali dell’Agenzia, sia per la redazione degli atti di aggiornamento, ai sensi del decreto ministeriale 19 aprile 1994, n. 701».

(22) Cfr. Corte Cost. 20 maggio 2008, n. 162, in Boll. Trib. On-line, e, sulla vicenda ricordata, il precedente contributo di I. Nicolai C. Patrignani C. Tomassetti, Riflessioni in tema di impianti eolici, cit., 1210.

(23) Cfr. circ. n. 6/T/2012, cit.: tale valutazione «presuppone la piena conoscenza dei beni immobiliari oggetto di stima e dell’evoluzione, anche sotto il profilo tecnologico, dei processi produttivi che negli stessi vengono svolti e che determinano con chiarezza la destinazione d’uso dell’immobile».

(24) «Ne consegue, ad esempio, che le parti immobiliari costituite dalle strutture che sorreggono cavi per il trasporto dell’energia devono essere prese in considerazione solo se ricadenti nel mappale oggetto d’esame, il quale rappresenta l’area occupata dall’unità immobiliare», cfr. circ. n. 6/T/2012, cit., la quale precisa, altresì, che «Le costruzioni e gli impianti accessori menzionati devono essere presi in considerazione anche se posti su suolo pubblico».

(25) La circolare, per le varie ipotesi sopra indicate, formula una nutrita elencazione di esempi relativi a impianti o macchinari da includere o meno nella rendita catastale. Sono, a titolo esemplificativo, da considerare rilevanti: • canali adduttori delle acque per il funzionamento delle turbine nelle centrali idroelettriche, condotte petrolifere o dei prodotti derivati o connesse ai sistemi di raffreddamento, utilizzate nelle centrali termoelettriche che, in ogni caso, devono essere rappresentate nella mappa catastale; • aerogeneratori (rotori e navicelle) degli impianti eolici, nonché pannelli e inverter degli impianti fotovoltaici; • altiforni, pese, grandi impianti di produzione di vapore, binari, dighe, canali adduttori e di scarico, gallerie e reti di trasmissione e distribuzione di merci e servizi, impianti che, ancorché integranti elementi mobili, configurano nel loro complesso parti stabilmente connesse al suolo o alle componenti strutturali dell’unità immobiliare, quali montacarichi, carri ponte, ascensori, scale, rampe e tappeti mobili; • componenti impiantistiche presenti nell’unità immobiliare che contribuiscono ad assicurare alla stessa una autonomia funzionale e reddituale, stabile nel tempo, ovvero risultino essenziali per caratterizzarne la destinazione (es. grandi trasformatori). Sono invece da escludere nel processo di valutazione: • tralicci e relativi cavi utilizzati per il trasporto di energia elettrica, binari utilizzati dalle ferrovie o dalle teleferiche, costituenti le reti di trasporto; • reti stradali, idriche e fognarie, a quelle per il trasporto dati, ai metanodotti, (ecc.); • apparecchiature mobili, quali robot, macchine utensili, vagoni liberamente circolanti su reti aperte all’esterno dell’unità immobiliare e relativi sistemi di automazione e propulsione; impianti che, pur funzionali alle attività dell’opificio (o di altra destinazione catastale), non rappresentano per la stessa destinazione componenti essenziali, come, ad esempio, le apparecchiature per la gestione delle reti informatiche e le apparecchiature elettroniche per la gestione delle trasmissioni telefoniche, radiotelevisive, ecc.

