8 Giugno, 2015

Ris. 8 giugno 2015, n. 57/E, dell’Agenzia delle entrate

 

Quesito. La Società (di seguito, in breve, la “Società”), ha operato, nel bilancio

relativo all’esercizio chiuso al 31 dicembre 2013, una correzione di errori contabili

commessi in precedenti esercizi.

La correzione contabile, effettuata secondo quanto previsto dallo IAS 8, trova

origine nella non corretta comprensione e rappresentazione in bilancio degli effetti

patrimoniali ed economici di una complessa operazione che prevedeva:

a) l’aumento del capitale sociale da parte della Società sottoscritto da ALFA;

b) la successiva stipulazione di un contratto per la costituzione del diritto di usufrutto, in favore della Società, sulle azioni di nuova emissione.   

La Società avrebbe dovuto versare a  ALFA, in qualità di usufruttuaria, un

corrispettivo annuo qualora: 

  1. nel bilancio relativo all’esercizio precedente quello cui si riferisce il pagamento avesse evidenziato profitti distribuibili;
  2. nel corso dell’anno di competenza avesse deliberato il pagamento di dividendi;
  3. nel corso dell’anno di competenza avesse proceduto a distribuire dividendi agli azionisti.

Tale operazione, nel suo complesso, era stata considerata dalla Banca d’Italia

idonea a determinare un aumento del patrimonio, a condizione che le pattuizioni

contrattuali determinassero il pieno e definitivo trasferimento a terzi (ossia ai

sottoscrittori del prestito obbligazionario) del rischio riferito al capitale a alla

remunerazione. 

A tal fine, Banca d’Italia aveva preteso, tra l’altro, assicurazioni in ordine al

fatto che nel corso del 2008 non fossero stati effettuati pagamenti a ALFA da parte

della Società in relazione al contratto di usufrutto. 

Considerata la qualificazione come strumento di capitale dell’operazione, la

Società:

1) aveva contabilizzato la remunerazione corrisposta a ALFA, quale

corrispettivo dell’usufrutto, come remunerazione dello strumento di

capitale non imputandola a conto economico; 

2) non aveva fiscalmente imputato tale importo alla formazione del reddito

d’esercizio. 

A seguito del rinvenimento di ulteriori documenti è, tuttavia, emerso che –

contrariamente a quanto originariamente supposto – nel corso del 2008 erano stati

effettuati dei pagamenti a ALFA. 

In tale nuovo contesto, sia la Consob che la Banca d’Italia hanno richiesto

alla Società di rettificare il bilancio, al fine di evidenziare nel conto economico i

canoni pagati dal 16 luglio 2008 al 16 aprile 2009. 

Conseguentemente, la Società ha provveduto ad evidenziare, nel bilancio

relativo al 2013, la diversa qualificazione sostanziale e contabile dei canoni pagati a

ALFA. 

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Da un punto di vista fiscale, la Società vorrebbe recuperare i costi non dedotti

nel periodo 2008 (relativi alla remunerazione dello strumento di debito) – e

evidenziati nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2013 – secondo la procedura chiarita

nella circolare n. 31/E del 2013[1].

Al riguardo, l’istante fa presente che il periodo d’imposta 2008 è, per la

Società, ancora suscettibile di accertamento ai sensi dell’articolo 43, terzo comma

del DPR n. 600 del 1973, in quanto in precedenza sono stati rilevati fatti che hanno

comportato obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura

penale.

Ciò premesso, il contribuente chiede di conoscere se sia possibile applicare al

caso di specie la predetta circolare n. 31/E del 2013, considerato che il periodo

d’imposta 2008 è per la Società ancora suscettibile di accertamento, ai sensi

dell’articolo 43, terzo comma del DPR n. 600 del 1973.     

 

Soluzione prospettata dal contribuente. A parere dell’istante, l’applicazione della circolare n. 31/E del 2013 dovrebbe essere consentita verificando i periodi d’imposta ancora suscettibili di accertamento

e, quindi, distinguendo i contribuenti a seconda che la fattispecie abbia o meno

comportato obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura

penale. 

Di conseguenza, il contribuente ritiene che “i principi e le regole che

sovrintendono alla emendazione della dichiarazione debbano essere interpretati nel

senso che è possibile rettificare l’errore commesso nel 2008 in quanto tale periodo

d’imposta è ancora suscettibile di attività accertativa ai sensi del terzo comma

dell’art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973”.

