17 Luglio, 2015

 

1. Premessa

Con l’annotata pronuncia i giudici milanesi si sono occupati del trattamento, ai fini dell’imposta di registro, di una (unitaria) operazione di conferimento di azienda in società neocostituita seguito dalla cessione della partecipazione nella conferitaria.

Il caso è frequente e ha originato orientamenti ondivaghi della giurisprudenza di merito e di legittimità, in relazione all’interpretazione della portata applicativa dell’art. 20 delD.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (di seguito denominato per brevità “TUR”), in base al quale il fisco contesta una operazione “abusiva” da trattare non con il regime proprio del conferimento di azienda e della cessione delle partecipazioni ma con quello più oneroso della cessione dell’azienda.

La sentenza è di particolare interesse in quanto i giudici milanesi hanno evidenziato come la scelta dello schema negoziale del conferimento e della cessione della partecipazione totalitaria non sia sindacabile ex art. 20 del TUR e non possa essere qualificato quale abuso del diritto, dal momento che diverso è il risultato civilistico e in termini di rischi d’impresa ed economici che ne derivano, rispetto a quello che si avrebbe con la cessione diretta dell’azienda; tale differenza ne giustifica il diverso trattamento tributario, determinato da norme puntuali e mai oggetto di revisione da parte del legislatore, che non può essere oggetto di contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Gli stessi giudici, a supporto della liceità e insindacabilità dell’operazione di conferimento e cessione della partecipazione, hanno ritenuto sufficiente ricordare il differente risultato civilistico e fiscale di tale schema negoziale rispetto alla cessione diretta dell’azienda, senza necessità di ulteriori approfondimenti in merito alle addizionali esigenze imprenditoriali e valide ragioni economiche di natura extrafiscale, sottese allo schema negoziale prescelto, sollevate dalla difesa attorea. Ciò rende la sentenza in esame meritevole di approfondimento, anche per l’impatto che la sua ponderata riflessione di diritto potrebbe avere in un successivo giudizio dinnanzi alla Corte di Cassazione.

2. Sintesi della vicenda e della decisione

Il caso oggettodella sentenza in rassegna origina da una riorganizzazione aziendale in cui una società, appartenente a un gruppo multinazionale, sottoscriveva interamente il capitale sociale di una neocostituita società, deputata a condurre all’esito del conferimento del relativo ramo di azienda (perfezionato ai sensi dell’art. 176 del TUIR) la gestione autonoma del business della produzione e commercializzazione di marmellate e derivati di pomodoro commercializzati con noto marchio nazionale.

A distanza di una settimana, la conferente cedeva, quindi, l’intera partecipazione nella società conferitaria a una società terza. D’altra parte le due operazioni – conferimento del ramo d’azienda e successiva cessione della partecipazione totalitaria – erano parte di un unitario disegno di riorganizzazione e valorizzazione dell’attività non più strategica per il gruppo di appartenenza.

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Seguendo una prassi ormai consolidata, l’Agenzia delle entrate contestava l’operazione così come impostata dalle parti, ritenendola dettata dall’esclusiva volontà di realizzare un indebito risparmio ai fini dell’imposta di registro, al di là di ogni motivazione economica, e riqualificava le operazioni poste in essere alla stregua di una “diretta” cessione di ramo di azienda.

L’Agenzia delle entrate emetteva, quindi, un avviso di liquidazione richiedendo il pagamento dell’imposta proporzionale di registro (nel caso specifico del tre per cento) sulla cessione di azienda, in luogo di quella fissa versata dalle parti, e argomentava la propria pretesa sulla base dell’art. 20 del TUR, quale norma “antielusiva”.

Nel decidere la controversia la Commissione tributaria provinciale di Milano rileva, in primo luogo, la fondatezza della tesi del contribuente circa le sostanziali differenze, sotto il profilo civilistico e fiscale, tra le due operazioni di cessione d’azienda rispetto alconferimento seguito dalla cessione del pacchetto azionario.