(26) Cfr. circ. n. 6/T/2012, cit.: «4. L’approccio reddituale nel procedimento diretto di determinazione della rendita catastale. L’Istruzione, al paragrafo 50, stabilisce che: “La determinazione diretta della rendita catastale per le unità immobiliari accertate nelle categorie dei gruppi D ed E si effettua sulla base del fitto ritratto o ritraibile, quando si tratti di unità immobiliari per le quali nella località è in uso il sistema dell’affitto”. La rendita catastale, quindi, può essere determinata sulla base del più probabile canone di locazione, individuato attraverso un’indagine del mercato locativo, se esistente, riferito alla tipologia di immobili simili a quello oggetto di accertamento. Si osserva, tuttavia, che la possibilità di indagare il mercato delle locazioni è, ancora oggi, fortemente limitata dalla circostanza che le informazioni desumibili dai contratti di locazione, riferibili al periodo censuario 1988-89, non contengono i riferimenti catastali, condizione necessaria per impostare una efficace indagine delle locazioni sul territorio. Solo di recente, infatti, con l’articolo 19, comma 15, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, è stato introdotto l’obbligo di indicare gli identificativi catastali negli atti di locazione, circostanza che dovrebbe consentire, in futuro, indagini più agevoli, eventualmente facilitate anche da processi d’interscambio tra le Pubbliche Amministrazioni. Nonostante la pratica quotidiana registri un utilizzo molto limitato del procedimento in esame, sia da parte degli Uffici provinciali dell’Agenzia che dei professionisti incaricati della redazione degli atti di aggiornamento, si ritiene comunque utile fornire alcuni chiarimenti ed indicazioni operative al riguardo. Per la corretta determinazione della rendita catastale, occorre verificare, in via preliminare, l’esistenza di un mercato locativo sufficientemente dinamico, tale da consentire, per l’unità immobiliare oggetto di stima, l’individuazione del più probabile canone di locazione (reddito ordinariamente ritraibile), da cui determinare la rendita catastale detraendo le spese e le eventuali perdite. La stima del più probabile canone di locazione, attesa la grande eterogeneità che caratterizza gli immobili a destinazione speciale e particolare, è effettuata sulla base dei dati ricavati dall’indagine del mercato delle locazioni, privilegiando procedimenti di confronto multiparametrici. Considerato che il mercato delle locazioni esprime redditività lorde, una volta calcolato il reddito ordinariamente ritraibile dall’unità immobiliare (RL), se ne determina la rendita catastale (RC) detraendo da quest’ultimo le spese (S) di “amministrazione”, “manutenzione” e “conservazione” e le perdite eventuali (PE) relative agli “sfitti” e alle “rate di fitto dovute e non pagate: RC = RL – (S + PE). Le eventuali aggiunte e detrazioni al reddito lordo sono da prendere in considerazione esclusivamente se rilevabili ed ordinarie. Per quanto attiene alla determinazione delle spese e delle perdite eventuali sopra menzionate, si rimanda all’Allegato tecnico I, precisando che le stesse, avendo di norma incidenze differenti per ciascuna fattispecie di immobile, non possono essere oggetto di indicazioni sempre univoche. 5. L’approccio di mercato nel procedimento indiretto di determinazione della rendita catastale. L’Istruzione, al paragrafo 51, stabilisce che: “La determinazione diretta della rendita catastale per le unità immobiliari accertate nelle categorie dei gruppi D ed E si effettua sulla base del loro valore venale, quando si tratti di unità immobiliari per le quali nella località non è in uso il sistema dell’affitto. Dal valore venale si ricava il beneficio fondiario con l’applicazione del saggio d’interesse che compete ad analoghi investimenti di capitali”. Il valore venale può essere individuato tramite un’indagine del mercato delle compravendite, e in via subordinata attraverso il costo di ricostruzione (criterio, quest’ultimo, approfondito più avanti). Con specifico riferimento all’approccio di mercato, occorre indagare, in modo simile al procedimento relativo all’approccio reddituale, il mercato delle compravendite, riferite al biennio economico 1988-89 e relative alla tipologia di immobili simili a quello oggetto di accertamento. La stima del più probabile valore di mercato, attesa la grande eterogeneità che caratterizza gli immobili a destinazione speciale e particolare, è condotta sulla base dei valori di compravendita ricavati dall’indagine effettuata, privilegiando procedimenti di confronto multiparametrici. Determinato, quindi, il più probabile valore di mercato (V), la rendita catastale (RC) si individua con la formula inversa della relazione utilizzata per il calcolo della capitalizzazione dei redditi: RC = V • r dove r rappresenta il saggio di fruttuosità (oggetto di approfondimento più avanti). Si ritiene importante rimarcare che i procedimenti relativi all’approccio reddituale e a quello di mercato, appena discussi, trovano valida applicazione solo in presenza di un mercato delle locazioni o delle compravendite ragionevolmente dinamico, che consenta di reperire un numero di dati sufficiente per definire il più probabile canone di locazione, o valore venale, con adeguata affidabilità. In caso contrario, è opportuno preferire l’approccio di costo di cui al successivo paragrafo. 6. L’approccio di costo nel procedimento indiretto di determinazione della rendita catastale. Ai sensi dell’articolo 28, comma 2, del citato Regolamento, il valore venale dell’immobile oggetto di accertamento, quando non ne risulti possibile la determinazione dall’analisi del mercato delle compravendite, si stabilisce “… con riguardo al costo di ricostruzione, applicando su questo un adeguato coefficiente di riduzione in rapporto allo stato attuale delle unità immobiliari”. Tale approccio, come il precedente, consente di determinare la rendita catastale dell’unità immobiliare con procedimento indiretto, tramite la quantificazione del valore venale con riferimento al costo di ricostruzione deprezzato, vale a dire attraverso il calcolo del costo a nuovo dell’immobile e degli impianti fissi, opportunamente ridotto in relazione alle condizioni di vetustà ed obsolescenza tecnologica e funzionale. AI fine di assicurare la coerenza con l’approccio di mercato, la stima del costo deve tenere conto di un profitto normale (P) del promotore immobiliare, giacché i valori di mercato (V) e di costo di produzione (K) identificano due distinte entità economiche, per le quali il più significativo fattore di scostamento è costituito proprio dal profitto (V = K + P). Il costo di produzione (K) di un immobile è, in linea generale, costituito dalla somma di: C1. valore del lotto (costituito dall’area coperta e delle aree scoperte, accessorie e pertinenziali); C2. costo di realizzazione a nuovo delle strutture; C3. costo a nuovo degli impianti fissi; C4. spese tecniche relative alla progettazione, alla direzione lavori ed al collaudo; C5. oneri concessori e di urbanizzazione; C6. oneri finanziari. Per quanto attiene alla determinazione dei costi (Ci) e del profitto normale (P) sopra menzionati, si rimanda all’allegato tecnico II. Il costo delle strutture e degli impianti fissi, di cui ai precedenti punti C2 e C3, laddove realizzati in epoca antecedente a quella censuaria di riferimento (biennio 1988-89), deve essere, inoltre, opportunamente deprezzato in relazione alle condizioni di vetustà ed obsolescenza tecnologica e funzionale dell’immobile oggetto di stima, secondo quanto precisato al successivo paragrafo 6.1. La rendita catastale, quindi, come nel caso dell’approccio di mercato, si determina con la formula inversa della relazione utilizzata per il calcolo della capitalizzazione dei redditi: Re = v • r = (K + P) • r dove r, come nel procedimento di cui al paragrafo precedente, rappresenta il saggio di fruttuosità. Si precisa, infine, che, in tema di determinazione del costo di ricostruzione dei beni immobiliari oggetto di stima catastale, soprattutto nei casi in cui le caratteristiche tecnologiche degli immobili da accertare siano particolarmente complesse e tali da richiedere specifiche conoscenze tecniche, gli Uffici provinciali dell’Agenzia possono fare riferimento alle disposizioni di cui all’articolo 19, comma 13, del decreto-legge n. 78 del 2010. Tale norma, infatti, estende agli Uffici provinciali dell’Agenzia i poteri istruttori previsti dall’articolo 51 del decreto Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nonché quelli, in materia di accessi, ispezioni e verifiche, disciplinati dall’articolo 52 del medesimo decreto, con lo scopo di recuperare ogni informazione e documentazione utile per lo svolgimento delle attività istruttorie connesse all’accertamento catastale (con riferimento, ad esempio, ai dati di bilancio utili all’individuazione del costo di costruzione di strutture ed impianti da considerare nella stima della rendita catastale). A tal fine, gli Uffici possono, ad esempio, invitare i soggetti interessati a comparire di persona (o a mezzo di rappresentanti) per esibire documenti e scritture o per fornire dati, notizie e chiarimenti, ovvero richiedere agli Organi e alle Amministrazioni dello Stato dati e notizie relative a soggetti indicati singolarmente o per categorie».

