14 Luglio, 2015

 

 

 

 

1. L’abbandono della presunzione di mala fede del soggetto passivo beneficiario degli effetti di una frode all’IVA

L’annotata sentenza della Corte di Cassazione segna il superamento di quella presunzione di mala fede del contribuente che beneficia degli effetti di un’operazione fraudolenta in materia di IVA, mai espressamente formulata, ma costante punto di riferimento della giurisprudenza di legittimità degli ultimi 15 anni (1).

Invero, trattando il caso di una serie di operazioni IVA fittizie tra alcune società dello stesso gruppo preordinate alla costituzione di crediti d’imposta rimborsabili, la Corte regolatrice è finalmente giunta alla conclusione che nel caso di operazioni fittizie l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare gli elementi di fatto che concretizzano la frode e la consapevolezza di essa da parte del contribuente. Tale prova può essere data anche mediante presunzioni, purché esse siano dotate dei caratteri della gravità, della precisione e della concordanza, consistenti in quel complesso di «elementi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto» (2).

La sentenza, dunque, ha preso atto dell’evoluzione della giurisprudenza europea che ha ormai da tempo valorizzato nella fattispecie del diritto di detrazione l’elemento soggettivo della buona fede (3) – dalle cui conclusioni secondo la Corte di legittimità non si può prescindere, essendo l’IVA un tributo armonizzato a livello europeo – sancendo che l’esigenza di assicurare la riscossione dell’imposta e di evitare frodi non può essere soddisfatta in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’imposta secondo i principi generali di certezza e proporzionalità del diritto comunitario che vietano all’Amministrazione finanziaria di addossare le conseguenze del comportamento illecito altrui all’operatore in buona fede secondo l’ordinaria diligenza. Tuttavia, se il cessionario in buona fede in linea di principio ha diritto di detrarre l’IVA ove «non sappia o non possa sapere di essere coinvolto in un meccanismo fraudolento», la detrazione deve essere negata qualora l’Ufficio finanziario dimostri che il soggetto passivo «sapeva di partecipare con il proprio acquisto ad un’operazione che si iscriveva in una frode all’Iva».

2. Operazioni fraudolente e operazioni abusive

La sentenza in rassegna ha qualificato l’operazione senza incertezza come «combinazione negoziale fraudolenta preordinata ad uno scambio di fatture tra società dello stesso gruppo con la consapevolezza da parte delle società e dei soggetti coinvolti della natura fittizia delle operazioni effettuate».

La precisa qualificazione dell’operazione è apprezzabile. Talora infatti la giurisprudenza non ha distinto in modo così netto le operazioni fraudolente da quelle abusive, generando quella confusione concettuale che ha reso incerta la collocazione sistematica di determinate operazioni (4), anche se è vero che a margine delle attività propriamente fraudolente volte ad evadere l’IVA si collocano talvolta quelle elusive.

In estrema sintesi giova ricordare che nel diritto tributario l’abuso del diritto comporta l’impiego distorsivo di norme giuridiche, istituti ordinamentali e schemi contrattuali, al fine di conseguire effetti esplicitamente vietati da norme positive o comunque in contrasto con i principi basilari dell’ordinamento fiscale. L’abuso viene realizzato attraverso operazioni formalmente regolari ma che hanno quale scopo essenziale, ancorché non esclusivo, quello di conseguire un risparmio di imposta o altri vantaggi fiscali (5).

Partendo dall’elaborazione della fattispecie di abuso della normativa in materia di IVA da parte della Corte di Giustizia europea (6), la giurisprudenza nazionale ha finito per riconoscere come anche nel nostro ordinamento sarebbe ormai vigente un generale principio antielusivo, direttamente discendente dalle fonti comunitarie, per il settore dei tributi non armonizzati, e dall’art. 53 Cost. (e, cioè dai principi di capacità contributiva, eguaglianza di fronte all’imposizione fiscale e proporzionalità) nel settore dei tributi non armonizzati (7). La legislazione nazionale e la dottrina hanno inquadrato le pratiche abusive nella categoria concettuale dell’elusione tributaria.

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L’elusione è stata distinta dall’evasione i cui tratti caratterizzanti consistono nell’occultamento dell’imponibile in violazione delle disposizioni che impongono obblighi formali e dichiarativi ai contribuenti. L’elusione va pure distinta dalla simulazione e dalla frode che integrano comportamenti contra ius prodromici e strumentali all’evasione. Mediante la simulazione, infatti, il contribuente fa apparire una situazione soggettiva e/o oggettiva diversa da quella reale al fine di evadere, mentre con la frode cela l’imponibile attraverso determinati artifici, sempre con l’obbiettivo di evadere le imposte (8).

