1 Agosto, 2014

1. La comunicazione IVA e il reato per omessa presentazione della dichiarazione

I giudici di legittimità hanno confermato la condanna inflitta dal giudice del merito ad un contribuente, riconosciuto responsabile del reato di omessa dichiarazione dei redditi e dell’IVA previsto e punito dall’art. 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, pur se aveva presentato tempestivamente la comunicazione IVA di cui all’art. 8-bis, primo comma, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322.

La Suprema Corte ricorda che, ai sensi del richiamato art. 8-bis, «fermi restando gli obblighi previsti dalla legge relativamente alla dichiarazione unificata e alla dichiarazione IVA annuale e ferma restando la rilevanza attribuita alle suddette dichiarazioni anche ai fini sanzionatori, il contribuente presenta in via telematica, direttamente o tramite gli intermediari, entro il mese di febbraio di ciascun anno, una comunicazione dei dati relativi all’imposta riferita all’anno solare precedente, redatta in conformità al modello approvato con provvedimento amministrativo da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale».

Da ciò consegue che la comunicazione è sostitutiva delle dichiarazioni periodiche IVA infra-annuali e ha lo scopo di fornire all’Amministrazione finanziaria i dati sintetici, che costituiscono una prima base di calcolo per la determinazione delle risorse proprie che lo Stato deve versare al bilancio comunitario. La natura e gli effetti del nuovo adempimento, pertanto, non sono quelli propri della “dichiarazione IVA”, bensì quelli riferibili alla comunicazione di dati e notizie; infatti attraverso la detta comunicazione il contribuente non procede alla definitiva autodeterminazione dell’imposta dovuta, che avverrà, invece, attraverso il tradizionale strumento della dichiarazione annuale (1).

Pertanto la pronuncia in rassegna è chiara: non sussiste alcuna equipollenza tra la comunicazione IVA, da compiersi entro il mese di febbraio di ciascun anno, e la dichiarazione annuale dell’imposta che è espressamente stabilita dalla norma e che fa salvi gli effetti sanzionatori, tra cui evidentemente quelli penali, inflitti per l’omessa dichiarazione.

Come è noto, per effetto dell’art. 11 del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, è stata sancita la definitiva abrogazione delle dichiarazioni periodiche, al cui posto – a partire dalle liquidazioni IVA relative all’anno 2002 – è stata introdotta la “comunicazione” dei dati IVA. Tale adempimento che, conformemente ai principi di semplificazione di cui al D.P.R. n. 435/2001, appare sicuramente meno gravoso per i contribuenti rispetto alle dichiarazioni IVA periodiche, è stato introdotto al fine di ottemperare agli obblighi comunitari previsti dall’art. 22, par. 4), della Direttiva CEE n. 77/388 del 17 maggio 1977, in base al quale il termine per la presentazione di una “dichiarazione” dei dati IVA, previsto dai singoli Stati, non può superare di due mesi la scadenza di ogni periodo fiscale. Si è reso necessario, quindi, prevedere un adempimento fissato ad hoc da effettuare nel rispetto del predetto termine imposto da una norma comunitaria, con la conseguente l’introduzione del richiamato art. 8-bis del D.P.R. n. 322/1998. La comunicazione dei dati IVA ha la funzione di fornire all’Amministrazione finanziaria i dati IVA sintetici relativi alle operazioni effettuate nell’anno precedente, che costituiranno anche una prima base di calcolo per la determinazione delle “risorse proprie” che lo Stato deve versare al bilancio comunitario.

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Pertanto la natura e gli effetti dell’adempimento in esame non possono essere assimilati a quelli propri di una “dichiarazione”, ma vanno accomunati a quelli riferibili alle “comunicazioni di dati e notizie”: infatti, per il tramite della comunicazione il contribuente non procede affatto alla definitiva autodeterminazione dell’imposta dovuta, cosa che avverrà esclusivamente attraverso la presentazione della dichiarazione annuale. Dalla natura non dichiarativa della comunicazione, evidenziata dalla stessa denominazione che il legislatore ha inteso attribuire a tale adempimento, discende la inapplicabilità delle sanzioni previste per l’omessa o infedele dichiarazione, oltre che delle disposizioni di cui all’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in materia di ravvedimento operoso in caso di violazione degli obblighi di dichiarazione. Infatti, l’omissione della comunicazione o l’invio della stessa con dati incompleti o inesatti determina l’applicazione delle più miti sanzioni previste dall’art. 11 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, per il caso di omessa o inesatta comunicazione di dati (ovvero da € 258,00 a € 2.065,00), ed eventuali errori commessi nella sua compilazione potranno essere corretti con la presentazione di un nuovo modello o in sede di dichiarazione annuale.