(27) L’approccio di mercato, come detto, comporta la determinazione della rendita catastale sulla base del loro valore venale (che a sua volta può essere individuato tramite un’indagine del mercato delle compravendite e in via subordinata attraverso il costo di ricostruzione).

(28) Cfr. circ. n. 6/T/2012, cit.

(29) Cfr. circ. n. 6/T/2012, cit., che sul tema precisa che: «Tra i vari metodi indicati per il calcolo del valore deprezzato delle componenti strutturali ed impiantistiche, riscontrabili anche nella letteratura di settore, si fa riferimento al procedimento conosciuto come “breakdown method”, opportunamente adattato per le finalità catastali. Tale procedimento parte dal considerare il degrado come un elemento complesso, la cui misurazione prende le mosse dalla sua scomposizione in componenti elementari, distinguibili in: – deterioramento fisico rimediabile; – obsolescenza funzionale rimediabile; – deterioramento fisico non rimediabile; – obsolescenza funzionale non rimediabile; – obsolescenza esterna, intesa come l’insieme dei fattori fisici, sociali, finanziari e politici che impattano sui valori immobiliari. In ambito catastale, si può ritenere che la parte rimediabile del deterioramento fisico e dell’obsolescenza funzionale è, in modo del tutto analogo a quanto previsto per l’approccio reddituale, identificabile nelle spese di manutenzione, vale a dire quelle ordinariamente sostenute dal proprietario per conservare l’unità immobiliare nello stato nel quale normalmente si trovano gli immobili della stessa categoria, nel segmento territoriale di riferimento. La parte non rimediabile del deterioramento fisico e dell’obsolescenza funzionale coincide con quella che, nell’approccio reddituale, viene calcolata attraverso la determinazione delle quote di reintegrazione, valutate sulla base del costo medio ordinario di ricostruzione per i fabbricati e del costo medio di rimpiazzo per gli impianti, entrambi diminuiti del valore dei materiali residui e tenuto conto del prevedibile periodo di vita utile (economica) dei beni in esame. Secondo le indicazioni rinvenibili nella letteratura di settore, entrambe queste componenti di deprezzamento possono essere calcolate a partire dal costo di ricostruzione della componente strutturale o impiantistica applicando allo stesso un coefficiente riduttivo (D) che risulta, in linea generale, funzione: della vita effettiva (VTE), ossia del periodo trascorso tra l’effettiva realizzazione o ristrutturazione del bene e l’epoca censuaria (successiva) di riferimento (biennio 1988-89); della vita utile (VTU), ossia dell’arco temporale oltre il quale, per effetto della vetustà e dell’obsolescenza, il bene non è più in grado di assolvere la funzione per la quale è stato realizzato; dell’eventuale valore residuo (VR), inteso come possibile valore di realizzo del bene al termine della sua vita utile. Infine, l’obsolescenza esterna è valutata implicitamente al mutare dell’epoca censuaria di riferimento. Infatti, le modifiche al contesto socio-economico che possono indurre una riduzione dei prezzi (o, analogamente, dei costi e del profitto nel settore immobiliare) sono automaticamente prese in considerazione al variare dei riferimenti di mercato associati all’epoca censuaria. In tema di deprezzamento, si osserva, inoltre, che gli immobili oggetto di stima hanno, di frequente, componenti edilizie ed impiantistiche caratterizzate da periodi di vita utile differenti, a volte anche in maniera significativa, e talvolta perfino paragonabili con quello (decennale) di prevista vigenza degli estimi. Indipendentemente dal modello di deprezzamento utilizzato (scelta della più appropriata espressione da cui ricavare il coefficiente di deprezzamento D in funzione delle citate variabili VTE, VTU e VR, da cui esso dipende), si potrebbe teoricamente pervenire alla determinazione di rendite di uguale importo anche con riferimento ad immobili che, nell’ambito dell’estimo catastale, risultano di fatto non comparabili, come nel caso di componenti (edilizie e impiantistiche) aventi vite utili differenti e pesi economici diversi sul totale del costo stimato. Da tali considerazioni si deduce che applicando il medesimo saggio di fruttuosità (univocamente definito, come precisato più avanti, dall’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza) ad unità immobiliari aventi una così diversa natura, ma uguali costi di riproduzione, verrebbe meno l’obiettivo della perequazione tipico dell’ordinamento catastale. In altri termini, la previsione normativa di costanza della rendita catastale nel periodo infracensuario (lasso di tempo compreso tra una revisione degli estimi e la successiva, previsto in dieci anni dall’articolo 37, comma 2, del Testo unico, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) deve trovare una adeguata considerazione nel giudizio di stima, atteso il deprezzamento dei beni che si realizza in tale periodo temporale. Al riguardo, si osserva che per le componenti caratterizzate da un rapido degrado (è il caso di talune tipologie di impianti) tale deprezzamento risulta di entità non trascurabile e pertanto da considerare, ai fini perequativi, attraverso l’assunzione di un costo medio infracensuario (ridotto rispetto al costo a nuovo), da ritenere costante durante il periodo di vigenza ordinaria degli estimi. Di contro, per quelle componenti caratterizzate da vita utile abbastanza lunga (tipicamente le strutture), il deprezzamento che si realizza in un decennio per effetto del degrado risulta talmente modesto da perdere di rilevanza in relazione all’ordinaria alea di incertezza delle stime. Si consideri, infine, che l’ulteriore correzione al deprezzamento, che il Legislatore aveva a suo tempo affidato alla calibrazione dei saggi di fruttuosità (cfr. il paragrafo successivo), che avrebbe permesso di ponderare il rischio dell’investimento immobiliare in funzione anche della sua durata, è oggi impedito dalla “cristallizzazione” degli stessi, secondo il recente orientamento, ormai consolidato, della giurisprudenza. Con riferimento e a supporto dei concetti sopra esposti, nell’allegato tecnico III sono riportate le linee metodologiche ed operative per la determinazione del coefficiente di deprezzamento (D). L’allegato tecnico IV contiene un’esemplificazione del procedimento di calcolo del costo di ricostruzione deprezzato di un immobile, che chiarisce ulteriormente la metodologia di valutazione da adottare».

