9 Giugno, 2015

Circolare 3 giugno 2015, n. 21/E, dell’Agenzia delle entrate

 

INDICE:

premessa.

PRIMA PARTE

1. incremento del 40% della base ace per le società quotate.

2. conversione dell’eccedenza ace in credito di imposta ai fini irap; 2.1 Modalità di fruizione; 2.2 Modalità di determinazione del credito d’imposta; 2.3 Decorrenza della trasformazione e dell’utilizzo; 2.4 Regime di consolidato fiscale; 2.5 Regime di trasparenza fiscale.

SECONDA PARTE

3. ulteriori chiarimenti in merito alla disciplina antielusiva; 3.1 Il requisito della preventività degli interpelli disapplicativi dell’agevolazione ACE; 3.2 Ambito di applicazione della disciplina antielusiva speciale di cui all’articolo 10 del Decreto ACE; 3.3 Procedimento di analisi per la disapplicazione in presenza di incremento dell’ACE derivante solo da utili accantonati a riserva; 3.4 Coesistenza di più operazioni del gruppo α e disapplicazione; 3.5 Perdita del rapporto di controllo prima della fine del periodo d’imposta in cui si determina l’agevolazione ACE; 3.6 Sterilizzazione in ipotesi di acquisto di partecipazione di controllo mediante corrispettivo in natura; 3.7 Incremento dei crediti da finanziamento per i soggetti che svolgono attività diverse da quella bancaria e finanziaria: il deposito irregolare; 3.8 Ambito di applicazione delle disposizioni antielusive relative ai conferimenti provenienti da soggetti non residenti in Italia; 3.9 Conferimenti provenienti da soggetti non residenti a favore di società le cui azioni sono negoziate sul mercato; 3.10 Conferimenti provenienti da soggetti non residenti: gestione delle istanze di disapplicazione; 3.11 Ulteriori fattispecie considerate elusive; 3.12 Rinuncia ai crediti soggetti ITA gaap; 3.13 Riserve da rivalutazione; 3.14 Applicazione della disciplina alle stabili organizzazioni.

 

«premessa

 

L’articolo 1 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214 – rubricato “Aiuto alla crescita economica” (di seguito, “agevolazione ACE”) – ha introdotto un incentivo fiscale alla capitalizzazione delle imprese che si finanziano con capitale di rischio mediante la previsione della deducibilità dal reddito complessivo netto dichiarato di un importo corrispondente al c.d. rendimento nozionale del nuovo capitale proprio immesso nell’impresa a partire dal primo gennaio 2011 (per le imprese con periodo di imposta coincidente con l’anno solare).

L’articolo 1, comma 137, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (di seguito, “legge di stabilità 2014”) ha incrementato la quota di rendimento nozionale del nuovo capitale proprio deducibile dal reddito imponibile portandola dal 3 per cento al 4 per cento per il periodo d’imposta 2014, al 4,5 per cento per il 2015 e al 4,75 per cento a partire dal 2016; demandando, inoltre, la fissazione della medesima percentuale ad appositi decreti ministeriali a fare data dal periodo d’imposta successivo al 2016.

Come chiarito nella circolare n. 12/E del 2014[1], l’agevolazione ACE opera dopo aver determinato il reddito complessivo netto che risulta già ridotto di eventuali perdite pregresse e, laddove l’importo del rendimento nozionale superi il reddito complessivo netto, l’eccedenza può essere riportata nei periodi d’imposta successivi, senza alcun limite quantitativo e temporale.

In tale contesto normativo il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (di seguito “decreto crescita e competitività”), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, ha rafforzato l’ACE prevedendo, da un lato, la maggiorazione del 40% della variazione in aumento del capitale proprio per le società quotate e, dall’altro, la facoltà – sia per i soggetti IRES che per i soggetti IRPEF – di convertire le eccedenze ACE non utilizzate nell’anno in un credito d’imposta fruibile per il versamento dell’IRAP, da utilizzare in quote costanti per cinque periodi d’imposta.

Con la presente circolare si forniscono precisazioni in merito alle modifiche apportate con il predetto decreto crescita e competitività e si chiariscono dubbi interpretativi emersi da fattispecie oggetto di richieste pervenute in questi primi anni di applicazione della disciplina agevolativa.

 

PRIMA PARTE

 

1. incremento del 40% della base ace per le società quotate

 

Il comma 1, lettera a), dell’articolo 19 del decreto crescita e competitività ha modificato la disciplina dell’aiuto alla crescita economica (ACE), inserendo il comma 2-bis all’interno dell’articolo 1 del decreto-legge n. 201 del 2011 [di seguito, “Decreto Monti”]. In particolare, “per le società le cui azioni sono quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione di Stati membri della UE o aderenti allo Spazio economico europeo, per il periodo di imposta di ammissione ai predetti mercati e per i due successivi, la variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura di ciascun esercizio precedente a quelli in corso nei suddetti periodi d’imposta è incrementata del 40 per cento”.

Con riferimento a tale regime agevolativo, il legislatore ha previsto esplicitamente l’applicazione della cosiddetta clausola di standstill, di cui all’articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, subordinando l’efficacia della disposizione all’acquisizione dell’autorizzazione della Commissione europea, richiesta dal Ministero dello sviluppo economico. Essa si applicherà, quindi, agli incrementi effettuati successivamente alla data di entrata in vigore della disposizione in esame, compatibilmente con gli esiti dell’iter della predetta autorizzazione.

La nuova agevolazione consiste in una maggiorazione della variazione in aumento del capitale proprio per le società ammesse a quotazione le cui azioni sono negoziate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione di Stati membri della UE o aderenti allo Spazio economico europeo.

In particolare, il predetto ambito soggettivo è ulteriormente specificato nel comma 2 del citato articolo 19 del decreto crescita e competitività con il quale si subordina l’accesso all’agevolazione maggiorata ai soggetti per i quali l’ammissione alla quotazione e la negoziazione dei propri strumenti finanziari avvenga in data successiva a quella di entrata in vigore del predetto decreto, vale a dire il 25 giugno 2014 (nel presupposto che tale decorrenza risulti compatibile con i risultati dell’iter dell’autorizzazione della Commissione europea prima citata).

In sintesi, quindi, il primo periodo d’imposta in cui può essere applicata l’agevolazione maggiorata, in presenza dei requisiti, è costituito da quello in corso al 31 dicembre 2014 (nel presupposto che tale decorrenza risulti compatibile con i risultati dell’iter dell’autorizzazione della Commissione europea prima citata). La disciplina agevolativa continua ad applicarsi per i due periodi d’imposta successivi e, come espressamente indicato dalla norma, a partire dal quarto periodo d’imposta “la variazione in aumento del capitale proprio è determinata senza tenere conto del suddetto incremento”.

Per determinare l’ammontare della maggiorazione la norma, come già riportato, fa riferimento alla “variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura di ciascun esercizio precedente a quelli in corso”. Si tratta di una formulazione che riprende quella utilizzata nell’articolo 5 del decreto ministeriale 14 marzo 2012 (di seguito, “Decreto ACE”), secondo cui la “variazione in aumento del capitale proprio” è costituita dalla somma algebrica degli elementi positivi (conferimenti in denaro e accantonamenti di utili a riserve disponibili) e negativi (distribuzioni di patrimonio a qualsiasi titolo) dettagliati nei commi 2 e 3 del medesimo articolo 5.

Il rinvio all’articolo 5 comporta, inoltre, l’applicazione del comma 4 per la parte in cui sono individuati i momenti in cui le variazioni positive di capitale proprio assumono rilievo ai fini della disciplina agevolativa. In particolare, considerata la decorrenza dell’agevolazione in commento, per quanto concerne i conferimenti si ritiene che rientrino nel calcolo della maggiorazione solo quelli i cui versamenti sono avvenuti in data successiva al 25 giugno 2014 (nel presupposto che tale decorrenza risulti compatibile con i risultati dell’iter dell’autorizzazione della Commissione europea prima citata). Va da se che tali conferimenti dovranno essere ragguagliati tenendo conto del periodo che intercorre tra la data del versamento in denaro e la chiusura dell’esercizio. Coerentemente rientrano nel medesimo calcolo solo gli accantonamenti di utili a riserve disponibili deliberati a partire dalla medesima data.

Dopo aver determinato la variazione di capitale proprio, tenendo conto della maggiorazione come di seguito si descriverà nel dettaglio, la stessa dovrà essere, eventualmente, ridotta in applicazione:

• dell’articolo 10 del decreto ACE, qualora si siano realizzate operazioni attratte nell’ambito di applicazione della disciplina antielusiva speciale;

• dell’articolo 11 del decreto ACE, in ipotesi di incapienza del patrimonio netto di periodo.

Tale ultima conclusione trova conferma nella relazione illustrativa, nel cui testo si ribadisce che la verifica del limite del patrimonio netto deve essere effettuata in raffronto alla variazione in aumento del capitale proprio, inclusa la maggiorazione calcolata per i periodi d’imposta agevolabili.

Si rammenta che le espansioni della base ACE derivanti dalla riduzione dell’ammontare dei crediti da finanziamento di cui alla lettera d) del comma 3 del citato articolo 10 non concorrono alla determinazione della maggiorazione in parola, in quanto non rientrano fra le variazioni di cui all’articolo 5 del decreto ACE.

Ciò premesso si evidenzia come, il riferimento all’articolo 5 non sia finalizzato ad agevolare tutti gli incrementi di capitale proprio realizzati dal 1° gennaio 2011, ma risulti circoscritto agli incrementi di ciascun esercizio, in cui la maggiorazione trova applicazione, rispetto a quello precedente.

Ne consegue che risulta agevolato l’incremento di capitale operato nel primo periodo d’imposta di ammissione alla negoziazione rispetto al periodo precedente, mentre, nei periodi successivi qualora il predetto aumento di capitale proprio risulti invariato non si fruirà di alcuna maggiorazione. 

Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui una società abbia realizzato un incremento di capitale proprio – calcolato ai sensi dell’articolo 5 del decreto ACE – nel periodo di imposta 2014 pari a 100 e che nel periodo d’imposta successivo, a seguito del processo di quotazione in borsa, abbia incremento il capitale proprio, rispettivamente, di 50 nel 2015 e 30 nel 2016. Nel terzo anno rispetto alla quotazione (il 2017), invece, la stessa non ha registrato alcuna ulteriore variazione in aumento di capitale proprio. Si presuppone, inoltre, che la predetta società non abbia posto in essere, nel periodo osservato, alcuna delle operazioni potenzialmente elusive di cui all’articolo 10 del Decreto ACE e che il patrimonio netto sia sempre capiente rispetto alla base Ace annuale.

Nella tabella seguente, si riportano le modalità con cui determinare l’incremento del capitale proprio tenendo conto della maggiorazione prevista dalle disposizioni in commento.

 

Tabella 1 – Calcolo ACE maggiorata

 

 

2014

 

2015

 

2016

 

2017

 

Variazione capitale proprio art. 5 (senza maggiorazione)

 

100

 

150

 

180

 

180

 

Disciplina antielusiva – art. 10

 

 

 

 

 

Limite patrimonio netto – art. 11

 

120

 

170

 

200

 

200

 

Base ACE ordinaria

 

100

 

150

 

180

 

180

 

 

 

Incremento capitale proprio rispetto all’anno precedente

 

 

50

 

30

 

 

Maggiorazione del 40 per cento dell’incremento indicato alla riga precedente

 

 

20

 

12

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2014

 

2015

 

2016

 

2017

 

Variazione capitale proprio art. 5 maggiorata

 

100

 

170

 

192

 

180

 

Disciplina antielusiva – art. 10

 

 

 

 

 

Limite patrimonio netto – art. 11

 

120

 

170

 

200

 

200

 

Base ACE maggiorata

(ordinaria + maggiorazione)

100

 

170

 

192

 

180

 

 

2. conversione dell’eccedenza ace in credito di imposta ai fini irap

 

L’articolo 1 del Decreto Monti, al comma 4, stabilisce le modalità di riporto dell’eccedenza di agevolazione ACE rispetto al reddito complessivo netto di periodo. Ai sensi di tale disposizione, la quota di rendimento nozionale che supera il reddito complessivo netto dichiarato deve essere computata in aumento dell’importo deducibile dal reddito dei periodi d’imposta successivi.

