15 Settembre, 2014

 

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Inquadramento generale della compensazione da un punto di vista giuridico – 3. L’assimilazione tra compensazione e adempimento ai fini tributari – 4. Le possibili problematiche operativeai fini delle imposte sul reddito, dell’IRAP, dell’IVA e degli obblighi deisostituti d’imposta – 5. Le incertezzeinterpretative ai fini dell’imposta di registro – 6. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

Nell’ambito delle proprie relazioni commerciali e finanziarie spesso accade che si originino, nei confronti del medesimo soggetto, sia posizioni creditorie, sia posizioni debitorie, a fronte di reciproche cessioni di beni e/o prestazioni di servizi.

Si tratta di una circostanza che interessa in prevalenza i soggetti appartenenti al medesimo gruppo societario (i quali, come noto, tendono ad effettuare transazioni reciproche con maggior frequenza), ma che sta assumendo un crescente rilievo anche tra operatori indipendenti.

Tale fenomeno, come può essere facilmente intuito, è stato favorito soprattutto dalla crisi economica e finanziaria degli ultimi anni; infatti, quest’ultima ha notevolmente allungato i tempi medi di incasso dei crediti e di pagamento dei debiti, vuoi per le dilazioni di pagamento concesse, vuoi per l’inadempimento o, talvolta, per l’insolvenza dei debitori. Essendosi incrementata la vita media dei crediti e dei debiti, è logicamente aumentata anche la possibilità che si possa verificare la coesistenza degli stessi a fronte di reciproche transazioni.

In simili circostanze può, dunque, accadere che si decida di estinguere le obbligazioni derivanti da tali transazioni, per importi corrispondenti, ricorrendo alla compensazione, ritenendo detto istituto più semplice e immediato rispetto a due distinti adempimenti o, semplicemente, perché si tratta dell’unico modo per assolvere i propri debiti o vedere soddisfatti i propri crediti.

Prima di procedere in tal senso, tuttavia, occorrerebbe valutare i riflessi fiscali che ne potrebbero discendere sia sotto il profilo delle imposte sul reddito, dell’IRAP, dell’IVA e degli obblighi dei sostituti d’imposta, laddove si ritenesse che la compensazione debba essere assimilata, ai fini tributari, all’adempimento, sia sotto il profilo dell’imposta di registro.

Di seguito, dopo aver introdotto l’istituto della compensazione da un punto di vista giuridico (1), verranno sviluppate alcune considerazioni critiche relative a detti riflessi fiscali.

2. Inquadramento generale della compensazione da un punto di vista giuridico

Quando due soggetti risultano obbligati gli uni verso gli altri è possibile estinguere le reciproche obbligazioni, per importi corrispondenti, ricorrendo all’istituto della compensazione (2); si tratta, nello specifico, di un modo di estinzione delle obbligazioni diverso dall’adempimento di tipo “satisfattorio” (3).

Il nostro ordinamento civilistico considera, essenzialmente, tre distinte forme di compensazione; si tratta della compensazione legale, della compensazione giudiziale e della compensazione volontaria.

La compensazione legale si verifica in presenza di crediti/debiti reciproci che siano contemporaneamente omogenei (nel senso che devono avere ad oggetto una somma di denaro o altre cose fungibili dello stesso genere), liquidi (e, quindi, determinati nel proprio ammontare) ed esigibili (in quanto possono essere fatti valere in giudizio al fine di ottenere una condanna al pagamento) (4). In linea di principio, dunque, le contestazioni relative all’esistenza o all’ammontare dei reciproci crediti/debiti (o, anche, di uno solo di essi) rendono impossibile la compensazione legale per carenza del requisito della liquidità, a meno che le stesse non risultino, prima facie, meramente pretestuose (5). La compensazione legale può essere invocata, senza peraltro ricorrere a formule sacramentali (6), sia in ambito stragiudiziale (7) sia all’interno di un giudizio (8). In entrambe le ipotesi, l’estinzione dei crediti/debiti decorre dalla data della coesistenza degli stessi (9); ne discende che l’eventuale prescrizione non impedisce la compensazione, se la stessa non era compiuta quando si è verificata detta coesistenza (10). Sulla base di quanto sostenuto dalla dottrina maggioritaria, la compensazione legale non può operare in via automatica, ma richiede una specifica invocazione di parte, alla quale deve, conseguentemente, essere attribuito valore costitutivo (11). La giurisprudenza di legittimità è, al contrario, orientata nel ritenere che la compensazione legale operi automaticamente, per effetto della sola coesistenza dei crediti/debiti, al ricorrere delle condizioni a tal fine richieste e il divieto, normativamente previsto, di rilevarla da parte del giudice implicherebbe solamente che il suo effetto risulti nella disponibilità del soggetto che se ne avvale; tale impostazione comporta, in sostanza, che l’invocazione della compensazione, così come l’eventuale sentenza che la accerti, abbia mera rilevanza dichiarativa di un effetto estintivo già verificatosi (12).

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La compensazione giudiziale ha luogo, invece, qualora, nel corso di un giudizio, a fronte del credito/debito liquido ed esigibile di una parte, sia opposto in compensazione dalla controparte un credito/debito omogeneo ed esigibile, ma non anche liquido, purché sia di facile e pronta liquidazione da parte del giudice; in tal caso, quest’ultimo provvede alla liquidazione dello stesso e dichiara l’estinzione delle reciproche posizioni creditorie/debitorie per gli importi corrispondenti (13). La sentenza che dispone la compensazione giudiziale viene generalmente considerata come costitutiva (14), sebbene esistano anche elaborazioni dottrinali che attribuiscono alla stessa natura costitutiva per la sola parte che liquida il credito e dichiarativa per quella che concerne la compensazione (15) o natura esclusivamente dichiarativa (16). Gli effetti estintivi di tale forma di compensazione vengono, di regola, fatti decorrere dalla data della sentenza con cui il giudice liquida il credito/debito opposto in compensazione (17). Tuttavia, esiste anche un orientamento minoritario in dottrina secondo cui sarebbe più corretto far retroagire detti effetti al momento di instaurazione del giudizio o, comunque, a quello in cui viene opposta la compensazione (18).

In presenza di crediti/debiti reciproci che non rispettino i requisiti per dar luogo alla compensazione legale o giudiziale, le parti possono attuare la compensazione volontaria mediante uno specifico accordo (19). Tale accordo può essere perfezionato dalle parti anche in via preventiva al fine di disciplinare ex ante le condizioni della futura compensazione (20). Quanto alla data di decorrenza degli effetti estintivi della compensazione volontaria, occorre distinguere a seconda che la stessa si qualifichi come preventiva, oppure no (21). Nel primo caso, la compensazione dovrebbe assumere efficacia dalla data in cui si verificano le condizioni previste nell’accordo (22); peraltro, secondo alcuni Autori, analogamente a quanto avviene nel caso di compensazione legale, sarebbe altresì necessaria una specifica invocazione di parte (23). Nel secondo caso, la compensazione dovrebbe assumere efficacia dalla data in cui l’accordo è perfezionato (24). La giurisprudenza di legittimità ha invece sostenuto che anche detta forma di compensazione, al pari di quella legale, debba farsi retroagire alla data di coesistenza dei crediti/debiti reciproci (25).