(30) Cfr.Cass., sez. trib., 24 giugno 2003, n. 10037, in Boll. Trib. On-line, richiamata da circ. n. 6/T/2012, cit.

(31) Cfr. circ. n. 6/T/2012, cit., che precisa altresì che «La quantificazione di tali saggi è da utilizzare in via immediata, essendo ritenuta comprensiva delle detrazioni e delle aggiunte previste dalla norma catastale».

(32) Cfr. sul punto anche il contributo di M. Del Vaglio, Valutazione di impianti e macchinari per la corretta determinazione della rendita catastale degli opifici, in Corr. trib., 2013, 1207.

(33) Cfr. P. Terranova, «Analisi del procedimento “a costo e sito” usualmente adoperato in catasto per la determinazione degli estimi delle categorie speciali», in Riv. ag. terr., 2001, 79.

(34) Cfr. ex multis Comm. trib. prov. di Roma, sez. XXIII, 21 ottobre 2002, n. 490, in Boll. Trib. On-line.

(35) M. Del Vaglio, Valutazione di impianti e macchinari per la corretta determinazione della rendita catastale degli opifici, cit., 1207.

(36) Ad esempio, elettrodotti, binari, reti idriche, stradali e fognarie, ecc.

(37) Ad esempio, canali adduttori delle acque, condotte petrolifere, ecc.

(38) Ad esempio, i carriponte, ovvero beni che talora vengono spostati e utilizzati in diversi stabilimenti produttivi. Ulteriori profili di incertezza sono stati sollevati con riferimento a robot e macchine utensili (ad esempio, linee automatizzate di produzione, presse, torni) per i quali non è chiara l’esclusione a prescindere dalle dimensioni dell’impianto e, analogamente, a componenti non essenziali (quali le apparecchiature per la gestione delle reti informatiche, le apparecchiature elettroniche per la gestione delle trasmissioni telefoniche, radiotelevisive, etc.).

(39) Da qui la difficoltosa ricerca, che gli operatori del settore hanno tentato, di metodi valutativi più praticabili, tra i quali – come più avanti si dirà – l’individuazione del criterio del “valore medio costante” che ha trovato infine l’avallo da parte della giurisprudenza di legittimità. «Per attribuire in modo equo e razionale ad un impianto con un decadimento del valore così accentuato una rendita catastale fissa, che rifletta una quantificazione realistica del reddito riveniente dal bene potrebbero essere percorse due soluzioni: ricalcolarne ogni anno l’entità, oppure definire un “valore medio costante” che rappresenti il valore medio tra il valore dell’anno di partenza e quello finale. La prima strada, più corretta sul piano metodologico, non appare però facilmente percorribile sia per la normativa che regolamenta il sistema di tassazione su base catastale, sia per le difficoltà pratico-operative connesse alla ridefinizione continua del valore e dei relativi accertamenti da concordarsi di volta in volta con gli Uffici del territorio a livello locale. La seconda soluzione consiste nel definire un “valore medio costante” al quale applicare l’aliquota per il periodo di durata del bene e risulta, in definitiva, quella più praticabile. In altri termini, si tratta di stimare un valore che rappresenti la media del valore tra l’anno di riferimento e l’anno di fine della vita economica della componente dell’impianto, individuando così l’anno intermedio ed il conseguente valore»: così L. Ingaramo R. Roscelli, La rendita catastale dei sistemi di produzione di energia elettrica: il valore medio costante, cit., 561.

(40) Nel 1997 la società esercente la centrale termoelettrica presentò un Docfa per l’attribuzione della rendita catastale al proprio opificio valorizzando esclusivamente le componenti immobiliari. Gli impianti e macchinari di generazione elettrica avrebbero infatti assunto rilevanza soltanto se fossero risultati inscindibilmente incorporati al fabbricato costituendone una componente impiantistica avente natura immobiliare, formando un tutt’uno inseparabile senza danno. È questo il caso degli impianti asserviti al fabbricato come l’impianto di riscaldamento o l’ascensore, che vengono acquistati come beni mobili e successivamente incorporati al fabbricato in fase di costruzione, perdendo la loro individualità e la loro autonomia. Tuttavia considerando che era possibile la rimozione degli impianti e dei macchinari senza apportare alcuna alterazione al fabbricato, gli stessi avrebbero conservato una propria individualità sia sotto il profilo fisico che giuridico e il loro valore non sarebbe potuto essere computato ai fini della determinazione del valore del fabbricato. La circostanza che alcuni macchinari (come ad esempio le turbine e le caldaie delle centrali termoelettriche, gli impianti di raffinazione, le presse idrauliche) fossero di grandi dimensioni e quindi dotati di una mobilità relativamente bassa non avrebbe potuto modificarne la natura di beni mobili.

(41) Al riguardo nella relata di notifica di atti catastali può leggersi: «si è rilevato che nella determinazione della rendita catastale sono stati omessi gli impianti fissi, che in base alla circolare n. 123 del 14.1.1944 della Direzione Generale del Catasto sono da considerarsi parte integrante del complesso industriale».

(42) La società impugnò la relata di notifica di atti catastali innanzi alla Commissione tributaria provinciale rilevando che una turbina elettrica, un generatore, ma anche una macchina utensile o una catena di montaggio non sarebbero potuti essere considerati parte dell’immobile oggetto di attribuzione della rendita catastale senza aver prima verificato che fossero stabilmente incorporati nel fabbricato, così da perdere la propria identità, e non essere più distinguibili dall’immobile che li avesse contenuti.