Invero, il conferimento seguito dall’acquisto del pacchetto azionario può mantenere una segregazione tra il patrimonio dell’acquirente e quello della società acquistata, evitando una immediata confusione che porterebbe, anche, ad una condivisione dei rischi, di tutti i rischi (d’impresa, finanziari, legali, fiscali, ecc.).

Ai fini fiscali è bene ricordare la responsabilità solidale prevista in materia di cessione di azienda o ramo di essa dall’art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, che potrebbe anche essere illimitata in caso di frode (e l’acquirente terzo non ha certo strumenti adeguati per escludere radicalmente un tale rischio per ragioni imputabili al venditore).

Successivamente, i giudici milanesi si pronunciano sull’interpretazione dell’art. 20 del TUR, sottolineando gli effetti distorsivi che sono derivati dal considerare tale norma alla stregua della disposizione antielusiva di cui all’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

La Commissione milanese osserva, quindi, che gli effetti giuridici diversi delle due operazioni si sostanziano in ragioni economiche (ad esempio in termini di garanzie e/o prezzo) che hanno spinto le parti a scegliere lo schema negoziale della cessione della partecipazione totalitaria (oltre che meno oneroso della cessione dell’azienda). Sul punto della comparazione delle due operazioni, la scelta tra le stesse, secondo i giudici meneghini, non dipende solo da ragioni di risparmio fiscale ma da valutazioni civilistiche e di rischi di impresa; il risultato civilistico finale della cessione del pacchetto azionario è, infatti, diverso dalla scelta più onerosa della cessione di azienda e tale differenza giustifica il diverso trattamento tributario che non può essere sindacato dall’Amministrazione finanziaria.

L’erronea interpretazione dell’art. 20 del TUR, o meglio il suo inappropriato utilizzo da parte dell’Amministrazione finanziaria, produce effetti distorsivi e viola la logica-sistematica delle disposizioni normative volute dal legislatore.

Il Collegio giudicante, «pur nel tormento della consapevolezza di una giurisprudenza ondivaga», ritiene che lo schema negoziale scelto dalle società ricorrenti non sia sindacabile ex art. 20 del TUR e non possa essere qualificato quale abuso del diritto: tale schema, infatti, porta a effetti civilistici finali differenti da quelli che si avrebbero nel caso di cessione diretta dell’azienda.

3. Considerazioni

Come è noto, con riferimento a casi analoghi a quello oggetto dell’annotata sentenza, la Corte di Cassazione si è espressa negli ultimi mesi con una serie di pronunce (1) costantemente a favore dell’Amministrazione finanziaria, mentre tra le Corti territoriali la posizione non è affatto univoca e la tendenza è per la legittimità di tale operazione societaria in due tempi (2).

La sentenza in esame, nella sua ponderata riflessione in linea di diritto, offre lo spunto per ulteriori argomenti da parte dei contribuenti, anche dinanzi alla Suprema Corte, circa la falsa applicazione da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’art. 20 del TUR, in relazione agli artt. 2112 e 2560 c.c., nonché all’art. 14, primo comma, del D.Lgs. n. 472/1997, laddove si riconoscesse che la prima disposizione permetta di assoggettare la fattispecie all’imposta di registro, in funzione degli effetti giuridici finali prodotti dagli atti posti in collegamento negoziale (3).

In linea con tale interpretazione, per poter applicare correttamente l’imposta di registro è necessario infatti individuare gli effetti giuridici propri dello schema “conferimento d’azienda in società neocostituita e cessione delle partecipazioni” e verificare se tali effetti giuridici siano uguali a quelli determinati dalla cessione diretta d’azienda.

Con l’acquisto diretto dell’azienda, il cessionario è esposto ad una responsabilità patrimoniale inderogabile, per i fatti e le obbligazioni assunte in precedenza dal cedente (4); tale responsabilità patrimoniale è potenzialmente idonea ad investire tutti i beni dell’acquirente, non solo quelli afferenti l’azienda acquistata che, per confusione con i primi, concorrono a costituire il patrimonio unico dell’acquirente.

Diversamente, con l’acquisto della partecipazione di una società di capitali, proprietaria dell’azienda, l’acquirente della partecipazione segrega le obbligazioni relative ai rami d’azienda esercitati dalla società acquisita, e si espone ad un rischio economico predeterminato, pari al prezzo pagato per l’acquisizione della partecipazione (5).