Pertanto l’autodeterminazione effettiva e definitiva dell’imposta avviene solo in sede di dichiarazione annuale da parte del contribuente. Ne consegue che l’omissione di quest’ultima, in presenza del superamento della soglia di punibilità, configura il delitto, previsto e punito dell’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000, di omessa presentazione della dichiarazione annuale dell’IVA, in quanto non si può far valere la comunicazione IVA come elemento di esclusione del reato di omessa dichiarazione.

D’altra parte la circostanza che la presentazione della dichiarazione annuale dell’IVA non ammetta equipollenti al fine di evitare la commissione del delitto qui in esame lo si evince anche dal secondo comma dell’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000, con il quale si regola – in modo tassativo – la possibile efficacia esimente di dichiarazioni diverse da quelle previste dagli artt. 1 e 8 del D.P.R. n. 322/1998.

In tale norma infatti si stabilisce che non si considera omessa la dichiarazione annuale dell’IVA laddove essa venga presentata non sottoscritta o redatta su uno stampato non conforme al modello prescritto con ciò, quindi, a volere escludere l’omissione qui penalmente rilevante unicamente per quelle dichiarazioni che, dal punto di vista sostanziale, contengono tutti gli elementi richiesti dalla dichiarazione annuale dell’IVA, distinguendosi da essa solo per elementi formali la cui mancanza non viene ad incidere sulla tutela del bene protetto dal D.Lgs. n. 74/2000, dato dall’integrale e tempestiva percezione dei tributi. Equipollenza che, come sopra indicato, non è presente nella comunicazione di cui all’art. 8-bis non avendo questa la funzione di determinare, in modo definitivo, l’IVA dovuta e non potendosi, allora, con essa ritenere realizzata la tutela dell’interesse dell’erario oggetto di protezione penale.

2. La comunicazione IVA e la spettanza del credito

Nell’annotata sentenza poi il contribuente si difende sostenendo di avere un credito IVA non riconosciuto, mentre la Suprema Corte nella motivazione ha escluso, sulla base delle risultanze probatorie acquisite nel giudizio di merito, l’esistenza di prove del credito IVA per l’anno di imposta in cui la dichiarazione risultava omessa.

Sul punto è interessante ripercorrere la posizione della giurisprudenza e della prassi dell’Amministrazione finanziaria in merito alla spettanza del credito IVA nel caso di omessa presentazione della dichiarazione.

Secondo quanto previsto dall’art. 30, secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, «se dalla dichiarazione annuale» risulta una eccedenza di IVA detraibile «il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività».

Sulla base di tale norma l’Agenzia delle entrate (2) ha ritenuto che in caso di omessa dichiarazione annuale il contribuente non possa riportare l’eccedenza di IVA detraibile nella dichiarazione dell’anno successivo né chiederne il rimborso nelle ipotesi regolate dall’art. 30 medesimo.

Sul punto si è pronunciata più volte la Suprema Corte e, in particolare, di recente ha ritenuto «che la mancata esposizione della eccedenza di imposta nella dichiarazione annuale esclude il diritto di detrarre l’eccedenza medesima nell’anno successivo, ai sensi dell’art. 30, 2º comma, d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, oltre a quello di chiedere il rimborso, nelle ipotesi e nei limiti contemplati dai comma successivi dello stesso articolo, ma non implica che il contribuente, dopo aver versato somme obiettivamente non dovute, perda il diritto di chiedere la ripetizione dell’indebito, entro i termini e alle condizioni di legge, in quanto la dichiarazione non assume valore confessorio e non costituisce fonte dell’obbligazione tributaria» (3); nonché «in tema di iva, in caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale si determina la perdita definitiva del diritto di avvalersi delle eccedenze maturate a credito per quell’anno, dal momento che l’omessa dichiarazione vale, a fortiori, come mancato computo, ma non la perdita del diritto al rimborso nel rispetto dei limiti di legge» (4).