(43) Prendendo le mosse dalle norme dettate dal codice civile in tema di beni immobili, mobili, pertinenze e accessori, la ricorrente precisava come, perché vi fosse incorporazione, il bene mobile dovesse indissolubilmente compenetrarsi nel bene immobile, perdendo la propria individualità giuridica ed economica e rendendo necessari interventi di demolizione della struttura dell’immobile incorporante per ottenere l’eventuale successiva separazione dei beni.

(44) Come accade di norma quando l’impresa realizza un ciclo produttivo caratterizzato dalla preponderante importanza degli impianti rispetto a quella del fabbricato destinato a contenerli.

(45) L’Ufficio del territorio affermava infatti che l’unità immobiliare urbana oggetto della rendita catastale dovesse essere costituita da tutti gli elementi che concorrevano a determinarne la capacità reddituale ordinaria: non solo il fabbricato e le sue pertinenze ma anche gli impianti e macchinari asserviti all’esercizio dell’attività economica. A tal fine l’Ufficio citava alcune sentenze di merito che avevano riconosciuto la rilevanza dei macchinari elettrici ai fini dell’attribuzione della rendita catastale di centrali elettriche, e in particolare cfr. Comm. trib. prov. di Cuneo, sez. II, 26 ottobre 1999, n. 271; e Comm. trib. prov. di Rovigo, sez. III, 25 ottobre 1999, n. 257; entrambe in Boll. Trib. On-line.

(46) Si considerava così irrilevante la circostanza che gli impianti e i macchinari potessero essere rimossi senza alterazione del fabbricato in quanto semplicemente imbullonati. Secondo l’Agenzia del territorio, finché permanesse qualsiasi forma di collegamento o stabilizzazione, gli impianti e i macchinari avrebbero avuto natura di beni immobili e sarebbero dovuti quindi essere valorizzati ai fini dell’attribuzione della rendita catastale.

(47) In particolare Comm. trib. prov. di Lodi, sez. II, 10 luglio 2000, n. 167, in Boll. Trib. On-line, osservò come «nella relazione tecnica prodotta dalla società viene sviluppata una descrizione della apparecchiatura definita turbina, ove, tra l’altro si legge “La cassa è connessa alle strutture di fondazione tramite bulloni e tirafondi, direttamente inghisati alle strutture in cemento armato, della fondazione”. Ed ancora “La connessione non è di tipo fisso poiché deve permettere all’apparecchiatura di assorbire le dilatazioni prodotte dalle elevate temperature di funzionamento nonché consentire il completo smontaggio della stessa, per esigenze di manutenzione, senza dover intervenire sulle strutture murarie”. Ciò fa dedurre che la supposta mobilità dell’apparato, neppure immaginabile da una semplice visione delle foto allegate al fascicolo processuale, e supportata dal fatto fisico del metodo di fissaggio, (l’imbullonamento), sia semplicemente da ricondurre ad un problema tecnico (l’assorbimento delle dilatazioni prodotte dalle temperature), ma non sostanziale, facendosi invece riferimento ad una struttura in cemento armato di supporto dell’apparato stesso, a cui non si può sostenere che esso sia incorporato. In altri termini, se la necessità tecnica di mantenere l’elasticità termica dell’apparato non richiedesse l’imbullonatura, esso ben potrebbe essere fissamente incorporato al suolo con buona pace della presunta mobilità».

(48) Cfr. Cass., sez. trib., 17 novembre 2004, n. 21730, in Boll. Trib. On-line, che ha fissato il seguente principio di diritto: «le turbine, quantunque ancorate al suolo mediante imbullonatura ai c.d. cavalletti turbina e, pertanto, amovibili senza danno per le strutture murarie della centrale elettrica nella quale siano collocate, poiché costituiscono una componente strutturale ed essenziale della centrale elettrica stessa – sicché questa senza quelle non potrebbe più essere qualificata tale, restando diminuita nella sua funzione complessiva e unitaria ed incompleta nella sua struttura -, debbono computarsi nel calcolo per la determinazione della rendita catastale di un opificio industriale classificabile come centrale elettrica». Cfr. ancora Cass. n. 21730/2004, cit., secondo cui: «occorre considerare che il giudice di secondo grado, avendo escluso che le turbine non dovessero essere computate nel calcolo per la determinazione della rendita catastale, non ha preso in esame il problema relativo alla (contestata) congruità della valutazione data dall’Agenzia del Territorio alle turbine nella determinazione di tale rendita, trattandosi di questione che era superata dalla ritenuta non computabilità delle turbine e che si poteva, quindi, ritenere assorbita nell’accoglimento del motivo di appello con il quale la società elettrica contestava appunto siffatta computabilità affermata dalla sentenza di primo grado. Una volta cassata la sentenza di secondo grado, stabilendo che le turbine debbono, invece, essere computate nel calcolo per la determinazione della rendita catastale della centrale, il problema relativo alla congruità della valutazione delle medesime turbine ai predetti fini operata in concreto dall’Ufficio del Territorio di Lodi e contestata (sia pure in via subordinata) dalla società elettrica resta aperto e dovrà essere affrontato e risolto dal giudice di merito».