Nel caso di specie l’operazione realizzata dalla società contribuente attraverso la predisposizione di falsi documenti contabili volti a rappresentare operazioni fittizie va inquadrata senza riserve nella categoria concettuale della frode fiscale preordinata all’evasione (9). Le operazioni realizzate consistono infatti nell’utilizzazione di fatture per documentare operazioni “oggettivamente” inesistenti (nessuna cessione o prestazione imponibile è stata effettuata a favore del cessionario, l’operazione è documentata da una fattura, ma non vi sono documenti di trasporto delle merci né movimenti di cassa, oppure il denaro versato viene restituito al cessionario con diverse modalità, ed il personale impiegato è inadeguato rispetto all’attività documentata) (10).

Invero nel caso di specie l’Ufficio impositore ha adeguatamente provato, pur in mancanza di elementi probatori provenienti dal processo penale (intercettazioni, confessioni, sommarie informazioni testimoniali, ecc.) (11), mediante presunzioni gravi, precise e concordanti (quali la sproporzione tra le prestazioni asseritamente svolte e gli importi fatturati, la mancanza di movimenti di cassa tra le società del gruppo e la mancanza di mezzi e persone indispensabili per consentire l’espletamento di attività di importo così rilevante) (12), la frode fiscale perpetrata attraverso la stipula fittizia di contratti e l’emissione di fatture per dette operazioni inesistenti.

Risultando provata la frode fiscale, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo, adeguatamente motivato e supportato da convincenti elementi probatori l’avviso di rettifica notificato dall’Agenzia delle entrate alla società contribuente ai sensi dell’art. 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

3. La prova della buona fede imposta al soggetto passivo ignaro della frode

Al da là del caso esaminato, la sentenza appare apprezzabile per l’integrale recepimento dei principi elaborati in materia di buona fede dei soggetti passivi della giurisprudenza europea (13).

La Corte di Cassazione, infatti, ha affermato che il «cessionario in buona fede ha diritto di detrarre l’IVA ove non sappia o non possa sapere di essere coinvolto in un meccanismo fraudolento», mentre non ha diritto a detrarre l’imposta qualora «sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare con il proprio acquisto ad un’operazione che si iscriveva in una frode all’IVA».

La detraibilità dell’IVA a monte, pertanto, può essere negata non solo ai soggetti passivi che abbiano concorso alla realizzazione della frode fiscale e al connivente, che è a conoscenza della frode e mira a trarne un vantaggio, ma perfino a chi al momento dell’operazione contestata versava in una condizione di “buona fede temeraria” (14), e cioè, ancorché non avesse una compiuta conoscenza della frode, poteva agevolmente acquisirne la cognizione con la diligenza esigibile dall’imprenditore medio, stante la presenza di significativi indizi di frode emergenti già durante le trattative e facilmente verificabili (15).

Ma quando un soggetto passivo può essere considerato in buona fede? La Corte di Cassazione in passato ha negato che fossero risolutivi in tal senso la dimostrazione della regolare tenuta della contabilità (16), l’avvenuta consegna della merce e il pagamento della stessa (17) nonché il versamento dell’imposta (18). La Corte di Giustizia europea ha invece sottolineato che non si possono esigere dal soggetto passivo verifiche sproporzionate alla sua attività e alle sue conoscenze (19).

Tuttavia, a modesto avviso di chi scrive, alcune verifiche minime sono esigibili da qualunque soggetto IVA, almeno quando costui viene in contatto con un nuovo fornitore o acquirente, specie se residente in un altro Paese UE. L’effettuazione di tali verifiche, con esito positivo, deve portare ad escludere la mala fede dell’imprenditore che incappi, suo malgrado, in un’operazione fraudolenta, con il conseguente riconoscimento del suo diritto a detrarre l’IVA versata al proprio fornitore.

Il soggetto passivo, pertanto, dovrà: a) verificare tramite il sistema VIES (20) che il venditore o l’acquirente intracomunitario siano identificati in uno Stato membro; b) effettuare una visura presso la Camera di commercio; c) consultare il sito internet dell’impresa cedente (o che presta i servizi) al fine di verificarne l’articolazione e la funzionalità (la novità e la scarsa interattività del sito può essere sintomo di una società cartiera piuttosto che di un’impresa operativa); d) verificare la sussistenza di una congrua organizzazione per lo svolgimento dell’attività; e) ricercare su internet le informazioni relative al suo legale rappresentante; f) verificare la presenza su internet di informazioni circa la soddisfazione dei clienti; g) verificare la congruità del prezzo, poiché le vendite sottocosto sono sintomatiche di operazioni evasive a monte; h) verificare la regolare consegna della merce da parte dello stesso fornitore (e non da parte di terzi) (21).

