18 Settembre, 2014

 

Il D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (1), intitolato «Misure urgenti per la crescita del Paese» e più noto come “Decreto crescita” (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), si è posto, con l’art. 54, a mo’ di spartiacque tra le due versioni dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c.

Se prima il tenore edittale, più largo, era il seguente: «le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione: … 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio», dopo di allora, cioè con effetti dall’11 settembre 2012 (meglio: con riguardo alle decisioni di appello pubblicate da quella data in poi), il tenore edittale, più restrittivo negli esiti, suona così: «5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti» (2).

In altre parole la doglianza di motivazione insufficiente o contraddittoria non è oggi più ammessa nel rito civile, mandando impunito l’eventuale errore commesso dal giudicante. Con quale beneficio per la giustizia sostanziale è – per inciso – questione (sgradevole quanto spinosa) che rimettiamo al Lettore.

Altro infatti è il nodo che strettamente interessa gli operatori del processo tributario, con la domanda preliminare (e dirimente): deve, l’innovazione enunciata, applicarsi al rito di settore? Domanda di cui si fa carico, con l’abituale stringatezza, l’estensore dell’ordinanza massimata, precisando, da un lato, la propria posizione (favorevole all’estensione del precetto) e riconoscendo, dall’altro, il prevalere (peraltro più netto di quanto egli dia conto) di una tendenza dottrinale di segno diametralmente opposto.

I dubbi nascono dalla presenza, nel corpo della legge di riforma, di un’altra norma (per la precisione il comma 3-bis del citato art. 54, aggiunto in sede di conversione) la cui lapidaria formula («le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546») ha scatenato il putiferio che la Corte regolatrice dovrà sbrogliare (3), e sbrogliare vincendo la sua (malsana perché programmatica) predilezione per la “deflazione a tutti i costi” (4). Formula senz’altro scritta, limitandoci alle intenzioni, in un’ottica deliberatamente derogatoria, in quanto contenuta in una disposizione successiva e speciale, rispetto alla regola generale del rinvio mobile o altrimenti detto dinamico fissata dall’art. 62 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (5). Il problema è se alle intenzioni hanno corrisposto i fatti.

La lettura piana e non prevenuta (6) avalla in toto i propositi che il legislatore, manifestamente e non senza ragione, si prefiggeva, ovverosia di esentare dalle novità dell’ultima ora un ramo caratterizzato da contenuti, logiche, finalità, peculiarità di rapporti e addirittura dinamiche storiche affatto singolari, e di conseguenza da proteggere. Così come aveva chiaramente fatto licenziando l’ultima novella organica del 1992, quando ebbe a prendere risolutamente le distanze dall’archetipo civilistico ribadendo in più passaggi l’alterità, e per ciò stesso, la prevalenza della disciplina specifica (ved. artt. 1, comma 2, 49, 61, 62, del D.Lgs. n. 546/1992).

[-protetto-]

Ora, se è indubbio che si tratta, in fondo, di definire dominio e connotati tecnici significativi del processo tributario (rectius, ricordando nella sua completezza la dizione legislativa: del «processo tributario di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546»), assai precaria appare l’impostazione che l’ordinanza ha seguito, chiedendosi quale accezione dobbiamo attribuire, nella specie, alla locuzione “processo”: se quella, sostanziale, di «procedura che investe, tratta e risolve le liti a contenuto tributario» oppure quella, di taglio più marcatamente processuale, di «rito che in tanto si qualifica come tributario in quanto si articola e si fonda su regole procedurali tipiche e selezionate» («norme specifiche e dettagliate» dice l’ordinanza), diverse da quelle generali («utilizzando esclusivamente [le quali, il difensore] si troverebbe a mal partito»). Distinguo criticabile in radice, vuoi 1) perché non è dato conoscere un processo tributario al di fuori del rito tributario di cui al D.Lgs. n. 546/1992, se è vero che «la giurisdizione tributaria è esercitata dalle commissioni tributarie provinciali e dalle commissioni tributarie regionali» (art. 1, primo comma), le quali «applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile» (secondo comma), e, data una simile, assorbente riserva di competenza giurisdizionale, non c’è margine per un altro processo tributario; vuoi 2) perché la Corte di Cassazione è il punto d’arrivo delle liti imbastite su quelle regole (e su quali altre?), pertanto non può dirsi espunta dall’impianto e dalla struttura, anche se si muove nel solco delle «norme processuali “comuni”» (7).