(49) La società contestava in particolare i criteri di valutazione presi in considerazione in quanto, nell’aver esteso meccanicamente (senza alcuna giustificazione causale e senza alcun adeguamento) criteri di valutazione legislativamente previsti in relazione ai beni immobili e ai beni di natura completamente diversa, ciò ha portato a risultati radicalmente illegittimi in quanto raggiunti senza tenere conto delle specificità proprie dei beni oggetto di valutazione. Tenuto conto delle caratteristiche peculiari di tali beni, infatti, una valorizzazione statica coincidente con il costo di ricostruzione, non è idoneo a riflettere in maniera stabile per un periodo di tempo sufficientemente ampio la capacità di reddito dell’impianto e richiederebbe a tal fine un continuo aggiornamento che è invece precluso dal sistema catastale. In effetti, come già fatto rilevare, mentre i fabbricati sono in grado di conservare un valore che si può assumere come tendenzialmente stabile nel tempo in qualunque momento esso venga misurato, per effetto della continua valorizzazione della rendita edilizia che è intrinsecamente riconnessa all’area edificabile sulla quale essi insistono, gli impianti e i macchinari scontano un decadimento economico che si produce in un arco temporale di gran lunga ristretto oltre che ad altrettanto rapida obsolescenza tecnologica. L’Agenzia del territorio non aveva all’epoca ancora definito un metodo efficace di valorizzazione degli impianti e tale lacuna normativa era la causa principale della grande variabilità dei comportamenti assunti dagli Uffici periferici in sede di stima degli impianti stessi, con pregiudizio della possibilità di prevedere con ragionevole certezza il futuro prelievo fiscale gravante sulle nuove centrali e alterazione della competitività tra imprese concorrenti, incise dall’ICI in misura sensibilmente diversa, pur avendo gli impianti installati le medesime caratteristiche. Per completezza di informazione si ricorda che alcuni Uffici periferici hanno predisposto dei prontuari tecnici. Fra essi si ricordano l’Ufficio del territorio di Catania, quello di Agrigento e infine quello di Milano. Per l’analisi dei rispettivi criteri proposti per la stima della vetustà e dell’obsolescenza si rinvia a I. Nicolai C. Patrignani C. Tomassetti, Riflessioni in tema di impianti eolici, cit., 1210.

(50) La vetustà può essere misurata attraverso la consolidata formula dell’U.E.E.C. (Unione Europea degli Esperti Contabili), che permette di determinare i coefficienti di deprezzamento in funzione della durata del periodo di effettivo utilizzo del bene e della durata complessiva della vita attesa del bene: D = [(A + 20)2/140] – 2,86 dove D ed A rappresentano rispettivamente il deprezzamento in percentuale del costo a nuovo e il periodo di effettivo utilizzo del bene in rapporto alla durata totale della vita attesa. Al riguardo, mentre non sussistono problemi per la determinazione della durata del periodo di effettivo utilizzo degli impianti (infatti il tempo trascorso dall’intervento di installazione al momento della stima può essere calcolato con precisione dalla data di entrata in funzione), meno oggettiva appare la determinazione della durata totale della loro vita attesa (e conseguentemente della loro vita residua) che può essere definita per ogni singolo componente degli impianti in base alla letteratura specialistica.

(51) L’obsolescenza di una centrale elettrica è valutabile confrontando le sue caratteristiche con quelle delle altre centrali operanti nel mercato che sfruttano nuove tecnologie più vantaggiose in termini di rendimento, di costi, di rispondenza alle norme ambientali, di flessibilità nell’utilizzo. Per approfondire le principali condizioni che intervengono sul valore di un impianto (quali l’avvento del libero mercato dell’energia elettrica, l’introduzione di nuove tecnologie, la maggiore attenzione agli aspetti ambientali della produzione) nonché il procedimento di valutazione dell’obsolescenza basato sul confronto del costo effettivo della centrale con quello di una nuova centrale avente le stesse caratteristiche funzionali, ma dotata di impianti di tecnologia più recente si veda M. Repetto, L’evoluzione tecnologica e i suoi effetti sulla valutazione dei sistemi per la produzione dell’’energia elettrica, in G. Bonardi C. Patrignani (a cura di), Energie alternative e rinnovabili, Milano, 2010.

(52) Il valor medio costante è stato definito dal professore ordinario di estimo R. Roscelli, al fine di rendere la rendita catastale degli opifici stabile nel tempo, nonostante la presenza di impianti destinati a rapido deterioramento. La stabilità della rendita è di interesse sia per l’Amministrazione finanziaria che per gli operatori. Infatti il prelievo fiscale basato su una rendita, espressione di capacità contributiva effettiva, che tenga conto del progressivo deprezzamento degli impianti, risulta accettabile per gli operatori tenuti al versamento dell’imposta, riduce la conflittualità con gli Uffici del territorio e produce effetti positivi sul gettito dei Comuni. La giurisprudenza di merito, chiamata a valutare sulla valorizzazione di impianti ai fini dell’attribuzione di rendita catastale effettuata con il metodo del valor medio costante, ne ha più volte riconosciuto la legittimità. In particolare, cfr. Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. X, 20 agosto 2007, n. 79, in Boll. Trib. On-line: «La ricorrente, invece, prendendo le mosse dalla naturale diversità dei tempi di obsolescenza tecnica e usura fisica tra i beni immobili, impianti e macchinari, propone, per la stima degli impianti industriali, un criterio che rispettoso, nella sostanza, del sistema impositivo su base catastale, definisca un “valore medio costante” cui applicare l’aliquota per il periodo di durata del bene e perviene, attraverso le valutazioni operate dal proprio consulente …, alla conclusione che il valore rideterminato delle quattro turbine funzionanti ammontasse a lire … Il Collegio, per quanto concerne le turbine funzionanti, condivide, per i motivi innanzi espressi, i criteri estimativi adottati dalla ricorrente». Significativa è anche Comm. trib. prov. di Torino, sez. XIV, 6 luglio 2009, n. 66, in Boll. Trib. On-line: «Il professor … prendendo le mosse dalla naturale diversità dei tempi di obsolescenza tecnica e usura fisica tra beni immobili, impianti e macchinari, propone per la stima degli impianti e dei macchinari un criterio che, rispettoso, nella sostanza, del sistema impositivo su base catastale, definisca un “valore medio costante” cui applicare l’aliquota per il periodo di durata del bene pervenendo al citato risultato di Euro … per i macchinari idraulico-elettromeccanico delle centrali di … Il Collegio condivide … i criteri estimativi proposti dalla ricorrente». Per approfondire il tema si veda anche L. Ingaramo R. Roscelli, La rendita catastale dei sistemi di produzione di energia elettrica: il valore medio costante, cit., 561.