Il credito pertanto, non essendo stato dichiarato nell’anno in cui è maturato, non è utilizzabile in detrazione del debito d’imposta in una dichiarazione successiva, a nulla rilevando che lo stesso sia, per ipotesi, effettivamente maturato. Pertanto si è escluso il riporto a nuovo del credito formatosi in un periodo d’imposta per il quale sia stata omessa la dichiarazione (5). Peraltro la medesima giurisprudenza di legittimità, in coerenza con il principio di neutralità che ispira il sistema IVA, più volte ribadito anche dalla Corte di Giustizia europea, ha affermato che nella fattispecie in esame, qualora venga riscontrata l’effettività del credito, il contribuente è ammesso al rimborso dell’eccedenza medesima e lo stesso potrà presentare istanza di rimborso del credito, entro due anni dal predetto pagamento a norma dell’art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Nell’esaminare tali istanze l’Ufficio fiscale effettuerà il controllo dell’effettiva spettanza del credito, mediante richiesta ed esame della documentazione contabile ed extracontabile necessaria, attenendosi alla prassi operativa concernente i controlli da espletare ai fini dell’erogazione dei rimborsi dell’IVA, fatta salva la facoltà di attivare anche successivamente eventuali specifici controlli sostanziali, al fine di verificare ulteriormente la spettanza del credito (6).

La posizione della giurisprudenza e dell’Amministrazione finanziaria si basa sulla funzione specifica che è stata data alla dichiarazione: la dichiarazione dei redditi e dell’IVA non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria (7). Infatti la mancata presentazione della dichiarazione nell’anno in cui il credito stesso è maturato viola il principio procedimentale in base al quale il diritto alla detrazione del credito nell’anno successivo è subordinato alla presentazione della dichiarazione nell’anno in cui il credito è maturato e, dall’altro, il riconoscimento del diritto al rimborso di un credito effettivamente spettante, che garantisce, tra le altre cose, il rispetto del principio di neutralità proprio del sistema dell’IVA.

A tal fine l’Agenzia delle entrate (8) ritorna sull’argomento e anticipa la possibilità di riconoscimento del credito: sostanzialmente, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione, invece di richiedere l’effettuazione del pagamento seguita da un’istanza di rimborso, il contribuente potrà scomputare direttamente l’importo del credito medesimo dalle somme complessivamente dovute in base all’originaria comunicazione di irregolarità. L’Ufficio finanziario competente emetterà, a norma del secondo comma dell’art. 2 del D.Lgs. n. 472/1997, una “comunicazione definitiva” contenente la rideterminazione delle somme che residuano da versare a seguito dello scomputo operato, fermo restando il pagamento degli interessi e delle sanzioni contestate ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, sulla parte di credito effettivamente utilizzata, con la conseguenza che se il contribuente versa le somme dovute entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione definitiva di cui sopra potrà beneficiare della riduzione della predetta sanzione ad un terzo. a seguito del ricevimento della comunicazione di irregolarità perciò se il contribuente ritiene che il credito non dichiarato sia fondatamente ed effettivamente spettante, può attestarne l’esistenza contabile, mediante la produzione all’Ufficio fiscale competente, entro il termine previsto dagli artt. 36-bis, terzo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 54-bis, terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972, ossia entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione, di idonea documentazione, ovvero con riferimento alle eccedenze IVA, mediante esibizione dei registri IVA e delle relative liquidazioni, della dichiarazione cartacea relativa all’annualità omessa, delle fatture e di ogni altra documentazione ritenuta utile.

Nella citata circolare n. 21/E/2013 viene esplicitato il principio secondo cui «la dimostrazione dell’esistenza contabile del credito pone il contribuente, ancorché tardivamente, nella medesima condizione in cui si sarebbe trovato qualora avesse correttamente presentato la dichiarazione».