La lettera b) del comma 1 dell’articolo 19 del decreto crescita e competitività ha modificato il comma 4 citato prevedendo la possibilità di “fruire di un credito d’imposta applicando alla suddetta eccedenza le aliquote di cui agli articoli 11 e 77 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.

La norma ha introdotto, pertanto, la facoltà di fruire – a fronte della rinuncia al riporto in avanti delle eccedenze ACE – di un credito di imposta commisurato all’eccedenza del rendimento nozionale di periodo non utilizzato, applicando le aliquote previste per i soggetti IRPEF ed IRES.

 

2.1 Modalità di fruizione. Coerentemente con i chiarimenti forniti con la circolare n. 12/E del 2014 in merito al meccanismo di funzionamento che impone l’uso obbligatorio dell’ACE fino a concorrenza del reddito complessivo netto del periodo d’imposta cui si riferisce, l’utilizzo, anche parziale, delle eccedenze di rendimento nozionale è demandato alla scelta del contribuente il quale potrà alternativamente:

• riportarle nei periodi di imposta successivi ai fini IRES;

• convertirle, in tutto o in parte, in credito di imposta IRAP con le modalità nel seguito descritte.

L’articolo 1, comma 4 del Decreto Monti dispone, infatti, che “la parte del rendimento nozionale che supera il reddito complessivo netto dichiarato è computata in aumento dell’importo deducibile dal reddito dei periodi d’imposta successivi ovvero si può fruire di un credito d’imposta … utilizzato in diminuzione dell’imposta regionale sulle attività produttive …”.

Per esigenze di certezza e semplificazione operativa, si ritiene che la conversione delle eccedenze in credito d’imposta IRAP non possa essere revocata, con conseguente impossibilità di ripristinare ai fini IRES quanto già trasformato.

In sintesi un contribuente che presenti un rendimento nozionale superiore al reddito complessivo netto determinato nel periodo di imposta potrà optare – anche in misura parziale – per il riporto dell’eccedenza nei periodi di imposta successivi – senza alcuna limitazione temporale – ai fini IRES; oppure, per la trasformazione dell’eccedenza stessa in un credito d’imposta IRAP, ma non potrà più riconvertire in eccedenza IRES la parte trasformata in credito d’imposta IRAP e non utilizzata.

Con riferimento alle modalità di utilizzo del credito d’imposta si segnala, inoltre, che lo stesso non è utilizzabile tramite compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, in quanto l’ultimo periodo della lettera b) circoscrive l’utilizzo del credito in esame esclusivamente a riduzione dell’IRAP dovuta.

Pertanto, non essendo il credito in esame incluso nella disciplina di cui al citato articolo 17 del D.lgs. n. 241 del 1997, si ritiene che non operino:

• il limite generale di compensabilità previsto dall’articolo 34 della legge n. 388 del 2000, pari a 700.000 euro annui;

• il limite previsto dall’articolo 31 del decreto-legge n. 78 del 2010, che vieta la compensazione ai sensi dell’articolo 17 dei crediti relativi alle imposte erariali, in presenza di debiti iscritti a ruolo, per imposte erariali ed accessori, di ammontare superiore a 1.500 euro.

Sulla base della medesima circostanza, si ritiene inoltre che l’utilizzo del credito in dichiarazione non sia subordinato all’apposizione del visto di conformità previsto dall’articolo 1, comma 574, della legge 27 dicembre 2013, n. 147.

Infine, ferma restando la ripartizione in cinque quote annuali, si ritiene che il credito non sia soggetto al limite di euro 250.000 previsto per i crediti agevolativi indicati nel quadro RU di cui all’articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244. Il credito di imposta in esame, infatti, costituendo una differente modalità di utilizzazione della deduzione ACE (ai fini IRAP), non viene indicato nel quadro RU della dichiarazione dei redditi ma trova esposizione in un prospetto del quadro RS.

 

2.2 Modalità di determinazione del credito d’imposta. Con riguardo alla determinazione del credito d’imposta IRAP, la disposizione in commento prevede l’utilizzo delle aliquote di cui agli articoli 11 e 77 del TUIR. Pertanto, il credito d’imposta si determina secondo le seguenti modalità:

a) per i soggetti di cui all’articolo 2 del decreto ACE applicando l’aliquota ordinaria IRES alla quota di eccedenza di rendimento nozionale che si è scelto di trasformare in credito d’imposta;

b) per i soggetti di cui all’articolo 8 del decreto ACE, applicando le aliquote corrispondenti agli scaglioni di reddito previste dall’articolo 11 del TUIR, alla quota di eccedenza di rendimento nozionale che si è scelto di trasformare in credito d’imposta.

Con riferimento al punto sub b), si ricorda che, come evidenziato nella relazione illustrativa, è necessario distribuire le eccedenze ACE secondo gli scaglioni di reddito di cui al citato articolo 11, calcolando il credito con le stesse modalità con le quali si determina l’IRPEF.

Al riguardo si evidenzia che il calcolo del credito d’imposta deve avvenire indipendentemente dalla circostanza per cui un soggetto rientri o meno nell’ambito di applicazione delle addizionali attualmente vigenti (cfr. relazione tecnica). Per maggiore chiarezza espositiva si riportano i seguenti esempi di calcolo.

 

 

 

Tabella 2 – Calcolo credito d’imposta soggetto IRES con trasformazione del 50 per cento delle eccedenze IRES

 

 

IMPORTI

IRES/IRPEF

Reddito complessivo netto 

 

100.000

 

Deduzione ACE

 

120.000

 

Eccedenza ACE IRES trasformabile

 

20.000

 

   
Eccedenza convertita in credito d’imposta IRAP  

 

10.000

 

Credito d’imposta IRAP (27,5%)

 

2.750

 

Eccedenza riportabile IRES

 

10.000

 

 

 

Tabella 3 – Calcolo credito d’imposta soggetto IRPEF con trasformazione del 75 per cento delle eccedenze IRES

 

 

IMPORTI

IRES/IRPEF

Reddito complessivo netto 

 

80.000

 

Deduzione ACE

 

120.000

 

Eccedenza ACE IRES trasformabile

 

40.000

 

   
Eccedenza convertita in credito d’imposta IRAP  

 

30.000

 

Credito d’imposta IRAP (aliquote articolo 11)

 

– 23 per cento (fino a 15.000 euro)

– 27 per cento (oltre 15.000 e fino 28.000 euro)

– 38 per cento (oltre 28.000 e fino 55.000 euro)

– 41 per cento (oltre 55.000 e fino 75.000 euro)

– 43 per cento (oltre 75.000)

7.720

 

3.450

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3.510

 

760

 

0

0

Eccedenza riportabile IRES

 

10.000

 

 

L’ultimo periodo della lettera b) del citato articolo 19 dispone che il credito d’imposta deve essere utilizzato in diminuzione dell’IRAP “e va ripartito in cinque quote annuali di pari importo”.

In altri termini un quinto della quota di eccedenza ACE trasformata in credito secondo le modalità sopra descritte, costituisce, per ciascuno dei cinque periodi d’imposta di utilizzo il limite massimo di fruibilità del credito.

Qualora la quota annuale teoricamente utilizzabile sia superiore all’imposta dovuta nel periodo si ritiene che la parte non utilizzata possa essere riportata in avanti nelle dichiarazioni IRAP dei periodi di imposta successivi senza alcun limite temporale. Al riguardo, si rammenta che, come già evidenziato, la quota trasformata in credito d’imposta e non utilizzata non può essere riallocata sotto forma di eccedenza IRES.

Per meglio chiarire si riporta il seguente esempio:

 

 

Tabella 4 – IMPORTI IRES

 

 

2014

 

2015

 

2016

 

2017

 

2018

 

 

Reddito complessivo netto

100.000

0

100.000

0

100.000

0

100.000

0

100.000

0

 

Deduzione ACE

120.000

0

120.000

0

120.000

0

120.000

0

120.000

0

Eccedenza ACE IRES trasformabile

 

20.000

 

 

 

 

 

Eccedenza riportabile IRES

 

10.000

 

 

 

 

 

 

 

Eccedenza trasformata

 

10.000

 

Credito d’imposta IRAP (27,5%)

 

2.750

 

 

 

IMPORTI IRAP

 

 

2014

 

2015

 

2016

 

2017

 

2018

 

Valore della produzione netta

 

10.000

 

11.000

 

15.000

 

18.000

 

20.000

 

IRAP di periodo (Al. 3,9%)

 

390

 

429

 

585

 

702

 

780

 

Credito d’imposta IRAP (quinto dell’anno)

 

550

 

 

 

 

 

Credito d’imposta IRAP quinti riportati 2014

 

 

550

 

550

 

550

 

550

 

 

 

 

2014

 

2015

 

2016

 

2017

 

2018

 

Debito IRAP di periodo

 

390

 

429

 

585

 

702

 

780

 

Credito d’imposta IRAP totale di periodo

 

550

 

550

 

550

 

550

 

550

 

Imposta a debito

 

 

 

35

 

152

 

230

 

Eccedenza credito d’imposta IRAP non utilizzato

 

160

 

121

 

0

 

0

 

0

 

Eccedenza credito d’imposta IRAP pregresse

 

 

160

 

281

 

281

 

281

 

Eccedenza credito d’imposta IRAP riportabili

 

160

 

281

 

281

 

281

 

281

 

 

 

 

Per i soggetti con periodo di imposta non coincidente con l’anno solare, il riferimento alla “ripartizione in cinque quote annuali di pari importo”, deve intendersi in concreto riferito ai cinque periodi di imposta di utilizzo del credito.

Si rammenta, inoltre, che nei periodi d’imposta successivi un contribuente che presenti un rendimento nozionale superiore al reddito complessivo netto determinato nel periodo di imposta potrà optare – anche in misura parziale – per il riporto dell’eccedenza nei periodi di imposta successivi – senza alcuna limitazione temporale – ai fini IRES; oppure, per la trasformazione dell’eccedenza stessa in un credito d’imposta IRAP. 

Per garantire la netta separazione fra gli effetti sull’IRES e quelli sull’IRAP, si ritiene che le eccedenze pregresse non potranno essere trasformate in credito d’imposta IRAP al pari della quota di periodo che si è deciso di destinare a riporto ai fini IRES. 

Per quanto appena affermato, si ritiene che le quote di credito non utilizzate non possano essere oggetto di istanza di rimborso con l’ulteriore conseguenza che il credito di cui si tratta non possa essere ceduto, ai sensi dell’articolo 43-bis, comma 3, del D.P.R. n. 602 del 1973. Sembra altresì da escludere che il credito, avente natura IRAP, possa essere oggetto di cessione infragruppo ai sensi dell’art. 43-ter dello stesso decreto.

Infine, si rammenta che la natura IRAP del credito e le modalità di funzionamento del regime del consolidato fiscale portano ad escludere la possibilità che lo stesso possa essere ceduto all’interno del gruppo (cfr. art. 7 del D.M. 9 giugno 2004).

 

2.3 Decorrenza della trasformazione e dell’utilizzo. Per quanto riguarda la decorrenza della disposizione di cui al comma 1, lettera b), il comma 2 dell’articolo 19 prevede che la stessa abbia “effetto a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014”.

Al riguardo, quindi, si ritiene che la nuova disposizione si applica esclusivamente alle eccedenze maturate nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014. Resta ovviamente fermo che le eccedenze pregresse potranno essere riportate ai fini IRES.

Quindi la conversione della predetta eccedenza in credito d’imposta IRAP ha effetto a partire dal 2014 (per i soggetti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare) con conseguente indicazione del credito in commento nella dichiarazione dei redditi Unico 2015. Nella dichiarazione relativa al medesimo periodo d’imposta le eccedenze ACE, ai fini IRES, dovranno essere indicate al netto della quota trasformata in credito d’imposta IRAP.

La prima quota annuale di credito d’imposta IRAP può essere fruita (nella misura di un quinto dell’importo maturato) relativamente ai versamenti dovuti a partire dal 1° gennaio 2015. Ad esempio, le eccedenze ACE del 2014 trasformate in credito d’imposta IRAP dovranno essere riportate in Unico 2015 e la quota annuale (1/5) potrà essere utilizzata a partire dal 2015 per compensare i versamenti IRAP a saldo ed in acconto.

