4 Aprile, 2019

Circolare 1° aprile 2019, n. 6/E, dell’Agenzia delle entrate)

INDICE:
PREMESSA.
1. LA DEFINIZIONE AGEVOLATA.
2. AMBITO DI APPLICAZIONE; 2.1 Controversie attribuite alla giurisdizione tributaria; 2.2 Qualità di parte dell’Agenzia delle entrate; 2.3 Atti oggetto delle liti definibili; 2.3.1 Dinieghi espressi o taciti di rimborso; 2.3.2 Atti che non contengono una pretesa tributaria quantificata; 2.3.3 Dinieghi di precedenti definizioni agevolate; 2.3.4 Ruoli, cartelle di pagamento e avvisi di liquidazione; 2.3.5 Sanzioni per omesso o ritardato versamento; 2.3.6 Tasse automobilistiche; 2.3.7 Accertamenti riguardanti società di persone; 2.3.8 Contributi e premi previdenziali e assistenziali; 2.3.9 Atti concernenti risorse proprie tradizionali dell’Unione europea, IVA riscossa all’importazione e aiuti di Stato.
3. PENDENZA DELLA LITE.
4. DOMANDA DI DEFINIZIONE; 4.1 Termine di presentazione della domanda e controversia autonoma.
5. DETERMINAZIONE DEL VALORE DELLA CONTROVERSIA E DEGLI IMPORTI DOVUTI; 5.1 Percentuali di riduzione; 5.1.1 Cento per cento del valore della controversia; 5.1.2 Novanta per cento del valore della controversia; 5.1.3; Quaranta e quindici per cento del valore della controversia; 5.1.4 Percentuali relative ai casi di soccombenza parziale; 5.1.5 Cinque per cento del valore della controversia; 5.1.6 Percentuali relative alle controversie aventi ad oggetto esclusivamente sanzioni; 5.2 Importi scomputabili; 5.3 Rettifica di perdite.
6. RAPPORTI CON LA DEFINIZIONE AGEVOLATA DEI CARICHI AFFIDATI ALL’AGENTE DELLA RISCOSSIONE.
7. PERFEZIONAMENTO DELLA DEFINIZIONE, TERMINI E MODALITÀ DI PAGAMENTO; 7.1 Effetti del perfezionamento; 7.1.1 Coobbligati.
8. SOSPENSIONE DEI GIUDIZI.
9. SOSPENSIONE DEI TERMINI DI IMPUGNAZIONE.
10. DINIEGO DELLA DEFINIZIONE.
11. ESTINZIONE DEL GIUDIZIO.
12. DEFINIZIONE AGEVOLATA DELLE LITI PENDENTI DI CUI ALL’ARTICOLO 7 DEL D.L. N. 119 DEL 2018; 12.1 Organo giurisdizionale innanzi al quale pende la lite; 12.2 Atti oggetto delle liti pendenti; 12.3 Valore della lite e importi dovuti per la definizione.

«PREMESSA

L’articolo 6 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136 (di seguito: articolo 6), ha introdotto la definizione agevolata delle controversie tributarie “in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio”, nelle quali “il ricorso in primo grado è stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore” del medesimo decreto, ossia entro il 24 ottobre 2018 (1).
Si tratta di un istituto che offre ai contribuenti l’occasione di chiudere le vertenze fiscali attraverso il pagamento di determinati importi correlati al valore della controversia, che viene individuato a norma dell’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, secondo cui “Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”.
La definizione di cui all’articolo 6 presenta rilevanti differenze rispetto alla pregressa definizione agevolata delle controversie pendenti prevista dall’articolo 11 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, che non era limitata ai giudizi aventi ad oggetto i soli atti impositivi, ma comprendeva anche quelli concernenti gli atti di mera riscossione. Tale forma di definizione nasceva, infatti, a completamento dell’effetto definitorio relativo alle controversie interessate dalla prima definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione, contemplata dall’articolo 6 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225 (2).
Inoltre, la definizione introdotta dall’articolo 6, a differenza di quella disciplinata dall’articolo 11 del D.L. n. 50 del 2017 (3), modula le somme dovute in rapporto allo stato e al grado in cui si trova la singola controversia.
Il successivo articolo 7 del D.L. n. 119 del 2018 prevede, alla lettera b) del comma 2, la possibilità, per le società o associazioni sportive dilettantistiche che alla data del 31 dicembre 2017 risultavano iscritte nel registro del CONI, di avvalersi, in determinati casi e a determinate condizioni, della definizione agevolata delle liti, con una modulazione delle somme dovute differente rispetto a quella prevista dall’articolo 6 (vedi paragrafo 12).
Ai sensi del comma 3 del citato articolo 7, le indicate modalità di definizione sono precluse se l’ammontare delle imposte accertate o in contestazione, relativamente ad ogni periodo d’imposta per il quale pende la controversia, è superiore ad euro 30 mila per ciascuna imposta, IRES o IRAP, contestata. In tal caso, rimane comunque ferma la possibilità, per le società o associazioni sportive dilettantistiche, di avvalersi della definizione agevolata prevista dall’articolo 6.

1. LA DEFINIZIONE AGEVOLATA

Sulla base dell’articolo 6, la definizione agevolata delle controversie pendenti può avvenire:
– con il pagamento di una somma pari al valore della controversia qualora, alla data del 24 ottobre 2018, il ricorso in primo grado sia stato notificato all’Agenzia delle entrate, ma non ancora depositato o trasmesso alla segreteria della Commissione tributaria provinciale, oppure il contribuente sia rimasto soccombente nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare (4) depositata e non ancora definitiva alla medesima data;
– con il pagamento del novanta per cento del valore della controversia, in caso di ricorso pendente in primo grado per il quale il contribuente si sia costituito in giudizio alla data del 24 ottobre 2018, ma non abbia ancora ottenuto, alla stessa data, una decisione giurisdizionale non cautelare;
– con il pagamento di un importo percentuale del valore della controversia diversificato in relazione allo stato del giudizio, nelle ipotesi in cui l’Agenzia delle entrate sia risultata soccombente nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata al 24 ottobre 2018;
– con il pagamento del cinque per cento del valore della controversia, nel caso in cui la stessa sia pendente innanzi alla Corte di Cassazione alla data del 19 dicembre 2018 e l’Agenzia delle entrate sia risultata integralmente soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio.
Un diverso trattamento è riservato alle controversie inerenti esclusivamente:
– alle sanzioni non collegate al tributo (5), che possono essere definite con il pagamento del quindici per cento del valore della controversia in caso di soccombenza dell’Agenzia delle entrate nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, depositata alla data del 24 ottobre 2018, e del quaranta per cento negli altri casi;
– alle sanzioni collegate al tributo (6), per la cui definizione non è dovuto alcun importo qualora il rapporto relativo al tributo sia stato definito anche con modalità diverse da quelle previste dallo stesso articolo 6.
Al paragrafo 5 sono dettagliatamente descritte le modalità di determinazione degli importi dovuti per la definizione delle liti.

2. AMBITO DI APPLICAZIONE

L’articolo 6 consente di definire, a seguito di domanda del contribuente, le “controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio”.
L’individuazione delle liti definibili va, quindi, effettuata tenendo conto della natura tributaria della materia oggetto di giudizio, del soggetto parte pubblica in giudizio e della tipologia di atto impugnato.

2.1 Controversie attribuite alla giurisdizione tributaria. Sotto il primo profilo, occorre far riferimento alle disposizioni recate dall’articolo 2 (7) del D.Lgs. n. 546 del 1992, concernente l’oggetto della giurisdizione tributaria. Ne deriva che possono essere definite, purché concernenti questioni devolute alla giurisdizione tributaria, le liti pendenti presso:
– le Commissioni tributarie provinciali, regionali, nonché le Commissioni tributarie di primo e di secondo grado di Trento e Bolzano, anche a seguito di rinvio;
– la Corte di Cassazione.
Si ritiene che siano definibili anche le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria erroneamente instaurate innanzi al Giudice ordinario o a quello amministrativo (ad esempio, atti impositivi impugnati innanzi al Giudice di pace o al TAR). Di contro, non sono definibili le liti in materie diverse da quella tributaria, erroneamente instaurate innanzi alle Commissioni tributarie.

2.2 Qualità di parte dell’Agenzia delle entrate. Il comma 1 dell’articolo 6 richiede che l’Agenzia delle entrate sia parte della lite che si intende definire, mentre il comma 16 dispone che possono facoltativamente avvalersi della medesima definizione agevolata anche gli enti territoriali (Regioni, Province e Comuni), i quali possono stabilire, entro il 31 marzo 2019, con le forme previste dalla legge per l’adozione dei propri atti, l’applicazione delle disposizioni in commento alle controversie in cui essi sono parti.
Pertanto, non rientrano nell’ambito di applicazione della disciplina di cui si tratta le controversie instaurate contro altri enti impositori, come ad esempio l’Agenzia delle dogane e dei monopoli (8).
Per identificare le liti “in cui è parte l’Agenzia delle entrate”, si ritiene che occorra fare riferimento alla nozione di parte in senso formale e, quindi, alle sole ipotesi in cui l’Agenzia delle entrate sia stata evocata in giudizio o, comunque, sia intervenuta. Da ciò consegue che non sono definibili le liti instaurate avverso atti dell’agente della riscossione nelle quali l’Agenzia delle entrate, pur essendo titolare del rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, non sia stata destinataria dell’atto di impugnazione e non sia stata successivamente chiamata in giudizio né sia intervenuta volontariamente.
Sono, quindi, escluse dalla definizione le controversie nelle quali è parte unicamente l’agente della riscossione, ancorché inerenti ai tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate e ad atti aventi comunque natura impositiva (9). Sono invece definibili le liti relative ad atti dotati di natura impositiva che vedono come parte in giudizio, assieme alla stessa Agenzia, anche l’agente della riscossione.
Devono, inoltre, escludersi dalla definizione le controversie vertenti su sanzioni amministrative non tributarie, anche qualora l’Agenzia delle entrate sia stata chiamata in giudizio, come, ad esempio, quelle instaurate avverso le sanzioni irrogate per l’impiego di lavoratori non risultanti dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria (10) o per l’irregolare conferimento di incarichi a dipendenti pubblici (11). In tali casi, pur essendo l’Agenzia delle entrate parte in senso formale, si tratta di liti non rientranti nell’oggetto della giurisdizione tributaria, come definito ai sensi dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

2.3 Atti oggetto delle liti definibili. Il comma 1 dell’articolo 6 prescrive che la definizione agevolata attiene alle controversie pendenti “aventi ad oggetto atti impositivi”, vale a dire avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione di sanzioni, atti di recupero dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati (12) e ogni altro atto di imposizione che rechi una pretesa tributaria quantificata.
Ne deriva che restano escluse dalla definizione le liti avverso gli atti diversi da quelli precedentemente indicati, tra cui quelli individuati nei paragrafi seguenti, che non costituiscono atti impositivi o che non recano una pretesa tributaria determinata.

2.3.1 Dinieghi espressi o taciti di rimborso. Sono escluse dalla possibilità di definizione innanzitutto le controversie vertenti sui dinieghi espressi o taciti di rimborso, le quali non attengono ad una pretesa dell’Agenzia delle entrate di tributi o di maggiori tributi o di sanzioni amministrative, ma a un’istanza di restituzione di somme ritenute dal contribuente indebitamente versate (13).

2.3.2 Atti che non contengono una pretesa tributaria quantificata. L’articolo 6 presuppone che la lite definibile esprima un determinato valore sul quale calcolare gli importi dovuti, rapportato alle somme che risultano in contestazione. Di conseguenza, una vertenza che riguardi esclusivamente la spettanza di un’agevolazione non può essere definita, in quanto in essa non si fa questione di una somma pretesa dall’Agenzia delle entrate, in base alla quale determinare il quantum dovuto per la definizione agevolata.
In altri termini, le controversie aventi ad oggetto le agevolazioni sono definibili soltanto allorché l’Agenzia delle entrate, con l’atto impugnato, non si sia limitata a negare o a revocare il beneficio, ma abbia contestualmente accertato e richiesto anche il tributo o il maggior tributo dovuto. Ovviamente la definizione riguarderà solo la pretesa e non l’agevolazione in astratto.
Per le stesse ragioni va esclusa la definibilità agevolata di tutte le altre liti nelle quali non sia possibile determinare un valore su cui calcolare le somme dovute, quali quelle relative ai provvedimenti di attribuzione della rendita catastale o alla cancellazione di enti dal registro delle ONLUS.

2.3.3 Dinieghi di precedenti definizioni agevolate. Non rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 6 i rapporti tributari e le liti che hanno usufruito di precedenti definizioni agevolate, con particolare riferimento a quelle connesse alla corretta applicazione delle stesse, quali quelle concernenti il rigetto di una precedente domanda di definizione agevolata ovvero l’esatta determinazione delle somme dovute dal contribuente ai fini della definizione agevolata (14).
Resta inteso che, ove ricorrano gli altri presupposti per avvalersi della definizione in esame, sono definibili le liti originarie per le quali non si sia perfezionata una precedente definizione agevolata.