(53) Cfr. Comm. trib. reg. della Lombardia n. 79/2007, cit.

(54) Recependo le indicazioni della legge di interpretazione autentica, l’Agenzia del territorio emanava la circ. 22 novembre 2007, n. 14/T, in Boll. Trib., 2007, 1877, con la quale, con specifico riferimento alle centrali eoliche, disponeva che dovessero essere oggetto di valutazione tutti gli elementi che servono a qualificarne la destinazione d’uso, quali ad esempio il traliccio e tutti gli elementi allo stesso incorporati e posti sulla navicella, le pale, i camminamenti, le strade e le recinzioni. La circolare inoltre affrontava anche il tema della valutazione degli impianti elettrici. Secondo l’Agenzia del territorio la stima di tali impianti poteva essere effettuata in base al costo di riproduzione, deprezzato per effetto della vetustà e dell’inflazione. Tuttavia, per le specifiche caratteristiche di ciascun impianto di produzione di energia elettrica, appare spesso difficile operare stime dei costi di riproduzione all’attualità per confronto diretto con altri impianti simili. Il metodo di valutazione del costo di ricostruzione a nuovo deprezzato della vetustà, proposto nella citata circolare n. 14/T/2007, presenta limiti evidenti e gravi: l’estrema difficoltà di reperire informazioni sui costi di ricostruzione di impianti similari, la mancata definizione di una formula di calcolo della vetustà e l’irrilevanza attribuita al fenomeno dell’obsolescenza tecnologica. Pur essendo il metodo del costo di ricostruzione a nuovo deprezzato della vetustà in astratto utilizzabile, di fatto i limiti che lo caratterizzano ne ostacolano un utile impiego, impedendo agli operatori di giungere a stime condivise. Finalmente il contrasto tra aziende elettriche e Agenzia del territorio veniva risolto dalla Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 162/2008, cit.), chiamata a valutare la costituzionalità della legge di interpretazione autentica secondo la quale, limitatamente alle centrali elettriche, i fabbricati e le costruzioni stabili risultano costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. La Consulta con la citata sentenza n. 162/2008 affermava il principio secondo cui per la determinazione della rendita catastale di un opificio non rileva l’eventuale amovibilità di un impianto ma la circostanza che esso costituisca una componente strutturale ed essenziale, che contribuisce alla funzione complessiva ed unitaria dell’opificio stesso (cfr. Corte Cost. n. 162/2008, cit.: «L’incorporazione che, nel caso delle turbine, avviene materialmente e a scopo permanente, le rende, seppure meccanicamente separabili, parti essenziali per la destinazione economica di tutta la centrale idroelettrica, tanto che questa non è concepibile senza di esse. In definitiva, si può affermare che tutte quelle componenti, comprese, in particolare, le turbine, che contribuiscono in via ordinaria ad assicurare, ad una unità immobiliare, una specifica autonomia funzionale e reddituale stabile nel tempo, sono da considerare elementi idonei a descrivere l’unità stessa ed influenti rispetto alla quantificazione della relativa rendita catastale. Proprio l’art. 812, primo comma, cod. civ., secondo cui «sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo», prevede la possibilità di una connessione strutturale realizzata in via transitoria, ed introduce il concetto di bene immobile per incorporazione, non specificando l’esatto significato di tale ultimo termine; qualsiasi collegamento infatti è idoneo a classificare un bene quale bene immobile, essendo irrilevante la modalità di collegamento di un impianto con la struttura principale. E anzi, proprio alla luce della definizione di bene immobile contenuta nell’art. 812 cod. civ., si può concludere che la possibilità di separazione di un impianto dal suolo non esclude che esso mantenga la sua natura immobiliare; piuttosto il disposto codicistico è tale per cui tutto ciò che viene collegato al suolo in unità strutturale – qualunque sia la natura dello stabilimento – acquista natura immobiliare, come del resto affermato dalla giurisprudenza di legittimità. In definitiva, anche il profilo codicistico non contrasta con la conclusione cui si può autonomamente pervenire sulla base dei princípi della disciplina catastale. Da quanto affermato, consegue che ogni possibile dubbio sulle modalità di determinazione della rendita catastale, con riguardo alle centrali elettriche, è risolto proprio dall’articolo 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005, il quale individua come criterio per la determinazione della rendita suddetta, non l’amovibilità o meno di un bene, ma la circostanza che esso costituisca (come le turbine) una componente strutturale ed essenziale, che contribuisce alla funzione complessiva ed unitaria dell’opificio stesso. L’esposta evoluzione normativa induce, invece, a ritenere che il legislatore ha inteso risolvere il contrasto interpretativo con riferimento alle centrali elettriche, senza innovare il concetto di immobile per incorporazione, quale emergente dalla normativa esistente ed evidenziato dalla giurisprudenza in precedenza richiamata)».

(55) Cfr. I. Nicolai C. Patrignani C. Tomassetti, Riflessioni in tema di impianti eolici, cit., 1210.

(56) Cfr. Cass., sez. un., 2 novembre 2007, n. 23031, in Boll. Trib., 2008, 437.

(57) Cfr. Cass. n. 23031/2007, cit. Conseguentemente, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza citata, «per la sua natura e per il suo contenuto (di mera interpretazione di una norma di legge), non potendo esserle riconosciuta alcuna efficacia normativa esterna, la circolare non può essere annoverata fra gli atti generali di imposizione, impugnabili innanzi al giudice amministrativo, in via di azione, o disapplicabili dal giudice tributario od ordinario, in via incidentale». Si legge ancora nella citata sentenza: E infatti «le circolari, come è stato affermato dalla dottrina prevalente, non possono né contenere disposizioni derogative di norme di legge, né essere considerate alla stregua di norme regolamentari vere e proprie, che, come tali, vincolano tutti i soggetti dell’ordinamento, essendo dotate di efficacia esclusivamente interna nell’ambito dell’amministrazione all’interno della quale sono emesse; e, in secondo luogo, con particolare riferimento all’ordinamento tributario, il quale come è noto, è soggetto alla riserva di legge». E infatti, alla base del potere di emanare circolari, è individuabile il cosiddetto potere gerarchico o di indirizzo che alcuni Organi possono esercitare nei confronti di altre strutture (normalmente interne e comunque sott’ordinate); tale potere, pertanto, potrà esplicare i suoi effetti solo nei confronti dei soggetti, ovvero degli Uffici finanziari che a tale potere soggiacciono.