 

Parere dell’Agenzia delle entrate. La circolare n. 31/E del 24 settembre 2013 ha fornito taluni chiarimenti sul corretto trattamento fiscale da applicare nell’ipotesi in cui si proceda a una

correzione di errori contabili per mancata imputazione di componenti negativi e/o

positivi nel corretto esercizio di competenza.

Più precisamente, per evitare fenomeni di doppia imposizione, è riconosciuta

la possibilità di imputare fiscalmente il componente reddituale nel corretto periodo

di competenza e di sterilizzarlo nel momento in cui è imputato in bilancio a seguito

della correzione contabile.

In particolare, ai fini del riconoscimento dei componenti negativi emersi a

seguito della correzione di errori, la circolare ha precisato che qualora l’annualità

oggetto di errore non sia più emendabile con la dichiarazione integrativa a favore,

occorre riliquidare autonomamente la dichiarazione relativa all’annualità

dell’omessa imputazione e, nell’ordine, le annualità successive fino all’annualità

emendabile ai sensi del citato articolo 2, comma 8-bis. 

Per tale ultima annualità, il contribuente presenta apposita dichiarazione

integrativa agli uffici dell’Amministrazione finanziaria, in cui devono confluire le

risultanze delle precedenti riliquidazioni dallo stesso autonomamente effettuate.  

La possibilità per il contribuente di rappresentare all’Amministrazione

Finanziaria l’esistenza di elementi di costo non dedotti in precedenti annualità con la

procedura sopra evidenziata deve, tuttavia, intendersi limitata ai soli periodi

d’imposta ancora suscettibili di attività accertativa al momento di scadenza dei

termini di presentazione della dichiarazione.

In particolare, il riferimento contenuto nella circolare in esame è al termine

contenuto all’articolo 43 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui si

afferma, al primo comma, che “gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a

pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è

stata presentata la dichiarazione”.

Al riguardo, si evidenzia che una “fisiologica” correzione di errori può essere

consentita nei termini ordinari in cui le annualità sono “aperte”, senza che possa

rilevare il maggior termine di cui al comma 3 dell’articolo 43 del DPR n. 600 del

1973, disposto esclusivamente a favore dell’Amministrazione relativamente a

fattispecie “patologiche” per le quali sussiste obbligo di denuncia penale.

In particolare, la finalità della disciplina del raddoppio dei termini di cui al

predetto comma 3 dell’articolo 43, introdotto dal decreto legge 4 luglio 2006, n. 223,

è, tra l’altro, quella di garantire all’Amministrazione finanziaria l’utilizzabilità di

elementi istruttori eventualmente emersi nel corso delle indagini condotte

dall’Autorità giudiziaria per un periodo di tempo più ampio rispetto a quello previsto

ordinariamente per l’accertamento (cfr. circolare n. 54/E del 23 dicembre 2009[2] e

circolare 28/E del 4 agosto 2006[3]).

Pertanto, il più ampio termine di accertamento è previsto a vantaggio

dell’Amministrazione finanziaria al fine di poter utilizzare le risultanze delle

indagini penali. Tale possibilità sarebbe altrimenti preclusa a causa della vigenza del

c.d. doppio binario tra processo penale e procedimento amministrativo.

In tal senso si esprime anche la sentenza della Corte Costituzionale 20 luglio

2011, n. 247, ove si afferma che la ratio legis del raddoppio dei termini risiede nel

“[…] dotare l’amministrazione finanziaria di un maggior lasso di tempo per

acquisire e valutare dati utili a contrastare illeciti tributari […]”.

Di contro, la ratio sottesa al raddoppio dei termini, come sopra delineata, non

appare trasponibile, per analogia, alla possibilità, attribuita al contribuente, di

emendare la dichiarazione oltre i termini ordinari, qualora prorogati per effetto

dell’astratta configurabilità di un reato, in ragione della circostanza che non può

riferirsi al contribuente l’esigenza, propriamente funzionale solo all’attività di

controllo dell’Amministrazione finanziaria, di godere di “un maggior lasso di tempo

per acquisire e valutare dati utili a contrastare illeciti tributari”.

Sulla base delle osservazioni sopra formulate, si reputa che la Società, pur in

presenza della segnalazione di uno dei reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, non possa

utilizzare la procedura di correzione degli errori in bilancio di cui alla circolare n.

31/E del 2013 con riferimento al periodo d’imposta 2008, in quanto gli effetti del

raddoppio dei termini operano esclusivamente a favore dell’Amministrazione

finanziaria”. 



[1] Circ. 24 settembre 2013, n. 31/E, in Boll. Trib., 2013, 1410.

[2] In Boll. Trib., 2010, 48.

[3] In Boll. Trib., 2006, 1285.

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