Viene in tal modo superato il principio che la mancata presentazione della dichiarazione possa far perdere il diritto al credito IVA.

Elemento questo, poi, ancor più vero in sede penale ove nella determinazione dell’imposta evasa deve darsi prevalenza al dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura formale che caratterizzano l’ordinamento tributario (9) con l’avvertenza, tuttavia, che in materia di IVA il meccanismo proprio di questo tributo consente di tenere conto unicamente, ai fini della determinazione anche in sede penale, dell’imposta dovuta, dei crediti IVA derivanti da operazioni regolarmente registrate.

Avv. Laura Rosa

(1) Cfr. circ. 25 gennaio 2002, n. 6/E, in Boll. Trib., 2002, 201.

(2) Cfr. circ. 6 agosto 2012, n. 34/E, in Boll. Trib., 2012, 1237.

(3) Così Cass., sez. trib., 12 gennaio 2012, n. 268, in Boll. Trib. On-line.

(4) Cfr. Cass., sez. trib., 25 luglio 2012, ord. n. 13090, in Boll. Trib. On-line.

(5) Cfr. Cass., sez. trib., 22 settembre 2011, n. 19326; Cass., sez. trib., 30 settembre 2011, n. 20040; Cass., sez. trib., 27 maggio 2011, n. 11737; e Cass., sez. trib., 23 luglio 2009, n. 17204; tutte in Boll. Trib. On-line.

(6) Nello stesso senso ved. circ. 4 maggio 2010, n. 23/E, in Boll. Trib., 2010, 781, riguardante il principio di competenza.

(7) Ved. Cass., sez. trib., 28 febbraio 2011, n. 4776, in Boll. Trib., 2011, 1150; e Cass., sez. trib., 12 dicembre 2011, n. 26512, in Boll. Trib. On-line.

(8) Cfr. circ. 25 giugno 2013, n. 21/E, in Boll. Trib., 2013, 931.

(9) Cfr. Cass., sez. III pen., 26 febbraio 2008, n. 21213, in Boll. Trib. On-line.

Imposte e tasse e IVA – Sanzioni penali – Omessa presentazione della dichiarazione annuale – Art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000 – Presentazione della comunicazione dati IVA ex art. 8-bis del D.P.R. n. 322/1998 – Irrilevanza – Invocata esistenza di un credito IVA non portato in detrazione – Mancata dimostrazione nei giudizi di merito – Inutilizzabilità del credito – Consegue – Configurabilità del reato – Sussiste.

La comunicazione IVA, prevista dall’art. 8-bis del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, finalizzata ad adempiere agli obblighi comunitari di cui all’art. 22, par. 4), della Direttiva CEE n. 77/388 del 17 maggio 1977, non è sostitutiva della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi e IVA, di talché, qualora siano superate le soglie quantitative di punibilità penale, in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e dell’IVA e nel contempo l’imputato non abbia fornito alcuna prova nella sede di merito di un presunto credito d’imposta che pertanto non può essere portato in detrazione compensando il debito erariale, si configura il reato previsto e punito dall’art. 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

[Corte di Cassazione, sez. III pen. (Pres. Squassoni, rel. Lombardi), 4 novembre 2013, sent. n. 44433]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza del Tribunale di Gela in data 30/9/2009, con la quale S.M. era stato dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (secondo capo B dell’imputazione), a lui ascritto perché, nella qualità di rappresentante legale della Sud Montaggi S.r.l., ometteva di presentare la dichiarazione dei redditi ed IVA per l’anno 2005 e di versare l’imposta sul valore aggiunto per l’importo di Euro 87.000,00.

La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva dedotto di avere adempiuto all’obbligo di comunicazione dell’IVA alla Amministrazione Finanziaria, sia pure limitatamente all’ammontare di quella a debito; di essere comunque creditore per l’anno di imposta indicato della somma di Euro 223.296,00 e chiesto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale al fine di esaminare il consulente contabile dell’impresa; chiesto, in subordine, la concessione delle attenuanti generiche e la riduzione della pena inflitta.