Del resto, e in ultimo, chiediamoci: come andava scritta la norma per raggiungere la sospirata meta? Forse, assai banalmente, il periodo criticato («le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546») sarebbe dovuto essere amputato della proposizione relativa che la conclude («di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546»). A quel punto pure i sofisti avrebbero plaudito. Forse.

Avv. Valdo Azzoni

(1) Si tratta di un pacchetto di norme dalle finalità ambiziose quando non velleitarie, con cui «è stato profondamente alterato (sicuramente in peius) il sistema delle impugnazioni nel processo civile» (cfr. C. Glendi, Quale ricorso per cassazione nel processo tributario?, in Riv. giur. trib., 2013, 925).

(2) A cogliere la differenza fra le due locuzioni, “omesso esame circa” e “omesso esame di”, è – insieme con C. Glendi, Novità sul ricorso per cassazione nel processo civile (e in quello tributario?), in Riv. giur. trib., 2012, 835 – G. Impagnatiello, Crescita del Paese e funzionalità delle impugnazioni civili: note a prima lettura del d.l. 83/2012, in Judicium. Il processo civile in Italia e in Europa, in www.judicium.it. Da notare come l’ambito di applicazione del nuovo testo finirebbe ulteriormente eroso – lo sottolinea l’ordinanza – «ove si applicasse anche alle vicende tributarie il principio (pur esso previsto nella legge n. 134/2012) della totale insindacabilità del difetto di motivazione in caso di “doppia conforme”, cioè ove la decisione di secondo grado sia fondata “sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata”».

(3) Meglio sarebbe, è ovvio, che al guasto arrecato con lo strumento legislativo si rimediasse con il medesimo strumento. Come sollecitato dall’Unione Nazionale delle Camere degli Avvocati Tributaristi per bocca dell’avv. P. Tumietto, il quale, propenso alla non applicazione della norma in campo processual-tributario, ha invocato l’adozione di un’interpretazione autentica in occasione dell’audizione consiliare al Senato della Repubblica del 4 febbraio 2014. E dire che – secondo un’altra voce del panorama dottrinale – un dignitoso escamotage è offerto dal sistema, poiché basterebbe «interpretare con qualche larghezza i limiti del difetto di motivazione ex art. 132, primo comma, n. 4), c.p.c., sempre deducibile a norma dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., equiparando al caso, praticamente di scuola, dell’assoluta mancanza formale di qualsiasi motivazione, i casi, ben più frequenti, di motivazione apparente e/o tautologica e/o perplessa e/o inconferente, e così via» (così C. Glendi, 11 settembre 2012: si sfaldano le impugnazioni del processo civile, in Il Quotidiano Giuridico dell’11 settembre 2012).

(4) Così B. Sassani, La logica del giudice e la sua scomparsa in Cassazione, in Judicium. Il processo civile in Italia e in Europa, in www.judicium.it. Nel suo (condivisibile) pessimismo, l’Autore ritiene che il giudice di legittimità «leggerà nel taglio legislativo l’attesa autorizzazione a sbarazzarsi all’ingrosso della massa dei ricorsi, operazione di bonifica già sciaguratamente sperimentata con il quesito di diritto, un istituto che è stato gestito come il cacciatore gestisce la trappola tesa alla selvaggina». Dello stesso avviso C. Glendi, il quale, dubitando della limpidezza dell’intervento legislativo, ritiene che le sue «finalità [fossero] improntate, a ben vedere, non tanto alla ragionevole durata del processo, quanto alla rottamazione dei mezzi di impugnazione» (così C. Glendi, Novità sul ricorso per cassazione nel processo civile (e in quello tributario?), cit., 833).

(5) Art. 62: «1. Avverso la sentenza della commissione tributaria regionale può essere proposto ricorso per cassazione per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell’art. 360, primo comma, del codice di procedura civile. 2. Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto».