 

2.4 Regime di consolidato fiscale. Con riferimento alle società e agli enti che partecipano al consolidato nazionale si ricorda che l’articolo 6 del decreto ACE prevede che l’eventuale eccedenza di agevolazione ACE rispetto all’importo determinato dalla singola società sia trasferita alla fiscal unit, nei limiti di quanto trova capienza a livello di gruppo. 

Come precisato nella circolare n. 12/E del 2014, inoltre, i singoli partecipanti al consolidato determinano il proprio rendimento nozionale di periodo e lo utilizzano per ridurre il proprio reddito complessivo netto. Nell’ipotesi in cui si determini un’eccedenza, la stessa dovrà essere prioritariamente, e nei limiti dell’imposta del gruppo, attribuita alla fiscal unit

In seguito, in applicazione delle nuove disposizioni, la quota di eccedenza ACE che residua dopo aver operato la descritta attribuzione alla fiscal unit, in linea con quanto previsto per il soggetto stand alone, potrà essere, anche parzialmente:

• riportata nei periodi di imposta successivi ai fini della determinazione del reddito imponibile del singolo soggetto;

• trasformata in credito di imposta IRAP secondo le modalità sopra descritte.

Per quanto concerne le opzioni per la tassazione su base consolidata esercitate a partire dal periodo d’imposta 2015, si ritiene che le eccedenze di rendimento nozionale generatesi nel periodo d’imposta chiuso al 31 dicembre 2014 presso le singole società partecipanti – non attribuibili alla fiscal unit in quanto maturate nei periodi d’imposta antecedenti all’esercizio dell’opzione – possano essere oggetto di trasformazione in credito d’imposta utilizzabile esclusivamente a riduzione dell’IRAP delle singole società che le hanno generate.

 

2.5 Regime di trasparenza fiscale. Le modalità di utilizzo delle eccedenze ACE per i soggetti che esercitano l’opzione per la trasparenza fiscale di cui agli articoli 115 e 116 del TUIR, indicate nell’articolo 7 del decreto ACE, prevedono che le eccedenze ACE determinate in capo alla società partecipata siano attribuite a ciascun socio in misura proporzionale alla sua quota di partecipazione agli utili. 

Previo utilizzo a riduzione degli ulteriori redditi d’impresa conseguiti dal singolo socio, quest’ultimo potrà, anche parzialmente, scegliere se riportare nei periodi di imposta successivi l’eccedenza non utilizzata, oppure, convertila in credito di imposta da utilizzare per ridurre la propria IRAP, secondo le modalità sopra descritte.

Le modalità di conversione delle eccedenze ACE appena descritte, in linea con quanto disposto nell’articolo 8 del Decreto ACE, risultano applicabili anche ai soggetti che producono redditi in forma associata di cui all’articolo 5 del TUIR.

Per quanto concerne le opzioni per la trasparenza esercitate a partire dal periodo d’imposta 2015, si ritiene che le eccedenze di rendimento nozionale generatesi nel periodo d’imposta chiuso al 31 dicembre 2014 presso la società trasparente – non attribuibili ai soci in quanto maturate nei periodi d’imposta antecedenti all’esercizio dell’opzione – possano essere oggetto di trasformazione in credito d’imposta utilizzabile esclusivamente a riduzione dell’IRAP della società partecipata. 

 

SECONDA PARTE

 

3. ulteriori chiarimenti in merito alla disciplina antielusiva

 

Com’è noto, l’articolo 10 del Decreto ACE contiene alcune disposizioni di carattere antielusivo finalizzate ad evitare, nell’ambito dei gruppi societari, effetti moltiplicativi del beneficio.

Le specifiche disposizioni antielusive contenute nel predetto articolo 10 individuano alcune operazioni, effettuate tra società appartenenti al medesimo gruppo, al verificarsi delle quali opera in modo automatico un meccanismo di neutralizzazione della base di calcolo dell’ACE.

Com’è già stato chiarito della circolare n. 12/E del 2014, la disciplina antielusiva è finalizzata a evitare che, a fronte di un’unica immissione di capitale, si creino variazioni in aumento del capitale proprio in più soggetti appartenenti allo stesso gruppo. 

Ferma restando l’applicazione del precetto antielusivo generale di cui all’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, è però prevista la possibilità di presentare istanze di disapplicazione, adeguatamente motivate e corredate da opportuna documentazione, per dimostrare che l’accrescimento del patrimonio netto rilevante ai fini dell’ACE non abbia determinato la duplicazione del beneficio all’interno del gruppo. 

La facoltà di presentare un’istanza di interpello ai sensi del comma 8, dell’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, costituisce una delle ipotesi in cui è necessario un presidio al monitoraggio preventivo da parte dell’Agenzia. L’istanza di disapplicazione risulta pertanto obbligatoria (resta fermo quanto indicato nella circolare n. 32/E del 2010[2] nell’ipotesi di attività di controllo nei confronti dei soggetti che, pur in presenza di un obbligo normativo in tal senso, non hanno presentato istanza di interpello).

Di seguito si forniscono istruzioni agli uffici per la gestione delle citate istanze, tenuto conto dei casi e delle criticità che, nei primi periodi d’imposta di applicazione dell’agevolazione ACE sono state esaminate dagli uffici o sottoposte alla scrivente dalle associazioni di categoria.

 

3.1 Il requisito della preventività degli interpelli disapplicativi dell’agevolazione ACE. Con riferimento al requisito della “preventività” degli interpelli disapplicativi, la circolare del 14 giugno 2010, n. 32/E ha precisato che per tutti i comportamenti che trovano attuazione nella dichiarazione dei redditi il contribuente è tenuto alla trasmissione dell’istanza prima della scadenza del termine di presentazione della dichiarazione medesima.

L’istanza di disapplicazione della disciplina di cui all’articolo 10 del Decreto ACE deve, quindi, essere inviata prima della presentazione della dichiarazione dei redditi che accoglie gli effetti del comportamento oggetto della richiesta di disapplicazione. 

Al riguardo, si fa presente che, considerato il termine di presentazione del modello Unico 2015 (30 settembre 2015) e il tempo necessario per l’espletamento dell’istruttoria, pari a 90 giorni, le istanze disapplicative relative al periodo d’imposta 2014 (per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare) dovranno essere presentate entro il 2 luglio 2015.

Appare opportuno evidenziare, inoltre, che in considerazione delle modalità di calcolo dell’agevolazione, il requisito di preventività non deve essere valutato con riferimento alle singole operazioni potenzialmente elusive, elencate nell’articolo 10 del Decreto ACE, ma con riferimento al periodo d’imposta oggetto di disapplicazione.

Ad esempio, per le istanze presentate nel 2015, le operazioni da considerare nell’analisi sono quelle poste in essere a partire dall’1° gennaio 2011 fino al 31 dicembre 2014 (per i soggetti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare).

In sintesi, un’istanza trasmessa nel 2015 (per la disapplicazione delle sterilizzazioni subite nel 2014) è preventiva se è presentata 90 giorni prima della scadenza della dichiarazione Unico 2015 (entro il 2 luglio 2015), ciò anche se le operazioni di cui all’articolo 10 siano state effettuate in periodi antecedenti al 2014.

Si ritiene opportuno precisare che un’istanza di disapplicazione priva di indicazioni in relazione all’anno cui si riferisce, si deve considerare necessariamente rivolta a chiedere la disapplicazione della disciplina antielusiva relativamente al periodo di imposta precedente a quello in cui la stessa è stata trasmessa. 

A titolo di esempio, qualora nel 2015 sia pervenuta un’istanza priva di indicazioni in relazione al periodo d’imposta in cui disapplicare la disciplina antielusiva (oppure che si riferisca a periodi d’imposta non più disapplicabili), la stessa dovrà considerarsi riferita al periodo d’imposta 2014.

 

3.2 Ambito di applicazione della disciplina antielusiva speciale di cui all’articolo 10 del Decreto ACE. Il primo comma dell’articolo 10 del decreto ACE individua l’ambito di applicazione della disciplina antielusiva facendo riferimento “Ai soggetti di cui agli articoli 2 e 8, che nel corso del periodo di imposta potevano considerarsi controllanti in base all’articolo 2359 del codice civile, di soggetti di cui ai medesimi articoli 2 e 8 o che sono controllati, anche insieme ad altri soggetti, dallo stesso controllante …”.

Pertanto, in linea di principio, l’applicazione delle disposizioni antielusive di cui al citato articolo 10 deve avvenire qualora le operazioni di cui ai successivi commi 2 e 3, alla lettere a), b) ed e) siano poste in essere tra soggetti:

a) di cui agli articoli 2 e 8 del Decreto ACE: si tratta, in sintesi, delle società, degli enti commerciali residenti, delle stabili organizzazioni di enti commerciali non residenti e delle persone fisiche che producono reddito d’impresa inclusi nell’ambito soggettivo di applicazione dell’agevolazione ACE (cfr. circolare n. 12/E del 2014);

b) controllanti in base all’articolo 2359 del codice civile o che sono controllati, anche insieme ad altri soggetti, dallo stesso controllante: ossia da soggetti appartenenti al medesimo gruppo.

Con riguardo all’ambito oggettivo di applicazione della disciplina antielusiva speciale di cui all’articolo 10 del Decreto ACE si esamineranno nel seguito le singole operazioni elencate nell’articolo 10 stesso raggruppandole in due insiemi distinti: 

1) il primo insieme (di seguito, “insieme α”) è costituito dai conferimenti attuati a favore di altri soggetti del gruppo (comma 2); dall’acquisizione o incremento di partecipazioni in società controllate già appartenenti al gruppo [comma 3, lettera a)]; dall’acquisizione di aziende o di rami di aziende già appartenenti al gruppo [comma 3, lettera b)] e, inoltre, dalle ipotesi di incremento dei crediti di finanziamento nei confronti dei soggetti del gruppo, rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010 [comma 3, lettera e)]. Queste operazioni, come già evidenziato, sono poste in essere da soggetti che rientrano nell’ambito soggettivo di applicazione dell’agevolazione (c.d. soggetti “aceabili”) e che appartengono al medesimo gruppo. Esse comportano una penalizzazione sul soggetto attivo che le pone in essere. Nei paragrafi successivi, dal 3.3 al 3.7, si riportano chiarimenti relativi alle operazioni del predetto insieme;

2) il secondo insieme (di seguito, “insieme β”), è costituito dalle operazioni potenzialmente elusive elencate nel comma 3, lettere c) e d) dell’articolo 10 del Decreto ACE. Si tratta in particolare dei conferimenti provenienti da soggetti esteri che non risultano, ex lege, inclusi dell’ambito soggettivo di applicazione della agevolazione ACE (c.d. “non aceabili”). Esse comportano una penalizzazione in capo al soggetto passivo ossia il conferitario. In proposito, si rinvia al paragrafo 3.8.

 

3.3 Procedimento di analisi per la disapplicazione in presenza di incremento dell’ACE derivante solo da utili accantonati a riserva. Illustrato nel paragrafo 3.2 l’ambito di applicazione della disciplina antielusiva di cui all’articolo 10 del Decreto ACE, è necessario definire ulteriormente il procedimento che può portare a consentire la disapplicazione della disposizioni antielusive in presenza di incrementi di base ACE determinati esclusivamente da utili accantonati a riserva disponibile.

A miglior chiarimento di quanto riportato nella citata circolare n. 12/E del 2014, si precisa che, nel caso di base ACE derivante solo da utili accantonati a riserva in sede di esame delle istanze di disapplicazione aventi ad oggetti le operazioni di cui all’insieme α), per escludere la presenza di potenziali fenomeni di duplicazione dell’agevolazione ACE, è necessario operare i seguenti controlli:

A. verificare la composizione della base ACE del soggetto che presenta l’istanza di disapplicazione, al fine di escludere la presenza di conferimenti in denaro provenienti da qualsiasi soggetto: rientrante o meno nell’ambito soggettivo di applicazione dell’agevolazione ACE anche non appartenente al gruppo;

B. verificare la presenza di finanziamenti provenienti da altri soggetti appartenenti al gruppo, al fine di escludere che il capitale proprio dei predetti soggetti finanziatori abbia subito un incremento mediante conferimento in denaro proveniente da qualsiasi soggetto: rientrante o meno nell’ambito soggettivo di applicazione dell’agevolazione ACE anche non appartenente al gruppo.