In dottrina, inoltre, è stato elaborato il concetto di compensazione facoltativa, che si verifica laddove una parte, rimuovendo unilateralmente un ostacolo all’operare della compensazione legale, quale, ad esempio, il termine in suo favore, permette alla stessa di operare; si ritiene che quest’ultima non integri una quarta forma di compensazione, ma debba essere ricondotta alla figura della compensazione legale (26) o, secondo un’impostazione minoritaria, di quella volontaria (27). Ne discende che, a seconda dell’impostazione adottata, risulterà applicabile l’una o l’altra disciplina (28).

L’istituto della compensazione è ammissibile anche nell’ambito del fallimento (29). In particolare, i creditori possono compensare i debiti verso il fallito con i crediti nei confronti del medesimo soggetto, ancorché non scaduti prima della data di dichiarazione del fallimento ma, in quest’ultimo caso, solo se gli stessi non siano stati acquistati, per atto tra vivi, dopo detta data o nell’anno anteriore. Fatto salvo quanto affermato in relazione all’esigibilità dei crediti/debiti reciproci, la compensazione nell’ambito del fallimento può trovare applicazione in presenza degli ulteriori requisiti previsti per la compensazione legale o, secondo i più recenti orientamenti giurisprudenziali, anche di quelli previsti per la compensazione giudiziale (30). Tale forma di compensazione viene generalmente invocata in sede di verifica dello stato passivo o nell’ambito del giudizio promosso dal curatore per ottenere la condanna al pagamento del credito del fallito.

Da ultimo, si evidenzia che esistono specifiche circostanze in cui la compensazione non può operare tra cui, per i fini che rilevano in questa sede, l’ipotesi di rinuncia preventiva alla stessa (31).

3. L’assimilazione tra compensazione e adempimento ai fini tributari

Nel nostro ordinamento tributario il momento del pagamento, della corresponsione, della distribuzione o della percezione (32) di un flusso finanziario può assumere rilievo ai fini delle imposte sul reddito, dell’IRAP, dell’IVA e degli obblighi dei sostituti d’imposta. Tale momento permette, infatti, di individuare il periodo d’imposta in cui devono essere tassati/dedotti i componenti del reddito e del valore della produzione IRAP che assumono rilievo fiscale secondo un principio di “cassa”, la data in cui le transazioni, in determinate circostanze, assumono efficacia ai fini IVA e l’istante in cui sorgono gli obblighi del sostituto d’imposta sulle somme soggette a ritenuta. La corretta collocazione temporale dei citati eventi assume, quindi, estrema importanza sotto un profilo fiscale, in quanto potrà incidere sul corretto assolvimento degli obblighi di applicazione delle ritenute, di fatturazione, di versamento e di dichiarazione.

Ora, è di tutta evidenza che i termini pagamento, corresponsione, distribuzione e percezione ben si adattano al solo caso in cui le parti decidano di regolare i reciproci rapporti commerciali e/o finanziari mediante separati adempimenti. In questo senso, si potrebbe essere indotti a ritenere, sulla base di un’interpretazione meramente letterale, che gli effetti fiscali che il nostro ordinamento tributario ricollega a detti termini non possano trovare applicazione in caso di compensazione (33). D’altronde, il fatto stesso che il codice civile tratti della compensazione nell’ambito dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento (34) rende del tutto evidente come, da un punto di vista giuridico, i due istituti debbano essere tenuti ben distinti. Si tratta di un’impostazione che troverebbe fondamento, peraltro, nella circostanza che, quando il legislatore tributario ha inteso superare detta distinzione giuridica, lo ha fatto espressamente. Basti pensare che, nell’ambito delle disposizioni sulla determinazione dei redditi di capitale delle persone fisiche, è previsto, con specifico riferimento ai rapporti di conto corrente e alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, che si considerano percepiti (e, conseguentemente, assoggettati a tassazione) anche gli interessi compensati a norma di legge o di contratto (35). Considerato che tale disposizione è stata introdotta, essenzialmente, al fine di evitare che i correntisti persone fisiche potessero dedurre interessi passivi in misura eccedente rispetto a quanto previsto dal TUIR (36) – ipotesi che, di fatto, avrebbe potuto verificarsi se gli interessi passivi indeducibili fossero andati ad abbattere gli interessi attivi imponibili – ne discende che la stessa risulterebbe priva di utilità laddove si intendesse sostenere che, ai fini tributari, la compensazione possa essere equiparata all’adempimento anche in assenza di una specifica previsione al riguardo. Ragionando in questi termini, infatti, a prescindere dalla citata norma, gli interessi attivi e passivi sarebbero considerati distintamente, anche in relazione alla quota compensata, con la conseguenza che, in ogni caso, gli interessi passivi risulterebbero integralmente indeducibili e quelli attivi integralmente imponibili.

Sebbene tale impostazione abbia una sua logica, non può farsi a meno di rilevare come l’adozione della stessa si porrebbe in contrasto con alcuni principi cardine posti a presidio del nostro ordinamento tributario.

In primo luogo, infatti, si paleserebbe una violazione del principio costituzionale di capacità contributiva (37). Non si comprende, infatti, perché la manifestazione di ricchezza correlata ad un componente di reddito o del valore della produzione IRAP che assume rilievo tributario secondo un principio di “cassa” debba essere ignorata solo perché va ad alimentare un credito/debito oggetto di compensazione. Analoghe considerazioni potrebbero ritenersi valide anche ai fini IVA, in quanto la compensazione rischierebbe di sottrarre definitivamente ad imposizione quelle operazioni che si considerano effettuate al momento del pagamento; ciò, ovviamente, nel presupposto che non si verifichino le ulteriori condizioni, variabili a seconda dei casi, idonee a configurare l’effettuazione delle operazioni ai fini IVA tra le quali, ad esempio, l’emissione della fattura.

In secondo luogo, si verificherebbe una violazione del principio costituzionale di eguaglianza (38); in presenza di reciproche posizioni creditorie/debitorie, non vi è, infatti, ragione per ipotizzare che il doppio adempimento debba produrre conseguenze fiscali differenti rispetto ad una compensazione dato che, sul piano sostanziale, le due ipotesi sono del tutto equivalenti, nel senso che in entrambi i casi, all’estinzione delle rispettive obbligazioni, si accompagnerebbe il soddisfacimento degli interessi della controparte.

Peraltro, così facendo, si finirebbe con l’incentivare condotte elusive/abusive da parte dei contribuenti che, di fatto, potrebbero essere indotti a prediligere forme di estinzione delle obbligazioni diverse dall’adempimento al solo scopo di beneficiare di un trattamento impositivo di favore.

In ragione di quanto scritto, sembrerebbe corretto ritenere che i termini di pagamento, corresponsione, distribuzione e percezione non debbano essere intesi come specificamente riferiti all’adempimento, ben potendosi adattare, tra l’altro e per i fini che qui interessano, anche alla compensazione (39).

4. Le possibili problematiche operative ai fini delle imposte sul reddito, dell’IRAP, dell’IVA e degli obblighi dei sostituti d’imposta

Stabilita, quindi, l’assimilazione, ai fini tributari, tra l’adempimento e la compensazione, occorre chiedersi da quale istante quest’ultima debba assumere efficacia fiscale.

La giurisprudenza di legittimità ha fornito i propri orientamenti, con specifico riferimento all’IVA, avendo riguardo, in particolare, all’ipotesi di compensazione volontaria non preventiva e di compensazione legale.