2.3.4 Ruoli, cartelle di pagamento e avvisi di liquidazione. Dal momento che l’articolo 6 limita la definizione agevolata alle controversie inerenti agli atti impositivi, sono esclusi dal suo ambito di applicazione i giudizi riguardanti gli atti di mera riscossione, quali ruoli, cartelle di pagamento e avvisi di liquidazione.
Pertanto, in linea generale, non sono definibili le controversie aventi ad oggetto i ruoli per imposte e ritenute che, sebbene indicate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta nelle dichiarazioni presentate, risultano non versate. I controlli su tali versamenti sono disciplinati dalla lettera f) del comma 2 dell’articolo 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, per le imposte dirette e per l’IRAP, e dalla lettera c) del comma 2 dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, per l’IVA.
Al recupero delle imposte non versate non si provvede, infatti, mediante l’emissione di un atto impositivo che presupponga la rettifica della dichiarazione, ma con un atto di mera riscossione, ricognitivo di quanto indicato dal contribuente o dal sostituto d’imposta nella dichiarazione.
Considerazioni analoghe valgono anche per l’ipotesi disciplinata dal comma 2-bis (15) dell’articolo 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, che prevede la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di controllare la tempestiva effettuazione dei versamenti ancor prima della presentazione della dichiarazione annuale da parte del contribuente o del sostituto d’imposta.
Le disposizioni di cui ai predetti articoli 36-bis e 54-bis, concernenti la liquidazione delle dichiarazioni, consentono di provvedere, in aggiunta al controllo dei versamenti, anche alla rettifica di alcuni dati indicati in dichiarazione e alla conseguente iscrizione a ruolo delle imposte dovute in misura superiore rispetto a quella dichiarata e liquidata dai contribuenti. Analogo discorso vale per il controllo formale delle dichiarazioni dei redditi a norma dell’articolo 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973.
Si pensi, a tal proposito, alla riduzione o all’esclusione delle deduzioni e detrazioni non spettanti sulla base dei dati dichiarati dai contribuenti, mediante la procedura di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973 ovvero alle correzioni effettuate ai sensi dell’articolo 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972.
In tali circostanze il ruolo si differenzia dall’atto di mera riscossione dell’imposta, già dichiarata, liquidata e non versata dal contribuente e, dal momento che scaturisce dalla rettifica della dichiarazione, esso assolve anche una funzione di provvedimento impositivo. Le relative controversie sono ammesse, pertanto, alla definizione, ancorché riguardanti il ruolo (16).
Con riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, delle imposte ipotecarie e catastali e dell’imposta di successione, si osserva che tali atti non presuppongono, di norma, operazioni di rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti.
Occorre tuttavia evidenziare che, ai fini della definizione, rileva la natura sostanziale dell’atto impugnato, che prescinde dal “nomen iuris” utilizzato nella specie. In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione con riferimento all’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, volto a far valere “per la prima volta nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata al momento della richiesta di registrazione” (Cass. 6 ottobre 2010, n. 20731). In questo caso, infatti, l’avviso di liquidazione assume natura di atto impositivo, in quanto destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, in via provvisoria, al momento della richiesta di registrazione (17).
Con la circolare n. 22/E del 28 aprile 2003 , punto 12.3, è stata chiarita anche la questione della definibilità della lite relativa all’avviso di liquidazione dell’imposta principale di successione.
Posto che in sede di liquidazione di tale imposta, l’Ufficio effettua un controllo ai sensi dell’articolo 33 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, volto a correggere errori materiali e di calcolo commessi dal dichiarante e oggettivamente desumibili dal contesto della dichiarazione, ma anche ad escludere riduzioni e detrazioni non spettanti o non documentate e oneri deducibili non documentati, è necessario valutare caso per caso la natura dell’atto amministrativo secondo criteri analoghi a quelli indicati per la liquidazione delle dichiarazioni delle imposte sui redditi, IRAP e IVA.
In breve, nel caso in cui l’Ufficio si limiti a determinare l’entità del tributo dovuto, secondo i dati dichiarati dal contribuente stesso, la lite sull’avviso di liquidazione non è definibile.
Si fa infine presente che la cartella di pagamento, quando è preceduta da un avviso di accertamento, costituisce atto di riscossione della somma dovuta in base all’avviso stesso e non un autonomo atto impositivo. Non è definibile, pertanto, la lite fiscale promossa con l’impugnazione della cartella preceduta dall’avviso di accertamento.
Al contrario, possono essere definite in via agevolata le controversie generate da ricorsi avverso ruoli o cartelle che non siano stati preceduti da atti impositivi presupposti e, conseguentemente, portino per la prima volta il contribuente a conoscenza della pretesa tributaria (18).
In particolare, nelle ipotesi in cui la cartella di pagamento deve essere preceduta dall’avviso di accertamento, la lite è definibile se il contribuente ha proposto ricorso avverso la cartella eccependo l’invalidità della notifica del relativo atto impositivo e sempre che quest’ultimo non costituisca oggetto di distinto giudizio. In altri termini, il contribuente può avvalersi della definizione agevolata, qualora abbia impugnato il ruolo, assumendo di non aver ricevuto una valida notifica dell’avviso di accertamento. In questo caso, la cartella costituisce il primo atto attraverso il quale il contribuente è venuto a conoscenza della pretesa impositiva, essendo in contestazione l’asserita inesistenza o nullità della notifica dell’atto impositivo che, se confermata dal giudice, determina la declaratoria di nullità del ruolo. Ai fini della definibilità della lite, non è necessario che nell’atto introduttivo del giudizio avverso la cartella sia stato richiesto espressamente anche l’annullamento dell’avviso di accertamento, ma è sufficiente che sia stata contestata la validità della relativa notifica, seppure al limitato fine di ottenere l’annullamento del ruolo.
Qualora, invece, l’avviso di accertamento sia stato impugnato, anche Tardivamente (19), in quanto ritenuto irritualmente notificato e, per lo stesso motivo, sia stato proposto un distinto ricorso avverso la successiva cartella di pagamento, la lite da definire è quella concernente l’accertamento. In conseguenza della chiusura di tale lite, si potrà richiedere pronuncia di estinzione per cessazione della materia del contendere anche nel giudizio instaurato avverso la cartella di pagamento.

2.3.5 Sanzioni per omesso o ritardato versamento. Si ritiene che l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’articolo 6 delle controversie aventi ad oggetto atti di mera riscossione comporti, inoltre, la non definibilità in via agevolata dei giudizi concernenti unicamente le sanzioni per omesso o ritardato versamento delle imposte indicate in dichiarazione, irrogate a norma dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (20). Ciò significa, tra l’altro, che ad una lite riguardante la sanzione di omesso versamento in cui il tributo dovuto sia stato eventualmente pagato o comunque definito (21) oppure inerente alla sanzione di ritardato versamento, non può applicarsi l’ultimo periodo del comma 3 dell’articolo 6, secondo il quale, qualora si tratti di “controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non è dovuto alcun importo relativo alle sanzioni qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla presente definizione”.

2.3.6 Tasse automobilistiche. Le controversie inerenti alle tasse automobilistiche dovute dai soggetti residenti nelle Regioni a statuto speciale, nelle quali sia parte l’Agenzia delle entrate, quale ente che ne cura la gestione (22), riguardano principalmente atti con cui si contesta al contribuente l’omesso versamento della tassa dovuta in base alle risultanze dei registri pubblici. In quanto tali, esse non sono definibili.
Anche in questo caso, peraltro, deve ammettersi la definibilità qualora le controversie discendano da atti impositivi diversi dalla mera liquidazione dell’obbligazione tributaria o dal recupero di versamenti omessi.

2.3.7 Accertamenti riguardanti società di persone. Nell’ipotesi in cui l’accertamento impugnato da una società di persone (23) si limiti a rettificare in aumento il reddito imputabile pro quota ai soci, si ritiene che la controversia non sia definibile ai sensi dell’articolo 6, il quale presuppone che la lite definibile esprima un determinato valore sul quale calcolare gli importi dovuti per la definizione (24). Sebbene l’atto di accertamento impugnato dalla società contenga l’indicazione dell’ammontare del reddito o del maggior reddito da imputare per trasparenza ai soci (e dell’IRAP e/o dell’IVA eventualmente accertate in capo alla società), lo stesso non reca alcuna quantificazione né delle imposte né delle sanzioni dovute dai soci. Di conseguenza, l’eventuale definizione della lite da parte della società è ammessa limitatamente alle sole imposte accertate nell’atto e di competenza della medesima (come, ad esempio, l’IRAP), ma non esplica efficacia nei confronti dei soci con riguardo ai redditi di partecipazione accertati in capo a questi ultimi.
Le controversie instaurate dai diversi soci di società di persone in materia di imposte sui redditi da partecipazione, ai soli fini della definizione agevolata, sono da considerarsi come liti autonome.
Qualora alcuni soci definiscano la controversia instaurata con riguardo al proprio reddito di partecipazione, mentre altri scelgano di restare inerti ovvero di proseguire nel proprio giudizio autonomamente incardinato, quest’ultimo non potrà ovviamente intendersi definito e proseguirà autonomamente.

2.3.8 Contributi e premi previdenziali e assistenziali. Nonostante gli avvisi di accertamento relativi alle dichiarazioni dei redditi presentate a partire dal 1° gennaio 1999 rechino, oltre alle imposte accertate, anche l’indicazione dei contributi e premi previdenziali e assistenziali liquidati in base al maggior imponibile accertato, le controversie relative a tali contributi e premi, instaurate nei confronti degli enti previdenziali, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario.
Ne consegue che le controversie riguardanti i contributi non sono definibili ai sensi dell’articolo 6.

2.3.9 Atti concernenti risorse proprie tradizionali dell’Unione europea, IVA riscossa all’importazione e aiuti di Stato. Per espressa previsione del comma 5 dell’articolo 6, sono inoltre “escluse dalla definizione le controversie concernenti anche solo in parte: a) le risorse proprie tradizionali previste dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014 (25), e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione; b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015”.
In base al citato comma 5 dell’articolo 6, la definizione non è ammessa neanche sulla eventuale parte della controversia (riferita al singolo atto impositivo) che non inerisca alle risorse proprie tradizionali dell’Unione europea, all’IVA riscossa all’importazione e agli aiuti di Stato dichiarati in contrasto con il diritto comunitario.
Si evidenzia che l’articolo 5 del medesimo D.L. n. 119 del 2018 disciplina la definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione a titolo di risorse proprie dell’Unione europea.
Resta inteso che sono definibili le controversie in materia di IVA, diversa da quella riscossa all’importazione.
Analogamente a quanto chiarito al paragrafo 3) della circolare n. 2/E dell’8 marzo 2017 (26) e al paragrafo 1.2 della circolare n. 22/E del 28 luglio 2017 (27), devono ritenersi escluse dalla definizione anche le liti relative al recupero di crediti tributari sorti in uno Stato membro dell’Unione europea, in uno Stato estero aderente alla Convenzione OCSE/CoE sulla mutua assistenza amministrativa in materia fiscale o in uno Stato estero con cui l’Italia ha stipulato una convenzione bilaterale in materia di assistenza alla riscossione, poiché si tratta di somme non rientranti nella disponibilità dello Stato italiano.

3. PENDENZA DELLA LITE

Per l’applicazione della definizione, l’articolo 6 richiede che la lite fiscale sia pendente, anche a seguito di rinvio, alla data di entrata in vigore del D.L. n. 119 del 2018, ossia che al 24 ottobre 2018 il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado sia “stato notificato alla controparte” (28). È inoltre necessario che, “alla data di presentazione della domanda, …, il processo non si sia concluso con pronuncia definitiva”.
In sostanza, la definizione delle liti può riguardare soltanto i rapporti pendenti alla data del 24 ottobre 2018 e, comunque, non esauriti alla data di presentazione della domanda. Rimangono, quindi, esclusi:
– i rapporti esauriti alla data del 24 ottobre 2018, in quanto già regolati da pronunce divenute definitive per mancata impugnazione (29) ovvero già regolati da sentenze emesse dalla Corte di Cassazione, che non abbiano disposto il rinvio al giudice di merito. In particolare, la pubblicazione della sentenza di cassazione, attraverso il deposito in cancelleria, individua la fase terminale del processo;
– i rapporti – anche se pendenti alla data del 24 ottobre 2018 – esauriti alla data di presentazione della domanda di definizione, a seguito di deposito di sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, che non abbia disposto il rinvio al giudice di merito (30).
Sono, inoltre, da considerarsi esauriti e, come tali, esclusi dalla definizione in esame, i rapporti per i quali, alla data del 24 ottobre 2018 e a quella di presentazione della domanda, si sia già perfezionata la mediazione tributaria (31), di cui all’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992 ovvero la conciliazione giudiziale (32), disciplinata dagli articoli 48, 48-bis e 48-ter del medesimo decreto.
In definitiva, sono da considerarsi pendenti ai fini della definizione agevolata:
– le controversie per le quali alla data del 24 ottobre 2018 sia stato proposto l’atto introduttivo del giudizio di primo grado (33), non definite alla data di presentazione della domanda di definizione; in particolare, per i giudizi innanzi alle commissioni tributarie, occorre fare riferimento alla data in cui il ricorso introduttivo, anche se ricadente nella disciplina del reclamo e della mediazione di cui all’articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, è stato notificato all’Ufficio, non essendo necessario che, entro il 24 ottobre 2018, vi sia stata anche la costituzione in giudizio (34);
– le liti interessate da una pronuncia in primo o in secondo grado i cui termini di impugnazione non siano ancora scaduti alla data del 24 ottobre 2018 (35);
– le liti pendenti innanzi al giudice del rinvio o, infine, quelle per le quali siano ancora in corso, al 24 ottobre 2018, i termini per la riassunzione.
Al contrario, non possono ritenersi definibili le cosiddette “liti potenziali”, riconducibili a quelle situazioni in cui il ricorso di primo grado non sia stato notificato alla data del 24 ottobre 2018, pur essendo pendenti, alla medesima data, i termini di impugnazione di un atto impositivo notificato al contribuente (36).
Sebbene non previsto espressamente dall’articolo 6, si ritiene che siano ammesse alla definizione anche le liti instaurate mediante ricorsi affetti da vizi di inammissibilità, in quanto proposti oltre i termini prescritti dalla legge ovvero privi dei requisiti di forma e di contenuto previsti dall’articolo 18 del D.Lgs. n. 546 del 1992 (37), purché entro il 24 ottobre 2018 sia stato notificato il ricorso in primo grado e per le quali, alla data di presentazione della domanda di definizione, non sia intervenuta una pronuncia della Cassazione che ne abbia statuito l’inammissibilità (38).
Devono, infine, ritenersi definibili le liti interessate da sentenze per le quali pendono i termini per la proposizione della revocazione ordinaria, ad esclusione delle liti per le quali è stata depositata sentenza della Corte di Cassazione senza rinvio, che si considerano comunque definitive, mentre deve escludersi in ogni caso la possibilità di definizione delle liti nelle quali siano state pronunciate sentenze impugnabili tramite la revocazione straordinaria, atteso che detta impugnazione non preclude il passaggio in giudicato delle sentenze. Si precisa che non può configurarsi pendenza della lite neanche nell’ipotesi in cui alla data del 24 ottobre 2018 sia stata proposta la revocazione straordinaria, in quanto soltanto la pronuncia che accoglie la domanda di revocazione può far venir meno la sentenza impugnata (39).