Ciò detto, nel caso in cui non ci siano conferimenti in denaro [lettera A)] né finanziamenti [lettera B)], gli uffici potranno consentire la disapplicazione delle disposizioni antielusive di cui si tratta. Diversamente, al verificarsi anche soltanto di uno dei predetti fenomeni sarà necessario operare le ulteriori verifiche sull’utilizzo delle somme oggetto di finanziamenti agli altri soggetti del gruppo, indicati nel paragrafo 3 della circolare n. 12/E del 2014.

Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di un gruppo costituito da una società madre Italiana che controlla al 100 per cento una società residente sempre in Italia. Qualora la predetta società madre fruisca dell’agevolazione a causa dell’incremento di capitale proprio determinato a seguito del processo di quotazione in borsa delle proprie azioni, e successivamente operi a favore della controllata un conferimento, essa dovrà applicare la disciplina antielusiva mediante la sterilizzazione della base ACE, per un ammontare pari all’apporto in denaro effettuato a favore della controllata.

L’esame della fattispecie appena descritta in sede di valutazione delle istanze di disapplicazione non potrà comportare la disapplicazione della disciplina antielusiva speciale in quanto, già in capo alla società madre conferente si è in presenza di conferimenti in denaro “provenienti da qualsiasi soggetto”, ancorché non appartenenti al gruppo (mercato).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3.4 Coesistenza di più operazioni del gruppo a e disapplicazione. Sempre in tema di esame delle istanze di disapplicazione aventi ad oggetto le operazioni dell’insieme α, si ritiene opportuno fornire chiarimenti in relazione alle ipotesi in cui le predette operazioni coesistono in capo ad un unico soggetto.

Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui una società capogruppo abbia ricevuto un conferimento in denaro per 1000 ed operi un conferimento in denaro ad una propria controllata Y per 100 ed un finanziamento per l’importo di 500. La società Y opera a propria volta un ulteriore conferimento di 100 alla propria controllata Z. 

In tale ipotesi l’applicazione della disciplina antielusiva di cui ai commi 2 e 3, lettera e), dell’articolo 10 comporta:

• una duplice sterilizzazione della base ACE per complessivi 600 (100+500) in capo alla società controllante X;

• una sterilizzazione della base ACE per 100 in capo alla controllata Y.

Con riferimento a tale ipotesi, si ritiene che in sede di valutazione dell’istanza di disapplicazione – opportunamente documentata – sarà possibile disapplicare la sterilizzazione operata ai sensi del comma 3, lettera e), dell’articolo 10 citato (per 500). Dovrà, infatti, attribuirsi l’effetto di duplicazione prioritariamente ai conferimenti operati dalla controllante e dalla controllata, le residue somme derivanti dal conferimento, ancorché utilizzate per finanziare altri soggetti del gruppo, non risultano utilizzate (nel gruppo stesso) per operare altri conferimenti in denaro moltiplicando il beneficio ACE.

 

 

 

 

3.5 Perdita del rapporto di controllo prima della fine del periodo d’imposta in cui si determina l’agevolazione ACE. L’applicazione delle sterilizzazioni in presenza delle operazioni dell’insieme α), è condizionata, tra l’altro, dall’esistenza fra i soggetti che pongono in essere le operazioni del predetto gruppo di un rapporto di controllo.

Il comma 2 dell’articolo 10 del decreto ACE prevede espressamente che la riduzione della base ACE “prescinde dalla persistenza del rapporto di controllo alla data di chiusura dell’esercizio”. 

Inoltre, la Relazione illustrativa al Decreto ACE chiarisce che “al pari di quanto già osservato per i conferimenti in denaro, anche la neutralizzazione della base di calcolo dell’ACE operata sugli acquisti di partecipazioni e aziende ha l’effetto di risultare permanente”.

Ne consegue che, con riferimento ai conferimenti attuati a favore di altri soggetti del gruppo (comma 2), all’acquisizione o incremento di partecipazioni in società controllate già appartenenti al gruppo [comma 3, lettera a)] ed all’acquisizione di aziende o di rami di aziende già appartenenti al gruppo [comma 3, lettera b)] nonostante al termine dell’esercizio il rapporto di controllo non sia più esistente le sterilizzazioni continuano ad operare definitivamente. 

Diversamente, con riferimento alla fattispecie prevista nella lettera e) del comma 3 dell’articolo 10, il decremento della base ACE agevolabile relativo all’incremento dei crediti da finanziamento, non ha natura permanente ma può essere riassorbito per effetto della loro restituzione. 

Tenuto conto dell’ambito di applicazione dell’agevolazione ACE, e considerato il diverso tenore letterale della disposizione di cui alla lettera e) del comma 3 dell’articolo 10 si ritiene che, limitatamente a questa ipotesi, si debba considerare solo l’incremento dei crediti da finanziamento erogati nei confronti di soggetti che siano riconducibili al medesimo gruppo alla fine dell’esercizio in cui si deve verificare l’applicazione della disciplina antielusiva.

Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui una società X ha erogato, nel corso dell’esercizio 2011, un finanziamento alla società Y (ancora in essere al 31 dicembre 2013) che era originariamente “controllata”, mentre, nel corso dell’esercizio 2011, è divenuta una società non più inclusa nel gruppo.

Per quanto appena descritto, il predetto finanziamento erogato alla società Y non rileva, a decorrere dal periodo di imposta 2011, come incremento dei crediti di finanziamento, stante l’avvenuta perdita del requisito del controllo nel corso dell’esercizio 2011.

 

3.6 Sterilizzazione in ipotesi di acquisto di partecipazione di controllo mediante corrispettivo in natura. Sempre con riferimento alle operazioni dell’insieme α), si ricorda che l’art. 10, comma 3, lettera a), del decreto ACE prevede la sterilizzazione della variazione in aumento del capitale proprio rilevante ai fini ACE “… fino a concorrenza: a) dei corrispettivi per l’acquisizione o l’incremento di partecipazioni in società controllate già appartenenti ai soggetti di cui al comma 1”. 

Sulla base del tenore letterale delle disposizioni appena riportate, si ritiene di poter escludere dal relativo ambito di applicazione i casi in cui l’acquisizione infragruppo di partecipazioni di controllo (o l’incremento di partecipazioni già detenute nel gruppo) non si realizzi mediante un contratto di compravendita che preveda la corresponsione di un corrispettivo, ossia di un prezzo in denaro.

Tale impostazione risulta coerente con la ratio antielusiva delle disposizioni che, come precisato nella relazione illustrativa al decreto, è quella di “evitare che, a fronte di un’unica immissione di capitale, si creino variazioni in aumento del capitale proprio in più soggetti appartenenti allo stesso gruppo”. 

Si ritiene che, in linea di principio, l’acquisizione infragruppo di partecipazioni di controllo (o l’incremento di partecipazioni già detenute nel gruppo) mediante un contratto che preveda la corresponsione di un corrispettivo in natura non possa comportare moltiplicazioni del beneficio ACE, mediante il trasferimento di somme che hanno incrementato il capitale proprio di chi le ha ricevute ad altri soggetti del gruppo potenzialmente legittimati ad usare tali somme per porre in essere un conferimento in denaro duplicando la base ACE.

 

3.7 Incremento dei crediti da finanziamento per i soggetti che svolgono attività diverse da quella bancaria e finanziaria: il deposito irregolare. L’articolo 10, comma 3, lettera e), del Decreto ACE, prevede che la variazione ACE, non ha effetto “fino a concorrenza dell’incremento, rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010, dei crediti di finanziamento nei confronti dei soggetti di cui al comma 1”. 

Come già accennato, la relazione illustrativa al Decreto ACE ha chiarito che i crediti possono risultare uno strumento idoneo a moltiplicare la base di calcolo dell’ACE, ma ciò può attuarsi allorquando la società che riceve il conferimento in denaro presta la disponibilità liquida ricevuta ad altre società affinché realizzino a loro volta conferimenti in denaro utili per generare ulteriore base di calcolo dell’ACE. 

L’intenzione del legislatore, quindi, è quella di impedire che la stessa somma di denaro conferita accresca il capitale proprio di più entità giuridiche appartenenti al medesimo gruppo d’imprese. 

Ciò premesso, per i soggetti che svolgono attività diverse da quella bancaria e finanziaria, si rammenta che secondo la dottrina prevalente, ancorché non univoca, per crediti da funzionamento si devono intendere esclusivamente quei crediti che rappresentano dilazioni di pagamento nell’ambito della cessione di beni e prestazione di servizi. 

Ciò detto, si ritiene che i crediti relativi ai “time deposit intercompany” (c.d. “depositi irregolari”) – ossia i contratti per mezzo dei quali le eccedenze di disponibilità liquide dei partecipanti ad un gruppo sono depositate (temporaneamente) presso altra società del gruppo – non possano essere considerati dei crediti derivanti da dilazioni di pagamento nell’ambito della cessione di beni e prestazione di servizi e, quindi, gli stessi devono essere ricondotti alla categoria dei crediti da finanziamento. 

Occorre, inoltre, considerare che, tale tipologia di contratti si differenzia dal “contratto di mutuo” in ragione del fatto che in quest’ultimo la somministrazione al destinatario di una somma di denaro (nonché la disponibilità dello stesso da parte del destinatario) è la funzione essenziale del negozio mentre nel “contratto di deposito” la disponibilità da parte del destinatario ha una funzione secondaria rispetto alla conservazione del valore (cfr. Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 4071 del 7 aprile 1995). 

Tuttavia, nel valutare la rilevanza dei crediti originati dai depositi irregolari suddetti, ai sensi dell’articolo 10 del Decreto ACE (vale a dire ponendo attenzione alla loro idoneità – anche solo astratta – a moltiplicare la base di calcolo dell’ACE), occorre avere riguardo all’effettiva possibilità di disporre delle somme suddette al fine di compiere operazioni potenzialmente elusive. 

È vero che, in linea di principio, nel deposito irregolare il depositante può richiedere in qualsiasi momento al depositario la restituzione delle somme (motivo per cui il depositario deve tenere le medesime somme a disposizione del depositante e non può, quindi, impiegarle in operazioni di conferimento), ma è altrettanto vero che – nel caso in cui il depositante e il depositario appartengono allo stesso gruppo – il primo potrebbe avere convenienza, sulla base di una logica di gruppo, a non richiedere le somme al secondo, realizzando, in tal modo, l’effetto elusivo che la norma intende contrastare. 

In tale prospettiva, considerando la ratio della norma antielusiva più volte citata, la funzione “secondaria” del contratto di deposito, consistente nella “disponibilità delle somme” di cui trattasi, assume rilevanza primaria ai fini della definizione dell’ambito di applicazione della norma in quanto non esclude in assoluto la possibilità di utilizzare dette somme.

Infine, con riferimento alle somme movimentate infragruppo in base a contratti di cash pooling nella forma del c.d. zero balance system, si ritiene che non possa configurarsi un’operazione di finanziamento, ai sensi dell’articolo 10 del Decreto ACE.

Ciò in quanto, le caratteristiche del contratto – che prevede l’azzeramento giornaliero dei saldi attivi e passivi delle società del gruppo e il loro trasferimento automatico sul conto accentrato della capogruppo, senza obbligo di restituzione delle somme così trasferite e con maturazione degli interessi attivi o passivi esclusivamente su tale conto – non consentono l’effettiva possibilità di disporre delle somme suddette al fine di compiere operazioni potenzialmente elusive.

 

3.8 Ambito di applicazione delle disposizioni antielusive relative ai conferimenti provenienti da soggetti non residenti in Italia. Le disposizioni antielusive dell’insieme β, ossia quelle contenute nelle lettere c) e d) del comma 3, dell’articolo 10 del decreto ACE dispongono che “la variazione in aumento non ha altresì effetto fino a concorrenza:

c) dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti non residenti, se controllati da soggetti residenti. (…);

d) dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti domiciliati in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del TUIR”.

Con specifico riferimento alle disposizioni antielusive di cui all’art. 10, comma 3, lettera c), del Decreto ACE, si osserva che esse sterilizzano i conferimenti ricevuti dalla conferitaria residente “allorquando vi sia il pericolo, concreto o astratto, che l’apporto sia stato veicolato da una controllante residente ad un soggetto non residente”, come precisato nella relazione illustrativa.