Nel primo caso, è stato sostenuto che debba assumere rilievo, quale data del pagamento, quella in cui le parti hanno stipulato l’accordo di compensazione (40). Si evidenzia come, mediante detta pronuncia, sembrerebbe che la Corte di Cassazione, più che introdurre una distinzione tra il momento di efficacia fiscale della compensazione volontaria non preventiva e quello di efficacia giuridica della stessa, abbia inteso prendere le distanze da quel precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità, peraltro contrastante con quanto sostenuto dalla dottrina supra evidenziata, secondo il quale occorrerebbe fare riferimento alla data di coesistenza dei reciproci crediti/debiti anche per tale forma di compensazione (41). In altri termini, pare che la Corte di Cassazione abbia attribuito efficacia, ai fini IVA, alla data dell’accordo, nell’assunto che è a tale data, e non a quella di coesistenza dei crediti/debiti, che si siano perfezionati, anche a livello giuridico, gli effetti della compensazione.

Nel secondo caso, ci si è limitati a ricordare che, analogamente a quanto ritenuto valido a livello giuridico, è sufficiente la coesistenza dei reciproci crediti/debiti dotati dei requisiti previsti per la compensazione legale, affinché, in sostanza, la stessa abbia effetto anche ai fini IVA (42).

Volendo estendere i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità a livello generale (considerando, quindi, non solo l’IVA, ma anche le imposte sul reddito, l’IRAP e gli obblighi dei sostituti d’imposta, tenendo conto, inoltre, delle ulteriori tipologie di compensazione) si dovrebbe concludere che, di regola, la data di efficacia fiscale della compensazione debba coincidere con quella della sua efficacia giuridica.

Si tratta di un’impostazione impeccabile sotto un profilo meramente teorico; infatti, è proprio a detta data che si verifica l’estinzione dei debiti reciproci e il soddisfacimento dei corrispondenti crediti, realizzandosi così quell’equivalenza sostanziale, nei termini poc’anzi descritti, tra compensazione e adempimento sulla base della quale si ritiene corretto assimilare, da un punto di vista tributario, i due istituti.

Ragionando in questi termini, tuttavia, si rischierebbe di rendere impossibile, per il contribuente, l’assolvimento dei propri obblighi fiscali, per due ordini di ragioni.

In primo luogo, per via delle incertezze che esistono in relazione al momento in cui le diverse forme di compensazione devono considerarsi effettuate; per tale problematica si è già avuto modo di scrivere a sufficienza, ragion per cui non appare opportuno soffermarsi oltre.

In secondo luogo, per via dello sfasamento temporale che potrebbe verificarsi tra la data in cui si verifica l’efficacia giuridica della compensazione e quella in cui la stessa può essere, ragionevolmente, conosciuta dalla parti. In caso di compensazione legale, infatti, l’estinzione dei crediti/debiti reciproci si verificherebbe alla data della loro coesistenza. Ciò significa che l’estinzione dei crediti/debiti potrebbe anche retroagire ad una data precedente rispetto a quella in cui la compensazione viene invocata. Non è da escludere, pertanto, che il contribuente possa rendersi conto solo ex post di aver violato obblighi fiscali concettualmente sorti quando lo stesso neppure sapeva che l’estinzione delle reciproche obbligazioni sarebbe avvenuta mediante compensazione, confidando, magari, nel duplice adempimento. Inoltre, non sembrerebbe realisticamente ipotizzabile che il contribuente, al fine di evitare una simile evenienza, debba imporre alla controparte – ammesso che la propria forza contrattuale glielo consenta – una rinuncia preventiva alla compensazione. Parimenti, sembrerebbe da escludere che, in assenza di detta rinuncia, il contribuente, al fine di non esporsi ai citati rischi fiscali, debba essere costretto, in via sistematica, ad invocare la compensazione legale in via unilaterale non appena se ne verifichino le condizioni, tanto più se si trova in ambito stragiudiziale. Infatti, la scelta di invocare la compensazione legale stragiudiziale è, in genere, condivisa con il proprio cliente/fornitore sebbene, da un punto di vista giuridico, non ve ne sia la necessità. Tale prassi risponde ad una duplice esigenza: da un lato, quella di salvaguardare i rapporti commerciali con il cliente/fornitore; dall’altro, quella di assolvere correttamente i propri obblighi di ritenuta che, in assenza di distinti pagamenti, richiedono, in linea di principio, conguagli in denaro (43). Peraltro, una simile impostazione fiscale risulterebbe contraddittoria con le disposizioni che mirano a salvaguardare l’ammissibilità della compensazione anche ove invocata successivamente alla coesistenza dei crediti/debiti; basti pensare, come già ricordato, che la prescrizione non impedisce la compensazione, se la stessa non era compiuta quando si è verificata la coesistenza dei crediti/debiti reciproci, a prescindere dalla data in cui la stessa viene invocata. In altri termini, se un’invocazione della compensazione successiva rispetto alla coesistenza dei crediti/debiti reciproci è considerata ammissibile e meritevole di tutela dal nostro ordinamento giuridico, non si vede perché la stessa debba essere impedita o, comunque, scoraggiata dal legislatore tributario mediante obblighi fiscali retroattivi. Problematiche analoghe a quelle appena citate potrebbero sorgere anche nell’ipotesi di compensazione volontaria preventiva, laddove si aderisse a quell’orientamento dottrinale secondo cui anche detta forma di compensazione necessiterebbe di una specifica invocazione; l’unica differenza, rispetto alla compensazione legale, è che gli effetti estintivi dei crediti/debiti non retroagirebbero alla data di coesistenza degli stessi, ma a quella in cui si sono verificate le condizioni previste nell’accordo.

Sulla base di quanto scritto, risulta evidente che l’assimilazione, ai fini tributari, tra l’adempimento e la compensazione, pur essendo concettualmente corretta, non possa spingersi sino a rendere, di fatto, impossibile il tempestivo assolvimento degli obblighi fiscali derivanti da quest’ultima.