Non sembra invece compatibile con il principio di proporzionalità esigere dalla controparte la copia delle dichiarazioni IVA, le attestazioni di versamento dell’imposta e i dati identificativi del personale impiegato (22). Non si può neppure esigere che un’impresa di piccole dimensioni svolga, per suo conto, indagini bancarie o assuma un investigatore privato (23), onere che sarà invece esigibile da imprese più grandi, specie in occasioni di transazioni di valore elevato (24).

4. Considerazioni conclusive

La stigmatizzazione di un preciso onere di conoscenza in capo ai soggetti passivi ha lo scopo di rendere meno incerta l’indagine sull’elemento soggettivo della buona fede del contribuente, particolarmente difficile nell’ambito di un processo essenzialmente documentale come quello tributario. Non si ignora che, in tal modo, si finisce per trasformare la buona fede da soggettiva (ignoranza della frode da parte del soggetto passivo) ad oggettiva (corretto adempimento ai doveri di verifica esigibili dal soggetto passivo), ma si consente ai soggetti passivi privi di particolari mezzi di conoscenza di operare evitando di incorrere in responsabilità oggettive, come l’indetraibilità dell’IVA a monte (25) e l’obbligo di pagare l’imposta in luogo del cedente previsto dall’art. 60-bis del D.P.R. n. 633/1972 nel caso di vendite a prezzi inferiori al valore normale (26).

Sembra tuttavia necessario che la giurisprudenza tributaria contribuisca a delineare i doveri imposti ai soggetti passivi al fine di agevolare l’accertamento della buona fede/correttezza di costoro senza dover attendere il giudicato penale e i relativi atti processuali (i quali, di regola, costituiscono elementi di grande rilevanza per l’accertamento del grado di responsabilità dei soggetti passivi coinvolti nella frode), garantendo in tal modo non solo la tutela degli imprenditori onesti, ma anche la piena autonomia del processo tributario rispetto a quello penale.

Dott. Fabrizio Cerioni

(1) Cfr. Cass., sez. trib., 20 giugno 2012, n. 10167; Cass., sez. trib., 6 giugno 2012, n. 9107; Cass., sez. trib., 11 novembre 2011, n. 23626; Cass., sez. trib., 11 aprile 2011, n. 8132; Cass., sez. trib., 12 gennaio 2011, n. 608; e Cass., sez. trib., 20 giugno 2010, n. 867; tutte in Boll. Trib., 2013, 224 ss., con nota di F. Cerioni, L’indetraibilità dell’IVA relativa alle operazioni inesistenti tra frode ed abuso del diritto di detrazione. Sul punto sia consentito rimandare a F. Cerioni, La prova della frode fiscale relativa all’imposta sul valore aggiunto e della “male fede” del contribuente nella giurisprudenza europea e nazionale, in Dir. prat. trib., 2014, I, 145.

(2) In argomento si veda F. Cerioni, Sull’onere di provare la veridicità o falsità delle fatture commerciali, in Boll. Trib., 2008, 1380, in nota a Cass., sez. trib., 21 agosto 2007, n. 17799.

(3) Cfr. Corte Giust. CE, sez. III, 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03, C-484/03, Optigen, in Boll. Trib. On-line; Corte Giust. CE, sez. III, 11 maggio 2006, causa C-384/04, Federation of Tecnological Industries, ivi; e Corte Giust. CE, sez. III, 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Alex Kittel, ivi, e anche in Rass. trib., 2008, 235, con nota di M. Cardillo, Tutela della buona fede e dell’affidamento del soggetto passivo nelle frodi IVA mediante operazioni carosello.

(4) Cfr. ad esempio Cass., sez. trib., 18 novembre 2011, n. 24231, in Boll. Trib., 2012, 1480, la quale ha rilevato che «laddove sia riscontrata l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e successive note di credito per lo storno delle relative posizioni nell’ambito della procedura per la liquidazione dell’IVA di gruppo, tale contegno costituisce fenomeno elusivo e violazione del principio di abuso del diritto».

(5) In tali termini M. Scuffi, Il sindacato antiabuso del giudice tributario tra elusione, frode ed oneri probatori, in Corr. trib., 2009, 1580.