(6) Di testo legislativo “molto chiaro” parla C. Glendi, Novità sul ricorso per cassazione nel processo civile (e in quello tributario?), cit., 836. È il primo dei tre fattori (tutti apprezzabili) che inclinano l’Autore – invero senza alcun cedimento al dubbio – verso l’inestensibilità al processo tributario del n. 5) modificato. Il secondo fattore viene così illustrato: «l’espressa deducibilità del vizio logico della motivazione ex art. 360, n. 5), sancita dal D.Lgs. n. 546/1992 con il tassativo richiamo ai “motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell’art. 360 del codice di procedura civile”, non era stata casuale. Era stata fatta ben sapendo che, in precedenza, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione avevano escluso la deducibilità di tale motivo per tutte le decisioni dei giudici speciali, compresi quelli tributari, ed esprimendo quindi una precisa voluntas legis diretta a far sì che tale motivo fosse per contro deducibile contro tutte le decisioni di secondo grado emesse dai giudici tributari» (ivi, 837). Il terzo fattore è concepito in prospettiva futura e tocca il «nuovo assetto ordinamentale, che, accanto alla giurisdizione in materia civile e penale e a quella amministrativa, preveda l’autonoma operatività della giurisdizione tributaria e di un processo tributario, da organizzarsi in tre gradi di giudizio, l’ultimo dei quali da affidare ad una nuova Suprema Corte della giurisdizione tributaria, che sia in grado di esercitare in apicibus una sua propria funzione nomofilattica» (ibidem).

(7) Francamente assai meno pregnante l’argomento addotto, a favore dell’esclusione dell’estensione, da S. Artuso R. Iaia G. Moschetti, La specificità dei ricorsi tributari, in Il Sole 24 Ore del 22 aprile 2013, fondato com’è sulla presunta maggiore fallibilità di alcune professionalità pure ammesse a comporre le commissioni tributarie quali geometri, ingegneri, architetti e periti di varia estrazione professionale, che, non avendo svolto studi ad hoc di diritto processuale civile, sarebbero più esposti a redigere decisioni affette da vizi motivazionali del tipo in questione. A tutto concedere, si dimentica l’opera di controllo e supervisione affidata al presidente del collegio, sicuramente di estrazione forense o magistratuale.

Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi di ricorso – Vizio denunciabile in materia tributaria a norma dell’art. 360, n. 5), c.p.c., nel testo vigente prima o dopo le modifiche introdotte dall’art. 54, primo comma, del D.L. n. 83/2012 – Impugnabilità delle sentenze tributarie per il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione o per il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti – Rimessione della questione alle Sezioni Unite della Corte di cassazione.

 È opportuno che venga rimessa alle Sezioni Unite la questione relativa all’applicabilità o meno ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze delle Commissioni tributarie del testo dell’art. 360, primo comma, n. 5), nella versione introdotta dall’art. 54, primo comma, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), in forza della quale le sentenze pronunciate in grado di appello pubblicate a decorrere dall’11 settembre 2012 sono ricorribili per cassazione non più per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ma solo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

 [Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. e rel. Cicala), 14 ottobre 2013, ord. n. 23273, ric. Agenzia delle entrate c. Società Rottami Aom s.p.a.]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSOMOTIVI DELLA DECISIONE – 1. L’Agenzia ricorre per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia Brescia 201/63/12 del 9 ottobre 2012 che accoglieva l’appello della AOM Rottami spa avverso avvisi di accertamento ires-irap per gli anni 2005, 2006.

2. La contribuente è costituita in giudizio con controricorso.

3. Con il primo motivo di ricorso la Amministrazione deduce omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti (art. 360, n. 5 c.p.c.) e dunque sembra fare riferimento al testo del citato n. 5 come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 [c.d. “Decreto crescita”] convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134; in realtà dalla lettura del motivo emerge che viene dedotta “un’insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”, cioè il vizio previsto nel testo dell’art. 360 n. 5, anteriore alla recente riforma che si applica ai ricorsi avverso sentenze depositate dopo il giorno 11 settembre 2012.

La decisione del ricorso pone dunque il problema della applicabilità o meno ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie delle disposizioni modificative del codice di procedura civile contenute nel D.L. 22 giugno 2012, n. 83 [c.d. “Decreto crescita”] convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

Ci si riferisce, in primo luogo, al “nuovo” n. 5) dell’art. 360 c.p.c. che restringe i vizi di motivazione che consentono l’intervento della Corte ai casi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Anche il limitato intervento consentito dal “nuovo” numero 5) verrebbe poi in molti casi meno ove si applicasse anche alle vicende tributarie il principio (pur esso previsto nella legge 134/2012) della totale insindacabilità del difetto di motivazione in caso di “doppia conforme” cioè ove la decisione di secondo grado sia fondata “sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata”.