L’acquisto diretto dell’azienda determina, come detto con effetti giuridici tipici, il sorgere di alcune inderogabili responsabilità patrimoniali in capo all’acquirente, per i debiti, fra l’altro, di natura civilistica, giuslavoristica e fiscale contratti dal cedente.

L’acquisto della partecipazione, invece, permette di limitare il suddetto rischio patrimoniale al prezzo pagato per la partecipazione e di segregare la responsabilità per le garanzie legali (ovvero anche pattizie) sulla società conferitaria. Peraltro, sempre dal punto di vista squisitamente giuridico, è noto come le due operazioni portino a risultati differenti anche in relazione al rapporto che si instaura con i beni aziendali: il titolare della partecipazione non può vantare alcun diritto né alcun potere sui beni che costituiscono il complesso aziendale.

La titolarità delle azioni o quote, infatti, non permette l’esercizio da parte del socio delle facoltà inerenti al diritto di proprietà (ad esempio la facoltà di cederla in affitto, di ipotecarne le componenti immobiliari, di disporne nei modi consentiti dalla legge) né permette, per altro verso, l’imputabilità ad esso degli oneri connessi alla proprietà del bene (ad esempio le imposte sul possesso di determinati beni o anche gli eventuali obblighi di risarcimento che potrebbero derivare dal loro improprio utilizzo). All’opposto, il cessionario d’azienda ottiene la piena proprietà di ogni bene che costituisce il complesso aziendale trasferito ed è titolato ad esercitare su di essi tutti i diritti del proprietario.

È quindi evidente che la “cessione d’azienda” e il «conferimento di azienda seguito dalla cessione delle partecipazioni» producono effetti giuridici del tutto diversi, con profili di responsabilità e di rischio non sovrapponibili sic et simpliciter.

Mediante l’operazione di conferimento e successiva cessione della partecipazione non si elude nessuna delle responsabilità civilistica o fiscale rappresentate. Semplicemente, destinataria di esse è la società che riceve il conferimento d’azienda e non la società (asseritamente) acquirente. Su quale soggetto giuridico far ricadere tale responsabilità (inderogabile) resta una scelta di opportunità imprenditoriale che, come tale, è insindacabile (6).

L’applicazione dell’imposta di registro, propria della cessione diretta di aziende, ad un’operazione di conferimento e successiva cessione di partecipazioni, configura una non corretta applicazione dell’art. 20 del TUR.

La Commissione milanese fa propria e sottolinea, anche, l’osservazione per cui il diverso regime fiscale delle due operazioni è frutto di scelte legislative e non certo di dimenticanza ovvero di un risultato ottenuto “strumentalizzando” le norme.

I contribuenti hanno, infatti, scelto un percorso che, oltre ad essere fiscalmente meno oneroso, si caratterizza per effetti giuridici (ed economici, dato che i rischi e le responsabilità hanno un loro corrispettivo/prezzo) non omogenei.

D’altra parte, giova osservare il paradosso sistematico di considerare ai fini dell’imposta di registro “abusivo” un comportamento che è addirittura meritevole di una espressa salvaguardia dal sindacato di elusione ai fini delle imposte dirette ai sensi dell’art. 176, terzo comma, del TUIR. Insomma, il legislatore tributario, mentre interviene per sgombrare il campo da possibili incertezze ai fini delle imposte sui redditi proprio a tutela della operazione abbinata di conferimento di azienda e successiva cessione di partecipazioni, resta silente sulle imposte indirette e tale silenzio viene strumentalizzato dall’Amministrazione finanziaria per suffragare tesi repressive (e non una semplice conferma che ai fini delle imposte indirette il tema non si pone, o meglio non dovrebbe porsi).

Va dato atto che la Commissione tributaria provinciale di Milano ha piena, e perciò “tormentata” (come recita la sentenza), consapevolezza che la Corte di Cassazione sembra orientata a considerare lo schema del conferimento d’azienda e cessione della partecipazione meritevole di censura ai fini dell’imposta di registro.