4. DOMANDA DI DEFINIZIONE

Il comma 1 dell’articolo 6 subordina la definizione alla presentazione di un’apposita domanda, da inoltrare telematicamente all’Ufficio dell’Agenzia delle entrate parte in giudizio compilando il modello conforme a quello approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 39209 del 18 febbraio 2019, emesso ai sensi del comma 15 dell’articolo 6 (40).
Ai fini della definizione, la lite deve essere ancora pendente alla data di presentazione della domanda, ossia, come recita il comma 4 dell’articolo 6, le liti sono definibili qualora “alla data di presentazione della domanda di cui al comma 1 il processo non si sia concluso con una pronuncia definitiva”.
Come già precisato, si deve considerare non definibile, in quanto sostanzialmente non più pendente, la lite per la quale alla predetta data sia perfezionato un accordo di mediazione o di conciliazione giudiziale (41) (cfr. paragrafo 3) e quella per la quale sia intervenuta, dopo il 24 ottobre 2018, una sentenza di cassazione senza rinvio; al riguardo si sottolinea che il contribuente interessato alla definizione ha la facoltà di chiedere, all’Organo giurisdizionale presso il quale pende la lite, la sospensione del giudizio, ai sensi del comma 10 dell’articolo 6 (cfr. paragrafo 8).
L’onere di presentare la domanda di definizione grava sul “soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio” o su “chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione”. Ne consegue che, nel caso in cui si intenda definire la lite, la domanda va presentata a cura del soggetto che ha proposto ricorso nel primo grado di giudizio oppure di chi è subentrato a tale soggetto, ad esempio a titolo di successione universale o particolare, ex articoli 110 e 111 c.p.c.

4.1 Termine di presentazione della domanda e controversia autonoma. Il comma 8 dell’articolo 6 stabilisce che “Entro il 31 maggio 2019, per ciascuna controversia autonoma è presentata una distinta domanda di definizione esente dall’imposta di bollo ed effettuato un distinto versamento. Per controversia autonoma si intende quella relativa a ciascun atto impugnato”.
Pertanto, il termine per il pagamento e per la successiva presentazione della domanda di definizione scade il 31 maggio 2019 (42).
Qualora con il medesimo ricorso introduttivo del giudizio siano stati impugnati più atti, il ricorrente è tenuto a presentare una distinta domanda per ciascun atto; ciascuna controversia autonoma deve essere integralmente definita, nel senso che non sono ammesse definizioni parziali dei singoli atti impugnati.
È, inoltre, irrilevante l’eventuale riunione di più giudizi, posto che di Regola (43) in questo caso va presentata una distinta domanda per ciascun atto impugnato. Ciò comporta fra l’altro che è ammissibile la definizione parziale delle controversie introdotte con ricorso cumulativo oppure oggetto di riunione da parte del giudice; in tal caso la definizione comporta l’estinzione solo “parziale” del giudizio, che prosegue per la parte non oggetto di definizione.

5. DETERMINAZIONE DEL VALORE DELLA CONTROVERSIA E DEGLI IMPORTI DOVUTI

In base alle disposizioni dell’articolo 6, la definizione avviene con il pagamento di determinati importi rapportati al valore della controversia.
Ai fini della determinazione dell’effettivo valore della controversia, vanno comunque esclusi gli importi di cui all’atto impugnato che eventualmente non formano oggetto della materia del contendere, come avviene, in particolare, in caso di contestazione parziale dell’atto impugnato, di formazione di un giudicato interno, di conciliazione o mediazione perfezionate che non abbiano definito per intero la lite ovvero in caso di parziale annullamento dell’atto a seguito di esercizio del potere di autotutela da parte dell’Ufficio, formalizzato tramite l’emissione di apposito provvedimento.
In conformità all’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, per la determinazione del valore della controversia non rilevano, invece, le eventuali proposte di accordo relative a mediazioni e conciliazioni o anche ad accertamenti con adesione, non perfezionatisi, ai quali abbia fatto seguito, rispettivamente, la costituzione in giudizio, la prosecuzione o l’instaurazione del giudizio da parte del contribuente (44).
In sintesi, quindi, il valore della controversia coincide con il valore del tributo in contestazione e, nelle liti vertenti sulle sole sanzioni, con il valore delle sanzioni in contestazione (45).
Ai sensi dell’articolo 6, la somma dovuta per la definizione, il cosiddetto “importo lordo dovuto”, costituisce, dunque, il risultato dell’applicazione delle specifiche percentuali previste dalla norma agli importi spettanti all’Agenzia delle entrate, nella misura in cui essi risultano in contestazione.

5.1 Percentuali di riduzione. Al valore della controversia, come sopra individuato, si applicano le percentuali di riduzione stabilite dai commi 1, 1-bis, 2, 2-bis, 2-ter e 3 dell’articolo 6, di seguito descritte, in relazione allo stato e al grado in cui pende la controversia medesima.

5.1.1 Cento per cento del valore della controversia. A norma del comma 1 dell’articolo 6, “Le controversie … pendenti in ogni stato e grado del giudizio … possono essere definite … con il pagamento di un importo pari al valore della controversia”.
Rientrano in tale previsione, che per la definizione richiede il pagamento di un importo corrispondente al cento per cento del valore della controversia, le ipotesi nelle quali:
– l’Agenzia delle entrate è risultata vincitrice nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data del 24 ottobre 2018;
– il contribuente ha notificato il ricorso, alla stessa data, all’Agenzia delle entrate, ma a tale data non si è ancora costituito in giudizio tramite il deposito o la trasmissione del ricorso stesso alla segreteria della Commissione tributaria provinciale ai sensi dell’articolo 22, comma 1 (46), del D.Lgs. n. 546 del 1992.

5.1.2 Novanta per cento del valore della controversia. Il comma 1-bis dell’articolo 6, inserito in sede di conversione dalla legge n. 136 del 2018, stabilisce che, “In caso di ricorso pendente iscritto nel primo grado, la controversia può essere definita con il pagamento del 90 per cento del valore della controversia”.
La norma fa riferimento alle ipotesi di ricorso pendente per il quale il contribuente, alla data del 24 ottobre 2018, si sia già costituito in giudizio attraverso il deposito o la trasmissione del ricorso alla segreteria della Commissione tributaria provinciale, ma, alla stessa data, la Commissione non abbia ancora depositato una pronuncia giurisdizionale non cautelare.
La medesima percentuale si applica anche nei casi in cui, al 24 ottobre 2018, pendano i termini per la riassunzione a seguito di sentenza di cassazione con rinvio ovvero penda il giudizio di rinvio a seguito di avvenuta riassunzione (47).
L’assunto è conforme alle argomentazioni contenute nella Relazione illustrativa al D.L. n. 119 del 2018, ove si precisa che “Nel caso in cui sia intervenuta sentenza di Cassazione con rinvio, la controversia si considera pendente in primo grado senza decisione, in coerenza con la previsione dell’articolo 68, comma 1, lett. c-bis (48), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in materia di riscossione in pendenza del giudizio di rinvio”.

5.1.3 Quaranta e quindici per cento del valore della controversia. A norma del comma 2, lettere a) e b), dell’articolo 6, se l’Agenzia delle entrate è risultata soccombente “nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata” alla data del 24 ottobre 2018, “le controversie possono essere definite con il pagamento:
a) del 40 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado;
b) del 15 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado”.
Le predette percentuali valgono anche nell’ipotesi in cui la Commissione tributaria provinciale o la Commissione tributaria regionale si siano pronunciate in qualità di giudici del rinvio, ai sensi dell’articolo 59 (49) o dell’articolo 63 (50) del D.Lgs. n. 546 del 1992.

5.1.4 Percentuali relative ai casi di soccombenza parziale. Il comma 2-bis dell’articolo 6 prevede che, “In caso di accoglimento parziale del ricorso o comunque di soccombenza ripartita tra il contribuente e l’Agenzia delle entrate, l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni è dovuto per intero relativamente alla parte di atto confermata dalla pronuncia giurisdizionale e in misura ridotta, secondo le disposizioni di cui al comma 2, per la parte di atto annullata”.
Si tratta di una disposizione a carattere ricognitivo, introdotta in sede di conversione dalla legge n. 136 del 2018, che disciplina espressamente il trattamento applicabile nei casi di reciproca soccombenza del contribuente e dell’Agenzia delle entrate nell’unica o ultima pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data del 24 ottobre 2018. Tale trattamento era stato, infatti, già evidenziato nella Relazione illustrativa al D.L. n. 119 del 2018, in cui si afferma che “Per il caso di soccombenza parziale le medesime misure (previste dal comma 2 dell’articolo 6, n.d.r.) si applicano limitatamente alla parte del valore della controversia in cui l’Agenzia delle entrate è risultata soccombente” (51).
Di conseguenza, considerato che le somme dovute dipendono dall’esito del giudizio e quindi dalla soccombenza di ciascuna parte, in tal caso trovano applicazione sia la percentuale ridotta, stabilita per la soccombenza dell’Agenzia delle entrate in primo o in secondo grado, sia quella del cento per cento, contemplata per la soccombenza del contribuente.
Più precisamente, le suddette percentuali andranno applicate sulla base dei seguenti criteri:
a) in caso di reciproca soccombenza nella pronuncia della Commissione tributaria provinciale, si applicherà il quaranta per cento sulla parte del valore della lite per la quale tale pronuncia ha statuito la soccombenza dell’Agenzia delle entrate e il cento per cento sulla restante parte;
b) in caso di reciproca soccombenza nella pronuncia della Commissione tributaria regionale, si applicherà il quindici per cento sulla parte del valore della lite per la quale tale pronuncia ha statuito la soccombenza dell’Agenzia delle entrate e il cento per cento sulla restante parte.
Così, ad esempio, se un contribuente ha integralmente impugnato un avviso di accertamento recante una maggiore imposta di 20.000 euro e la sentenza di primo grado ha annullato parzialmente l’avviso di accertamento, confermando la pretesa in relazione a 15.000 euro, il valore della lite è comunque pari all’importo in contestazione, vale a dire a 20.000 euro.
L’“importo lordo dovuto” per definire la lite sarà pari al quaranta per cento di 5.000 euro (imposta annullata dalla sentenza) e al cento per cento di 15.000 euro (imposta confermata dalla sentenza), per un totale di 17.000 euro.

5.1.5 Cinque per cento del valore della controversia. Il comma 2-ter dell’articolo 6, inserito in sede di conversione dalla legge n. 136 del 2018, prevede la possibilità di definire, “con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore”, le controversie tributarie “pendenti innanzi alla Corte di Cassazione, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per le quali l’Agenzia delle entrate risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio”.
La percentuale del cinque per cento è, quindi, applicabile nel solo caso in cui ricorrano cumulativamente le seguenti condizioni:
– il ricorso penda innanzi alla Suprema Corte alla data del 19 dicembre 2018 (52), a seguito di avvenuta notifica a controparte (53);
– l’Agenzia delle entrate sia rimasta integralmente soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio.
Ne deriva che sono escluse dalla previsione del comma 2-ter dell’articolo 6 le ipotesi in cui alla data del 19 dicembre 2018 non sia stato ancora notificato il ricorso per cassazione, ma pendeva il termine per la relativa proposizione, ancorché caratterizzate dalla soccombenza dell’Agenzia delle entrate nei precedenti gradi di giudizio. In dette ipotesi risulta invero applicabile la lettera b) del comma 2 dell’articolo 6, che consente di definire la controversia con il pagamento del quindici per cento del relativo valore.
Inoltre, la definizione con il pagamento di un importo pari al cinque per cento del valore della controversia trova applicazione esclusivamente con riferimento alle controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione per le quali l’Agenzia delle entrate sia risultata integralmente soccombente nei precedenti gradi del giudizio.
Non sono pertanto definibili con la riduzione al cinque per cento le liti per le quali l’Amministrazione sia risultata anche parzialmente vittoriosa – indipendentemente dalla misura – in almeno uno dei precedenti gradi (54).
La soccombenza dell’Agenzia delle entrate è determinata dal raffronto tra quanto richiesto dal contribuente e quanto deciso dall’organo giurisdizionale adito e si considera “integrale” quando la domanda del contribuente sia stata accolta. Si ritiene che ai fini del presupposto della soccombenza non rilevi l’eventuale compensazione delle spese di lite disposta dal giudice.