A questo riguardo, merita segnalare un’interpretazione resa dall’Agenzia delle entrate, con riferimento alle imposte sul reddito, all’IVA e agli obblighi dei sostituti d’imposta, a proposito di una compensazione avente ad oggetto il credito vantato da una Società a Responsabilità Limitata per i versamenti ancora dovuti da un socio, con i debiti nei confronti di quest’ultimo a fronte delle prestazioni d’opera e di servizi conferite (44). In particolare, l’Amministrazione finanziaria ha affermato che, in dette circostanze, ai fini fiscali, la compensazione assumerebbe rilievo con l’abbattimento del credito verso il socio iscritto nell’attivo della società, ovvero all’atto della registrazione del costo relativo alla prestazione d’opera e di servizi ricevuta. Tale interpretazione ha il pregio di individuare un criterio di determinazione dell’efficacia fiscale della compensazione idoneo a consentire, almeno nel caso di specie o in casi analoghi, il tempestivo assolvimento degli obblighi tributari da parte dei contribuenti. Non sembra, tuttavia, che il citato criterio possa assumere portata generale, in quanto la compensazione potrebbe avvenire anche tra soggetti che non risultino obbligati alla tenuta delle scritture contabili o, comunque, che non siano in grado di verificare la data in cui la stessa ha avuto rappresentazione in dette scritture (45). Non è del tutto chiaro, poi, come ci si debba comportare in presenza di crediti/debiti reciproci derivanti da flussi reddituali che, in ossequio al principio della competenza economica, siano contraddistinti da una differente imputazione/ripartizione temporale (i.e., credito derivante da un ricavo/provento imputato in un esercizio successivo/precedente o ripartito su un arco temporale superiore/inferiore rispetto a quello del costo/onere che dà origine al debito con cui viene compensato) ovvero nel caso in cui la compensazione avvenga tra soggetti entrambi tenuti all’obbligo delle scritture contabili; in particolare, sembrerebbe corretto ritenere, nel primo caso, che occorra fare riferimento alla data in cui viene registrato il flusso reddituale imputato successivamente o ripartito lungo l’arco temporale più ampio e, nel secondo caso, che ciascun soggetto possa fare affidamento sulle proprie scritture contabili, senza curarsi di quanto fatto dalla controparte; tali conclusioni, tuttavia, vanno ben oltre quanto espressamente sostenuto dall’Agenzia delle entrate e, come tali, potrebbero non essere condivise dalla stessa. Ad ogni modo, a prescindere da quanto appena scritto, si tratta di un’impostazione del tutto contraddittoria anche da un punto di vista logico e sistematico; da un lato, infatti, si vogliono estendere alla compensazione effetti tributari che la legge ha scelto di ricollegare ad eventi quali il pagamento, la corresponsione, la distribuzione o la percezione, ritenendo, evidentemente, inopportuno fare affidamento su un mero criterio di competenza economica; dall’altro, tuttavia, quando si tratta di individuare il momento in cui la stessa assume efficacia fiscale, si impone di fare riferimento all’istante in cui vengono registrati contabilmente i flussi reddituali che danno origine ai crediti/debiti oggetto di estinzione, “riesumando”, così, di fatto, quel principio di competenza economica che il legislatore tributario ha inteso escludere (46).

In ragione di quanto appena affermato, sembrerebbe corretto ritenere che, al fine di salvaguardare le esigenze informative dei contribuenti e, quindi, di permettere agli stessi di assolvere correttamente i propri obblighi tributari, non occorra individuare criteri di determinazione dell’efficacia fiscale della compensazione del tutto scollegati da quelli validi ai fini giuridici, ma ci si debba limitare ad attribuire rilievo al momento in cui la stessa può essere, ragionevolmente, conosciuta dalle parti. Così facendo, infatti, si eviterebbe di introdurre una differenziazione tra data di efficacia giuridica e data di efficacia fiscale della compensazione nei casi in cui ciò non sia strettamente necessario; peraltro, verrebbero superate tutte le problematiche poc’anzi evidenziate, in relazione alla compresenza di soggetti entrambi obbligati o non obbligati alla tenuta delle scritture contabili, all’esistenza di rapporti societari/giuridici che permettano loro di sapere, ove necessario, quando la compensazione ha avuto rappresentazione in dette scritture, alla diversa imputazione/ripartizione temporale dei flussi reddituali che originano i crediti/debiti oggetto di reciproca estinzione e, soprattutto, al rilievo impropriamente attribuito al principio di competenza economica. D’altronde, questa soluzione non fa altro che estendere alla compensazione i principi seguiti dall’Amministrazione finanziaria con specifico riferimento alla problematica, concettualmente analoga, dell’individuazione della data di efficacia fiscale dei pagamenti effettuati con mezzi diversi dal contante. Detta data, infatti, è sempre stata associata ad eventi conoscibili dalle parti (e.g., ricezione della comunicazione bancaria o postale di avvenuto accreditamento delle somme spettanti, rilascio di cambiali all’ordine, risultanze dei propri conti dai quali risulta l’accreditamento, consegna materiale degli assegni, utilizzo delle carte di credito on line, etc.) (47) e ciò, tanto nel caso in cui gli stessi fossero rilevanti anche al fine di individuare il perfezionamento giuridico dei pagamenti in parola, quanto nel caso in cui non lo fossero. Si tratta, quindi, di un’impostazione che, in maniera non dissimile da quanto suggerito in questa sede a proposito della compensazione, conferisce rilevanza prioritaria alle esigenze informative dei contribuenti.

Ciò premesso, si tratta di comprendere quale sia l’istante in cui è ragionevole ritenere che i reciproci creditori/debitori possano avere contezza della compensazione, così da attribuire allo stesso efficacia fiscale.

Con riferimento alla compensazione legale, si dovrebbe fare riferimento alla data in cui la stessa è invocata e resa nota alla controparte; in questo senso, al fine di evitare contestazioni di natura tributaria, è, in ogni caso, opportuno che detta data risulti da elementi oggettivi e che l’invocazione sia formalizzata per iscritto. Peraltro, ove la compensazione fosse invocata in un giorno differente rispetto a quello in cui la controparte ne viene a conoscenza, sembrerebbe corretto ritenere che ciascun creditore/debitore debba fare riferimento ad una data distinta; così, ad esempio, nel caso in cui la compensazione fosse opposta mediante un atto spedito tramite servizio postale, per il soggetto che l’ha invocata, dovrebbe assumere rilievo la data della spedizione, mentre per l’altro quella della ricezione. Si tratta di considerazioni che, ad avviso di chi scrive, devono ritenersi valide tanto nel caso in cui la compensazione legale avvenga in ambito stragiudiziale, quanto nel caso in cui la stessa si inserisca all’interno di un giudizio, negando, quindi, che in quest’ultimo caso possa assumere rilievo il relativo esito; se così non fosse, infatti, si paleserebbe un’ingiustificata discriminazione tra le due ipotesi, in quanto la prima assumerebbe efficacia, anche se immediatamente contestata, al momento dell’invocazione, mentre la seconda solo a seguito della sentenza. Ciò, come meglio spiegato oltre, nel presupposto che non vi siano incertezze in relazione all’esistenza dei requisiti di compensabilità, nel senso che i crediti/debiti opposti in compensazione siano pacificamente omogenei, liquidi ed esigibili.

La compensazione giudiziale, invece, presupponendo un’attività di facile e pronta liquidazione da parte del giudice, dovrebbe assumere efficacia alla data in cui viene pubblicata la relativa sentenza. Infatti, fino a quando la sentenza non viene pubblicata, non sarebbe possibile, per il contribuente, né sapere se la compensazione ha avuto effetto, né per quale importo.

Diverso è il caso di compensazione volontaria. In particolare, nell’ipotesi di compensazione volontaria preventiva, in linea di principio, è ragionevole ritenere che la conoscibilità della stessa da parte di entrambi i soggetti sorga al momento in cui si verificano le condizioni previste nell’accordo, a prescindere da una qualsivoglia ulteriore invocazione, con la conseguenza che i relativi obblighi fiscali dovrebbero decorrere da detta data. Tuttavia, in considerazione delle anzidette incertezze interpretative sollevate da una parte della dottrina, secondo la quale la compensazione volontaria preventiva andrebbe in ogni caso invocata, sembrerebbe preferibile inserire espressamente tale condizione all’interno dell’accordo. Così facendo, si eviterebbero ab origine le contestazioni che potrebbero sorgere in relazione alla data di efficacia fiscale della compensazione; in questa circostanza, infatti, dovrebbe ritenersi valido quanto già evidenziato a proposito della compensazione legale, nel senso che assumerebbe rilievo la data in cui la compensazione è invocata e resa nota alla controparte. Nell’ipotesi di compensazione volontaria non preventiva, invece, dovrebbe rilevare, di regola, la data in cui è perfezionato il relativo accordo, assumendo che lo stesso sia sottoscritto dalle parti e, di riflesso, divenga noto alle stesse contestualmente. Tuttavia, se detta assunzione non fosse rispettata e, quindi, se le parti potessero avere contezza della conclusione dell’accordo solo in giorni differenti, sembrerebbe corretto ritenere, riprendendo ancora una volta le considerazioni sviluppate a proposito della compensazione legale, che ciascuna di esse debba fare riferimento ad una data distinta; così, ad esempio, se l’accordo di compensazione fosse concluso mediante scambio di corrispondenza epistolare, per uno dei contraenti rileverebbe la data di spedizione della lettera di accettazione, mentre per l’altro (il proponente) quella di ricezione della stessa.