(6) Si rinvia a Corte Giust. CE, sez. grande, 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax, in Boll. Trib. On-line, e anche in Riv. dir. trib., 2006, III, 107, con nota di M. Poggioli, La Corte di Giustizia elabora il concetto di “comportamento abusivo” in materia di IVA e ne tratteggia le conseguenze sul piano impositivo, epifania di una clausola generale antielusiva di matrice comunitaria?. Vanno poi ricordate in materia di abuso le conclusioni dell’Avvocato Generale Dàmaso Ruiz-Jarabo Coloner, presentate il 14 marzo 2006 per la decisione di Corte Giust. CE nella sentenza del 2006 resa nelle cause riunite C-439/04 e C-440/04, cit., le quali, al punto 55, hanno evidenziato in modo chiaro che vi è abuso della normativa IVA «allorché, dietro l’apparente osservanza delle prescrizioni della norma, si cerca e si ottiene un risultato opposto alle previsioni di quest’ultima». Sullo stesso tema si veda inoltre Corte Giust. CE, sez. II, 21 febbraio 2008, causa C-425/06, Part Service, in Boll. Trib. On-line, e anche in Riv. giur. trib., 2008, 750, con nota di P. Centore, Lo spettro dell’abuso sulle operazioni soggette ad IVA.

(7) Cfr. Cass., sez. trib., 23 dicembre 2008, n. 30055, in Boll. Trib., 2009, 484; Cass., sez. trib., 23 dicembre 2008, n. 30056, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 23 dicembre 2008, n. 30057, in Boll. Trib., 2009, 481, e anche in Rass. trib., 2009, 480, con nota di G. Zizzo, Clausola antielusione e capacità contributiva, nonché in Riv. giur. trib., 2009, 216, con nota di A. Lovisolo, Spetta al contribuente provare le ragioni economiche che escludono l’abuso del diritto. Sul tema cfr. anche G. Falsitta, L’interpretazione antielusiva della norma tributaria come clausola generale immanente al sistema e direttamente ricavabile dai principi costituzionali, in Corr. giur., 2009, 299 ss.; F. Amatucci, L’abuso del diritto nell’ordinamento tributario nazionale, ibidem, 453; G. Fransoni, Abuso del diritto, elusione e simulazione: rapporti e distinzioni, in Corr. trib., 2011, 13; e F. Tundo, Abuso del diritto ed elusione: un’anomala sovrapposizione, ibidem, 279.

(8) Così esattamente I. Vacca, L’abuso e la certezza del diritto, in Corr. trib., 2014, 1127. Sul tema cfr. anche P.M. Tabellini, L’elusione fiscale, Milano, 2007, passim; F. Tesauro, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Torino, 2000, 218 ss.; e G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2008, 205 ss.

(9) Costituiscono frodi fiscali quei comportamenti fraudolenti dei contribuenti volti ad occultare totalmente o parzialmente le proprie obbligazioni di pagamento delle imposte attraverso l’inadempimento dei propri obblighi dichiarativi, documentali e contabili. In tali termini cfr. B. Santamaria, La frode fiscale, Milano, 2002, 3 ss.; e F. Lemme, Frode fiscale, in Enc. giur. Trecc., XIV, Agg. 2007, 1 ss. (ad vocem).

(10) Le “operazioni IVA oggettivamente inesistenti” vanno distinte da quelle “soggettivamente inesistenti”, ove le cessioni o le prestazioni dei servizi sono state effettuate al cessionario da un soggetto diverso da quello che ha emesso la relativa fattura, cosicché il cedente resta occulto e può non applicare l’IVA sulle cessioni. Sul tema cfr., ex multis, Cass., sez. trib., 12 marzo 2002, n. 3550, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 4 dicembre 2006, n. 25672, ivi, e anche in Riv. giur. trib., 2007, 318, con nota di P. Centore, Equilibrio tra forma e sostanza nelle frodi IVA; nonché Cass., sez. trib., 30 gennaio 2007, n. 1950, in Boll. Trib., 2008, 511, con nota di F. Cerioni, L’indetraibilità dell’IVA versata in relazione ad operazioni inesistenti.

(11) Sull’utilizzabilità di tali elementi probatori nel processo tributario cfr., ex multis, Cass., sez. trib., 7 febbraio 2013, n. 2916, in Boll. Trib., 2013, 884; Cass., sez. trib., 14 novembre 2012, n. 19859, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. III pen., 18 aprile 2012, n. 14855, in Boll. Trib., 2012, 951; e Cass., sez. trib., 10 marzo 2010, n. 5746, ivi, 2010, 1316, con nota di A. Iannaccone, Brevi note sulla utilizzabilità e valenza probatoria delle dichiarazioni dei terzi nel processo tributario.