Sul primo punto, in particolare, la sentenza ha affermato che la comunicazione IVA, prevista dall’art. 8-bis del D.P.R. n. 322 del 1998, finalizzata ad adempiere agli obblighi comunitari di cui all’art. 22, paragrafo 4, della Direttiva CEE n. 77/388 del 17/05/1977, non è sostitutiva della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi ed IVA. La sentenza ha altresì escluso l’esistenza di prove del credito IVA per l’anno di imposta 2005, asserito dall’appellante, e la necessità di disporre la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello. È stato, infine, escluso che l’imputato fosse meritevole di un trattamento sanzionatorio più mite e del beneficio della sospensione condizionale della pena.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, tramite il difensore, che la denuncia per vizi di motivazione e violazione di legge.

2.1 Mancata assunzione di una prova decisiva e carenza di motivazione.

Si censura l’omessa riapertura dell’istruzione dibattimentale in appello, che avrebbe consentito di provare l’esistenza di un credito IVA dell’imputato per l’ammontare di Euro 365.587,00, portato in compensazione con il minor debito di Euro 87.000,00, con conseguente insussistenza di un danno erariale. La prova richiesta era, pertanto, decisiva e la sentenza è carente di motivazione sul punto.

2.2 Violazione di legge.

L’imputato aveva provveduto a comunicare all’Amministrazione finanziaria l’ammontare dell’IVA per operazioni attive, indicando a proprio danno un debito di imposta pari ad Euro 163.252,00, superiore a quello effettivo. La sentenza ha attribuito erroneamente al reato natura meramente formale, afferente all’omessa presentazione della prescritta dichiarazione, mentre la fattispecie penale ha natura sostanziale ed è integrata dall’esistenza di un comportamento omissivo, che impedisca all’Ente impositore di accertare il debito fiscale; comportamento omissivo che nel caso in esame doveva escludersi, avendo l’imputato comunicato l’ammontare dell’IVA dovuta sia pure attraverso un atto concepito per fini diversi. Peraltro, il presente procedimento è stato determinato proprio dalla comunicazione IVA effettuata dal ricorrente.

La fattispecie criminosa non è finalizzata a punire mere irregolarità formali, ma la condotta diretta a sfuggire al fisco, con la conseguenza che il mancato pagamento dell’imposta è elemento costitutivo del reato. Nel caso in esame non vi è stato il mancato pagamento dell’IVA per l’ammontare accertato dai giudici di merito, poiché dalla dichiarazione presentata tardivamente dall’imputato emerge a favore dello stesso un credito IVA per l’ammontare di Euro 365.587,00, portato in detrazione per l’anno 2004 nella misura di Euro 55.269,00 e per l’anno 2005 nella misura di Euro 87.000,00 con un residuo credito a favore dello S. di Euro 223.296,00.

La Corte territoriale avrebbe dovuto individuare due elementi costitutivi del reato: da un lato una condotta totalmente omissiva, con la possibilità di ammettere equipollenti rispetto alla dichiarazione non presentata e, dall’altro, il mancato pagamento del tributo.

2.3 Omessa motivazione.

La comunicazione formale da parte dell’imputato dell’IVA a debito costituiva dimostrazione della assenza di volontà di sottrarsi all’accertamento dell’imposta dovuta. Peraltro, lo S. non aveva alcun interesse a sottrarsi all’accertamento dell’IVA, in quanto non doveva pagare alcunché, essendo egli creditore dell’imposta per un ammontare di gran lunga superiore a quanto dovuto. Su tali punti, che dimostrano l’insussistenza del dolo specifico del fine di evadere l’imposta, la sentenza è totalmente carente di motivazione.

2.4 Violazione di legge.

La motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e della sospensione della pena non ha tenuto conto delle deduzioni dell’appellante in punto di insussistenza del danno erariale, ma si fonda su altre considerazioni, stravolgendo, in tal modo, i principi basilari del procedimento penale.

MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. Il ricorso non è fondato.