Come già precisato nel paragrafo 3.2, con riferimento ai conferimenti provenienti da soggetti esteri non può applicarsi il medesimo ambito individuato per le operazioni dell’insieme α, in quanto i conferenti esteri non rientrano nel novero dei fruitori dell’agevolazione, non essendo inclusi fra i soggetti di cui agli articoli 2 e 8 del Decreto ACE. Fermo restando quanto sotto chiarito con riferimento ai gruppi strutturati su più livelli, ne consegue che:

i. con riferimento all’ipotesi di “conferimenti in denaro provenienti da soggetti non residenti, se controllati da soggetti residenti” [lettera c), comma 3]: la sterilizzazione della base ACE (subita dal conferitario) opera nell’ipotesi in cui il controllante residente in Italia del conferente estero ed il conferente estero stesso risultino entrambi inclusi nel perimetro del gruppo cui appartiene il soggetto conferitario (anch’esso residente in Italia); la disciplina antielusiva speciale si applica a prescindere dal legame diretto di controllo fra il conferente ed il conferitario e, quindi, altresì quando i due soggetti sono controllati, anche insieme ad altri soggetti, dallo stesso controllante;

ii. con riferimento all’ipotesi di “conferimenti in denaro provenienti da soggetti domiciliati in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del TUIR” [lettera d), comma 3]: la sterilizzazione della base ACE (subita dal conferitario) opera tutte le volte in cui il conferimento provenga da un soggetto estero non white listed anche se lo stesso non risulta incluso nel perimetro del gruppo cui appartiene il soggetto conferitario (residente in Italia).

Con riferimento ai punti sub i e sub ii si riportano i seguenti esempi illustrativi. Per semplicità di esposizione in tutti gli esempi riportati si assume l’inesistenza di legami fra le società che possano comportare il controllo di fatto ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, nn. 2) e 3), del codice civile. Resta fermo che gli esempi sotto riportati trovano differente attuazione in tutte le ipotesi in cui, nei casi concreti, s’individui il predetto controllo di fatto.

Con riferimento a tutte le fattispecie sotto riportate, si segnala agli Uffici l’opportunità di attivare una specifica attività di controllo al fine di scongiurare che gli schemi descritti, pur in talune ipotesi rispettosi della disciplina antielusiva speciale di cui all’articolo 10 del Decreto ACE, possano violare le disposizioni di cui all’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.

 

Sub i

Si pensi all’ipotesi di un gruppo costituito da una società madre Italiana che controlla al 100 per cento una società residente in un paese white listed che a sua volta controlla al 100 per cento una società residente anch’essa in Italia. Qualora la predetta società non residente ponga in essere un conferimento in denaro a favore della controllata italiana, può sostenersi che la società controllante del conferente, il conferente estero residente in un paese white listed ed il conferitario appartengono al medesimo gruppo; quindi, trova applicazione la disciplina antielusiva mediante la sterilizzazione, per un ammontare pari all’apporto in denaro ricevuto, in capo al soggetto conferitario.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si pensi, inoltre, all’ipotesi di gruppo costituito da una società madre Italiana che controlla al 100 per cento due società: una residente in un paese white listed e l’altra in Italia. Qualora la predetta società non residente ponga in essere un conferimento in denaro a favore della “sorella” italiana, può sostenersi che la controllante del conferente, il conferente estero residente in un paese white listed ed il conferitario appartengono al medesimo gruppo; quindi, trova applicazione la disciplina antielusiva mediante la sterilizzazione, per un ammontare pari all’apporto in denaro ricevuto, in capo al soggetto conferitario.

 

 

 

 

 

 

Si pensi, inoltre, all’ipotesi di gruppo costituito da una società madre italiana che controlla al 100 per cento due società residenti in Italia e possiede una partecipazione di minoranza (15 per cento) in una società estera residente in un paese white listed. Qualora la predetta società estera residente in un paese white listed ponga in essere un conferimento in denaro a favore di una delle due società residenti in Italia partecipate, non può sostenersi che la controllante del conferente, il conferente estero residente in un paese white listed ed il conferitario appartengono al medesimo gruppo; quindi, non trova applicazione la disciplina antielusiva.

 

 

 

 

sub ii

Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di una società estera residente in un paese non white listed che pone in essere un conferimento in denaro a favore di una società residente in Italia e controllata al 100 per cento. In tale ipotesi trova applicazione la disciplina antielusiva mediante la sterilizzazione per un ammontare pari all’apporto in denaro ricevuto dal soggetto conferitario.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si pensi all’ulteriore ipotesi di un gruppo costituito da una società madre (anche estera residente in un paese white listed) che controlla al 100 per cento due società residenti in Italia e possiede anche una partecipazione di minoranza (15 per cento) in una società estera residente in un paese non white listed. Nel caso cui la società estera residente in un paese non white listed ponga in essere un conferimento in denaro a favore di una delle società residenti in Italia pur non essendo il conferente estero ed il conferitario italiano appartenenti al medesimo gruppo trova applicazione la disciplina antielusiva mediante la sterilizzazione per un ammontare pari all’apporto in denaro ricevuto dal soggetto conferitario. 

 

 

 

Ciò premesso, com’è noto la realtà dei gruppi di imprese può presentare delle strutture con più livelli, sia in Italia sia all’estero. Al riguardo, si ritiene che la locuzione utilizzata dal legislatore del Decreto ACE, indicando i conferimenti in denaro “provenienti da soggetti non residenti …”, comporti, ai fini dell’applicazione della disciplina in commento, un approccio finalizzato all’individuazione del controllante effettivo del conferente estero (c.d. look trought approach).

A tal fine, in presenza di un gruppo costituito su più livelli da società italiane ed estere residenti in paesi white listedin assenza di soci esteri, anche di minoranza, residenti in un paese non white listed – per individuare l’ambito di applicazione della disciplina antielusiva [lettera c), comma 3, dell’articolo 10], sarà necessario verificare le caratteristiche dell’effettivo soggetto controllante del conferente estero. 

La sterilizzazione della base ACE (subita dal conferitario) opera, in ogni caso, se il predetto soggetto (il controllante effettivo) è residente in Italia e, inoltre, risulti, con il conferente estero stesso, incluso nel perimetro del gruppo cui appartiene il soggetto conferitario (anch’esso residente in Italia). Si ricorda che la disciplina antielusiva speciale si applica a prescindere dal legame diretto di controllo fra il conferente ed il conferitario e, quindi, anche quando i due soggetti sono controllati, anche insieme ad altri soggetti, dallo stesso controllante effettivo.

Si pensi all’ipotesi di un gruppo costituito da una società madre W residente in Italia – la cui compagine sociale sia caratterizzata dall’assenza di soci esteri, anche di minoranza, residenti in un paese non white listed – che controlla al 100 per cento una società X estera residente in un paese white listed che controlla al 100 per cento una società estera Y anch’essa residente in un paese white listed che a sua volta controlla al 100 per cento una società Z residente in Italia. Qualora la società Y non residente ponga in essere un conferimento in denaro a favore della controllata italiana, seguendo un look trought approach può sostenersi che l’effettiva controllante W del conferente estero, il conferente estero Y (residente in un paese white listed) ed il conferitario Z appartengono al medesimo gruppo; quindi, trova applicazione la disciplina antielusiva mediante la sterilizzazione, per un ammontare pari all’apporto in denaro ricevuto, in capo al soggetto conferitario.

 

 

Nella differente ipotesi di un gruppo costituito su più livelli

• da società italiane ed estere residenti in paesi white listed, la cui compagine sociale sia caratterizzata dalla presenza di soci esteri, anche di minoranza, residenti in un paese non white listed,

• e/o da società estere residenti in paesi non white listed;

per individuare l’ambito di applicazione della disciplina antielusiva [combinato di lettere c) e d), comma 3, dell’articolo 10], sarà necessario esaminare la composizione dei soci, anche di minoranza, delle società appartenenti al gruppo.

La sterilizzazione della base ACE (subita dal conferitario) opera, in ogni caso, se dal predetto esame emerge la presenza di un socio estero, anche di minoranza, residente in un paese non white listed (a prescindere, quindi, dalla circostanza per cui lo stesso risulti incluso con il conferente estero stesso nel perimetro del gruppo cui appartiene il soggetto conferitario). Al riguardo, si rammenta che, anche il predetto esame, per quanto prima rilevato, dovrà essere operato mediante look trought approach

Inoltre, si evidenzia come in tutte le ipotesi in cui a seguito della verifica appena descritta si giunga alla presenza di soci diffusi sul mercato, si applicano gli esoneri decritti nel paragrafo 3.9,

Si pensi all’ipotesi di un gruppo costituito da una società madre X estera residente in un paese non white listed che controlla al 100 per cento una società estera Y residente in un paese white listed che a sua volta controlla al 100 per cento una società Z residente in Italia. Qualora la società estera Y ponga in essere un conferimento in denaro a favore della controllata italiana, seguendo le logiche sopra evidenziate, trova applicazione la disciplina antielusiva di cui al combinato disposto delle lettere c) e d) del comma 3 dell’articolo 10 del Decreto ACE, mediante la sterilizzazione, per un ammontare pari all’apporto in denaro ricevuto, in capo al soggetto conferitario.

 

 

 

 

 

 

 

Si pensi, inoltre, all’ipotesi di un gruppo costituito da una società madre X estera residente in un paese non white listed che controlla al 100 per cento due società estere Y e Z residenti in paesi white listed le quali controllano, rispettivamente, una società W estera residente in un paese white listed ed una società K residente in Italia. Qualora la società W estera ponga in essere un conferimento in denaro a favore della società italiana K, seguendo le logiche sopra evidenziate – opportunamente integrate con il c.d. look trought approach – trova applicazione la disciplina antielusiva di cui al combinato disposto delle lettere c) e d) del comma 3 dell’articolo 10 del Decreto ACE, mediante la sterilizzazione, per un ammontare pari all’apporto in denaro ricevuto, in capo al soggetto conferitario.

 

 

 

 

 

Si pensi, ancora, all’ipotesi di un gruppo costituito da una società madre X estera residente in un paese white listed che controlla al 100 per cento una società estera Y anch’essa residente in un paese white listed, che controlla al 100 per cento una società Z residente in Italia. 

Nell’esempio qui in commento, tra la compagine sociale della società X si ravvisa un socio estero, anche se di minoranza, residente in un paese non white listed (a prescindere, quindi, dalla circostanza per cui lo stesso risulti incluso con il conferente estero stesso nel perimetro del gruppo cui appartiene il soggetto conferitario), pertanto, trova applicazione la disciplina antielusiva di cui al combinato disposto delle lettere c) e d) del comma 3 dell’articolo 10 del Decreto ACE, mediante la sterilizzazione, per un ammontare pari all’apporto in denaro ricevuto, in capo al soggetto conferitario.

 

 

 

 

 

3.9 Conferimenti provenienti da soggetti non residenti a favore di società le cui azioni sono negoziate sul mercato. Con riferimento alle società residenti le cui azioni sono negoziate sul mercato che effettuano un aumento di capitale mediante emissione di nuove azioni, non può escludersi a priori che una parte delle nuove azioni possa essere sottoscritta da soggetti non italiani, tra i quali alcuni potrebbero risultare soggetti esteri residenti in paesi non white listed

Tale circostanza assume rilevanza in quanto, come già evidenziato, i conferimenti provenienti da soggetti non residenti sono oggetto di apposite previsioni all’interno della disciplina antielusiva di cui all’articolo 10 del Decreto ACE [lettere c) e d) del comma 3]. 

In particolare, sulla base di quanto precedentemente argomentato in relazione alle operazioni dell’insieme β, si ritiene che nell’ipotesi oggetto del presente paragrafo l’indagine possa limitarsi alle caratteristiche dei sottoscrittori, sulla base dell’analisi descritta nei precedenti paragrafi, al momento in cui l’apporto viene effettuato. 

Ciò premesso, si evidenzia che la composizione dell’azionariato di una società quotata, nonché le sue eventuali modifiche, sono soggette, ai sensi della normativa regolamentare, ad obblighi di comunicazione al mercato e alle competenti autorità di vigilanza solo nell’ipotesi in cui superino determinate soglie (cfr. art. 120, commi 2 e 4, T.U.F., e per i soggetti che esercitano attività bancaria, le disposizioni contenute nell’art. 19, comma 1 del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, Testo Unico Bancario). 