Ma proprio per ciò ai giudici milanesi va dato atto, e merito, di cogliere che la Suprema Corte sarà prima o poi necessariamente chiamata ad esprimersi in merito ad una quaestio di diritto che appare spesso trascurata, ovvero se costituisca falsa applicazione dell’art. 20 del TUR, in relazione agli artt. 2112 e 2560 c.c. e all’art. 14, primo comma, del D.Lgs. n. 472/1997, statuire che l’acquisto di partecipazioni produce gli stessi effetti giuridici dell’acquisto diretto d’azienda e quindi, se chi acquista partecipazioni sia effettivamente assoggettato alle stesse responsabilità e goda della stessa titolarità sui beni della partecipata, che sono propri del cessionario diretto d’azienda. E ancora: se il regime fiscale differenziato e più favorevole dell’operazione contestata sia una lecita opzione offerta dal legislatore, che nulla ha da condividere con un risparmio fiscale qualificabile come “indebito” e frutto di una strumentalizzazione di istituti di diritto.

La risposta, ci piace pensare, è proprio quella fornita dai giudici milanesi nella sentenza in rassegna.

Dott. Massimo Gabelli – Dott. Davide Attilio Rossetti

(1) Cfr. Cass., sez. VI, 19 marzo 2013, ord. n. 6835; Cass., sez. trib., 5 giugno 2013, n. 14150; Cass., sez. VI, 25 giugno 2013, ord. n. 15963; Cass., sez. trib., 28 giugno 2013, n. 16345; Cass., sez. trib., 18 dicembre 2013, n. 28259; e Cass., sez. VI, 13 marzo 2014, ord. n. 5877; tutte in Boll. Trib. On-line.

(2) A favore della legittimità cfr. Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. III, 24 settembre 2012, n. 126, in Boll. Trib., 2013, 1452; Comm. trib. prov. di milano, sez. trib., 10 febbraio 2012, n. 43, ibidem, 303, con nota di G.A. Giannantonio G. Paladini, Conferimento di ramo d’azienda e cessione della partecipazione sociale emessa a fronte del conferimento: appunti sulla riqualificazione come vendita di ramo d’azienda ai fini dell’imposta di registro; Comm. trib. prov. di milano, sez. XXI, 19 novembre 2010, nn. 388 e 389, ivi, 2011, 715; contra, Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. XXVI, 16 luglio 2012, n. 89, ivi, 2012, 1425, con nota di F. Pedrotti, la non elusività dell’operazione ai fini delle imposte di registro e ipocatastali: il conferimento di azienda e la successiva vendita delle quote attribuite al soggetto conferente.

(3) In sostanza, secondo tale interpretazione dell’art. 20 del TUR, l’elemento che andrebbe individuato ai fini della corretta applicazione dell’imposta di registro sarebbe riconducibile agli effetti giuridici finali prodotti attraverso gli atti posti in collegamento negoziale. Individuati precisamente questi ultimi, la fattispecie sarebbe sussunta, in relazione ad essi, nel negozio tipico che è idoneo a produrli e l’applicazione dell’imposta seguirebbe, come mera conseguenza della corretta ricostruzione degli atti, in funzione degli effetti giuridici finali che essi sono in grado di determinare. L’imposta di registro dovrebbe, quindi, applicarsi in dipendenza degli effetti giuridici prodotti dalle operazioni poste in collegamento negoziale. Tale interpretazione dell’art. 20 del TUR è stata condivisa dalla Suprema Corte (cfr. Cass., sez. trib., 19 giugno 2013, n. 15319, in Boll. Trib. On-line; Cass. n. 14150/2013, cit.; e concordemente Cass., sez. trib., 12 maggio 2008, n. 11769, e Cass., sez. trib., 25 febbraio 2002, n. 2713, entrambe in Boll. Trib. On-line). Il principio di diritto, espresso dalle citate sentenze di legittimità, è quello secondo cui «l’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 è norma che, quand’anche ispirata pure a finalità genericamente antielusive, non configura “disposizione antielusiva”. Pertanto, nella prospettiva di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 si procede alla ricostruzione dell’obiettiva portata, sul piano degli effetti giuridici, dell’attività negoziale posta in essere». «Proclamando, ai fini dell’applicazione delle imposte in rassegna, la preminenza del reale dato giuridico, dell’effettiva causa negoziale (“la intrinseca natura” e “gli effetti giuridici”) dell’atto sottoposto a registrazione, rispetto al relativo assetto cartolare (“il titolo o la forma apparente”), la disposizione in esame … esprime la precisa scelta normativa di assumere, quale oggetto del rapporto giuridico tributario inerente a dette imposte, gli atti registrati, in considerazione, non della loro consistenza documentale, ma degli effetti giuridiciprodotti (v. Cass. 10273/07, 2713/02)» (così Cass. n. 15319/2013, cit.). E ancora: «gli artt. 1 e 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 vanno interpretati nell’univoco senso che oggetto dell’imposta di registro, … è, nella sostanza, costituito dagli effetti giuridici di tali atti» (così Cass. n. 14150/2013, cit.; conformi Cass. n. 11769/2008, cit.; e Cass. n. 2713/2002, cit.). In conclusione, secondo il suddetto principio l’imposta di registro deve essere applicata in funzione degli effetti giuridici prodotti dalla concatenazione negoziale.