(12) Sull’impiego delle presunzioni a fondamento degli avvisi di accertamento nel caso di operazioni fraudolente di difficile accertamento, ove manchino le confessioni degli interessati nel processo penale o le dichiarazioni di terzi, si vedano Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13319, e Cass., sez. trib., 20 marzo 2009, n. 6849; entrambe in Boll. Trib. On-line. La prova del fatto infatti può essere ricavata dagli indizi mediante un ragionamento deduttivo: così E. Fassone, Indizio, in Enc. dir., Agg. I, 1997, 634 ss.; e F. Cerioni, Sull’onere di provare la veridicità o falsità delle fatture commerciali, in Boll. Trib., 2008, 1380.

(13) I limiti dell’esercizio del diritto di detrazione da parte del soggetto IVA sono stati stigmatizzati da Corte Giust. CE nella sentenza del 2006 resa nelle cause riunite C-439/04 e C-440/04, cit.

(14) Così R. Sacco, Affidamento, in Enc. dir., I, 1958, 664 ss.

(15) Nello stesso senso cfr. Cass., sez. trib., 28 agosto 2013, n. 19746; Cass., sez. trib., 19 luglio 2013, n. 17679; e Cass., sez. trib., 13 marzo 2013, n. 6229; tutte in Boll. Trib. On-line.

(16) Cfr. Cass., sez. trib., 2 aprile 2010, n. 8072, e Cass., sez. trib., 19 maggio 2010, n. 12247, entrambe in Boll. Trib. On-line.

(17) Cfr. Cass., sez. trib., 6 ottobre 2010, n. 20721, e Cass., sez. trib., 17 novembre 2010, n. 23179, entrambe in Boll. Trib. On-line.

(18) In tali termini E. Marello, Frodi Iva e buona fede del soggetto passivo, in Giur. it., 2011, 1214.

(19) Così Corte Giust. UE, sez. II, 6 settembre 2012, causa C-273/11, Mecsek-Gabona, punti 48 e 50, in Boll. Trib. On-line; nonché Corte Giust. UE, sez. II, 31 gennaio 2013, causa C-642/11, Stroy Trans Eood, punto 52, in Boll. Trib., 2013, 1364, con nota di F. Cerioni, La Corte di Giustizia UE sancisce l’indetraibilità dell’IVA da parte del fittizio cessionario nelle operazioni inesistenti.

(20) Il VIES (VAT Information Exchange System) è un sistema di scambi automatici di informazioni tra le Amministrazioni finanziarie degli Stati membri dell’Unione europea, ora fondato sulle disposizioni del Regolamento 904/2010/UE del 7 ottobre 2010. È attivo dal 1° gennaio 1993. La finalità del VIES è il controllo delle transazioni commerciali in ambito comunitario e dei soggetti passivi IVA che le pongono in essere. In siffatto contesto, il servizio “Partite IVA comunitarie” consente agli operatori commerciali titolari di una partita IVA che effettuano operazioni intracomunitarie di verificare la validità del numero di identificazione IVA dei loro clienti. Gli operatori commerciali dell’Unione europea devono essere identificati da un codice IVA attribuito dalle rispettive Amministrazioni nazionali; essi, pertanto, sono tenuti ad indicare sulle fatture di vendita il numero identificativo IVA della controparte. Detto numero deve essere formalmente corretto e corrispondere ad un operatore IVA esistente e in attività. La verifica del numero identificativo IVA digitato avviene attraverso il collegamento con le varie banche dati fiscali degli Stati membri. Non esiste, infatti, una banca dati a livello comunitario, ma per effettuare il controllo le richieste sono inviate allo Stato membro selezionato che, per fornire la risposta, accede alla propria banca dati nazionale.

(21) In tali esatti termini F. Cerioni, La prova della frode fiscale relativa all’imposta sul valore aggiunto e della “male fede” del contribuente nella giurisprudenza europea e nazionale, cit., 78.

(22) Così si è espressa Corte Giust. UE, sez. III, 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagében e Dávid, punto 66, in Boll. Trib., 2013, 1370.

(23) In parte concorde A. Marcheselli, Frodi IVA e operazioni inesistenti: quando si risponde delle violazioni commesse dal proprio fornitore, in Riv. giur. trib., 2013, 154, in nota a Cass., sez. trib., 19 settembre 2012, n. 15741, presente anche in

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Boll. Trib. On-line, che non distingue tra imprese piccole e grandi.