In conseguenza di ciò, si ritiene che l’indagine descritta nel paragrafo 3.8 dovrà essere operata avendo riguardo esclusivamente ai sottoscrittori esteri che partecipano la società residente in misura superiore al due per cento

Come più volte riportato, resta ferma l’applicazione anche nei confronti delle operazioni poste in essere con tali soggetti delle disposizioni di cui all’articolo 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.

 

3.10 Conferimenti provenienti da soggetti non residenti: gestione delle istanze di disapplicazione. L’articolo 10, comma 3, lettera d), del decreto ACE prevede, come già evidenziato, un meccanismo automatico tendente a ridurre la base di calcolo dell’ACE, “fino a concorrenza dei conferimenti in denaro provenienti da soggetti domiciliati in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis del TUIR”. 

Come già chiarito nella circolare del 23 maggio 2014, n. 12/E, nelle fattispecie sopra esaminate, vi è il potenziale pericolo che l’apporto sia stato veicolato da una società inclusa nel medesimo gruppo della conferitaria ad un soggetto non residente, per cui gli apporti provenienti dall’estero non sono idonei ad incrementare la base di calcolo dell’ACE della società conferitaria residente.

Al fine di evitare un’eccessiva penalizzazione dei conferimenti provenienti da soggetti esteri residenti in paesi non white listed, si devono ritenere superati gli orientamenti espressi nella risoluzione 29 gennaio 2002, n. 26/E[3] e nel paragrafo 3.3 della circolare n. 12/E del 2014, consentendo anche nell’ipotesi di applicazione della lettera d) o di attivazione contestuale delle lettere c) e d) del comma 3 dell’articolo 10, la possibilità di presentare istanze di disapplicazione, adeguatamente motivate e corredate da opportuna documentazione, per dimostrare quanto di seguito descritto.

In particolare, qualora a seguito dell’esame definito nel paragrafo 3.8, si ravvisi la presenza di un socio estero, anche di minoranza, residente in un paese non white listed, per ottenere la disapplicazione della disciplina antielusiva speciale sarà necessario fornire contestualmente:

a) le informazioni e la documentazione necessarie a dimostrare, in modo inequivocabile, la provenienza dei conferimenti da un soggetto residente in un Paese white listed al fine di ovviare alla mancanza di scambio di informazioni con il Paese non white listed;

b) le informazioni e la documentazione necessarie a dimostrare l’assenza di fenomeni di duplicazione dell’agevolazione ACE.

Con riferimento al punto sub a) sarà necessario fornire la documentazione idonea a dimostrare:

i. che le risorse finanziarie in “ingresso” (nella forma sia di capitale di rischio che di capitale di debito) nell’entità localizzata nel Paese non white listed provengano da soggetti residenti in Paesi white listed;

ii. la residenza fiscale di tutti i soggetti white listed di cui al punto precedente;

iii. l’imputabilità dei proventi dell’entità localizzata nel Paese non white listed in capo ai singoli, soggetti residenti in Stati o territori white listed, per trasparenza (nel senso di cui alla risoluzione n. 17/E del 2006[4], c.d. “trasparenza fiscale” o alla risoluzione n. 167/E del 2008[5], c.d. “trasparenza economica”).

Considerato che la finalità che si intende perseguire attraverso l’allegazione della suddetta documentazione all’istanza di interpello è, come già detto, quella di ovviare all’assenza di scambio di informazioni con il paese non white listed, la valutazione circa la sua idoneità sarà effettuata sulla base di un’analisi caso per caso.

Si pensi, a titolo esemplificativo, ad un’entità localizzata nel Paese non white listed che rappresenti un “mero” veicolo la cui attività è limitata a convogliare i flussi finanziari verso l’investimento attraverso una struttura “trasparente”:

• sia dal punto di vista patrimoniale, nel senso che il capitale apportato dagli investitori sia l’unica fonte degli investimenti e il realizzo dei medesimi sia prontamente distribuito agli investitori stessi,

• sia dal punto di vista fiscale, nel senso che i “proventi” siano assoggettabili a tassazione in capo agli investitori.

In tal caso, coerentemente a quanto appena indicato, per rendere procedibile l’istanza di disapplicazione sarà necessario fornire la documentazione atta a dimostrare:

i. la natura strutturalmente “passante” dell’entità non white listed rispetto alle somme di denaro investite da soggetti white listed, tra cui (a titolo indicativo):

• rendiconti patrimoniali, economici e finanziari;

• documentazione societaria (atto costitutivo, statuto, contratto di associazione);

• contratti e accordi di finanziamento di qualunque tipo;

• contratti commerciali, di agenzia, di rappresentanza, di domiciliazione, ecc;

• contratti e accordi finanziari in generale (polizze assicurative, contratti di investimento, contratti derivati, ecc.);

• ogni altro documento in grado di dimostrare, in modo certo e preciso, la provenienza delle risorse finanziarie da soggetti white listed;

ii. la residenza fiscale white listed di ciascun investitore del veicolo al fine di rendere attivabile lo scambio di informazioni con il relativo paese di residenza;

iii. l’imputabilità per trasparenza dei proventi del veicolo in capo ai singoli investitori, in Stati o territori white listed.

Si pensi, inoltre, all’ipotesi di un soggetto non white listed (ad esempio un fondo di private equity) che (i) sia costituito in forma giuridica di limited partnership (ii) evidenzi, nel passivo, esclusivamente gli apporti dei limited e dei general partner (di seguito anche solo partner) iii) evidenzi, nell’attivo, gli investimenti in un’entità residente in un paese white listed (che controlla, a sua volta, la società residente in Italia acquistata tramite gli apporti dei partner) e (iv) produca redditi che vengono assoggettati a tassazione per trasparenza (fiscale o economica) in capo ai partner.

 

 

 

 

Nell’esempio sopra riportato, per dimostrare che i conferimenti effettuati a favore della Società ITA derivano inequivocabilmente dai partner residenti in Paesi white listed e, quindi, per superare l’assenza di scambio di informazioni sarà necessario produrre la seguente documentazione:

1. partnership agreement stipulato sia con i limited partner sia con i general partner ed eventuali accordi accessori utili ad illustrare il funzionamento e le caratteristiche del veicolo;

2. elenco dei partner (general e limited) con indicazione di informazioni anagrafiche, residenza fiscale, percentuale di partecipazione nella limited partnership;

3. rendiconti annuali e/o di gestione della limited partnership;

4. ogni altro contratto, documento o informazione utile a meglio specificare e/o illustrare i punti da 1) a 3) e, in generale, a illustrare con chiarezza i rapporti economici, giuridici e finanziari intrattenuti dall’entità residente nel paese non white listed, al fine di dimostrare la natura di veicolo di “mero” investimento;

5. ogni altro documento che attesti la trasparenza della limited partership dal punto di vista dei singoli partner (limited e general) e, in particolare, alternativamente:

– attestazione dell’amministrazione fiscale del paese di residenza oppure altra documentazione idonea a comprovare la tassazione per trasparenza “fiscale” dei proventi maturati dall’entità/fondo in capo al partner nel relativo Paese di residenza (cfr. risoluzione n. 17/E del 2006);

– statuto, regolamento, prospetto illustrativo e ogni altra documentazione rilevante della limited partnership da cui emerga l’obbligo di distribuire almeno annualmente i proventi di gestione e documentazione che attesti l’assoggettamento “ad un’obbligazione fiscale illimitata” dei proventi distribuiti in capo ai singoli partner (cfr. risoluzione n. 167/E del 2008).

6. residenza fiscale dei partner (limited e general) in uno stato o territorio con cui l’Italia abbia un trattato che consente lo scambio di informazioni.

Nel caso proposto è validamente dimostrabile che (i) i conferimenti sono inequivocabilmente attribuibili ai partner sulla base della struttura “passante” del veicolo e (ii) i partner sono residenti in paesi white listed nonché titolari economici dei flussi (sulla base della tassazione per trasparenza a cui sono assoggettati).

Con riferimento al punto sub b), si riportano – a titolo meramente esemplificativo – le circostanze che, se adeguatamente supportate da documentazione idonea, consentono la disapplicazione della disciplina antielusiva speciale:

• incrementi di capitale proprio rilevanti in capo alle società incluse nel medesimo gruppo della conferitaria determinati esclusivamente da accantonamenti di utili a riserve disponibili, ai sensi della disciplina dell’agevolazione ACE;

• assenza di finanziamenti operati dalle società incluse nel medesimo gruppo della conferitaria a favore del soggetto estero residente in un paese non white listed;

• assenza di operazioni di cui all’articolo 10 poste in essere dalle società incluse nel medesimo gruppo della conferitaria a favore del soggetto estero residente in un paese non white listed;

• assenza di flussi di denaro:

– provenienti dai soggetti esteri residenti in un paese non white listed e destinati alle società appartenenti al gruppo del soggetto conferitario,

– verso il soggetto estero non white listed provenienti da altri soggetti appartenenti al gruppo del soggetto conferitario.

Ciò premesso, si ribadisce che, qualora non fossero fornite le informazioni di cui al punto sub a), l’istanza di disapplicazione non potrebbe trovare accoglimento, non avendo il conferitario dimostrato che l’integrale somma di denaro ricevuta a titolo di conferimento non ha anche potenzialmente, comportato la duplicazione dell’agevolazione ACE. 

Qualora, invece, fossero fornite le informazioni di cui al punto sub a) e non fosse chiarita l’assenza di duplicazione dell’agevolazione ACE [punto sub b)], si deve presumere che le somme di denaro “provenienti” dal soggetto estero residente in un paese non white listed a favore dei soggetti del gruppo (cui appartiene il conferitario) abbiano, anche potenzialmente, duplicato la base ACE. In tal caso l’istanza di disapplicazione può trovare accoglimento solo per la parte che eccede i predetti flussi di denaro rispetto alle somme conferite.

Va da sé che i documenti di cui si tratta potranno essere oggetto di attività di controllo, con l’effetto che eventuali incoerenze fra gli stessi e la situazione di fatto rilavata dagli ufficio comporteranno la rettifica dell’ammontare di agevolazione ACE indebitamente fruita. 

 

3.11 Ulteriori fattispecie considerate elusive. Le fattispecie considerate dall’art. 10 del decreto ACE non esauriscono i casi di operazioni di capitalizzazione societaria idonee a generare un incremento dell’agevolazione ACE che possono dare luogo a fenomeni di elusione fiscale.

In tale ottica va valutata, caso per caso, l’ordinaria applicazione delle disposizioni di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973. Nel seguito, a titolo meramente esemplificativo, si illustrano alcuni casi astratti.

 

Caso 1

 

La società capogruppo A contrae un finanziamento in denaro per 100 da un soggetto terzo ed effettua un conferimento nella società controllata B la quale, a sua volta, effettua un finanziamento a favore del medesimo soggetto terzo:

 

 

 

 

 

In tale ipotesi, la disciplina antielusiva di cui all’articolo 10 (pur trovando applicazione nei confronti di A) non trova applicazione nei confronti di B. Tuttavia è da ritenere che l’operazione descritta, nel suo complesso, sia idonea a determinare un vantaggio fiscale indebito in capo alla società B (generazione di base ACE) in quanto l’incremento viene generato in modo non genuino (ossia in assenza di sostanza); infatti il “capitale” ricevuto da B è investito per finanziare il “capitale” stesso (operazione circolare).

Differente, invece, è il caso in cui, il conferimento finanziato a debito (vedi caso 1) non venga utilizzato nel contesto di un’operazione circolare, come segue:

 

 

 

Infatti, in tale ipotesi, in assenza di circolarità, si può ritenere che la base ACE generata presso la Società B sia genuina.

 

Caso 2

 

Una persona fisica (non imprenditore e, quindi, fuori dal campo di applicazione dell’articolo 8 del decreto ACE), titolare al 100% della società B e della società C, si indebita con un terzo per 100. La persona fisica conferisce detto importo nella società B che acquista la partecipazione nella società C per 100 pagando il corrispettivo alla persona fisica la quale, a sua volta, rimborsa il finanziamento al terzo.