Quanto alla compensazione nell’ambito del fallimento, occorre distinguere, coerentemente con quanto già evidenziato a livello giuridico, se la stessa risulti concettualmente riconducibile (in termini di requisiti da soddisfare e fatto salvo quanto affermato in relazione all’esigibilità dei crediti/debiti reciproci) alla compensazione legale o a quella giudiziale. Nella prima ipotesi, la compensazione dovrebbe assumere efficacia fiscale nel momento in cui la stessa è invocata dal creditore del fallito e resa nota al curatore o viceversa. Nella seconda ipotesi, si devono considerare due scenari. In caso di compensazione invocata in sede di verifica dello stato passivo, bisognerebbe attendere che lo stesso divenga definitivo e sia reso esecutivo dal giudice delegato con decreto depositato in cancelleria; è a tale data, infatti, che il contribuente potrebbe conoscere l’esito della domanda di compensazione, nel senso che, in caso di accoglimento della stessa, il suo credito verrebbe ammesso al passivo al netto del debito verso il fallito, mentre, in caso contrario, il suo credito verrebbe ammesso per l’intero importo. In caso di compensazione invocata nell’ambito del giudizio promosso dal curatore per il recupero del credito del fallito, invece, occorrerebbe attendere la pubblicazione della relativa sentenza.

Un’ultima considerazione attiene all’ipotesi in cui gli eventi cui si ricollega l’efficacia fiscale dei diversi tipi di compensazione, così come appena individuati, siano oggetto di contestazione; basti pensare, ad esempio, al caso in cui venga promosso il giudizio per il recupero di un credito contro il quale la controparte ha precedentemente opposto una compensazione legale stragiudiziale, al caso in cui venga impugnata la sentenza che ha dichiarato la compensazione legale o giudiziale e a quello in cui ci si opponga allo stato passivo. In tali circostanze, analogamente a quanto avviene ai fini giuridici, l’efficacia della compensazione dovrebbe essere rinviata nel solo caso in cui le relative condizioni di ammissibilità discendano dall’esito della controversia e quest’ultima non derivi da una contestazione che risulti, prima facie, meramente pretestuosa. In tutti gli altri casi, invece, non si dovrebbe verificare alcuna proroga dell’efficacia fiscale della compensazione, nel senso che, ove confermata, la stessa dovrebbe comunque farsi decorrere dalla data che avrebbe assunto rilievo in assenza di dette contestazioni. Giova tuttavia rilevare che, in caso di contenzioso fiscale sorto in pendenza del giudizio legato alla legittimità giuridica della compensazione, il giudice tributario, di regola, non potrebbe sospendere il processo e sarebbe chiamato a risolvere la questione (48).

5. Le incertezze interpretative ai fini dell’imposta di registro

In linea di principio, l’imposta di registro è applicabile alle compensazioni nel solo caso in cui le stesse risultino da atti formato per iscritto (49) (quali, in particolare, gli atti unilaterali e i contratti, siano essi redatti per atto pubblico, scrittura privata autenticata e non, nonché gli atti dell’Autorità giudiziaria). Ciò significa che ove, ad esempio, le parti elidessero i crediti/debiti reciproci nelle rispettive scritture contabili a seguito di un accordo verbale, il tributo di registro non si renderebbe applicabile; si tratta, tuttavia, di una possibilità che, a prescindere dalle ulteriori questioni che potrebbero emergere sul piano giuridico, dovrebbe essere attentamente valutata dal contribuente al fine di non incorrere, come già anticipato, in contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria circa la data di efficacia della compensazione ai fini dei conseguenti obblighi fiscali.

Ciò premesso, si evidenzia come, per espressa previsione normativa, gli atti scritti formati in Italia relativi alle compensazioni risultino soggetti ad imposta di registro proporzionale nella misura dello 0,5% (50), con un minimo pari all’imposta fissa (i.e. Euro 200,00) (51), e la registrazione deve avvenire in termine fisso (i.e. entro 20 giorni dalla data dell’atto) (52). Ove tale atto sia redatto mediante scrittura privata non autenticata e l’importo dell’imposta proporzionale sia inferiore all’imposta fissa, si applica quest’ultima, solo in caso d’uso(53). Nel caso in cui, infine, l’atto sia redatto all’estero (54) o per forma epistolare (55), l’imposta si applica nella misura dello 0,5%, con un minimo pari all’imposta fissa, solo in caso d’uso.

Si tratta di un regime impositivo che non presenta particolari problematiche interpretative nel caso di compensazione volontaria; viceversa, nell’ipotesi di compensazione legale o di compensazione giudiziale si rendono necessarie alcune considerazioni.

Con riferimento alla compensazione legale, sia essa opposta in via stragiudiziale o nel corso di un giudizio, si potrebbe tentare di sostenere che l’atto mediante il quale la stessa viene invocata debba essere ricondotto a quelli meramente ricognitivi. Una simile interpretazione porterebbe a ritenere che il citato atto, non avendo contenuto patrimoniale, né negoziale, debba essere registrato in termine fisso e con imposta fissa, se stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, oppure in caso d’uso e con imposta fissa, se stipulato mediante scrittura privata non autenticata (56). Si tratta, evidentemente, di un’impostazione che potrebbe risultare ammissibile solo laddove si negasse efficacia costitutiva all’atto mediante il quale la compensazione viene invocata. In realtà, come già evidenziato, la dottrina maggioritaria tende a riconoscere efficacia costitutiva a tale atto, con la conseguenza che non sembrerebbe esservi ragione, sul piano logico e sistematico, per sottrarre lo stesso al regime impositivo specificamente previsto per le compensazioni; né un simile trattamento di favore può trovare supporto in un’interpretazione letterale delle disposizioni a tal fine previste, dato che queste ultime non distinguono a seconda del tipo di compensazione effettuata.