(4) L’acquirente di un’azienda risponde con tutto il suo patrimonio dei debiti inerenti l’esercizio dell’azienda ceduta e risultanti di libri contabili (ex art. 2560 c.c). Una simile responsabilità è posta a suo carico anche per le obbligazioni nascenti dai rapporti di lavoro dei dipendenti, che seguono l’azienda trasferita. Infatti, l’acquirente è solidalmente responsabile con il cedente per i crediti che i dipendenti vantano nei confronti del datore di lavoro, alla data del trasferimento dell’azienda (ex art. 2112, secondo comma, c.c.). Quanto, poi, alle obbligazioni di carattere tributario, il cessionario è solidalmente responsabile col cedente a norma dell’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997. Tali previsioni rappresentano garanzie legali per le obbligazioni riferibili all’azienda e quindi inderogabili dalle parti, le cui eventuali pattuizioni, tese a ripartire diversamente tali responsabilità, sono inopponibili ai terzi creditori.

(5) Il peggiore rischio a cui l’acquirente della partecipazione si espone è l’azzeramento del valore della propria quota. Né più, e né meno, di ciò che avviene per il socio di una società di capitali, dotata di personalità giuridica e autonomia patrimoniale e capace di rispondere per responsabilità propria.

(6) Una diversa interpretazione sarebbe in contrasto con il principio di libertà dell’iniziativa economica sancito dall’art. 41 Cost.

 

Imposta di registro – Accertamento – Avviso di rettifica – Conferimento di un ramo di azienda in una società e successiva cessione della partecipazione totalitaria acquisita – Riqualificazione della fattispecie come una cessione diretta di ramo d’azienda – Insussistenza di un’ipotesi di abuso del diritto e di norme idonee a giustificare una simile riqualificazione – Illegittimità dell’accertamento – Consegue.

 La scelta dello schema negoziale consistente nel conferimento di un ramo d’azienda in una società neocostituita e nella successiva cessione a terzi della partecipazione totalitaria acquisita in tale società non è sindacabile da parte dell’Ufficio finanziario facendo ricorso all’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, utilizzato alla stessa stregua dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per riqualificare l’intera operazione come una cessione diretta di ramo d’azienda da assoggettare all’imposta di registro in misura proporzionale anziché fissa, dandosi luogo ad illegittimi effetti distorsivi ed alla violazione della logica-sistematica delle vigenti disposizioni normative non giustificabili dalla presunta sussistenza di un abuso del diritto, atteso che il risultato civilistico finale è diverso da quello che si sarebbe verificato con la scelta dell’operazione più onerosa, qual è la cessione del ramo d’azienda, e che tale differenza giustifica perciò il diverso trattamento tributario, il quale non può essere contestato e condotto in un diverso alveo dall’Ufficio accertatore.