 

 

 

 

In tal caso, si può ritenere che l’operazione, nel suo complesso, sia idonea a determinare un vantaggio fiscale indebito in capo alla società B (generazione di base ACE) in quanto l’incremento viene generato in modo non genuino (ossia in assenza di sostanza); infatti il “capitale” ricevuto da B è investito per finanziare il “capitale” stesso (operazione circolare).

 

Caso 3

 

La società B (dopo aver ricevuto un conferimento di 100), invece di finanziare direttamente una società del gruppo (società C), eroga ad un terzo un finanziamento di 100 che, sulla base di un’analisi fattuale/contrattuale, è “rigirato” alla società C (attraverso un altro finanziamento). Quest’ultima, a sua volta, pone in essere un conferimento di 100 alla società controllata D:

 

 

 

 

In tale ipotesi si può ritenere che l’operazione, nel suo complesso, sia idonea a determinare un vantaggio indebito in capo alla società B (incremento di base ACE di 100) che, se avesse finanziato direttamente la Società C (senza “passare” per il Terzo), avrebbe dovuto sterilizzare la variazione in aumento della base ACE fino a concorrenza del finanziamento stesso.

 

Caso 4

 

Si ipotizzi che la società A:

 

1 – riceve un conferimento di 100 da un terzo (aumento base ACE per 100),

2 – acquista da terzi un bene (ad esempio un immobile) per 100 e

3 – conferisce il bene alla controllata B.

Si ipotizzi, inoltre, che la società B:

4 – vende il bene (ad esempio l’immobile) a un terzo (diverso o uguale rispetto al terzo del punto 1) ricevendo un corrispettivo di 100 e

5 – effettua un conferimento di 100 in denaro alla società controllata C (aumento base ACE per 100).

 

 

 

 

 

 

Nel caso di specie, la liquidazione del bene oggetto del conferimento in natura costituisce un mezzo per il trasferimento di risorse idonee ad essere utilizzate per duplicare il beneficio ACE.

Si ritiene che, nel momento in cui il bene viene liquidato, il conferimento in natura diventi idoneo a determinare un vantaggio indebito in capo alla società A (mancata sterilizzazione di base ACE per 100). Infatti, se quest’ultima avesse effettuato, ad esempio, un conferimento in denaro alla società B, avrebbe dovuto sterilizzare la variazione in aumento fino a concorrenza dell’importo stesso.

 

3.12 Rinuncia ai crediti soggetti ITA gaap. L’articolo 5, comma 2, del Decreto ACE dispone che rileva come elemento positivi della variazione del capitale proprio, tra l’altro, “… la rinuncia incondizionata dei soci al diritto alla restituzione dei crediti verso la società …”.

Al riguardo, la relazione illustrativa del Decreto Ace chiarisce che, in coerenza con il dettato normativo, la rinuncia ai crediti o la loro compensazione riguarda esclusivamente i crediti aventi natura finanziaria, cioè derivanti da precedenti finanziamenti in denaro.

Il chiarimento contenuto nella relazione illustrativa, in altri termini, integra il dettato normativo – che si è limitato a stabilire le tipologie di elementi da considerare come variazioni positive del capitale proprio – escludendo qualunque tipologia di credito avente natura commerciale, cioè non derivante da precedenti finanziamenti in denaro, sia in caso di rinuncia da parte dei soci sia in caso di loro compensazione.

In realtà, il legislatore ha voluto dare rilievo alla circostanza che all’origine del diritto di credito ci fosse un flusso di denaro per evitare che, ammettendo la rilevanza delle rinunce e delle compensazioni di tutte le tipologie dei crediti, la disciplina ACE fosse esposta a facili arbitraggi volti a trasformare gli apporti in natura in apporti di capitale. 

Al riguardo, si evidenzia che da un punto di vista fiscale, con riferimento alle rinunce ai crediti, l’art. 88, comma 4, del TUIR, recita che “non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società e agli enti di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b), dai propri soci e la rinuncia dei soci ai crediti …”. Inoltre, l’articolo 94, comma 6, del TUIR, dispone che la rinuncia ai crediti nei confronti della società dagli stessi soci, si aggiunge al costo dei titoli e delle quote di cui all’art. 85, comma 1, lettera c).

In sostanza, le operazioni in argomento, sono qualificate ai fini fiscali come apporti.

Dal punto di vista contabile il nuovo Principio OIC 28 ha precisato che la rinuncia di un qualunque credito da parte del socio – che si concretizza in un atto formale effettuato esplicitamente nella prospettiva del rafforzamento patrimoniale della società – è trattata contabilmente alla stregua di un apporto di patrimonio. Pertanto, in tal caso la rinuncia dei soci al diritto alla restituzione trasforma il debito della società in una posta di patrimonio netto avente natura di riserva di capitale senza transitare a conto economico.

Per quanto sopra esposto ed in considerazione dell’esigenza di conciliare gli aspetti fiscali, le cui motivazioni sono state chiarite dalla relazione illustrativa del Decreto Ace, e gli aspetti contabili, disciplinati dall’aggiornamento del citato principio contabile OIC n. 28, si ritiene che l’apporto che origina dalla rinuncia ai crediti (o la loro compensazione) rileva, ai fini ACE, solo nell’ipotesi in cui il credito rinunciato (compensato) deriva da un precedente finanziamento in denaro.

 

3.13 Riserve da rivalutazione. Con riferimento alla “riclassificazione” di riserve indisponibili a seguito del venir meno della condizione di indisponibilità – sempreché tali riserve indisponibili si siano formate a decorrere dal periodo di imposta 2011 – la relazione illustrativa evidenzia che “costituiscono … elementi positivi della variazione del capitale proprio gli accantonamenti a riserve disponibili derivanti dalla riclassificazione di riserve indisponibili”.

Pertanto, per quanto concerne le riserve da rivalutazione, iscrivibili a seguito delle previsioni contenute in leggi speciali nonché in applicazione dell’obbligo di deroga di cui al comma quarto dell’art. 2423 del codice civile, si evidenzia come tali riserve siano al momento della nascita non rilevanti ai fini dell’ACE, in quanto riconducibili alla nozione di “riserva da utili non disponibili” individuata nella relazione al decreto ACE.

Tuttavia, si ritiene che le predette riserve, sempreché tali riserve indisponibili si siano formate a decorrere dal periodo di imposta 2011,rilevino come incremento di capitale proprio rilevante ai fini ACE per la quota dei maggiori valori successivamente realizzati, dal momento della predetta riclassificazione.

 

3.14 Applicazione della disciplina alle stabili organizzazioni. Nell’ambito soggettivo di applicazione dell’agevolazione ACE rientrano i soggetti di cui alla lettera d), comma 1, dell’articolo 73 del TUIR, ovvero i soggetti esteri esercenti in Italia attività commerciali per mezzo di stabili organizzazioni.

Al riguardo, nella relazione illustrativa si precisa che, per tali soggetti, le disposizioni contenute nel decreto ACE si applicano con riferimento agli incrementi del “fondo di dotazione” della stabile organizzazione rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010 (di seguito, il fondo 2010). La medesima relazione illustrativa, inoltre, chiarisce che i riferimenti ai soci o ai partecipanti sono da intendersi nei confronti della casa madre. 

La possibilità anche per le stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti di usufruire dei benefici ACE ha le sue radici nel principio di non discriminazione. Esse, infatti, sono soggetti passivi d’imposta in Italia per il reddito d’impresa ivi prodotto, al pari dei soggetti residenti. Tuttavia, considerato che la stabile organizzazione non è un’entità autonoma, ma una parte giuridicamente indistinta dell’impresa non residente e, quindi, che le operazioni tra la stessa e casa madre non assumono alcuna rilevanza giuridica esterna, ma si basano su meri accordi interni, le modalità di determinazione dell’agevolazione ACE dovranno tener conto delle suddette peculiarità, con riguardo soprattutto al c.d. fondo di dotazione, come di seguito esposto.

La base di partenza cui commisurare gli eventuali incrementi rilevanti ai fini dell’agevolazione ACE è rappresentata dal maggiore tra il fondo di dotazione contabile al 31 dicembre 2010 (al netto degli utili di esercizio) e il fondo congruo a fini fiscali in pari data (tenendo conto di principi condivisi in sede internazionale). 

Per esigenze espositive, nel presente paragrafo, si fa riferimento ai soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare.

 

Base di partenza ACE = il maggiore tra fondo contabile al 31 dicembre 2010 e fondo congruo a fini fiscali 

 

In termini generali, è opportuno precisare che il fondo di dotazione contabile come emergente dal rendiconto di cui all’articolo 14, comma 5, del D.P.R. n. 600/1973 alla fine di un dato periodo di imposta potrebbe non coincidere con il fondo di dotazione rilevante per l’esame di congruità ai fini fiscali (c.d. “fondo di dotazione effettivo”), in considerazione del trattamento di diversi fattori, quali, gli apporti in denaro effettuati dalla casa madre alla branch

A titolo esemplificativo, se il fondo di dotazione contabile al 31 dicembre 2010, pari a 100, fosse composto esclusivamente da un apporto in denaro da parte di casa madre effettuato in data 1° ottobre 2010, il fondo di dotazione rilevante per l’esame di congruità (c.d. “fondo di dotazione effettivo”) al 31 dicembre 2010 corrisponderebbe a 25, in considerazione del fatto che detta congruità deve essere rispettata costantemente, per l’intera durata del periodo di imposta. Tale fondo di dotazione effettivo dovrà essere assoggettato all’esame di congruità fiscale (per pervenire al c.d. fondo di dotazione congruo) tenendo conto di principi condivisi in sede internazionale.

Come chiarito nella relazione illustrativa al Decreto, “la stabile organizzazione di un’impresa non residente deve avere un proprio fondo di dotazione che, ai fini fiscali, può anche essere figurativo nel senso che deve essere comunque determinato ai soli fini fiscali a prescindere dalle risultanze contabili”.

In particolare, la dotazione patrimoniale da attribuire alla stabile organizzazione deve essere determinata, anche tenuto conto del grado di capitalizzazione della società nel suo complesso, in funzione delle attività esercitate dalla stessa, degli asset materiali e immateriali di cui dispone per le proprie funzioni e dei rischi da essa assunti (cfr. risoluzione n. 44/E del 2006[6]).

Ne consegue che nel caso in cui il fondo di dotazione al 31 dicembre 2010 non fosse stato congruo il contribuente avrebbe dovuto alternativamente:

• rettificare il proprio passivo patrimoniale contabile riclassificando i debiti (produttivi di interessi passivi) in fondo di dotazione contabile (ed effettivo), con conseguente rettifica del conto economico mediante lo storno dei relativi interessi passivi (c.d. rettifica contabile);

• effettuare una variazione in aumento in dichiarazione relativa agli interessi passivi correlati ai debiti riclassificati figurativamente per raggiungere la congruità fiscale, generando, nella sostanza, un’implicita riclassificazione dei debiti iscritti in bilancio in fondo di dotazione come illustrato al punto precedente (c.d. rettifica fiscale).

Ciò premesso, considerate le peculiarità della stabile organizzazione, si ritiene che la variazione del fondo di dotazione, rilevante a fini ACE, sia formata dalla somma algebrica di:

A. incrementi

• apporti in denaro operati dalla casa madre alla branch;

• utili mantenuti nell’economia della stabile organizzazione;

• “rettifiche contabili” e/o “rettifiche fiscali”;

B. decrementi

• riduzioni del fondo di dotazione contabile della stabile organizzazione con attribuzione alla casa madre, effettuate a qualsiasi titolo.

Per quanto concerne gli incrementi e, in particolare, le c.d. “rettifiche fiscali” (variazioni in aumento in dichiarazione) la relazione al decreto ACE ha chiarito che “… devono intendersi in ogni caso quelli risultanti dalla dichiarazione dei redditi del periodo d’imposta da ritenersi congrui dal punto di vista fiscale”.

In altri termini, ai fini dell’agevolazione in esame, i predetti incrementi assumono rilevanza in misura non superiore a quella necessaria per raggiungere la congruità fiscale del fondo di dotazione stesso. Trattasi, infatti, per le stabili organizzazioni, data la loro natura e funzione, di fattispecie da assimilare ad apporti in denaro, in quanto idonee a determinare un incremento di capitale proprio, ma unicamente entro i limiti necessari a rendere il fondo di dotazione congruo dal punto di vista fiscale.