(24) Così ancora F. Cerioni, La prova della frode fiscale relativa all’imposta sul valore aggiunto e della “male fede” del contribuente nella giurisprudenza europea e nazionale, cit., 78.

(25) Cfr. E. Marello, Frodi Iva e buona fede del soggetto passivo, cit., 1214 ss.

(26) In tali termini F. Amatucci, Frodi carosello e “consapevolezza” del cessionario IVA, in Riv. trim. dir. trib., 2012, 3.

 

IVA – Fatturazione – Fatture per operazioni inesistenti – Onere a carico dell’Amministrazione finanziaria di provare la frode e la consapevolezza del contribuente – Sussiste – Possibilità di prova anche mediante presunzioni, purché gravi, precise e concordanti.

IVA – Fatturazione – Fatture per operazioni inesistenti – Diritto alla detrazione dell’imposta – Costituisce un principio generale del sistema IVA – Diritto del cessionario in buona fede di detrarre l’IVA qualora non sappia e non possa sapere di essere coinvolto in un meccanismo fraudolento – Sussiste.

IVA – Accertamento – Rettifica della dichiarazione in base a presunzioni – Ammissibilità – Necessità di presunzioni gravi, precise e concordanti – Sussiste.

Nell’ipotesi di ritenuta natura fittizia delle operazioni economiche poste in essere dalle parti coinvolte è l’Amministrazione finanziaria ad avere l’onere di provare gli elementi di fatto che concretizzano la frode e/o la consapevolezza di essa da parte del contribuente, e tale prova può essere data anche mediante presunzioni, dotate di gravità, precisione e concordanza, consistenti in elementi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto.

In tema di meccanismi fraudolenti preordinati all’evasione fiscale l’esigenza di assicurare la riscossione dell’imposta e di evitare frodi non può essere attuata in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’IVA secondo i principi generali di certezza e proporzionalità del diritto comunitario che vietano all’Amministrazione finanziaria di addossare le conseguenze del comportamento illecito altrui all’operatore in buona fede secondo l’ordinaria diligenza, di talché il diritto alla deduzione previsto agli artt. 17 e segg. della VI Direttiva 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, quale parte integrante del meccanismo dell’IVA, non può essere soggetto in linea di principio a limitazioni, e gli Stati membri possono adottare le misure necessarie ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi, in quanto la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, con la conseguenza che il cessionario in buona fede ha diritto di detrarre l’IVA ove non sappia o non possa sapere di essere coinvolto in un meccanismo fraudolento, mentre deve essere negata la detraibilità se l’operatore sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare con il proprio acquisto ad un’operazione che si iscriveva in una frode all’IVA.

In tema di accertamento dell’IVA, a norma dell’art. 54, secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per presumere l’esistenza di ricavi superiori a quelli contabilizzati ed assoggettati ad imposta non bastano semplici indizi, ma occorrono circostanze gravi, precise e concordanti, così come dispone l’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Cirillo, rel. Meloni), 27 settembre 2013, sent. n. 22135, ric. Gestioni Immobiliari Carisma s.r.l. c. Agenzia delle entrate]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – A seguito di una verifica fiscale nei confronti della società Gestioni Immobiliari Carisma srl e di tutte le società sue collegate appartenenti al medesimo gruppo societario, l’agenzia delle Entrate di Reggio Emilia ha notificato alla società un avviso di rettifica in relazione alla dichiarazione IVA presentata per l’anno 1995. L’accertamento era motivato dalla circostanza che le attività di cessione dei beni e prestazioni di servizi tra le varie società dovevano ritenersi fittizie ed inesistenti stante la mancanza di strutture idonee e la sproporzione tra prestazioni rese ed importi fatturati.

Avverso l’avviso di accertamento la società Gestioni Immobiliari Carisma srl presentava ricorso chiedendone l’annullamento alla Commissione Tributaria provinciale di Reggio Emilia la quale con sentenza nr. 52/06/2004 rigettava il ricorso.