Quanto alla compensazione giudiziale, potrebbe assumere rilievo la circostanza che la stessa sia pronunciata dal giudice mediante una sentenza alla quale, generalmente, viene attribuita efficacia costitutiva. In questo senso, si potrebbe argomentare che la compensazione giudiziale, trovando la sua genesi nella sentenza, debba essere assoggettata a tassazione di registro unicamente sulla base della specifica disciplina prevista per gli atti dell’autorità giudiziaria. Ora, tenuto conto che tra gli atti dell’autorità giudiziaria soggetti al tributo di registro in misura proporzionale non rientrano quelli aventi ad oggetto la compensazione, si potrebbe concludere che gli stessi debbano essere ricondotti tra quelli in materia di controversie civili non recanti il trasferimento, la condanna o l’accertamento di diritti a contenuto patrimoniale, rendendosi così applicabile la sola imposta fissa di registro in termine fisso (57). Laddove si ritenesse che la sentenza di compensazione giudiziale non rientri neppure tra detti atti, si potrebbe concludere che la stessa debba ricadere tra quelli per i quali non vi è l’obbligo di richiedere la registrazione, neppure in caso d’uso; in tale circostanza, pertanto, l’imposta fissa di registro si renderebbe applicabile solo in caso di registrazione volontaria (58); ovviamente, una simile impostazione muoverebbe dal presupposto, tutt’altro che scontato, secondo cui le sentenze non possano essere ricondotte tra gli altri atti aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, nel qual caso, invece, risulterebbe applicabile l’imposta proporzionale del 3% in termine fisso (59). Si tratta, tuttavia, di una serie di ipotesi non convincenti, in quanto comporterebbero un’ingiustificata differenziazione impositiva tra atti aventi il medesimo contenuto patrimoniale solo in ragione della natura negoziale o giudiziaria degli stessi, ponendosi così in contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza e di capacità contributiva ai quali risulta ispirato il nostro ordinamento tributario. In questo senso, sembrerebbe corretto ritenere che il regime impositivo, ai fini del tributo di registro, applicabile alla compensazione giudiziale debba essere il medesimo previsto per le altre forme di compensazione.

Le considerazioni appena sviluppate dovrebbero ritenersi valide, in linea di principio, anche in caso di compensazione avvenuta nell’ambito di un fallimento, dato che, come già ricordato, la stessa, a seconda dei casi, risulta concettualmente riconducibile, nei termini poc’anzi espressi, alla compensazione legale o a quella giudiziale. Nel primo caso, occorrerebbe dunque registrare l’atto mediante il quale la compensazione viene invocata, in sede di verifica dello stato passivo o nell’ambito del giudizio promosso dal curatore per il recupero del credito del fallito; nel secondo caso, invece, occorrerebbe registrare l’atto che dà evidenza dell’avvenuta compensazione e, quindi, a seconda dei casi, il decreto che rende esecutivo lo stato passivo o la sentenza relativa al giudizio promosso dal curatore per il recupero del credito del fallito.

Stabilito che il medesimo regime impositivo dovrebbe ritenersi valido per le diverse forme di compensazione (60), resta da comprendere, nei casi in cui si renda applicabile il tributo di registro in misura proporzionale, quale sia la base imponibile cui lo stesso deve essere commisurato. Ebbene, nel caso di compensazioni aventi ad oggetto crediti/debiti di pari importo, la base imponibile dell’imposta di registro sarà costituita dall’ammontare del singolo credito/debito e non dalla sommatoria degli stessi (61). Viceversa, nel caso di compensazioni aventi ad oggetto crediti di importo differente, l’imposta di registro dovrà essere applicata solo all’importo che forma effettivamente oggetto di compensazione (che, tendenzialmente, coinciderà con il credito di minore entità); tuttavia, ove il credito maggiore, per la parte che non viene compensata, sia oggetto di remissione, l’imposta di registro sarà dovuta, in maniera autonoma, anche su detta eccedenza (62).

6. Considerazioni conclusive

In ragione di tutto quanto sopra, appare evidente che, ad oggi, esistano notevoli problematiche interpretative riferite al regime fiscale applicabile alla compensazione; queste ultime derivano, da un lato, da questioni di natura meramente tributaria e, dall’altro, da dubbi più propriamente giuridici che, tuttavia, riverberano i propri effetti anche sul piano impositivo.

Gli orientamenti sinora espressi dalla giurisprudenza di legittimità e dall’Agenzia delle entrate non sono stati di grande aiuto in quanto, pur avendo risolto alcune specifiche tematiche, in maniera peraltro non sempre uniforme e condivisibile, non hanno fornito principi di carattere generale che permettano di tracciare un quadro d’insieme.

In questo contesto interpretativo tutt’altro che lineare, ed in attesa di ulteriori interventi chiarificatori da parte delle competenti autorità, le possibilità a disposizione dei contribuenti sono essenzialmente due.

Da un lato, in via del tutto prudenziale, ci si potrebbe limitare ad estinguere le reciproche obbligazioni mediante adempimento prima che si verifichino le condizioni richieste dalla legge o dal relativo contratto per l’operare della compensazione. Ovviamente, il ricorso all’adempimento in luogo di altri modi di estinzione delle obbligazioni eventualmente attuabili in alternativa alla compensazione risponderebbe all’esigenza di evitare di incorrere nelle problematiche interpretative che potrebbero emergere anche in relazione a detti istituti. Sotto il profilo temporale, invece, l’estinzione delle reciproche obbligazioni prima che si verifichino le condizioni richieste per l’operare della compensazione permetterebbe di scongiurare il rischio che quest’ultima si perfezioni, contro la propria volontà, in via automatica o quale conseguenza di una specifica invocazione della controparte, laddove, evidentemente, la stessa non vi abbia rinunciato in via preventiva.

Dall’altro lato, alla luce di un attento confronto tra costi e benefici, si potrebbe comunque scegliere di dare atto alla compensazione e di assolvere i relativi obblighi fiscali; in tal caso, tenuto conto delle obiettive condizioni di incertezza in cui i contribuenti sono costretti ad operare, si ritiene che debba comunque essere garantita loro, in caso di contestazioni, l’inapplicabilità delle sanzioni amministrative e penali (che, in linea teorica, ne potrebbero conseguire) in virtù del principio dell’affidamento e della buona fede (63), nonché delle cause di non punibilità previste dal nostro ordinamento tributario (64) e penale-tributario (65).

È evidente che non esiste una condotta preferibile in senso assoluto, ma la scelta tra le due possibilità dovrà essere valutata, caso per caso, in funzione dalle esigenze individuali dei contribuenti e delle ragioni che potrebbero, eventualmente, portare a prediligere la compensazione in luogo del duplice adempimento.

Dott. Luca Marraffa

(1) Cfr. art. 10, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente).

(2) Cfr. art. 6, comma 2, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.

(3) Cfr. art. 15 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

(4) Considerato l’oggetto del presente scritto, i soli aspetti giuridici che verranno trattati in questa sede, senza pretesa di esaustività, sono quelli che possano avere un qualche rilievo ai fini dell’analisi tributaria sviluppata nel prosieguo. In questo senso, i riferimenti giurisprudenziali e dottrinali menzionati all’interno del paragrafo 2, specificamente riferito a tali aspetti, saranno circoscritti ai contributi di maggiore importanza. Detti contributi, siano essi più o meno recenti, sono rappresentativi, con riguardo ai temi affrontati, del quadro giurisprudenziale e dottrinale tutt’ora esistente in materia di compensazione. Per coerenza espositiva, gli orientamenti resi in ambito tributario non saranno trattati nel citato paragrafo 2, ma in quelli successivi.

(5) Cfr. art. 1241 c.c.

(6) Si ricorda che i modi di estinzione delle obbligazioni vengono tradizionalmente suddivisi tra “satisfattori” e “non satisfattori”; i primi sono quelli che, analogamente a quanto avviene in caso di adempimento, comportano il soddisfacimento degli interessi del creditore; gli altri, al contrario, sono quelli che non comportano il soddisfacimento degli interessi del creditore.