5.1.6 Percentuali relative alle controversie aventi ad oggetto esclusivamente sanzioni. Il comma 3 dell’articolo 6 dispone che “Le controversie relative esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo possono essere definite con il pagamento del quindici per cento del valore della controversia in caso di soccombenza dell’Agenzia delle entrate nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, depositata alla data” del 24 ottobre 2018, “e con il pagamento del quaranta per cento negli altri casi. In caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non è dovuto alcun importo relativo alle sanzioni qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla presente definizione”.
Pertanto, a fronte di una controversia relativa esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo:
– se l’Agenzia delle entrate è risultata soccombente nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data del 24 ottobre 2018, l’“importo lordo dovuto” è pari al quindici per cento del valore della controversia;
– se il contribuente è risultato soccombente nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data del 24 ottobre 2018 ovvero a tale data non è stata ancora depositata alcuna pronuncia oppure a seguito di pronuncia di cassazione con rinvio, per la quale sia stata proposta riassunzione ovvero penda il relativo termine, l’“importo lordo dovuto” è pari al quaranta per cento del valore della lite.
Considerato che la disposizione in commento prevede una disciplina speciale per la definizione delle liti aventi ad oggetto le sanzioni non collegate al tributo, si ritiene che le percentuali sopra indicate si applichino in tutti i casi di pendenza delle relative controversie, incluse quelle pendenti in cassazione ed eventualmente anche interessate dalla soccombenza integrale dell’Agenzia nei precedenti gradi di giudizio (55).
Per le liti che attengono esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, occorre verificare se l’importo relativo agli stessi tributi sia stato definito, anche con altra tipologia di definizione, o sia stato comunque pagato (56). In tali casi, la lite si definisce senza versare alcun importo, vale a dire con la sola presentazione della domanda di definizione entro il 31 maggio 2019. A tal proposito si ricorda, come già indicato al paragrafo 2.3.4, che non sono in ogni caso definibili, in quanto non riferite ad atti impositivi ma di mera riscossione, le controversie aventi ad oggetto i ruoli recanti imposte e ritenute, e/o le relative sanzioni per omesso o tardivo versamento che, sebbene indicate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta nelle dichiarazioni presentate, risultano non versate o versate tardivamente.
Diversamente, in caso di mancata definizione dell’importo concernente i tributi, le liti vertenti esclusivamente sulle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono sono definibili sulla base degli importi desumibili dai commi 1, 1-bis, 2, e 2-ter dell’articolo 6, descritti sub precedenti paragrafi 5.1.1, 5.1.2, 5.1.3 e 5.1.5.
Si aggiunge che, analogamente a quanto rappresentato sub paragrafo 5.1.4, in caso di reciproca soccombenza verificatasi in una lite vertente esclusivamente sulle sanzioni collegate al tributo, trovano applicazione sia la percentuale ridotta, stabilita per la soccombenza dell’Agenzia delle entrate in primo o in secondo grado, sia quella del cento per cento, contemplata per la soccombenza del contribuente. Inoltre, se la reciproca soccombenza attiene a una lite avente ad oggetto unicamente sanzioni non collegate al tributo, la definizione richiede il pagamento di un importo pari al quindici per cento sulla parte del valore della lite per la quale l’Agenzia delle entrate è risultata soccombente e del quaranta per cento sulla restante parte.
Come già indicato al paragrafo 5 della circolare n. 23/E del 2017 , per sanzioni collegate al tributo devono intendersi quelle previste per le violazioni che hanno inciso sulla determinazione o sul versamento del tributo (57).

5.2 Importi scomputabili. Dall’“importo lordo dovuto” per la definizione vanno scomputati, ai sensi del comma 9 dell’articolo 6, “quelli già versati a qualsiasi titolo in pendenza di giudizio”.
Più specificamente, l’importo da versare per la definizione, cosiddetto “importo netto dovuto”, si calcola al netto di:
a) somme pagate (58) prima della presentazione della domanda di definizione a titolo di riscossione provvisoria in pendenza del termine di impugnazione dell’atto (59) ovvero in pendenza del giudizio (60). Possono essere scomputati tutti gli importi di spettanza dell’Agenzia delle entrate pagati, in particolare, a titolo provvisorio per tributi, sanzioni amministrative, interessi, sempre che siano ancora in contestazione nella lite che si intende definire (61). Si ritiene che tra le somme scomputabili rientrino altresì gli interessi per dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo o affidate (62). In sintesi, vanno scomputati tutti gli importi in contestazione di spettanza dell’Agenzia delle entrate, già pagati in esecuzione dell’atto impugnato. Sono esclusi gli importi di spettanza dell’agente della riscossione (aggi, spese per le procedure esecutive, spese di notifica, etc.);
b) somme pagate ai fini della definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione. In particolare, qualora l’iscrizione a ruolo o l’affidamento del carico, relativi all’atto in contestazione, siano oggetto di definizione ai sensi dell’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148 (63), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172 (c.d. “rottamazione-bis”), dalle somme dovute per la definizione della lite vanno detratte quelle già pagate64 in dipendenza della definizione del carico. Ovviamente, poiché le somme scomputabili sono solo quelle di spettanza dell’Agenzia delle entrate (65), non vanno dedotti gli importi di spettanza dell’agente della riscossione (66).
A seguito della presentazione della domanda di definizione delle controversie pendenti, le residue somme dovute per la definizione agevolata dei carichi non devono essere più versate, in quanto rimangono dovute nell’ambito della definizione delle liti, con sostanziale rinuncia alla definizione agevolata dei carichi (cfr. paragrafo 6).
Se le somme già versate in pendenza di giudizio o pagate per la definizione agevolata dei carichi risultano maggiori o uguali all’“importo lordo dovuto” per la definizione della lite, per il perfezionamento della medesima non occorrerà effettuare alcun versamento, fermo restando l’obbligo di presentare la domanda di definizione entro il termine del 31 maggio 2019.
Si evidenzia in ogni caso che, qualora le somme già versate in pendenza di giudizio siano di ammontare superiore rispetto all’“importo lordo dovuto” per la chiusura della lite, non spetta il rimborso della differenza. In tal senso dispone il comma 9 dell’articolo 6, secondo cui “La definizione non dà comunque luogo alla restituzione delle somme già versate ancorché eccedenti rispetto a quanto dovuto per la definizione”.
In altri termini, la possibilità di rimborsare somme già versate che risultino eccedenti rispetto al costo della definizione resta sempre esclusa (67).

5.3 Rettifica di perdite. Per quanto concerne la determinazione dell’importo dovuto per la definizione delle liti originate dall’impugnazione di un atto di accertamento con il quale si è provveduto alla rettifica delle perdite, si confermano le indicazioni già fornite con le circolari n. 17/E del 21 marzo 2003 , n. 48/E del 2011 (68) e n. 22/E del 2017.
Pertanto, occorre distinguere le due diverse ipotesi in cui il contribuente intenda:
– definire la lite ma non affrancare la perdita;
– definire la lite e affrancare la perdita.
Nella prima ipotesi, il valore della lite è dato dalla maggiore imposta accertata e la definizione non comporta l’utilizzabilità delle perdite oggetto di rettifica.
Nella seconda ipotesi, il valore della lite si ottiene sommando alle maggiori imposte accertate anche l’imposta “virtuale” commisurata all’ammontare delle perdite in contestazione ed in tal caso la definizione della lite comporta l’utilizzabilità delle perdite oggetto di rettifica. Se, in particolare, la rettifica delle perdite non ha comportato accertamento di imposte, il valore della lite rilevante ai fini della definizione è determinato sulla base della sola imposta “virtuale”, che si ottiene applicando le aliquote vigenti per il periodo d’imposta oggetto di accertamento all’importo risultante dalla differenza tra la perdita dichiarata e quella accertata.

6. RAPPORTI CON LA DEFINIZIONE AGEVOLATA DEI CARICHI AFFIDATI ALL’AGENTE DELLA RISCOSSIONE

Il comma 7 dell’articolo 6 stabilisce che “Nel caso in cui le somme interessate dalle controversie definibili … sono oggetto di definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione ai sensi dell’articolo 1, comma 4, del” D.L. n. 148 del 2017, “il perfezionamento della definizione della controversia è in ogni caso subordinato al versamento entro il 7 dicembre 2018 delle somme di cui al comma 21 dell’articolo 3 del presente decreto”.
In altri termini, il perfezionamento della definizione agevolata della controversia è sempre subordinato al versamento, entro il 7 dicembre 2018, delle residue somme dovute per effetto dell’articolo 1, commi 6 e 8, lettera b) (69), del D.L. n. 148 del 2017, in scadenza nei mesi di luglio, settembre e ottobre 2018, come previsto dall’articolo 3, comma 21 (70), del D.L. n. 119 del 2018.
In assenza di tale versamento entro il termine sopra indicato, pertanto, l’istanza di definizione della lite non può essere accolta. Inoltre, considerato che, a differenza della definizione dei carichi di cui all’articolo 1, comma 4, del D.L. n. 148 del 2017, la definizione delle liti prevista dall’articolo 6 stabilisce il pagamento con determinate percentuali delle sole imposte o delle sole sanzioni, ne deriva che le residue somme da versare per la definizione agevolata del carico non saranno più dovute, restando assorbite dagli importi dovuti nell’ambito della definizione delle liti, con sostanziale rinuncia alla definizione agevolata dei carichi.
Per le medesime considerazioni, si deve ritenere che a seguito del perfezionamento della definizione agevolata delle liti gli eventuali ruoli da contenzioso interessati dalla definizione non dovranno essere inclusi tra quelli da “rottamare” sulla base dell’articolo 3 del D.L. n. 119 del 2018.
Infine, si precisa che le modifiche apportate all’articolo 3, comma 23, del D.L. n. 119 del 2018, in forza dell’articolo 1-bis, comma 1, lettera a), del decreto legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, non producono effetti in relazione a quanto prescritto dal comma 7 dell’articolo 6. Invero, stante il tenore letterale delle predette modifiche, che consentono a coloro che non abbiano versato alla data del 7 dicembre 2018 le somme dovute per la “rottamazione” dei carichi, di definire le restanti somme mediante pagamento in unica soluzione entro il 31 luglio 2019 ovvero in dieci rate trimestrali di pari importo, si ritiene che tale riapertura dei termini di pagamento abbia effetto ai soli fini della definizione dei relativi carichi e non anche ai fini della possibilità di accedere alla definizione delle liti nel caso di omesso versamento di quanto dovuto entro il 7 dicembre 2018.

7. PERFEZIONAMENTO DELLA DEFINIZIONE, TERMINI E MODALITÀ DI PAGAMENTO

Per espressa disposizione del comma 6 dell’articolo 6, la definizione si perfeziona con il pagamento, entro il termine perentorio del 31 maggio 2019, dell’intera somma da versare, ossia dell’intero “importo netto dovuto” per ciascuna controversia autonoma, oppure della prima rata e con la presentazione della domanda entro lo stesso termine. Qualora non vi siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda, entro il medesimo termine perentorio.
Il pagamento rateale è ammesso soltanto nel caso in cui l’“importo netto dovuto” sia superiore a mille euro per ciascuna controversia autonoma; conseguentemente le somme inferiori o pari a tale cifra vanno sempre versate in unica soluzione, entro il citato termine perentorio del 31 maggio 2019.
Le somme superiori a mille euro possono essere versate in un massimo di venti rate trimestrali di pari importo, di cui:
– la prima scade, come si è detto, il 31 maggio 2019;
– quelle successive alla prima scadono “il 31 agosto, 30 novembre, 28 febbraio e 31 maggio di ciascun anno a partire dal 2019”;
– l’ultima rata scade il 28 febbraio 2024.
Considerato che la norma consente il versamento fino a un massimo di venti rate, è facoltà del contribuente eseguire il versamento in un numero inferiore di rate, tenendo presente che, anche in tal caso, queste ultime devono avere pari importo e vanno corrisposte trimestralmente, secondo le scadenze sopra riportate.
Sulle rate successive alla prima si applicano gli interessi legali calcolati dal 1° giugno 2019, fino alla data del versamento. Inoltre, non è ammesso il pagamento tramite la compensazione, prevista dall’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, come espressamente stabilito dal penultimo periodo del comma 6 dell’articolo 6. Ciò significa che, nell’ipotesi di pagamento tramite compensazione dell’intero importo dovuto o della prima rata entro il 31 maggio 2019, la definizione è da considerarsi comunque non perfezionata e gli Uffici procedono alla notifica del diniego entro il 31 luglio 2020, a norma del comma 12 dell’articolo 6.
Per ciascuna controversia autonoma, come individuata sub paragrafo 4.1, va presentata una distinta domanda di definizione e va effettuato un separato versamento. Di conseguenza, se con il medesimo ricorso introduttivo del giudizio sono stati impugnati più atti ovvero se più giudizi sono stati riuniti dall’Organo giurisdizionale, il contribuente è tenuto a presentare distinte domande e ad effettuare separati versamenti per ciascun atto impugnato.
Per il versamento da effettuarsi tramite modello F24 devono essere utilizzati i codici tributo istituiti con la risoluzione n. 29/E del 21 febbraio 2019 .
Come indicato nelle istruzioni al modello di domanda di definizione agevolata delle controversie, allegato al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 39209 del 18 febbraio 2019, l’“importo netto dovuto” va ripartito tra i codici tributo in proporzione ai diversi importi che compongono l’“importo lordo dovuto”.

7.1 Effetti del perfezionamento. L’ultimo periodo del comma 9 dell’articolo 6 dispone che “Gli effetti della definizione perfezionata prevalgono su quelli delle eventuali pronunce giurisdizionali non passate in giudicato anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
In altri termini, con il perfezionamento, la definizione agevolata retroagisce e prevale sull’efficacia di eventuali sentenze depositate prima del 24 ottobre 2018 e non passate in giudicato alla data di presentazione della domanda di definizione agevolata della controversia.
Pertanto, a seguito del perfezionamento della definizione della lite, tali sentenze, in deroga a quanto disposto dall’articolo 68 del D.Lgs. n. 546 del 1992, cessano di costituire titolo per eventuali rimborsi o sgravi.
Le medesime considerazioni valgono anche per le sentenze eventualmente depositate dopo il 24 ottobre 2018.
Nel caso di controversia innanzi alla Suprema Corte per la quale il contribuente non abbia chiesto la sospensione del processo, si ritiene invece che la domanda di definizione presentata dopo l’eventuale deposito della sentenza di cassazione senza rinvio non possa produrre alcun effetto sull’efficacia della pronuncia ormai definitiva (71). Nel caso opposto (di istanza anteriore alla sentenza) la decisione della Suprema Corte – sia a favore che contro il contribuente – dovrà considerarsi inutiliter data.