Su ricorso in appello proposto dalla società, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna con sentenza nr. 63/23/07, depositata in data 25/6/2007, confermava la sentenza di primo grado. Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Emilia Romagna ha proposto ricorso per cassazione la società Gestioni Immobiliari Carisma srl con cinque motivi, ha resistito la Agenzia delle Entrate con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE – In via preliminare va rilevata e dichiarata ex officio l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e Finanze. In proposito, va ricordato che per effetto ed in conseguenza del trasferimento di funzioni e di rapporti inerenti le entrate tributarie dal Ministero dell’Economia e delle finanze alle Agenzie fiscali (tra le quali, l’Agenzia delle Entrate) – le quali ultime sono divenute operative a partire dal primo gennaio 2001 in base all’art. 1 del D.M. 28 dicembre 2000 – operato dal titolo quinto, capo secondo, del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, ciascuna Agenzia è succeduta al Ministero nei rapporti, sostanziali e processuali, in corso a quel momento ed è divenuta titolare esclusiva dei rapporti tributari (e, pertanto, unica legittimata processualmente) sorti successivamente alla data detta di sua operatività: nel caso, giusta quanto si legge nella sentenza impugnata, l’appello è stato depositato “il 14 giugno 2006”, quindi proposto in epoca successiva alla data di operatività detta per cui il rapporto sostanziale e quello processuale si sono trasferiti in capo all’Agenzia.

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente società Gestioni Immobiliari Carisma srl lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 55 e 56 DPR 26/10/1972, nr. 633, in combinato disposto tra loro e con gli artt. 2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 nr. 3 e 5 cpc, perché la CTR ha ritenuto fondato il metodo con il quale l’Agenzia ha proceduto all’accertamento, basato su presunzioni e ragionamento induttivo, ed ha contestato la natura fittizia delle operazioni e la loro esclusiva finalità di creare crediti d’imposta attraverso compensazioni fittizie tra le società del gruppo, tutte facenti capo alle medesime persone fisiche, nonostante la mancanza dei presupposti necessari.

Con il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso la ricorrente società Gestioni Immobiliari Carisma srl ripropone la violazione e falsa applicazione degli artt. 55 e 56 DPR 26/10/1972, nr. 633, in combinato disposto tra loro e con gli artt. 2697 e 2729 cc, artt. 112 e 115 cpc, in relazione all’art. 360 nr. 3 e 5, cpc, perché la CTR non ha valutato i fatti probatori allegati e cioè l’insussistenza di violazioni specifiche o l’omissione di un qualche adempimento né ha spiegato il ragionamento logico che l’ha indotta al rigetto della domanda.

Con il quinto motivo di ricorso la società ricorrente lamenta ancora violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21, 55 e 56 DPR 633/1972, in combinato disposto con gli artt. 2697 e 2729 cc, e 112 e 115 cpc, in relazione all’art. 360 nr. 3 e 5 cpc, in quanto la CTR ha ritenuto legittimo l’accertamento perché erano stati praticati prezzi non conformi al valore di mercato e perché non era legittimo effettuare il pagamento con compensazioni tra debiti e crediti reciproci.

I predetti motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto tutti attinenti, sotto diversi profili, alle medesime norme ed alla medesima questione, sono infondati. Infatti la sentenza impugnata, conforme al disposto dell’art. 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in tema di contenzioso tributario – secondo cui la sentenza deve contenere, fra l’altro, la “concisa esposizione dello svolgimento del processo” e “la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto” – contiene il minimo indispensabile necessario a dar conto del rigetto dell’appello attraverso la concisa esposizione dei fatti rilevanti della causa, rendendo possibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo. Tra l’altro deve essere precisato che ai fini di una adeguata motivazione non è necessario che il giudice esamini analiticamente tutte le argomentazioni difensive svolte dalle parti e le risultanze di causa, essendo sufficiente che indichi la fonte del proprio convincimento e sia possibile controllare l’iter logico della decisione.

Tanto premesso occorre considerare che, in particolare, la CTR ha ritenuto perfettamente legittima, con congrua ed adeguata motivazione, l’interpretazione fornita dall’Ufficio circa la natura fittizia delle operazioni e la loro esclusiva finalità di creare crediti di imposta fittizi potenzialmente rimborsabili, da realizzarsi attraverso l’annullamento di debiti e crediti grazie a compensazioni tra società del gruppo.

Infatti la contestazione avanzata nei confronti della società Gestioni Immobiliari Carisma srl, nel caso in esame, si iscrive in una combinazione negoziale fraudolenta preordinata ad uno scambio di fatture tra società dello stesso gruppo con la consapevolezza da parte delle società e dei soggetti coinvolti della natura fittizia delle operazioni effettuate cui, pur in mancanza di omissioni nelle registrazioni contabili dei soggetti coinvolti, non corrisponde un’attività economica effettiva mentre il trasferimento ha il solo scopo abusivo di avvantaggiarsi della detrazione. In tale ipotesi di natura fittizia delle operazioni poste in essere è peraltro il fisco ad avere l’onere di provare – anche mediante presunzioni – gli elementi di fatto che concretizzano la frode e/o la consapevolezza di essa da parte del contribuente e tale prova può essere data anche mediante presunzioni, dotate di gravità, precisione e concordanza, consistenti in elementi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto (Cass. V sezione nr. 15741 21/2/2012 (1)).