(58) Cfr. Cass. n. 23031/2007, cit.

(59) L’art. 23 Cost. afferma che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». In breve, vale appena il caso di riferire che tale principio impone che la base dell’imposizione deve essere legislativa. In tale prospettiva, al fine di determinare quali aspetti della disciplina del tributo devono essere tassativamente previsti dalla legge e quali possono essere regolati con atti non legislativi (con atti regolamentari). La riserva di legge riguarda le norme tributarie di diritto sostanziale (ovvero quelle che devono fissare presupposto, soggetti passivi e la misura del tributo, base imponibile e aliquota).

(60) Un principio irrinunciabile di ogni ordinamento giuridico è, infatti, la certezza del diritto, ovvero il principio in base al quale unanorma giuridica deve essere formulata in modo chiaro ed essere soggetta ad un’interpretazione univoca. Il diritto deve, in altri termini, ricevere un’applicazione prevedibile al fine di assicurare la parità di trattamento ai soggetti dell’ordinamento, tramite la consapevolezza che casi analoghi riceveranno dal giudice adito trattamento analogo. Viene data in tal modo ai destinatari della norma l’astratta possibilità di prevedere il probabile esito delle controversie.

(61) Cfr. art. 101 Cost. che sancisce il principio di subordinazione del giudice alla legge, nell’ambito di un sistema che affida alla legge (e alle altre fonti normative) il compito di produrre il diritto e ai giudici quello di riconoscere e ricostruire le norme attraverso gli strumenti dell’interpretazione. Cfr. altresì art. 65 ord. giud., in base al quale la Suprema Corte «assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola  i conflitti di competenza e di attribuzioni ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti < span style="font-size: small;">dalla legge». E, infatti, l’esigenza di attribuire ad un unico organo giurisdizionale la definitiva e inappellabile interpretazione della norma nella soluzione di una controversia non può comunque portare alla creazione di nuove norme da parte del giudice che dichiara attraverso le sue decisioni quale è il diritto vivente di quel dato momento storico, “verbalizzando” regole seguite dai consociati. Non si può d’altro canto negare che nelle società moderne il giudice svolga un importante ruolo nell’adeguamento della norma alle esigenze contingenti e alla evoluzione dei rapporti, colmando lacune normative, adattando la disciplina alla realtà che muta più veloce dei processi legislativi, nel rispetto del principio della certezza del diritto e di legalità.

(62) È nota la storica dicotomia tra i due modelli di riferimento, quello della Suprema Corte o “del precedente”, attenta alla nomofilachia e a influenzare mediante la creazione del diritto giurisprudenziale la decisione di casi futuri, con funzione di garanzia oggettiva dello jus constitutionis, e quello della Corte “di revisione” ad opera di un giudice di terza istanza che, con preminente funzione di garanzia individuale dello jus litigatoris e di giustizia sostanziale nel caso concreto, estende i poteri di cognizione al fatto e al merito. Si riconosce che la nomofilachia, siccome diretta a conferire coerenza e prevedibilità nell’interpretazione delle norme, mediante la creazione di decisioni destinate a costituire “precedenti” per la soluzione di future controversie in casi simili o analoghi, costituisce un valore per la collettività, pur avvertendosi che «non è un valore assoluto ma metodologico» e, nell’inarrestabile evoluzione della giurisprudenza, confluisce dinamicamente nel «dovere funzionale di ragionevole mantenimento della soluzione ragionevolmente conseguita», così Corte Cost. 11 aprile 2008, n. 98, in Giur. cost., 2008, 1165.

(63) In quanto in concreto “condizionano” la giurisprudenza di merito nella soluzione dei casi ad essa sottoposti. E, infatti, nel momento in cui il precedente acquista una forza persuasiva vincolante verso i giudici, i principi e le regole in esso stabilite acquistano efficacia vincolante anche per tutti i soggetti dell’ordinamento, i quali dovranno conformare i loro comportamenti a quanto previsto dalla regola stabilita dalla giurisprudenza. In caso contrario, infatti, la conseguenza sarebbe la soccombenza nell’eventuale controversia, al pari di quanto avverrebbe nel caso di violazione di una norma giuridica posta da una fonte politica. Va ovviamente ricordato che non tutte le proposizioni di una sentenza acquisteranno validità di precedente, ma che a tal scopo occorrerà distinguere le rationesdecidendi dagli obiterdicta, ovvero gli elementi giustificativi della pronuncia da ciò che nella motivazione del provvedimento va al di là del perché la decisione è stata adottata, avendo solo queste ultime efficacia vincolante (nel senso fin qui precisato) nei confronti dei giudici che dovranno applicare in seguito la stessa norma.

(64) Cfr. circ. 26 ottobre 2005, n. 11/T, in Boll. Trib. On-line, avente ad oggetto: «esercizio dell’autotutela nel settore catastale – tipologia – efficacia temporale delle rettifiche catastali». Nella citata circolare viene precisato infatti che: «si evidenzia che l’attività di riesame dell’accertamento catastale posta in essere dagli Uffici dell’Agenzia può assumere le seguenti connotazioni: 1. riesame d’ufficio o su segnalazione del contribuente, finalizzato ad eliminare incongruenze derivanti da semplici errori di inserimento dati oppure da erronee applicazioni dei principi dell’estimo catastale; 2. riesame effettuato a seguito di apposita istanza del contribuente con cui lo stesso sottopone all’Amministrazione fatti, circostanze o elementi nuovi, non presenti – e, quindi, non valutabili – al momento dell’originario accertamento».

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