Inoltre, essendo caratterizzati, per loro natura, da temporaneità, gli incrementi derivanti da “rettifiche fiscali” rilevano esclusivamente per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione in cui le relative variazioni in aumento vengono operate. Diversamente, gli incrementi derivanti da “rettifiche contabili” hanno natura definitiva.

Come chiarito nella relazione di accompagnamento al Decreto, la variazione che assume rilevanza agli effetti della disciplina ACE può essere determinata prendendo direttamente in considerazione gli elementi che concorrono a formarla (incrementi e decrementi), senza alcun riferimento effettivo al dato concernente la base di partenza 2010. 

Tuttavia, con particolare riferimento alle stabili organizzazioni italiane di soggetti non residenti, nel caso in cui il fondo di dotazione 2010 non fosse congruo ai fini fiscali, non sarebbe possibile prescindere dal dato concernente il 2010. Infatti, considerato che, come sopra precisato, la base di partenza cui commisurare gli incrementi rilevanti ai fini dell’agevolazione ACE è rappresentata dal maggiore tra il fondo di dotazione contabile (al netto degli utili dell’esercizio) e il fondo congruo ai fini fiscali al 31 dicembre 2010.

Gli incrementi successivi (di qualsiasi natura) non rilevano fino a concorrenza della differenza (se positiva) tra il fondo di dotazione congruo ai fini fiscali e il fondo di dotazione contabile (al netto degli utili di esercizio) al 31 dicembre 2010, e ciò indipendentemente dal fatto che, nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta 2010, sia stata effettuata o meno una rettifica fiscale in quanto. come già evidenziato, la predetta rettifica ha natura temporanea.

Con riferimento al momento di rilevanza ai fini ACE degli incrementi, tenuto conto della natura e della funzione della stabile organizzazione, si ritiene che gli apporti in denaro operati dalla casa madre alla branch rilevino a partire dalla data di effettivo versamento, considerando, quindi, il lasso temporale intercorrente tra la data dell’apporto e la chiusura dell’esercizio (criterio del pro rata temporis), conformemente a quanto avviene per i soggetti residenti.

A titolo esemplificativo, se il rendiconto al 31 dicembre 2010 evidenzia un fondo di dotazione contabile (congruo a fini fiscali) di 50 e al 31 dicembre 2011 evidenzia un fondo di dotazione contabile di 250 e l’incremento mediante apporto di denaro (per 200) è avvenuto il 1° ottobre 2011, la variazione rilevante ai fini ACE sarà pari a [50] *.

Infatti, l’incremento di 200 avvenuto in data 1° ottobre (rilevante per 91 giorni – dal 1° ottobre 2011 al 31 dicembre 2011) corrisponde ad un incremento di [50] avvenuto dal 1 gennaio 2011.

Inoltre, con riferimento al momento in cui assumono rilevanza ai fini ACE le “rettifiche contabili” e le “rettifiche fiscali” di cui sopra, operate successivamente al periodo d’imposta 2010, si ritiene di dover distinguere tra:

1. “rettifiche contabili”, per le quali si deve considerare la data a decorrere dalla quale viene fatta valere la riclassificazione in poste non produttive di interessi passivi (applicando, quindi, nella sostanza il criterio del pro rata temporis); e

2. “rettifiche fiscali”, per le quali si deve considerare l’inizio del periodo d’imposta cui la relativa dichiarazione si riferisce, in quanto tale rettifica è finalizzata a rendere congruo il fondo di dotazione per l’intero periodo.

Quanto agli utili, si precisa che gli stessi assumono rilievo nella misura in cui, nel periodo d’imposta successivo al loro realizzo e a condizione che abbiano le caratteristiche di utili realmente conseguiti, risultino mantenuti nell’economia della stabile organizzazione tramite apposita rilevazione contabile (ad esempio, incremento del fondo di dotazione anche tramite incremento di riserva di utili).

I decrementi, costituiti dalla riduzione del fondo di dotazione contabile anche attraverso riduzione di riserve di utili attribuite a casa madre, assumono rilevanza ai fini ACE dall’inizio del periodo di imposta in cui si verificano, conformemente a quanto avviene per i soggetti residenti.

Si specifica che, anche per le stabili organizzazioni, le perdite di esercizio e l’attribuzione dell’utile di esercizio a casa madre non rilevano come decrementi.

Infine, come evidenziato nel Decreto ACE, per le stabili organizzazioni di imprese non residenti costituite successivamente al 31 dicembre 2010 si assume come incremento anche il fondo di dotazione di costituzione, per l’ammontare derivante da conferimenti in denaro.

Rimane fermo che nell’ipotesi in cui il fondo di dotazione di una stabile organizzazione in Italia sia rettificato in diminuzione in base ad una procedura per la risoluzione delle controversie internazionali (ad esempio, la procedura amichevole), la relativa deduzione ACE fruita dal contribuente sulla quota del fondo di dotazione eccedente dovrà essere rettificata di conseguenza.

In ultimo, per effetto dell’articolo 11 del Decreto, in ciascun esercizio la variazione in aumento rilevante ai fini ACE, come risultante dalla sommatoria di incrementi e decrementi, non può eccedere il maggiore tra il fondo di dotazione contabile e il fondo di dotazione congruo ai fini fiscali (a condizione che il contribuente si sia adeguato mediante rettifica fiscale).

Per chiarire quanto sopra descritto si riporta il seguente esempio illustrativo. 

Si ipotizzi una stabile organizzazione che al 31 dicembre 2010 presenti la seguente situazione contabile e fiscale:

 

Tabella 5

 

 

       2010                       FONDO

                         DOTAZIONE 

 

Rendiconto branch              100 

 

Fondo congruo                  300

 

Situazione Contabile(t-i)                100  

 

“Rettifica fiscale” (adeguamento)

di 10** corrispondente a debiti per 200  200

 

Situazione Fiscale(t)                  300 

 

Presupponendo che il fondo di dotazione congruo fiscale si presenti per il 2011 pari a 500 e che la casa madre operi un nuovo apporto di denaro (in data 1/1/2011) alla propria branch di importo pari a 100 (con rilevazione dello stesso nel rendiconto della stabile organizzazione quale incremento di fondo di dotazione), alcune delle situazioni maggiormente significative che potrebbero presentarsi sono le seguenti:

A. la stabile organizzazione effettua una variazione in aumento in dichiarazione (15 di interessi corrispondenti ad una riclassificazione figurativa dei debiti per 300) nei limiti di quanto necessario a raggiungere la congruità fiscale

B. la stabile organizzazione effettua una variazione in aumento del fondo di (25 di interessi corrispondenti ad una riclassificazione figurativa dei debiti per 500) eccedente quanto necessario a raggiungere la congruità fiscale.

 

 

 

 

Tabella 6 – ipotesi sub A

 

       2011                       FONDO

                         DOTAZIONE 

 

Rendiconto branch(t-i)                  100 

                   flow rendiconto 100

Rendiconto branch(t)                   200

 

                  Fondo congruo  500

            Adeguamento(t+i) 2011    300

 

Situazione Contabile(t)                200  

 

“Rettifica fiscale”(t+i)

di 15 corrispondente a debiti per 300  +300

 

Situazione Fiscale(t+i)                 500 

 

Base ACE                       +200 

 

Come rappresentato nella tabella, il fondo di dotazione si incrementa ad opera sia dell’apporto in denaro (+100) che della “rettifica fiscale” operata in dichiarazione (interessi ripresi per 15 corrispondenti a debiti riclassificati per +300). Tuttavia, l’incremento rilevante ai fini dell’agevolazione ACE (c.d. Base ACE) è pari a 200 in quanto gli incrementi non rilevano fino all’importo (200) corrispondente alla differenza (positiva) tra il fondo di dotazione congruo ai fini fiscali e quello contabile al 31 dicembre 2010.

 

Tabella 7 – ipotesi sub B

 

 

       2011                       FONDO

                         DOTAZIONE 

 

Rendiconto branch(t-i)                  100 

                   flow rendiconto 100

Rendiconto branch(t)                   200

 

                  Fondo congruo  500

            Adeguamento(t+i) 2011    500

 

Situazione Contabile(t)                200  

 

“Rettifica fiscale”(t+i)

di 25 corrispondente a debiti per 500  500

 

Situazione Fiscale(t+i)                 700 

 

Base ACE                       +200 

 

Come rappresentato nella tabella, il fondo di dotazione si incrementa ad opera sia dell’apporto in denaro (+100) che della variazione in aumento in dichiarazione (interessi ripresi per 25 e corrispondenti a debiti riclassificati per +500). Tuttavia, la variazione in aumento in dichiarazione (c.d. “rettifica fiscale”) è considerata “incremento” solamente nei limiti in cui la medesima sia necessaria a raggiungere la congruità fiscale del fondo di dotazione stesso (+300).

L’incremento rilevante ai fini dell’agevolazione ACE (c.d. Base ACE) è pari a 200 in quanto gli incrementi (apporto in denaro e rettifica fiscale nei limiti necessari a raggiungere la congruità fiscale del fondo) non rilevano fino all’importo corrispondente alla differenza (positiva) tra il fondo di dotazione congruo a fini fiscali e quello contabile al 31 dicembre 2010)».

 

 

* Il ragguaglio va operato tenendo conto del lasso temporale intercorrente tra la data in cui viene effettuato l’apporto di denaro e quella di chiusura dell’esercizio, nonché della durata complessiva dell’esercizio stesso (applicando, quindi, il metodo di calcolo c.d. Actual-Actual). Nel caso di cui all’esempio, in particolare, il valore di 50 (49,86) è stato ottenuto dividendo l’importo complessivo di 200 per il numero di giorni effettivi del 2011 (365) e moltiplicando il risultato per i giorni intercorrenti tra il 1° ottobre ed il 31 dicembre 2011 (91).

** Si è assunto per semplicità un tasso d’interesse pari al 5% sia nel 2010 che nel 2011.

 

Tabella 4 – IMPORTI IRES

 

 

2014

 

2015

 

2016

 

2017

 

2018

 

 

Reddito complessivo netto

100.000

0

100.000

0

100.000

0

100.000

0

100.000

0

 

Deduzione ACE

120.000

0

120.000

0

120.000

0

120.000

0

120.000

0

Eccedenza ACE IRES trasformabile

 

20.000

 

 

 

 

 

Eccedenza riportabile IRES

 

10.000

 

 

 

 

 

 

 

Eccedenza trasformata

 

10.000

 

Credito d’imposta IRAP (27,5%)

 

2.750

 

 

 

IMPORTI IRAP

 

 

2014

 

2015

 

2016

 

2017

 

2018

 

Valore della produzione netta

 

10.000

 

11.000

 

15.000

 

18.000

 

20.000

 

IRAP di periodo (Al. 3,9%)

 

390

 

429

 

585

 

702

 

780

 

Credito d’imposta IRAP (quinto dell’anno)

 

550

 

 

 

 

 

Credito d’imposta IRAP quinti riportati 2014

 

 

550

 

550

 

550

 

550

 

 

 

 

2014

 

2015

 

2016

 

2017

 

2018

 

Debito IRAP di periodo

 

390

 

429

 

585

 

702

 

780

 

Credito d’imposta IRAP totale di periodo

 

550

 

550

 

550

 

550

 

550

 

Imposta a debito

 

 

 

35

 

152

 

230

 

Eccedenza credito d’imposta IRAP non utilizzato

 

160

 

121

 

0

 

0

 

0

 

Eccedenza credito d’imposta IRAP pregresse

 

 

160

 

281

 

281

 

281

 

Eccedenza credito d’imposta IRAP riportabili

 

160

 

281

 

281

 

281

 

281

 

 

 

 

 



[1] Circ. 23 maggio 2014, n. 12/E, in Boll. Trib., 2014, 838.

 

[2] Circ. 14 giugno 2010, n. 32/E, in Boll. Trib., 2010, 966.

 

[3] In Boll. Trib. On-line.

[4] Ris. 27 gennaio 2006, n. 17/E, in Boll. Trib., 2006, 411.

[5] Ris. 21 aprile 2008, n. 167/E, in Boll. Trib. On-line.

 

[6] Ris. 30 marzo 2006, n. 44/E, in Boll. Trib., 2006, 594.

 

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