2. La sentenza impugnata ha correttamente affermato in punto di diritto che la comunicazione IVA, prevista dall’art. 8-bis del D.P.R. n. 322 del 1998, introdotto dall’art. 9 del D.P.R. n. 435 del 2001, finalizzata ad adempiere agli obblighi comunitari di cui all’art. 22, paragrafo 4, della Direttiva CEE n. 77/388 del 17/5/1977, non è sostitutiva della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi ed IVA. Stabilisce, infatti, il primo comma della disposizione citata che:

1. Fermi restando gli obblighi previsti dall’art. 3 relativamente alla dichiarazione unificata e dall’art. 8 relativamente alla dichiarazione I.V.A. annuale e ferma restando la rilevanza attribuita alle suddette dichiarazioni anche ai fini sanzionatori, il contribuente presenta in via telematica, direttamente o tramite gli incaricati di cui all’art. 3, commi 2-bis e 3, entro il mese di febbraio di ciascun anno, una comunicazione dei dati relativi all’imposta sul valore aggiunto riferita all’anno solare precedente, redatta in conformità al modello approvato con provvedimento amministrativo da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. La comunicazione è presentata anche dai contribuenti che non hanno effettuato operazioni imponibili”.

Sicché la non equipollenza della comunicazione IVA, da effettuarsi entro il mese di febbraio di ciascun anno, con la dichiarazione annuale dell’imposta è espressamente stabilita dalla norma, che fa salvi gli effetti sanzionatori, tra cui evidentemente quelli penali, comminati per l’omessa dichiarazione.

La comunicazione prevista dalla disposizione citata, infatti, è sostitutiva delle dichiarazioni periodiche IVA infrannuali ed assolve allo scopo di fornire all’amministrazione finanziaria i dati IVA sintetici, “che costituiscono una prima base di calcolo per la determinazione delle risorse proprie che lo Stato deve versare al bilancio comunitario”.

La natura e gli effetti del nuovo adempimento, pertanto, non sono quelli propri della Dichiarazione IVA, bensì quelli riferibili alla comunicazione di dati e notizie. Attraverso la comunicazione il contribuente non procede, infatti, alla definitiva autodeterminazione dell’imposta dovuta, che avverrà invece attraverso il tradizionale strumento della dichiarazione annuale” (cfr. circolare n. 6 del 25/01/2002 dell’Agenzia delle Entrate(1)).

3. Nel resto tutte le argomentazioni del ricorrente per contestare l’affermazione di colpevolezza si incentrano sull’assunto, esclusivamente fattuale, dell’esistenza di un credito IVA per l’ammontare indicato in ricorso, che i giudici di merito hanno escluso con motivazione adeguata, facendo riferimento alle risultanze probatorie acquisite, costituite dalle deposizioni dei verbalizzanti che hanno proceduto gli accertamenti fiscali e dalle fatture acquisite agli atti, oltre alla documentazione prodotta nel giudizio di primo grado dalla stessa difesa dell’imputato.

Peraltro, gli accertamenti hanno riguardato anche gli anni precedente e successivo a quello di cui all’affermazione di colpevolezza, nei quali egualmente non vi è stata la presentazione della dichiarazione dei redditi ed IVA, sicché l’imputato non ha fornito alcuna prova nella sede di merito del presunto credito di imposta.

Né sul punto è fondata la doglianza in ordine alla mancata riapertura della istruzione dibattimentale in appello, trattandosi della richiesta, peraltro in via subordinata, di una prova nuova, sicché correttamente i giudici di merito non la hanno disposta ai sensi dell’art. 603, comma 1, c.p.p., avendo tutti gli elementi, tra cui come precisato la documentazione contabile prodotta dall’imputato, per decidere allo stato degli atti.

Correttamente inoltre è stato ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato insito nella omessa dichiarazione finalizzata all’evasione del pagamento dell’imposta.

Sul punto del resto la contestazione del ricorrente è sempre esclusivamente fondata sulla deduzione fattuale della esistenza di un suo credito di imposta nei confronti dell’erario, che è stato escluso dai giudici di merito.

4. Infine, anche il diniego delle attenuanti generiche e del beneficio della sospensione della pena ha formato oggetto di adeguata motivazione mediante i rilievi afferenti alla gravità del fatto ed ai precedenti dell’imputato.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

P.Q.M. – Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(1) In Boll. Trib., 2002, 201.

 

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