7.1.1 Coobbligati. In presenza di più coobbligati, la definizione effettuata da parte di uno di essi esplica efficacia anche a favore degli altri. In tal senso dispone il comma 14 dell’articolo 6, secondo cui “La definizione perfezionata dal coobbligato giova in favore degli altri, inclusi quelli per i quali la controversia non sia più pendente, fatte salve le disposizioni del secondo periodo del comma 8 (rectius: 9, n.d.r.) (72)”, sopra riportate.
Si tratta di norma sostanzialmente analoga a quella contenuta nel comma 10 dell’articolo 16 della legge n. 289 del 2002, applicabile anche nell’ambito della chiusura delle c.d. liti fiscali minori, prevista dall’articolo 39, comma 12, del D.L. n. 98 del 2011, nonché nel comma 11 dell’articolo 11 del D.L. n. 50 del 2017, per cui si rinvia alle indicazioni contenute, sullo specifico punto, nei documenti di prassi concernenti le predette disposizioni legislative e, da ultimo, nella circolare n. 22/E del 2017, paragrafo 6.1.1.
Si aggiunge che, come precisato al paragrafo 6.1 della circolare n. 23/E del 25 settembre 2017 (73), “ciascun coobbligato solidale che decide di avvalersi della definizione non potrà scomputare dalle somme dovute per la definizione i versamenti già effettuati a titolo provvisorio dagli altri coobbligati che non si siano avvalsi personalmente della definizione”.
Lo scomputo è, quindi, ammesso solo in relazione alle somme eventualmente versate in via provvisoria dagli altri coobbligati che si avvalgono a loro volta della definizione e che in tal modo accettano anch’essi l’estinzione della controversia; in tal caso il pagamento potrà essere effettuato per la differenza da uno solo dei coobbligati, mentre gli altri devono definire la controversia con la sola presentazione dell’istanza.
Il rimborso delle somme eventualmente versate in eccesso rispetto a quanto dovuto per la definizione, invece, è sempre escluso, tenuto conto del combinato disposto dei commi 9 e 14 dell’articolo 6.

8. SOSPENSIONE DEI GIUDIZI

Anche per la definizione delle liti in commento, analogamente a quella disciplinata dall’articolo 11 del D.L. n. 50 del 2017, il legislatore non ha disposto la sospensione automatica dei processi oggetto della definizione agevolata né ha attribuito alla presentazione della domanda di definizione l’effetto di sospendere il relativo giudizio.
Il comma 10 dell’articolo 6 prevede che “Le controversie definibili non sono sospese, salvo che il contribuente faccia apposita richiesta … . In tal caso il processo è sospeso fino al 10 giugno 2019” e che “il processo resta sospeso fino al 31 dicembre 2020”, se, entro la predetta data del 10 giugno 2019, “il contribuente deposita presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata”. Al comma 13 del medesimo articolo è stabilito peraltro che “In mancanza di istanza di trattazione presentata entro il 31 dicembre 2020 dalla parte interessata il processo è dichiarato estinto con decreto del Presidente”.
I giudizi definibili ai sensi dell’articolo 6 sono dunque sospesi su richiesta del contribuente.
In particolare, la domanda di sospensione del giudizio va avanzata anche dal contribuente che non si sia ancora avvalso della definizione agevolata e senza che dalla eventuale domanda di sospensione conseguano effetti vincolanti per l’adesione alla definizione. Una volta presentata la domanda di definizione, il contribuente è tenuto a depositare, entro il 10 giugno 2019, copia della domanda e del relativo versamento in unica soluzione o della prima rata ovvero, laddove non siano previsti versamenti, copia della sola domanda di definizione, al fine di ottenere la sospensione del giudizio fino al 31 dicembre 2020.
La richiesta di sospensione va presentata al giudice presso il quale la causa è pendente; si ritiene che essa possa essere avanzata anche dal difensore del contribuente, senza necessità di procura speciale (74), in forma scritta oppure, in sede di trattazione della causa in pubblica udienza, anche oralmente.
La richiesta di sospensione può risultare opportuna in relazione alle controversie pendenti in Cassazione, al fine di evitare che il deposito della pronuncia della Suprema Corte possa definire il giudizio, impedendo, ai sensi del comma 4 dell’articolo 6, la presentazione della domanda di definizione.
Si ricorda infine che la sospensione del giudizio prima della presentazione della domanda non equivale alla sospensione cautelare dell’efficacia esecutiva dell’atto impugnato e, più in generale, dell’attività di riscossione in pendenza di giudizio (75).

9. SOSPENSIONE DEI TERMINI DI IMPUGNAZIONE

Ai sensi del comma 11 dell’articolo 6, relativamente alle liti che possono essere definite, sono sospesi ope legis, per un periodo di nove mesi, “i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 luglio 2019”.
Pertanto, se la lite rientra tra quelle definibili, è automaticamente (76) sospeso per nove mesi il termine – breve o lungo – per impugnare, in via principale o incidentale, le pronunce, quello per riassumere la causa a seguito di rinvio e quello per proporre il controricorso innanzi alla Corte di Cassazione, purché spiranti nel periodo ricompreso tra il 24 ottobre 2018 e il 31 luglio 2019.
Rientrano nella sospensione tutti i termini di impugnazione di pronunce decisorie, compreso quello per la proposizione del reclamo contro i provvedimenti presidenziali di cui all’articolo 28 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché il termine per la proposizione del controricorso in cassazione. (76) La sospensione è rilevabile d’ufficio dal giudice e opera senza necessità che le parti facciano richiesta.
Dalla sospensione automatica sono invece esclusi tutti gli altri termini processuali, compresi quelli per la proposizione del ricorso in primo grado e quelli per la costituzione in giudizio del contribuente e dell’Ufficio in Commissione tributaria provinciale e regionale.
La durata della sospensione è predeterminata in nove mesi, che si aggiungono al termine di scadenza calcolato secondo le ordinarie regole processuali (77).
Inoltre, la durata della sospensione resta pari a nove mesi anche nei casi in cui si sovrapponga al periodo di sospensione feriale dei termini (cfr., ex multis, Cass. 12 aprile 2017, n. 9438, e 17 dicembre 2014, n. 26530) (78).
La sospensione dei termini, come già evidenziato, opera per tutte le controversie astrattamente riconducibili all’ambito di applicazione dell’articolo 6. Non opera, quindi, in ordine alle liti non definibili (quali, ad esempio, le liti avverso atti che non hanno natura impositiva, quelle in materia di rimborso e quelle di valore indeterminabile), per le quali è necessario rispettare gli ordinari termini di legge per l’impugnazione delle relative pronunce e per la riassunzione del giudizio.
Inoltre, in presenza di dubbi circa la definibilità della controversia, si ritiene opportuno che gli uffici provvedano ad effettuare le impugnazioni, le riassunzioni e a proporre il controricorso, a scopo prudenziale, secondo le ordinarie scadenze, non tenendo conto della sospensione.

10. DINIEGO DELLA DEFINIZIONE

Agli Uffici dell’Agenzia delle entrate spetta il compito di verificare la regolarità della domanda e la ricorrenza dei presupposti richiesti dall’articolo 6 per la validità della definizione.
Il comma 12 dell’articolo 6 stabilisce che l’eventuale diniego di definizione deve essere notificato al contribuente entro il 31 luglio 2020, data entro la quale gli Uffici devono completare le verifiche in ordine alla validità della definizione.
Le verifiche da svolgere riguardano la sussistenza dei presupposti, formali e sostanziali, per la validità e il perfezionamento della definizione, avuto riguardo, tra l’altro:
• alla definibilità della lite (appartenenza della controversia alla giurisdizione tributaria; qualità di parte dell’Agenzia delle entrate; etc.);
• al versamento, entro il 7 dicembre 2018, delle residue somme dovute per effetto dell’articolo 1, commi 6 e 8, lettera b), del D.L. n. 148 del 2017, in scadenza nei mesi di luglio, settembre e ottobre 2018, come previsto dall’articolo 3, comma 21, del D.L. n. 119 del 2018 (79);
• alla tempestività della domanda di definizione, anche nel caso in cui non vi siano importi da versare;
• al corretto ammontare degli importi versati;
• alla tempestività dei versamenti (80).
Nel caso in cui, in esito alle verifiche, l’Ufficio si determini a denegare la definizione, è necessario che tale determinazione sia formalizzata in un provvedimento, compiutamente motivato, il quale deve essere notificato al contribuente entro il termine perentorio del 31 luglio 2020, scaduto il quale la definizione deve ritenersi validamente perfezionata (81).
La notifica, in base al comma 12 dell’articolo 6, va effettuata secondo le modalità previste per gli atti processuali, cioè applicando le regole contenute negli articoli 16, 16-bis e 17 del D.Lgs. n. 546 del 1992 (82).
Il provvedimento di diniego è impugnabile, entro 60 giorni dalla notifica, con ricorso innanzi allo stesso giudice presso il quale la lite è pendente.
Relativamente al caso in cui la richiesta di definizione attiene a una lite per cui è pendente il termine per l’impugnazione dell’ultima o unica pronuncia resa, il terzo periodo del comma 12 dell’articolo 6 consente che la pronuncia possa essere impugnata dal contribuente, anche oltre il termine ordinario di impugnazione, insieme al diniego della definizione, entro sessanta giorni dalla notifica dello stesso. Analogo beneficio è previsto per l’Ufficio, il quale può impugnare la sentenza entro il medesimo termine.
Non è ammessa l’impugnazione separata di sentenza e diniego da parte del contribuente.
Il contribuente può invece impugnare il diniego senza provvedere anche all’impugnazione della sentenza e viceversa; in caso di rigetto del ricorso avverso il diniego, il passaggio in giudicato della predetta sentenza comporta la definitività del rapporto controverso nei termini statuiti dal giudice.

11. ESTINZIONE DEL GIUDIZIO

Come già chiarito nel paragrafo 8, il contribuente che abbia aderito alla definizione agevolata delle liti ha l’onere di richiedere la sospensione del giudizio fino al 31 dicembre 2020.
Analogamente a quanto già disposto dal comma 10 dell’articolo 11 del D.L. n. 50 del 2017, per i giudizi sospesi fino al 31 dicembre 2020, il comma 13 dell’articolo 6 dispone che “In mancanza di istanza di trattazione presentata entro il 31 dicembre 2020 dalla parte interessata, il processo è dichiarato estinto, con decreto del Presidente”.
Pertanto, i giudizi che hanno formato oggetto di definizione e per i quali il contribuente abbia assolto l’onere di richiedere al giudice la sospensione fino al 31 dicembre 2020, mediante deposito della domanda di definizione e del relativo versamento, si estinguono automaticamente allo scadere della sospensione, salvo che la parte che ne abbia interesse – contribuente o Agenzia delle entrate – presenti, entro lo stesso termine, l’istanza di trattazione.
I giudizi per i quali il contribuente abbia presentato istanza di sospensione fino al 10 giugno 2019, senza successivamente presentare la domanda di definizione, allo scadere della predetta data proseguono senza che sia necessario presentare istanza di trattazione.
Per espressa previsione normativa, nel caso in cui il contribuente abbia proposto l’impugnazione del diniego, qualora la controversia risulti non definibile, detta impugnazione vale come istanza di trattazione del processo rimasto sospeso per effetto del deposito della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata.
Il termine del 31 dicembre 2020 per la presentazione dell’istanza di trattazione ha carattere perentorio (83) e il suo decorso, in assenza di iniziativa delle parti processuali, determina l’estinzione del giudizio (84).
Nei casi in cui il contribuente non abbia impugnato il diniego, gli Uffici, qualora ne abbiamo interesse, si attiveranno per presentare tempestivamente l’istanza di trattazione, al fine di garantire la prosecuzione del giudizio sospeso; di regola tale interesse sussiste quando il giudizio pende nel grado successivo al primo a seguito di impugnazione dell’Ufficio medesimo.
Si ricorda, infatti, che l’estinzione del giudizio in assenza di istanza di trattazione determina il passaggio in giudicato dell’ultima sentenza resa o, qualora non sia stata ancora emessa una sentenza perché il giudizio è pendente in primo grado, il consolidamento dell’atto impugnato.
Le spese del giudizio estinto restano a carico di chi le ha anticipate, per espressa previsione del comma 13, ultimo periodo, dell’articolo 6 (85).
In virtù del principio di compensazione delle spese, di cui alla predetta disposizione, deve ritenersi che per le liti definite in via agevolata sia escluso anche il recupero del contributo unificato prenotato a debito che, a norma dell’articolo 158 del testo unico in materia di spese di giustizia, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 2002, n. 115, può avvenire soltanto a seguito di condanna di controparte alla rifusione delle spese.

12. DEFINIZIONE AGEVOLATA DELLE LITI PENDENTI DI CUI ALL’ARTICOLO 7 DEL D.L. N. 119 DEL 2018

Come anticipato in premessa, l’articolo 7 del D.L. n. 119 del 2018 (di seguito: articolo 7) disciplina, alla lettera b) del comma 2 e al comma 3, una particolare tipologia di definizione agevolata delle liti pendenti, della quale possono fruire le sole società e associazioni sportive dilettantistiche di cui all’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI e “che alla data del 31 dicembre 2017 risultavano iscritte nel registro del CONI”.
I principali caratteri distintivi di tale definizione agevolata, rispetto a quella prevista dall’articolo 6 per la generalità dei contribuenti, attengono non soltanto ai soggetti ai quali essa è destinata, ma anche agli ulteriori profili di seguito descritti.

12.1 Organo giurisdizionale innanzi al quale pende la lite. In base alla lettera b) del comma 2 dell’articolo 7, le società e le associazioni sportive dilettantistiche in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI e iscritte nel registro del CONI alla data del 31 dicembre 2017 possono avvalersi “della definizione agevolata delle liti pendenti dinanzi alle commissioni tributarie di cui all’articolo 6” a determinate condizioni. Il contenuto letterale della norma limita la particolare definizione agevolata in essa contemplata alle liti pendenti innanzi alle commissioni tributarie. Ne deriva che, per le controversie pendenti innanzi alla Corte di Cassazione, le predette società e associazioni possono avvalersi della sola definizione prevista dall’articolo 6 (86).