[Commissione trib. provinciale di Milano, sez. V (Pres. Pomodoro, rel. Sorrentino), 18 febbraio 2014, sent. n. 1758]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – La … srl impugnava l’avviso di liquidazione n. … in materia di imposta di imposta di registro per un ammontare complessivo liquidato, comprensivo di interessi calcolati sino al 12/9/2013 ed altri accessori, pari ad 680.903,12.

La controversia scaturiva da una riorganizzazione aziendale attuata nelle seguenti fasi:

27/8/2011 … costituiva la società …, entità giuridica, questa, deputata a rappresentare, all’esito della riorganizzazione, la gestione autonoma ed unitaria del business delle marmellate e derivati di pomodoro;

22/9/2011 … deliberava un aumento di capitale sociale che veniva interamente sottoscritto da … mediante conferimento, ai sensi dell’art. 176 del DPR n. 917/1986, del proprio ramo d’azienda relativo alla produzione, distribuzione e vendita sul mercato italiano dei prodotti a Marchio …;

l’atto di conferimento del ramo d’azienda veniva quindi presentato per la registrazione ed assoggettato ad imposta di registro in misura fissa di 168,00 in base a quanto previsto dall’art. 4, comma 1, lett. a), n. 3, della tariffa, parte prima, allegata al DPR 26/4/1986, n. 131 (TUR);

in data 29/9/2011 la società … acquistava il 100% delle quote … per un corrispettivo complessivo pari ad 21.260.000,00;

l’atto di cessione della partecipazione in … veniva quindi presentato all’Ufficio in data 30/9/2011 ed assoggettato ad imposta di registro in misura fissa di 168,00, ai sensi dell’art. 11, della tariffa, parte prima, allegata al TUR.

Nell’avviso di liquidazione l’Ufficio, invocando l’art. 20 del TUR quale norma “antielusiva”, ha riqualificato le operazioni poste in essere, riferendosi in particolare al conferimento effettuato nella … ed alla successiva cessione della partecipazione a …, unitariamente alla stregua di una cessione di ramo d’azienda e, quindi, ha assoggettato tale presunta cessione di ramo d’azienda all’imposta proporzionale del 3% in luogo di quella fissa.

La difesa attorea eccepiva l’illegittimità della riqualificazione in quanto gli effetti giuridici della cessione di ramo d’azienda sono diversi da quelli della cessione delle quote sociali, inoltre adduceva esigenze imprenditoriali e valide ragioni economiche di natura extra-fiscale rilevanti anche per l’acquirente; ancora, eccepiva la nullità dell’atto in quanto emesso senza il rispetto delle garanzie procedimentali previste per il sindacato dell’art. 37-bis del DPR n. 600/73, inoltre ne contestava la qualificazione quale “imposta complementare” e non “imposta suppletiva”; infine eccepiva il difetto di motivazione dell’atto e la violazione dell’onere della prova e concludeva con la richiesta, accolta, di sospensione dell’atto, del suo annullamento o almeno di una riduzione degli interessi, il tutto col favore delle spese.

Si costituiva in giudizio la convenuta che insisteva per la tesi di una complessa operazione che, quanto ai suoi effetti giuridici, è riconducibile ad una cessione di ramo d’azienda ed il senso dell’intera operazione, si legge nello scritto ex art. 23, “si evince già nelle note illustrative del Bilancio consolidato al 31/12/2011” della società cessionaria delle quote sociali. Ulteriore indizio della reale configurazione dell’operazione l’Ufficio lo rileva nella circostanza che in data 1/3/2012 fu registrato atto di fusione per incorporazione della … (conferitaria del ramo aziendale) nella … spa (cessionaria del pacchetto).

Pertanto, l’Ufficio sosteneva “l’esclusiva volontà di realizzare un beneficio sul piano fiscale, al di fuori di ogni motivazione economica che non sia una mera giustificazione postuma dell’atto (…)” e che “l’art. 20 testo unico registro costituisce applicazione del più generale principio anti elusivo che trova nel dettato costituzionale la sua giustificazione” ed ancora, che “l’art. 20 del DPR 131/86, proprio in quanto norma interpretativa con funzione antielusiva, non vincola l’Amministrazione al particolare procedimento previsto, a garanzia del contribuente, dalla disposizione antielusiva per eccellenza quale è l’art. 37-bis del DPR 600/73”; infine sosteneva che l’imposta è complementare in quanto non diretta a correggere errori dell’Ufficio, pertanto chiedeva il rigetto del ricorso con la condanna alle spese di giudizio.