(7) Cfr. art. 1243, comma 1, c.c. Si evidenzia che, sebbene non se ne faccia menzione nelle disposizioni normative, deve in ogni caso trattarsi di crediti/debiti certi; cfr. Cass., sez. III, 10 marzo 1970, n. 620, in Mass. giur. it., 1970; Cass., sez. lav., 13 maggio 1987, n. 4423, in Rep. foro it., 1987, Obbligazioni in genere [4500], n. 32; Cass., sez. lav., 18 ottobre 2002, n. 14818, ivi, 2002, Obbligazioni in genere [4500], n. 72; e Cass., sez. III, 31 maggio 2010, n. 13208, in Giust. civ., 2011, 2929.

(8) Cfr. Cass., sez. III, 21 aprile 1975, n. 1532; Cass., sez. un., 5 giugno 1975, n. 2234; Cass., sez. III, 15 luglio 1982, n. 4161, in Rep. foro it., 1982, Obbligazioni in genere [4500], n. 32; e Cass., sez. I, 5 febbraio 1996, n. 936, in Giust. civ., 1996, I, 1647.

(9) Cfr. Cass., sez. III, 22 giugno 1962, n. 1607; Cass., sez. III, 28 gennaio 1972, n. 224, in Mass. giur. it., 1972; Cass., sez. lav., 24 aprile 1980, n. 2730, ivi, 1980; Cass., sez. II, 10 novembre 1998, n. 11287, in Rep. foro it., 1998, Procedimento civile [5190], n. 184; Cass., sez. lav., 1° marzo 2000, n. 2289, ivi, 2000, Procedimento civile [5190], n. 256; Cass., sez. III, 16 luglio 2003, n. 11146, ivi, 2003, Obbligazioni in genere [4500], n. 84; Cass., sez. I, 11 gennaio 2006, n. 391, ivi, 2006, Obbligazioni in genere [4500], n. 57; e Cass., sez. II, 29 marzo 2006, n. 7257, ibidem, n. 56.

(10) Cfr. G.A. Micheli, Compensazione legale e pignoramento, in Studi in onore di Enrico Redenti, II, Milano, 1951, 39; E. Giuliano, La compensazione con particolare riguardo alle procedure concorsuali, Milano, 1955, 50 s.; P. Schlesinger, voce Compensazione (diritto civile), in Noviss. dig. it., III, Torino, 1957, 724; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, III, Milano, 1959, 497; P. Perlingieri, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Commentario del Codice Civile, a cura di A. Scialoja G. Branca, Commentario del Codice Civile, Bologna, 1975, 278 ss.; V. De Lorenzi, voce Compensazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., III, Torino, 1988, 69; e N. Di Prisco, I modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno,IX, I, Torino, 1999, 405 s.

(11) Cfr. art. 35 c.p.c.

(12) Cfr. art. 1242, comma 1, c.c.

(13) Cfr. art. 1242, comma 2, c.c.

(14) Cfr. P. Schlesinger, op. cit., 724; G. Ragusa Maggiore, voce Compensazione, in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, 20 s.; P. Perlingieri, op. cit., 273 ss.; G. Zuddas, voce Compensazione, in Enc. giur. Treccani, VII, Roma, 1988, 2; V. De Lorenzi, op. cit., 67; M.C. Dalbosco, La compensazione per atto unilaterale (la c.d. compensazione legale) tra diritto sostanziale e processo, in Riv. dir. civ., 1989, I, 357 ss.; e U. Breccia, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica – P. Zatti, Milano, 1991, 726 ss. Si tratta di una tesi avvalorata, essenzialmente, da tre ordini di ragioni: in primo luogo, la compensazione non può essere rilevata d’ufficio, ai sensi dell’art. 1242, comma 1, c.c.; in secondo luogo, l’adempimento di un debito per il quale poteva essere opposta la compensazione non dà diritto alla restituzione di quanto pagato (come accadrebbe laddove i reciproci crediti/debiti si considerassero estinti automaticamente e, conseguentemente, il pagamento risultasse indebito), così come desumibile dall’art. 1251 c.c.; in terzo luogo, la previsione di cui all’art. 1286 c.c. del 1865, secondo cui la compensazione operava per legge anche all’insaputa dei debitori, non è stata replicata nell’attuale formulazione normativa.

(15) Cfr. Cass., sez. III, 16 maggio 1964, n. 1196; Cass., sez. I, 5 giugno 1976, n. 2037; Cass., sez. II, 21 maggio 1979, n. 2916, in Mass. giur. it., 1979; Cass., sez. I, 4 maggio 1981, n. 2705, in Rep. foro it., 1981, Obbligazioni in genere [4500], n. 41; Cass., sez. III, 10 febbraio 2003, n. 1955, ivi, 2003, Obbligazioni in genere [4500], n. 87; Cass. n. 11146/2003, cit.; Cass., sez. III, 11 gennaio 2006, n. 260, ivi, 2006, Obbligazioni in genere [4500], n. 58; e Cass., sez. III, 9 luglio 2009, n. 16120, ivi, 2009, Obbligazioni in genere [4500], n. 49. Nello stesso senso si è espressa anche una parte minoritaria della dottrina: cfr. F. Pellegrini, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Libro delle obbligazioni, in Commentario del Codice Civile, diretto da M. D’Amelio E. Finzi, Commentario del Codice Civile, I, Firenze, 1948, 146; e C.M. Bianca, Diritto civile, IV, Milano, 1990, 493 ss.

(16) Cfr. art. 1243, comma 2, c.c.

(17) Cfr. E. Redenti, La compensazione dei debiti nei nuovi codici, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1947, 40; G.A. Micheli, op. cit., 56; E. Giuliano, op. cit., 78; F. Messineo, op. cit., 503; G. Ragusa Maggiore, op. cit., 22; L. Barassi, La teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1964, 159; R. Miccio, Delle obbligazioni in generale, in Commentario del Codice Civile, Torino, 1982, 437; G. Zuddas, op. cit., 4; e N. Di Prisco, op. cit., 416.

(18) Cfr. P. Perlingieri, op. cit., 303; e V. De Lorenzi, op. cit., 76.

(19) Cfr. M. Allara, Le fattispecie estintive del rapporto obbligatorio, Torino, 1952, 143; e P. Schlesinger, op. cit., 729.

(20) Cfr. Cass., sez. III, 14 marzo 1964, n. 578; Cass., sez. II, 21 febbraio 1985, n. 1536, in Rep. foro it., 1985, Obbligazioni in genere [4500], n. 30; Cass., sez. lav., 22 gennaio 1987, n. 592, ivi, 1987, Previdenza sociale [5150], n. 479; Cass., sez. I, 1° febbraio 1995, n. 1114, ivi, 1995, Obbligazioni in genere [4500], n. 66; Cass., sez. II, 7 febbraio 1998, n. 1298, ivi, 1998, Obbligazioni in genere [4500], n. 53; e Cass., sez. II, 22 novembre 2004, n. 22035, ivi, 2004, Obbligazioni in genere [4500], n. 68. In dottrina, cfr. P. Schlesinger, op. cit., 729; P. Perlingieri, op. cit., 308; V. De Lorenzi, op. cit., 77; e N. Di Prisco, op. cit., 416.

(21) Cfr. S. Masciangelo F. Morcavallo F. Vomero, La compensazione, in Trattato delle obbligazioni, diretto da L. Garofalo – M. Talamanca, III, I modi di estinzione, a cura di A. Burdese E. Moscati, Padova, 2008, 225; e C. Cicero, voce Compensazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., Aggiornamento, VII, Torino, 2012, 170.