12.2 Atti oggetto delle liti pendenti. Si precisa che le controversie definibili a norma dell’articolo 7 siano soltanto quelle aventi ad oggetto avvisi di accertamento in materia di imposte IRES, IRAP e IVA riferite a periodi d’imposta nel quale la società o associazione risultava iscritta nel citato Registro (87), con la conseguenza che le liti concernenti atti impositivi diversi da quelli sopra specificati sono definibili unicamente secondo le condizioni stabilite dall’articolo 6. Ciò sia in quanto la lettera a) del comma 2 dell’articolo 7 riguarda esclusivamente la definizione agevolata degli avvisi di accertamento ai fini delle predette imposte, sia in considerazione del dato testuale dei numeri 1), 2) e 3) della lettera b) di detto comma 2, nonché del successivo comma 3 dell’articolo 7, che fanno riferimento ad imposte ed interessi “accertati”.
Rientrano, inoltre, nell’ambito di applicazione dell’articolo 6 le liti in cui sono parti le società e associazioni sportive dilettantistiche, pendenti unicamente sulle sanzioni, collegate o non collegate ai tributi, dal momento che nell’articolo 7 non si rinviene una disciplina specifica per tale tipologia di controversie (88).
Si evidenzia infine che, a norma del comma 3 dell’articolo 7, la particolare definizione agevolata in commento è preclusa alle società e associazioni sportive dilettantistiche “se l’ammontare delle sole imposte accertate o in contestazione, relativamente a ciascun periodo d’imposta, per il quale è stato emesso avviso di accertamento o è pendente reclamo o ricorso, è superiore ad euro 30 mila per ciascuna imposta, IRES o IRAP, accertata o contestata. In tal caso resta ferma la possibilità di avvalersi” della definizione agevolata delle liti pendenti di cui all’articolo 6 “e con le regole ivi previste”.
Atteso che il limite di 30 mila euro è riferito a ciascuna delle sole imposte IRES o IRAP, ne deriva che, per le liti concernenti avvisi di accertamento che recuperano l’IVA, è possibile avvalersi della definizione ex articolo 7 in commento anche per somme superiori a detto limite; viceversa, in relazione a una lite avverso un avviso di accertamento in cui si contestino somme superiori a 30 mila euro per entrambe le imposte IRES e IRAP, o per una sola di esse, e somme inferiori per l’IVA, è ammessa la sola definizione ex articolo 6 (89).

12.3 Valore della lite e importi dovuti per la definizione. L’articolo 6 statuisce che, ai fini della determinazione degli importi da versare per la definizione delle liti, occorre fare riferimento al valore della controversia “stabilito ai sensi del comma 2 dell’articolo 12” del D.Lgs. n. 546 del 1992, con la conseguenza che il valore della lite pendente su atti impositivi con i quali si procede al recupero di imposta e interessi, nonché all’irrogazione delle sanzioni, è costituito dalla sola imposta in contestazione, sulla cui base vanno determinati gli importi dovuti per la definizione agevolata.
Di contro, l’articolo 7, comma 2, lettera b), ai numeri 1), 2) e 3) richiede che per la definizione sia versato non solo un importo commisurato al valore della lite, ma anche determinati importi commisurati agli interessi e alle sanzioni irrogate contestualmente.
Più in particolare, per le liti definibili ai sensi dell’articolo 7, va effettuato il versamento (90) del:
– quaranta per cento del valore della lite e del cinque per cento delle sanzioni e degli interessi accertati nel caso in cui, alla data del 24 ottobre 2018, questa penda ancora nel primo grado di giudizio;
– dieci per cento del valore della lite e del cinque per cento delle sanzioni e degli interessi accertati, in caso di soccombenza in giudizio dell’Amministrazione finanziaria nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale depositata e non ancora definitiva alla data del 24 ottobre 2018;
– cinquanta per cento del valore della lite e del dieci per cento delle sanzioni e degli interessi accertati in caso di soccombenza in giudizio della società o associazione sportiva nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale depositata e non ancora definitiva alla data del 24 ottobre 2018.
La determinazione dell’“importo lordo dovuto” per la definizione va quindi effettuata applicando le predette percentuali del quaranta, del dieci e del cinquanta per cento all’imposta in contestazione, nonché del cinque e del dieci per cento alle sanzioni e agli interessi in contestazione (91).
Una volta individuato l’“importo lordo dovuto”, da esso vanno scomputate le somme di spettanza dell’ente impositore già versate in pendenza di giudizio, per effetto della riscossione frazionata ex articolo 68 del D.Lgs. n. 546 del 1992, oppure a seguito di definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione.
Ovviamente, anche nel caso della particolare definizione delle liti prevista dall’articolo 7, qualora le somme interessate dalle controversie definibili siano oggetto di definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione ai sensi dell’articolo 1 del D.L. n. 148 del 2017, il perfezionamento della definizione è subordinato al pagamento, entro il 7 dicembre 2018, delle residue somme dovute per la medesima definizione dei carichi, in scadenza nei mesi di luglio, settembre e ottobre 2018.
Inoltre, in tal caso i restanti importi dovuti per la definizione dei carichi di cui al citato articolo 1 del D.L. n. 148 del 2017 resteranno dovuti nell’ambito della definizione liti e il pagamento degli importi dovuti a seguito di adesione a tale ultima definizione prevale sulla “rottamazione” di eventuali ruoli da contenzioso definibili ai sensi dell’articolo 3 del D.L. n. 119 del 2018 (92)».