La Commissione, esaminati gli atti ed i documenti di causa, uditi il relatore e le parti, così decide.

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MOTIVI DELLA DECISIONE – Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

Il Collegio ritiene di concordare con la tesi attorea circa le sostanziali differenze sotto il profilo civilistico tra cessione d’azienda e cessione di pacchetto azionario e sul fatto che l’acquisto del pacchetto azionario possa mantenere una segregazione tra il patrimonio dell’acquirente e quello della società acquistata, senza correre il rischio di un’immediata confusione. D’altra parte è a tutti nota la circostanza che ormai da moltissimi anni le imprese, per evitare di accentrare e confondere in capo ad un unico soggetto giuridico tutti i rischi d’impresa, si ristrutturino in gruppi aziendali composti da varie società strutturate in holdings e società operative. L’acquisto del pacchetto azionario in luogo del ramo d’azienda consente di limitare il rischio all’importo pagato per rilevare detto pacchetto, senza incorrere nella pericolosa responsabilità solidale prevista per chi rileva aziende e rami aziendali, che potrebbero comportare un esborso ben più ampio di quello pattuito con il cedente; ciò anche sotto il profilo dei rischi fiscali, infatti, se l’Ufficio dovesse ravvisare, ex art. 14 del D.Lgs. 472/97, una cessione fatta in frode al fisco, la responsabilità del cessionario non sarebbe soggetta a limitazioni, ancorché essa fosse avvenuta con trasferimento frazionato dei singoli beni, ed è noto che la frode si presume quando il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla contestazione di una violazione penalmente rilevante; in tale ipotesi il certificato dei carichi pendenti non produrrebbe alcun effetto liberatorio per il cessionario. È allora evidente come la scelta di un’alternativa rispetto ad un’altra non sì possa ricondurre al solo motivo del risparmio fiscale ma sia da attribuire anche o, meglio, soprattutto a valutazioni civilistiche e di rischi d’impresa.

D’altra parte quella di tassare un istituto in misura fissa ed un altro in misura proporzionale è stata una precisa ed evidente scelta del legislatore che non può essere contravvenuta in sede amministrativa trincerandosi dietro il paravento del sintetico art. 20, ed il trattamento di favore è stato mantenuto anche dopo la soppressione della tassa sui contratti di borsa e non è mai stata disposta alcuna eccezione per il trasferimento di interi pacchetti di partecipazioni sociali. Pertanto, utilizzando l’art. 20 TUR alla stessa stregua dell’art. 37-bis del DPR 600/73 e riqualificando una cessione di quote in cessione di azienda l’Ufficio ha prodotto effetti distorsivi ed ha alterato e violato la logica-sistematica delle disposizioni normative volute dal legislatore. Oltretutto l’effetto sarebbe stato lo stesso anche cedendo una quota non totalitaria del pacchetto ma riservandosi una quota minoritaria e, forse, in questo caso l’Ufficio non avrebbe emesso l’atto. In definitiva, questo Collegio, pur nel tormento della consapevolezza di una giurisprudenza ondivaga (numerose sono le sentenze di legittimità e di merito citate a proprio favore da entrambe le parti in causa), ritiene che la scelta dello schema negoziale della cessione della partecipazione totalitaria non sia sindacabile ex art. 20 del TUR e non possa essere qualificata quale abuso di diritto, infatti il risultato civilistico finale è diverso da quello che si avrebbe con la scelta della via più onerosa, qual è la cessione diretta dell’azienda, e questa differenza giustifica il diverso trattamento fiscale che non può essere contestato e condotto in un diverso alveo dall’Ufficio, pertanto il ricorso è da accogliere; restano assorbiti gli ulteriori motivi di impugnativa.

L’estrema controvertibilità della materia induce la Commissione a compensare le spese di giudizio.

P.Q.M. – La Commissione accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato. Spese compensate.

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