A tale proposito, in tema di meccanismi fraudolenti preordinati all’evasione fiscale deve essere anche citata la giurisprudenza comunitaria – cui occorre anzitutto riferirsi, essendo l’IVA un tributo armonizzato a livello Europeo – secondo la quale, l’esigenza di assicurare la riscossione dell’imposta e di evitare frodi non può essere attuata in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’Iva secondo i principi generali di certezza e proporzionalità del diritto comunitario che vietano all’Amministrazione finanziaria di addossare le conseguenze del comportamento illecito altrui all’operatore in buona fede secondo la ordinaria diligenza. A tal riguardo la Corte di Giustizia ha però chiarito che: a) il diritto alla deduzione previsto agli artt. 17 e seguenti della sesta direttiva, quale parte integrante del meccanismo dell’IVA, non può esser soggetto, in linea di principio a limitazioni (v. C-354/03, C-355/03 e C-484/03 (2), Optigen Ltd, C-62/93 (3), BP Soupergaz, punto 18, e C-110/98 (4), Gabalfrisa, punto 43); b) gli Stati membri possono adottare le misure necessarie ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi, in quanto la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto ed incoraggiato dalla direttiva 2006/112 (v. C-285/11 (5), Bonik EOOD, punto 35 e sentenze ivi citate); il cessionario in buona fede ha diritto di detrarre l’IVA “ove non sappia o non possa sapere di essere coinvolto in un meccanismo fraudolento” (sentenza Optigen Ltd C-62/93), mentre deve essere negata la detraibilità se l’operatore “sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare con il proprio acquisto ad un’operazione che si iscriveva in una frode all’IVA” (Corte di Giustizia sent. C-439/04 (6) par. 59 Axel Kittel).

Alla luce dell’orientamento giurisprudenziale sopra riportato, in ordine alla prova che deve essere fornita dall’ufficio, confermato dalle numerose altre sentenze anche recenti in materia e di fattispecie analoghe a quella in esame (per esempio Cass. V sez. nr. 8722 del 27/2/2013 (7)) deve essere chiarito che, nella fattispecie, la CTR ha esattamente evidenziato tutti gli elementi e circostanze prese in considerazione da parte dell’Ufficio comprovanti la stipula fittizia di contratti e l’esistenza di compensazioni di operazioni attive e passive intercorse tra le varie società del gruppo. A tale proposito, infatti, in tema di valutazione della prova presuntiva è stato affermato che (Sez. 5, Sentenza n. 6849 del 20/3/2009 (8)): “In tema di accertamento dell’IVA, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, per presumere l’esistenza di ricavi superiori a quelli contabilizzati ed assoggettati ad imposta non bastano semplici indizi, ma occorrono circostanze gravi, precise e concordanti così come, per le presunzioni semplici, dispone l’art. 2729 cod. civ.”. Tali circostanze sono state tutte puntualmente evidenziate dalla CTR che le ha elencate in calce alla penultima pagina della sentenza e consistono nella sproporzione tra prestazioni asseritamente svolte ed importi fatturati, nella mancanza di movimenti di cassa, nella mancanza di mezzi e persone indispensabili per consentire attività con fatturazioni di importo così rilevante.

Per quanto sopra deve essere respinto il ricorso proposto in relazione a tutti i motivi con condanna alle spese della ricorrente nei confronti della Agenzia, ritenendo compensati quelli verso il Ministero.

P.Q.M. – Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e compensa le relative spese di giudizio. Rigetta il ricorso e condanna Gestioni Immobiliari Carisma srl al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate che si liquidano in Euro 3.397,00 oltre spese prenotate a debito.

 (1) In Boll. Trib. On-line.

(2) Corte Giust. CE 12 gennaio 2006, cause riunite C-354/03, C-355/03, C-484/03, in Boll. Trib. On-line.

(3) Corte Giust. CE 6 luglio 1995, causa C-62/93, in Boll. Trib. On-line.

(4) Corte Giust. CE 21 marzo 2000, causa C-110/98, in Boll. Trib. On-line.

(5) Corte Giust. UE 6 dicembre 2012, causa C-285/11, in Boll. Trib., 2013, 1688.

(6) Corte Giust. CE 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, in Boll. Trib. On-line.

(7) In Boll. Trib. On-line.

(8) In Boll. Trib. On-line.

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