NOTE:
(1) Ai sensi dell’articolo 27 del D.L. n. 119 del 2018, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 23 ottobre 2018, n. 247, “Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana …”.
(2) Cfr. circ. n. 22/E del 28 luglio 2017 [in Boll. Trib., 2017, 1188], nella quale si precisa che la definizione agevolata prevista dall’articolo 11 del D.L. n. 50 del 2017 è volta a “completare l’effetto definitorio relativamente alle controversie interessate dalla definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione … Qualora, infatti, gli importi oggetto di contenzioso non siano stati integralmente affidati all’agente della riscossione per effetto delle disposizioni sulla riscossione in pendenza di giudizio – restando in tal modo esclusi dalla definizione di cui al predetto articolo 6 – la disciplina in esame consente al contribuente di definire integralmente i rapporti in contestazione”. Cfr., inoltre, circolare n. 2/E dell’8 marzo 2017 [in Boll. Trib., 2017, 388], punto 2), nella quale si chiarisce che «Il comma 1 dell’art. 6 (del D.L. n. 193 del 2016, n.d.r.) prevede la possibilità di estinguere i debiti contenuti nei carichi affidati agli Agenti della riscossione dal 2000 al 2016. Il comma 13-bis dell’art. 6 precisa che la “definizione agevolata … può riguardare il singolo carico iscritto a ruolo o affidato”. Dal combinato disposto delle norme citate, emerge che per il debitore è possibile definire singolarmente ciascuno dei carichi iscritti a ruolo o affidati dal 2000 al 2016 … I carichi definibili sono quelli iscritti a ruolo ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, o affidati ai sensi dell’art. 29 del decreto-legge n. 78 del 2010, in materia di avviso di accertamento cd. esecutivo.».
(3) L’articolo 11 del D.L. n. 50 del 2017 stabiliva che le controversie potevano “essere definite … col pagamento di tutti gli importi di cui all’atto impugnato che hanno formato oggetto di contestazione in primo grado e degli interessi da ritardata iscrizione a ruolo di cui all’articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, calcolati fino al sessantesimo giorno successivo alla notifica dell’atto, escluse le sanzioni collegate al tributo e gli interessi di mora di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”.
(4) Le pronunce giurisdizionali cautelari, prive di rilevanza ai fini della determinazione delle somme dovute per la definizione, sono quelle adottate per evitare che, a causa della durata del processo, una delle parti possa subire danni irreparabili, come, ad esempio, le pronunce con le quali il giudice dispone la sospensione degli effetti dell’atto oppure della sentenza impugnata (cfr. articoli 47, 52 e 62-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992).
(5) Di norma, le sanzioni non collegate al tributo corrispondono a quelle stabilite per violazioni che non incidono sulla determinazione o sul versamento del tributo.
(6) Per converso, le sanzioni collegate al tributo sono quelle stabilite per le violazioni che incidono sulla determinazione o sul pagamento del tributo (ad esempio, sanzioni per omessa o infedele dichiarazione).
(7) L’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, stabilisce che “Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell’avviso di cui all’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica”.
(8) Per quanto concerne la definizione dei tributi amministrati dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli specifiche disposizioni sono contenute negli articoli 5 e 8 del medesimo D.L. n. 119 del 2018.
(9) Ad esempio, non è definibile la controversia instaurata avverso una cartella di pagamento emessa a seguito di rettifica dei dati inseriti in dichiarazione ai sensi dell’articolo 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, impugnata per vizi attinenti al merito della pretesa e in cui parte in senso formale sia il solo agente della riscossione (cfr. paragrafo 2.3.4).
(10) Cfr. articolo 3, commi 3 e 5, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 73, in merito al quale sono stati forniti chiarimenti con circolare n. 56/E del 24 settembre 2008 [in Boll. Trib., 2008, 1503].
(11) Cfr. articolo 53, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e articolo 6, comma 1, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140.
(12) In conformità alle tesi espresse dalla giurisprudenza di legittimità, si ritiene che gli atti di recupero dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati rientrino nel novero degli atti impositivi e che, quindi, le relative controversie possano formare oggetto di definizione agevolata. Cfr., tra le altre, Cass. 31 marzo 2017, n. 8429, secondo cui l’avviso di recupero dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati, “obbligatoriamente motivato con riferimento alle ragioni giuridiche ed ai presupposti di fatto dell’azione di recupero, assume, al pari dell’avviso di accertamento, valenza di atto impositivo autonomamente impugnabile D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19”.
(13) Cfr. circ. n. 12/E del 21 febbraio 2003 [in Boll. Trib., 2003, 265] e n. 48/E del 24 ottobre 2011 [in Boll. Trib., 2011, 1619].
(14) Cfr., tra le altre, Cass. 19 gennaio 2018, n. 1317, ove si pone in rilievo che “ha affermato Cass. 3 ottobre 2006, n. 21328, che il condono fiscale, essendo un accertamento straordinario o eccezionale, in deroga alle norme generali ed ordinarie, di un rapporto giuridico tributario, non è ammissibile, in mancanza di un’esplicita disposizione legislativa, relativamente a un altro condono”.
(15) Secondo il comma 2-bis dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, “Se vi è pericolo per la riscossione, l’Ufficio può provvedere, anche prima della presentazione della dichiarazione annuale, a controllare la tempestiva effettuazione dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti a titolo di acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta”.
(16) Cfr. Cass. 26 febbraio 2014, n. 4608, per la quale «Per principio di questa Corte, dal quale non v’è ragione di discostarsi, in tema di condono fiscale la legge 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, consente la definizione agevolata non di ogni controversia tributaria, ma delle sole liti aventi ad oggetto un atto di imposizione fiscale, e cioè di un atto con il quale l’Amministrazione finanziaria dello Stato imponga un tributo maggiore, ulteriore o diverso rispetto a quello dichiarato dal contribuente, con esclusione quindi di tutte le controversie aventi ad oggetto la mera liquidazione di un’imposta in base a quanto dichiarato (direttamente e/o indirettamente) dal contribuente stesso; nell’ipotesi, pertanto, di cartella emessa ai sensi del D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis occorre distinguere i casi in cui l’Amministrazione abbia esercitato il potere di “controllo formale”, relativo alla riscossione nella misura risultante dalla stessa dichiarazione, cui segue effettivamente un’attività di mera liquidazione, dai casi di “rettifica cartolare”, cioè di rettifica dei risultati dalla dichiarazione attraverso la correzione di errori materiali e di calcolo, o la esclusione (o riduzione) di scomputi di ritenute, di detrazioni o deduzioni, di crediti d’imposta; casi nei quali si è in presenza di un’attività impositiva vera e propria, rientrante per definizione in quella di accertamento (ancorchè più semplice e immediata rispetto alle “verifiche sostanziali”); solo nella prima ipotesi la lite, concernendo un atto meramente liquidatorio, non rientra tra quelle suscettibili di definizione agevolata, laddove nella seconda ipotesi non vi è ragione di escluderla, in presenza di un atto con il quale, al di là della sua qualificazione formale, l’Amministrazione esercita per la prima volta una pretesa sostanzialmente impositiva, in contrasto con quanto evidenziato dal contribuente nella dichiarazione».
(17) Così, ad esempio, devono ritenersi definibili le controversie aventi ad oggetto avvisi di liquidazione con i quali l’Ufficio procede al recupero delle agevolazioni fiscali per l’acquisto della “prima casa”.
(18) Cfr. Cass. 29 novembre 2017, n. 28611, ove si evidenzia il consolidato principio “- che si inserisce nella tendenza sempre più accentuata della giurisprudenza di questa Corte, anche a sezioni unite, nel senso del favor per l’applicabilità delle normative di condono – secondo il quale ciò che rileva ai fini della qualificazione dell’atto come impositivo e della conseguente inclusione della relativa controversia nell’ambito applicativo della legge n. 289 del 2002, art. 16, è la sua effettiva funzione, a prescindere dalla qualificazione formale dell’atto stesso. Pertanto, la natura impositiva dell’atto, ai fini anzidetti, va riconosciuta quando esso sia destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente, una pretesa fiscale, essendo sufficiente che la contestazione da parte di quest’ultimo sia idonea ad integrare una controversia effettiva, e non apparente, sulla legittimità … della pretesa medesima”.
(19) Cfr., tuttavia, quanto riportato nella nota 37 per i casi di “abuso del processo”.
(20) Secondo l’articolo 13 del D.Lgs. n. 471 del 1997, “1. Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione di cui al primo periodo è ridotta alla metà. Salva l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al secondo periodo è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. 2. La sanzione di cui al comma 1 si applica nei casi di liquidazione della maggior imposta ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. 3. Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista al comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto. 4. Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato. 5. Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. 6. Fuori dall’ipotesi di cui all’articolo 11, comma 7-bis, sull’ammontare delle eccedenze di credito risultanti dalla dichiarazione annuale dell’ente o società controllante ovvero delle società controllate, compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate dalle altre società controllate o dall’ente o società controllante, di cui all’articolo 73, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, si applica la sanzione di cui al comma 1 quando la garanzia di cui all’articolo 38-bis del medesimo decreto è presentata oltre il termine di novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione annuale. 7. Le sanzioni previste nel presente articolo non si applicano quando i versamenti sono stati tempestivamente eseguiti ad ufficio o concessionario diverso da quello competente”.
(21) Rimanendo in contestazione la sola somma dovuta a titolo di sanzione.
(22) “L’articolo 17, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ha disposto che a decorrere dal 1° gennaio 1999 la riscossione, l’accertamento, il recupero, i rimborsi, l’applicazione delle sanzioni ed il contenzioso amministrativo relativi alle tasse automobilistiche non erariali sono demandati alle regioni a statuto ordinario. … A partire dall’anno d’imposta 1999, il Ministero delle finanze (ndr. oggi l’Agenzia delle entrate) provvede, pertanto, alla gestione delle sole tasse automobilistiche erariali dovute dai soggetti residenti nelle regioni Friuli-Venezia Giulia, Sardegna e Valle d’Aosta, e, fatta eccezione per le funzioni connesse con l’attività di riscossione, alla gestione delle tasse automobilistiche di spettanza della Regione Siciliana (circolare n. 106/E del 22 maggio 2000 [in Boll. Trib. On-line].)”.
(23) In generale tale principio è valido e applicabile anche a tutti gli altri soggetti passivi – residenti nel territorio dello Stato – che producono redditi in forma associata e che sono elencati all’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917. Si tratta, nello specifico, delle società di persone (società semplici, società in nome collettivo e società in accomandita semplice) e dei soggetti ad esse equiparati, in particolare associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, queste ultime produttive di reddito di lavoro autonomo da imputare a ciascun associato in proporzione alla quota di partecipazione agli utili.
(24) Cfr., nel medesimo senso, circolare n. 22/E del 28 aprile 2003 e circolare n. 48/E del 24 ottobre 2011, concernenti le definizioni agevolate delle liti pendenti previste, rispettivamente, dall’articolo 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e dall’articolo 39, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
25) Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436/CE, “Costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio generale dell’Unione europea le entrate provenienti: a) da prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, importi o elementi aggiuntivi, dazi della tariffa doganale comune e altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni delle Comunità sugli scambi con Paesi terzi, dazi doganali sui prodotti che rientrano nell’ambito di applicazione del trattato, ormai scaduto, che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, nonché contributi e altri dazi previsti nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero;”. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2014/335/UE, “Costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione le entrate provenienti: a) dalle risorse proprie tradizionali costituite da prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, importi o elementi aggiuntivi, dazi della tariffa doganale comune e altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni dell’Unione sugli scambi con Paesi terzi, dazi doganali sui prodotti che rientrano nell’ambito di applicazione del trattato, ormai scaduto, che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, nonché contributi e altri dazi previsti nell’ambito dell’organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero;”.
(26) La circolare n. 2/E del 2017 ha fornito chiarimenti in ordine alla definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione, di cui all’articolo 6 del D.L. n. 193 del 2016.
(27) La circolare n. 22/E del 2017 ha fornito chiarimenti in merito alla definizione agevolata delle controversie tributarie prevista dall’articolo 11 del D.L. n. 50 del 2017.
(28) Ai fini del rispetto del termine di impugnazione del 24 ottobre 2018 rileva la data di notificazione per il ricorrente. Così, ad esempio, nel caso in cui il ricorso sia stato notificato direttamente utilizzando il servizio postale, occorre tener conto della data di spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento.
(29) Deve trattarsi di pronuncia giurisdizionale non cautelare passata in giudicato, resa sul merito o sull’ammissibilità.
(30) In relazione alle sentenze dei giudici di merito e a quelle di cassazione con rinvio, i termini di impugnazione e di riassunzione sono sospesi per nove mesi, a norma del comma 11 dell’articolo 6 (cfr. paragrafo 9). Per quanto concerne le sentenze di cassazione senza rinvio, si evidenzia che, per evitare che l’eventuale deposito delle stesse precluda la presentazione della domanda di definizione, il contribuente può chiedere la sospensione del giudizio alla Suprema Corte, ai sensi del comma 10 dell’articolo 6 (cfr. paragrafo 8).
(31) Ai sensi dell’articolo 17-bis, comma 6, del D.Lgs. n. 546 del 1992, la mediazione tributaria “si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo tra le parti, delle somme dovute ovvero della prima rata” (cfr. circolare n. 38/E del 29 dicembre 2015, paragrafo 1.7.4 [in Boll. Trib., 2016, 58].).
(32) A norma, rispettivamente, degli articoli 48, comma 4, e 48-bis, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, la conciliazione fuori udienza “si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo”, mentre la conciliazione in udienza “si perfeziona con la redazione del processo verbale” da parte del segretario della commissione tributaria competente (cfr. citata circolare n. 38/E del 2015, paragrafi 1.11.2 e 1.11.3).
(33) Fatta eccezione per quelle integralmente definite tramite mediazione tributaria o conciliazione giudiziale.
(34) Nel processo tributario, la litispendenza si concretizza con la notifica del ricorso e non richiede che sia avvenuta anche la costituzione in giudizio del ricorrente (cfr., tra le altre, Cass. 17 dicembre 2014, n. 26535).
(35) Per la sospensione dei termini di impugnazione prevista dal comma 11 dell’articolo 6 ved. paragrafo 9 della presente circolare.
(36) In tal caso, il contribuente destinatario di un avviso di accertamento può accedere, purché ancora nei termini, alla definizione agevolata di cui all’articolo 2 del D.L. n. 119 del 2018, rubricato “Definizione agevolata degli atti del procedimento di accertamento”.
(37) Si evidenzia tuttavia che, in tema di controversie instaurate tardivamente, la Corte di Cassazione nella sentenza 22 gennaio 2014, n. 1271, ha affermato che «configura, in particolare, una forma di abuso del processo l’utilizzazione di strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento appresta alla parte tali mezzi di tutela della propria posizione sostanziale” ed in particolare, quanto “ai casi di definizione delle liti tributarie pendenti”, ravvisando “la sussistenza di una forma di abuso del processo … in presenza di elementi dai quali emerga, in modo evidente e inequivoco, il carattere meramente fittizio e artificioso della controversia principale, instaurata, nonostante la palese tardività, al solo fine di creare il presupposto per poter fruire del beneficio: un chiaro elemento sintomatico della configurabilità di un uso abusivo del processo è costituito dal fatto che il contribuente – come nel caso in esame – abbia impugnato l’atto impositivo ben oltre il termine di legge … senza nulla argomentare in ordine alla perdurante ammissibilità dell’impugnazione nonostante il tempo trascorso”».
(38) Non appare configurabile la definitività di una sentenza dei giudici di merito, considerata la sospensione dei termini di impugnazione prevista dal comma 11 dell’articolo 6, in relazione ai “termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 luglio 2019”.
(39) Cfr. paragrafo 2.1 della circolare n. 22/E del 2017.
(40) Il comma 15 dell’articolo 6 prevede che “Con uno o più provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di attuazione del presente articolo”. Il modello di domanda e le relative istruzioni sono disponibili in formato elettronico sul sito internet www.agenziaentrate.gov.it. Come specificato nel citato provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 39209 del 18 febbraio 2019, la presentazione della domanda di definizione va effettuata esclusivamente in via telematica: a) direttamente, dai contribuenti abilitati ai servizi telematici dell’Agenzia delle entrate; b) incaricando uno dei soggetti di cui ai commi 2-bis e 3 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322; c) recandosi presso uno degli Uffici territoriali di una qualsiasi Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate, che attesta la presentazione diretta della domanda, consegnando al contribuente la stampa del numero di protocollo attribuito.
(41) In quanto l’accordo di mediazione e la conciliazione perfezionati sono intangibili ed irretrattabili.
(42) In caso di conferimento di incarico a uno dei soggetti di cui ai commi 2-bis e 3 dell’articolo 3 del D.P.R. n. 322 del 1998, la domanda, debitamente compilata e sottoscritta, va consegnata in tempo utile per l’esecuzione della trasmissione telematica entro il termine perentorio del 31 maggio 2019. Qualora, invece, il contribuente si rechi presso uno degli Uffici territoriali di una qualsiasi Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate, che provvede alla trasmissione telematica, è sufficiente la consegna della domanda, debitamente compilata e sottoscritta, entro il citato termine perentorio del 31 maggio 2019.
(43) Non vanno, ad esempio, presentate istanze separate nel caso di riunione dei giudizi avverso l’atto impositivo e la cartella di pagamento, atteso che la definibilità attiene alle liti avverso gli atti impositivi.