Il Collegio ritiene che entrambe le disposizioni cui si è accennato trovino applicazione nei ricorsi contro le sentenze del giudice tributario; perché il comma 3- bis dell’art. 54 della citata legge secondo cui “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546,” riguarda solo il processo tributario vero e proprio (primo e secondo grado) delineato dalla legge 546/1992, mentre il giudizio di cassazione, anche ove verta in materia tributaria, non è più “processo tributario” ed è disciplinato dalle disposizioni del codice di procedura civile.

L’espressione “processo tributario” può assumere, infatti, un duplice significato.

In senso sostanziale, è processo tributario qualunque controversia in cui si discuta di un rapporto tributario; mentre in senso processuale è “processo tributario” quello in cui si applicano regole procedurali specifiche, proprie appunto del “processo tributario” (le due nozioni normalmente coincidono, ma questa coincidenza non sempre si verifica).

Se si esamina il D.Legs. 546/1992 (che la norma esplicitamente richiama) si constata che il processo tributario di primo e secondo grado è un “processo” particolare retto – nei suoi tratti essenziali – da norme specifiche e dettagliate.

Il difensore che pretendesse di gestire un processo tributario di primo o secondo grado utilizzando esclusivamente il codice di procedura civile si troverebbe a mal partito.

Dunque le controversie tributarie, sono nella fase di merito, almeno nella normalità dei casi, gestite con uno strumento processuale specifico: il processo tributario.

Se invece si esamina l’unico articolo del D.Legs. 546/1992, che riguarda il giudizio di cassazione si constata che le controversie tributarie non danno luogo ad un “processo tributario” di Cassazione; anche perché il D.Legs. (delegato) 546/1992 si guarda bene dall’enunciare alcuna regola specifica; e ciò in osservanza dell’art. 30 della legge delega 413/1991, che non conteneva alcuna delega in proposito (mentre regole specifiche riguardano la procedura di riassunzione della controversia avanti al giudice di merito, cioè una fase compresa nella delega).

Appare cioè assai difficile, per non dire impossibile, parlare di un “processo tributario di cassazione di cui alla legge 546/1992”, a fronte cui ai numeri da 1 a 5 dell’art. 360, comma 1, del codice di procedura civile. Al ricorso per di una disposizione (art. 62 D.Legs. 546/1992) che si limita a ribadire: “avverso la sentenza della commissione tributaria regionale può essere proposto ricorso per cassazione per i motivi di cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”.

Del resto, il citato art. 62 contiene un rinvio al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (ed alle disposizioni del codice di procedura civile relative al giudizio di cassazione) che è sempre stato applicato come un rinvio alle norme processuali “comuni” così come via via plasmate dal legislatore e non al testo vigente alla data di entrata in vigore del D.Legs. 546/1992.

La situazione sarebbe ovviamente diversa se fosse legge la proposta elaborata dal CNEL e che contiene una specifica e dettagliata disciplina del giudizio tributario di legittimità, nettamente differenziato rispetto al “comune” giudizio di cassazione. E se esistesse un “processo tributario di cassazione” sarebbe logico consentire il patrocinio avanti alla Corte a quei medesimi soggetti che possono assumere l’assistenza tecnica dei contribuenti avanti ai giudici di primo e di secondo grado (così come sembra prospettare il progetto del CNEL). Ma così oggi non è.

Tuttavia, si deve prender atto che nella dottrina sembra prevalere l’opinione opposta secondo cui la riforma in questione non tocca il processo di cassazione, quando formino oggetto di ricorso sentenze delle Commissioni Tributarie. E sembra opportuno che la soluzione di un problema che coinvolge un così ampio numero di ricorsi venga devoluta alle Sezioni Unite in modo da ottenere una pronuncia vincolante per i collegi ordinari, e che costituisca un sicuro punto di riferimento anche per coloro che debbono redigere ricorsi.

Pertanto il Collegio ritiene di sottoporre al Primo Presidente l’opportunità di rimettere – data la sua importanza – la questione sopra descritta alle Sezioni Unite.

P.Q.M. – Il Collegio rimette la controversia a S.E. il Primo Presidente affinché valuti l’opportunità di rimettere alle Sezioni Unite la questione indicata in motivazione.