(44) Cfr. Cass. 16 novembre 2018, n. 29529, ove si evidenzia che “La formulazione dell’Ufficio, in sede di accertamento con adesione, di una proposta avente un contenuto ridotto rispetto a quanto preteso con l’avviso notificato non determina né la rinuncia a far valere la pretesa tributaria, né il disconoscimento, ex se, della consistenza probatoria conseguente all’accertamento esperito (v. Cass. n. 9659 del 14/04/2017). Va rilevato, del resto, che l’atto di accertamento con adesione non ha natura negoziale o transattiva, non potendo l’Amministrazione negoziare la pretesa tributaria, ma di atto unilaterale, espressione del potere potestativo impositivo della stessa. Ne deriva che, in caso di mancata adesione, contribuente e Amministrazione finanziaria semplicemente non hanno concordato nella determinazione della pretesa tributaria alla luce dei complessivi elementi emersi nel contraddittorio, sicché l’Ufficio, in tale evenienza, procede legittimamente a dare corso all’avviso di accertamento già notificato, la cui intempestiva impugnazione … ne determina l’incontrovertibilità, segno evidente della non rilevanza del contenuto della mera proposta non accolta”.
(45) Ancorché l’articolo 12, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, determini il valore con riferimento alle liti vertenti su tributi, interessi e sanzioni e a quelle aventi ad oggetto esclusivamente sanzioni, deve ritenersi che il valore di una lite riguardante i soli interessi vada determinato tenendo conto dell’importo di questi ultimi che risulta in contestazione e che il valore di una lite riguardante esclusivamente sanzioni e interessi vada determinato tenendo conto dell’importo delle sole sanzioni in contestazione.
(46) L’articolo 22, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, dispone che “Il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena d’inammissibilità deposita, nella segreteria della commissione tributaria adita, o trasmette a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, l’originale del ricorso notificato a norma degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale. All’atto della costituzione in giudizio, il ricorrente deve depositare la nota di iscrizione al ruolo, contenente l’indicazione delle parti, del difensore che si costituisce, dell’atto impugnato, della materia del contendere, del valore della controversia e della data di notificazione del ricorso”.
(47) Le medesime conclusioni valgono per i casi nei quali, ai sensi dell’articolo 59 del D.Lgs. n. 546 del 1992, la Commissione tributaria regionale abbia rimesso la causa alla Commissione tributaria provinciale che ha emesso la sentenza impugnata, nonché per i casi nei quali, ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 546 del 1992, la Commissione tributaria provinciale abbia dichiarato la propria incompetenza e indicato la competenza di una diversa Commissione tributaria provinciale.
(48) In forza dell’articolo 68, comma 1, lettera c-bis), del D.Lgs. n. 546 del 1992, “Anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d’imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato: … c-bis) per l’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di Cassazione di annullamento con rinvio e per l’intero importo indicato nell’atto in caso di mancata riassunzione”.
(49) L’articolo 59, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992 dispone che “La Commissione tributaria regionale rimette la causa alla commissione provinciale che ha emesso la sentenza impugnata nei seguenti casi: a) quando dichiara la competenza declinata o la giurisdizione negata dal primo giudice; b) quando riconosce che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato; c) quando riconosce che la sentenza impugnata, erroneamente giudicando, ha dichiarato estinto il processo in sede di reclamo contro il provvedimento presidenziale; d) quando riconosce che il collegio della commissione tributaria provinciale non era legittimamente composto; e) quando manca la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice di primo grado”.
(50) Secondo l’articolo 63, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, “Quando la Corte di Cassazione rinvia la causa alla commissione tributaria provinciale o regionale la riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza nelle forme rispettivamente previste per i giudizi di primo e di secondo grado in quanto applicabili”.
(51) Cfr. anche circolare n. 12/E del 2003, paragrafo 11.6.7, e circolare n. 48/E del 2011, paragrafo 6.2, ove si è chiarito che le percentuali previste dall’articolo 16 della legge n. 289 del 2002 e dall’articolo 39, comma 12, del D.L. n. 98 del 2011 per la soccombenza del contribuente e per quella dell’Amministrazione andavano applicate proporzionalmente sul valore della lite.
(52) L’articolo 1, comma 2, della legge n. 136 del 2018, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 293 del 18 dicembre 2018, prevede che “La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale”.
(53) La notifica del ricorso alla data del 19 dicembre 2018 è condizione necessaria e sufficiente ai fini della pendenza e, pertanto, non è richiesto l’ulteriore presupposto della costituzione in giudizio dell’Agenzia delle entrate, a norma dell’articolo 369 c.p.c.
(54) Al riguardo si evidenzia, come chiarito nella circolare n. 37/E del 21 giugno 2010, paragrafo 6.1.3 [in Boll. Trib., 2010, 960], che anche la pregressa definizione agevolata delle liti pendenti in Cassazione contemplata dall’art. 3 del D.L. n. 40 del 2010, la cui disciplina è ricalcata da quella odierna, era applicabile alle sole ipotesi di soccombenza integrale dell’Amministrazione nei precedenti gradi di giudizio. Sotto il profilo testuale, inoltre, si osserva che a tale conclusione induce anche la posizione del comma 2-ter in esame immediatamente dopo la disposizione del comma 2-bis che individua i criteri per la definizione delle liti interessate da soccombenza parziale.
(55) La specialità di tale disciplina si evince anche dalla circostanza che, per le sanzioni non collegate al tributo, è previsto il pagamento ridotto al 40 per cento del valore della controversia anche in caso di pronuncia favorevole all’Agenzia delle entrate.
(56) Si ritiene che l’espressione “qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla presente definizione”, di cui al comma 3 dell’articolo 6, si riferisca a qualsiasi ipotesi in cui il tributo sia stato versato e, quindi, non soltanto a seguito di una diversa forma di definizione agevolata, ma anche del normale pagamento.
(57) Il paragrafo 5 della circolare n. 23 del 2017, al quale si rinvia, contiene alcune esemplificazioni relative al trattamento delle sanzioni. Per quanto concerne le sanzioni irrogate per le violazioni di omesso o ritardato versamento delle imposte indicate in dichiarazione, che vanno annoverate tra quelle collegate al tributo cui si riferiscono, si ribadisce quanto evidenziato al paragrafo 2.3.5 in merito alla non definibilità delle controversie che hanno ad oggetto unicamente tali sanzioni, in quanto non vertenti su un atto di natura impositiva, ma di riscossione.
(58) Anche tramite compensazione (analoga posizione è stata espressa con la circolare n. 22/E del 2017, paragrafo 4.1, e con la risoluzione n. 107/E del 23 novembre 2011, punto 3 [in Boll. Trib., 2011, 1787], in relazione alle precedenti definizioni delle liti pendenti, di cui all’articolo 11 del D.L. n. 50 del 2017 e all’art. 39, comma 12, del D.L. n. 98 del 2011).
(59) Cfr. articolo 15 del D.P.R. n. 602 del 1973, secondo cui “Le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell’atto di accertamento, per un terzo degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati”.
(60) Cfr. citato articolo 68 del D.Lgs. n. 546 del 1992, che regola la riscossione provvisoria in pendenza del processo.
(61) Ad esempio, non possono essere scomputati gli importi versati per definire in via agevolata le sanzioni ai sensi dell’articolo 17, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997, atteso che le stesse, in quanto già definite, non sono mai state in contestazione.
(62) Si tratta, infatti, di interessi relativi a pagamenti (a titolo provvisorio e quindi ancora sub iudice, suscettibili di eventuale restituzione al contribuente all’esito del giudizio eventualmente allo stesso favorevole) conseguenti ad iscrizioni a ruolo o affidamenti effettuati in base alle disposizioni vigenti in materia di riscossione in pendenza di giudizio, sempre che si riferiscano ad importi pagati e ancora in contestazione. In senso conforme, cfr. circolare n. 22/E del 2003, paragrafo 12.5 e circolare n. 22/E del 2017, paragrafo 4.1.
(63) A norma dell’articolo 1, comma 4, del D.L. n. 148 del 2017, «Possono essere estinti, secondo le disposizioni di cui all’articolo 6 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1º dicembre 2016, n. 225, di seguito denominato “Decreto”, per quanto non derogate da quelle dei commi da 5 a 10-ter del presente articolo, i debiti relativi ai carichi affidati agli agenti della riscossione: a) dal 2000 al 2016: 1) che non siano stati oggetto di dichiarazioni rese ai sensi del comma 2 dell’articolo 6 del Decreto; 2) compresi in piani di dilazione in essere alla data del 24 ottobre 2016, per i quali il debitore non sia stato ammesso alla definizione agevolata, in applicazione dell’alinea del comma 8 dell’articolo 6 del Decreto, esclusivamente a causa del mancato tempestivo pagamento di tutte le rate degli stessi piani scadute al 31 dicembre 2016; b) dal 1º gennaio al 30 settembre 2017».
(64) Affinché si possa legittimamente procedere allo scomputo delle somme afferenti alla definizione agevolata dei carichi ex articolo 1, comma 4, del D.L. n. 148 del 2017 è, quindi, necessario che tali somme siano state materialmente già pagate. Sullo specifico punto, la disciplina dell’articolo 6 si differenzia da quella prevista per la pregressa definizione agevolata delle controversie di cui all’articolo 11 del D.L. n. 50 del 2017, che per la deducibilità degli importi riferibili alla definizione agevolata dei carichi prevista dall’art. 6 del D.L. n. 193 del 2016 prescindeva dall’avvenuto pagamento dei corrispondenti importi.
(65) Tra le somme scomputabili ai fini della determinazione dell’importo da versare per la definizione agevolata delle liti rientrano, dunque, tutte le somme di spettanza dell’Agenzia delle entrate, comprese quelle relative a sanzioni ed interessi. Diversamente, per la rottamazione dei carichi, la lettera b) del comma 8 dell’articolo 6 del D.L. n. 193 del 2016 stabilisce che “b) restano definitivamente acquisite e non sono rimborsabili le somme versate, anche anteriormente alla definizione, a titolo di sanzioni comprese nei carichi affidati, di interessi di dilazione, di interessi di mora di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, …”.
(66) Aggio, rimborso delle spese per le procedure esecutive e rimborso delle spese di notifica della cartella di pagamento.
(67) La Corte di Cassazione, con la sentenza 11 marzo 1999, n. 2123, in relazione ad un disposto normativo di tenore analogo, ha chiarito che la non rimborsabilità delle somme versate prima del condono non ammette deroga, in quanto “la formula usata dalla legge fa riferimento ad un pagamento inteso nella sua materialità”, osservando che “se il legislatore avesse voluto riconoscere il diritto del contribuente al rimborso delle somme pagate in pendenza di giudizio, avrebbe dovuto prevedere un’ipotesi ulteriore con funzione derogatoria rispetto a quella indicata” (cfr. circolare n. 7/E del 5 febbraio 2003, paragrafo 11.9 [in Boll. Trib., 2003, 191], e circolare n. 22/E del 2017, paragrafo 4.1).
(68) Cfr., in particolare, paragrafi 1.11 della circolare n. 17/E del 2003 e 3.2 della circolare n. 48/E del 2011.
(69) Il comma 6 e il comma 8, lettera b), del D.L. n. 148 del 2017, prevedono, rispettivamente, che “6. Sulle somme dovute per la definizione prevista dal comma 4 si applicano, a decorrere dal 1º agosto 2018, gli interessi di cui all’articolo 21, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e il pagamento delle stesse somme, salvo quanto previsto dal comma 8, può essere effettuato in un numero massimo di cinque rate consecutive di uguale importo, da pagare, rispettivamente, nei mesi di luglio 2018, settembre 2018, ottobre 2018, novembre 2018 e febbraio 2019” e che “8. In deroga a quanto previsto dai commi 6 e 7, limitatamente ai carichi di cui al comma 4, lettera a), numero 2), compresi in piani di dilazione in essere alla data del 24 ottobre 2016, per i quali non risultano pagate tutte le rate degli stessi piani scadute al 31 dicembre 2016, e ai carichi di cui al comma 4, lettera a), numero 1): … b) il debitore è tenuto a pagare: 1) in un’unica soluzione, entro il 31 luglio 2018, l’importo ad esso comunicato ai sensi della lettera a), numero 1). Il mancato, insufficiente o tardivo pagamento di tale importo determina automaticamente l’improcedibilità dell’istanza; 2) in due rate consecutive di pari ammontare, scadenti rispettivamente nei mesi di ottobre 2018 e novembre 2018, l’80 per cento delle somme complessivamente dovute ai fini della definizione; 3) entro febbraio 2019, l’ultima rata relativa al restante 20 per cento delle somme complessivamente dovute ai fini della definizione”.
(70) In forza del comma 21 dell’articolo 3 del D.L. n. 119 del 2018, “21. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 4, l’integrale pagamento, entro il termine differito al 7 dicembre 2018, delle residue somme dovute ai sensi dell’articolo 1, commi 6 e 8, lettera b), numero 2), del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172, in scadenza nei mesi di luglio, settembre e ottobre 2018, determina, per i debitori che vi provvedono, il differimento automatico del versamento delle restanti somme, che è effettuato in dieci rate consecutive di pari importo, con scadenza il 31 luglio e il 30 novembre di ciascun anno a decorrere dal 2019, sulle quali sono dovuti, dal 1° agosto 2019, gli interessi al tasso dello 0,3 per cento annuo. A tal fine, entro il 30 giugno 2019, senza alcun adempimento a carico dei debitori interessati, l’agente della riscossione invia a questi ultimi apposita comunicazione, unitamente ai bollettini precompilati per il pagamento delle somme dovute alle nuove scadenze, anche tenendo conto di quelle stralciate ai sensi dell’articolo 4. Si applicano le disposizioni di cui al comma 12, lettera c); si applicano altresì, a seguito del pagamento della prima delle predette rate differite, le disposizioni di cui al comma 13, lettera b)”.
(71) Cfr. paragrafo 3 della presente circolare.
(72) Il richiamo al comma 8, anziché al comma 9 – recato dal comma 14 dell’articolo 6 – attiene a un difetto di coordinamento del testo normativo, come si evince chiaramente dal raffronto della disposizione in esame con quella di identico tenore contenuta nell’articolo 11 del D.L. n. 50 del 2017.
(73) La circolare n. 23/E del 2017 ha fornito risposta ad alcuni quesiti posti dalle strutture territoriali in relazione alla definizione agevolata delle controversie pendenti prevista dall’articolo 11 del D.L. n. 50 del 2017. Cfr., sul punto, anche circolare n. 48/E del 2011, paragrafo 16.
(74) La richiesta di sospensione, non producendo effetti vincolanti in ordine all’adesione alla definizione agevolata, non configura l’ipotesi di disposizione del diritto in contesa, per la quale l’articolo 84 c.p.c. prevede la necessità di un mandato speciale.
(75) Cfr., per maggiori dettagli, la circolare n. 48/E del 2011, paragrafo 12, e la circolare n. 22/E del 2017, paragrafo 7.
(76) La sospensione è rilevabile d’ufficio dal giudice e opera senza necessità che le parti facciano richiesta.
(77) In pratica, il termine di impugnazione, di riassunzione e di proposizione del controricorso è procrastinato di nove mesi. Nel computo dei nove mesi, si tiene conto del giorno corrispondente a quello del mese iniziale e non del numero dei giorni di cui ciascun mese si compone.
(78) A titolo esemplificativo: il termine con scadenza 24 dicembre 2018 è posticipato al 24 settembre 2019.
(79) Cfr. paragrafo 6.
(80) Cfr. paragrafo 7.
(81) In base ai principi generali, nel caso di notificazione a mezzo posta, per l’Amministrazione notificante assume rilevanza la data di spedizione del provvedimento.
(82) Ai sensi dell’articolo 16 del D.Lgs. n. 546 del 1992 “… 2. Le notificazioni sono fatte secondo le norme degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dall’art. 17. 3. Le notificazioni possono essere fatte anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto … 4. Gli enti impositori, … provvedono alle notificazioni anche a mezzo del messo comunale o di messo autorizzato dall’Amministrazione finanziaria, con l’osservanza delle disposizioni di cui al comma 2. 5. Qualunque comunicazione o notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione; i termini che hanno inizio dalla notificazione o dalla comunicazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto.”. Il successivo articolo 16-bis, commi 3 e 4, reca la disciplina sulle notifiche in via telematica. Infine, l’articolo 17 disciplina il luogo delle notificazioni.
(83) Ai sensi dell’articolo 45, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, il processo tributario si estingue, “nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo”.
(84) Ai sensi dell’articolo 45, comma 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, “L’estinzione è dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione con sentenza. Avverso il decreto del presidente è ammesso reclamo alla commissione che provvede a norma dell’art. 28”.
(85) Si tratta di disposizione conforme alle statuizioni recate dall’articolo 46, comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, per il quale, “Nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate”. Con tale specifica disciplina delle spese del giudizio estinto a seguito della definizione agevolata si estende il disposto normativo del citato articolo 46 anche ai giudizi pendenti in cassazione rientranti nell’ambito della definizione agevolata.
(86) Cfr., in particolare, paragrafo 5.
(87) Cfr. in tal senso anche il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, prot. n. 301338 del 13 novembre 2018, recante “Definizione agevolata degli atti del procedimento di accertamento. Disposizioni di attuazione dell’articolo 2 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 con riferimento alle società e associazioni sportive dilettantistiche di cui al successivo articolo 7”.
(88) Le controversie sulle sanzioni potranno, pertanto, essere definite alle condizioni specificate nel paragrafo 5.
(89) Si precisa che il limite di 30 mila euro va riferito a ciascuna delle imposte IRES o IRAP contestate. Pertanto, se con l’atto impugnato è stato accertato per entrambe le imposte o per una sola di esse un ammontare superiore a 30 mila euro, ma il contribuente si è limitato a formulare le proprie contestazioni in relazione a un importo inferiore a tale cifra, la lite può essere definita secondo le regole di cui all’articolo 7.
(90) Il versamento va eseguito anche in tal caso tramite modello F24, utilizzando i medesimi codici tributo istituiti con la risoluzione n. 29/E del 18 febbraio 2019 per la definizione agevolata di cui all’articolo 6.
(91) Sebbene le disposizioni di cui ai numeri 1), 2) e 3) del comma 2 dell’articolo 7 rechino riferimento alle sanzioni e agli interessi “accertati”, si ritiene che la determinazione degli importi dovuti per la definizione agevolata vada sempre effettuata tenendo conto delle somme effettivamente in contestazione.
(92) In merito ai rapporti intercorrenti con la definizione agevolata dei carichi di cui all’articolo 1, comma 4, del D.L. n. 148 del 2017, si rinvia a quanto illustrato sub paragrafo 6.

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