(22) Cfr. art. 1252, comma 1, c.c.

(23) Cfr. art. 1252, comma 2, c.c.

(24) Nel prosieguo, per chiarezza espositiva, tali forme di compensazione volontaria saranno definite, rispettivamente, come preventiva e non preventiva.

(25) Cfr. G. Zuddas, op. cit., 5; V. De Lorenzi, op. cit., 77; e N. Di Prisco, op. cit., 419.

(26) Cfr. E. Redenti, op. cit., 38; e F. Messineo, op. cit., 502.

(27) Cfr. E. Redenti, op. cit., 37; P. Schlesinger, op. cit., 730; P. Perlingieri, op. cit., 397; e V. De Lorenzi, op. cit., 77.

(28) Cfr. Cass., sez. III, 28 ottobre 1969, n. 3551, in Mass. giur. it., 1969.

(29) Cfr. M. Allara, op. cit., 154; E. Giuliano, op. cit., 84 s.; P. Schlesinger, op. cit., 730; e V. De Lorenzi, op. cit., 77.

(30) Cfr. F. Pellegrini, op. cit., 164; e R. Miccio, op. cit., 436.

(31) L’assenza di autonomia della compensazione facoltativa deve ritenersi valida, evidentemente, anche ai fini fiscali, con la conseguenza che, nel prosieguo, non verrà fatto alcun riferimento alla stessa.

(32) Cfr. art. 56 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267; tale disposizione è richiamata, inoltre, dai successivi artt. 169 e 201, comma 1, a proposito, rispettivamente, delle procedure di concordato preventivo e di liquidazione coatta amministrativa; il citato art. 169, a sua volta, è applicabile altresì nell’ambito dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, ai sensi dell’art. 18, comma 1, del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, e, per via del rimando a detta norma contenuto nell’art. 4, comma 1, e nell’art. 8, comma 1, del D.L. 23 dicembre 2003, n. 347 (convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39), anche con riferimento alla procedura prevista per le imprese di dimensione rilevante. Di seguito, per semplicità espositiva, si farà esclusivo riferimento al fallimento, fermo restando che le conclusioni raggiunte potranno essere estese anche alle altre procedure citate, se ed in quanto compatibili con le stesse. Si evidenzia, inoltre, che non verranno affrontate le ipotesi di compensazione legale stragiudiziale e di compensazione volontaria nell’ambito del fallimento per le quali, di fatto, possono ritenersi valide, ai fini fiscali, le considerazioni sviluppate nel prosieguo a livello generale.

(33) Questa conclusione viene fatta discendere dalla tesi secondo la quale la compensazione nell’ambito della procedura concorsuale in parola risulterebbe ammissibile tutte le volte in cui il fatto genetico delle reciproche obbligazioni sia anteriore alla dichiarazione del fallimento; cfr. Cass., sez. I, 6 settembre 1996, n. 8132, in Giur. it., 1997, I, 1, 746; Cass., sez. un., 16 novembre 1999, n. 775, ivi, 2000, 1219; Cass., sez. I, 28 agosto 2001, n. 11288, in Fall., 2002, 615; Cass., sez. I, 22 maggio 2003, n. 8042, in Corr. giur., 2003, 1600; Cass., sez. I, 13 agosto 2004, n. 15779, in Mass. giur. it., 2004; Cass., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13769, in Fall., 2008, 445; Cass., sez. III, 12 febbraio 2008, n. 3280, in Rep. foro it., 2008, Fallimento [2880], n. 435; Cass., sez. lav., 27 aprile 2010, n. 10025, ivi, 2010, Fallimento [2880], n. 366; e Cass., sez. I, 31 agosto 2010, n. 18915, ibidem, n. 364. Dette pronunce hanno, peraltro, superato quel precedente orientamento giurisprudenziale che tendeva ad interpretare le disposizioni in materia di compensazione nell’ambito del fallimento in maniera più rigida, richiedendo, in particolare, che il controcredito del fallito fosse scaduto già prima dell’apertura della procedura concorsuale; cfr. Cass., sez. un., 26 luglio 1990, n. 7562, in Rep. foro it., 1990, Fallimento [2880], n. 332; Cass., sez. I, 25 agosto 1997, n. 7961, in Fall., 1998, 1115; e Cass., sez. I, 11 novembre 1998, n. 11371, ivi, 1999, 415. In dottrina, per l’ammissibilità della compensazione giudiziale nell’ambito del fallimento, cfr. M. Foschini, La compensazione nel fallimento, Napoli, 1965, 223 ss.; F. Lamanna, Articolo 56 – Compensazione in sede di fallimento, in Il nuovo diritto fallimentare, commentario diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, I, Bologna, 2006, 813; G.U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 257; P. Pajardi A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 353; S. Ambrosini G. Cavalli – A. Jorio, Il fallimento, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, Padova, 2009, XI, 385; R. Rosapepe, Effetti nei confronti dei creditori, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. BuonocoreA. Bassi, coordinato da G. Capo F. De Santis B. Meoli, II, Padova, 2010, 310 s.; e F. Aprile, Art. 56 – Compensazione in sede di fallimento, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, a cura di M. Ferro, Padova, 2011, 657.

(34) Cfr. art. 1246, comma 1, n. 4, c.c.

(35) Per semplicità espositiva, nel presente contributo si farà riferimento ai termini pagamento, corresponsione, distribuzione e percezione perché sono quelli che, per i fini qui d’interesse, vengono utilizzati con maggior frequenza e specificità nell’ambito delle disposizioni fiscali. Resta inteso, tuttavia, che le considerazioni di seguito sviluppate devono ritenersi valide anche in presenza di disposizioni tributarie che, pur utilizzando una differente terminologia, facciano riferimento ai medesimi concetti.

(36) Cfr. circ. Servizi Tributari dell’Unione del commercio, turismo e servizi della provincia di Milano 10 giugno 1991, n. 69. Si tratta di un’impostazione che sembrerebbe trovare conferma anche in una recente pronuncia della Corte di Cassazione secondo cui, in estrema sintesi, le definizioni di pagamento, corresponsione, distribuzione e percezione di dividendi, nell’ambito dei trattati internazionali contro le doppie imposizioni, presupporrebbero una consegna effettiva degli stessi; cfr. Cass., sez. trib., 20 febbraio 2013, n. 4164, in Boll. Trib. On-line. Infatti, sebbene tali rigide definizioni siano state adottate con esclusivo riferimento alla novazione (nel caso in oggetto si trattava della conversione di un debito per dividendi in un debito per mutuo) – che, come noto, viene generalmente ricondotta tra i modi di estinzione delle obbligazioni di tipo “non satisfattorio” – non vi è dubbio che le stesse, ove letteralmente intese, potrebbero condurre alle medesime conclusioni anche con riferimento alla compensazione, a prescindere dalla già anticipata natura “satisfattoria” di quest’ultima.

(37) Cfr. Libro quarto (“Delle obbligazioni”), Titolo I (“Delle obbligazioni in generale”), Capo IV (“Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento”), Sezione III (“Della compensazione”) del Codice Civile.

(38) Cfr. art. 45, comma 3, del TUIR.

(39) Cfr. Relazione di accompagnamento alla bozza del TUIR. In dottrina, cfr. F. Caleffi S.M. Ceccacci, voce Redditi di capitale, in Enc. giur. Treccani, XXVI, Roma, 1996, 7; A. Carinci, Il fattore temporale nell’imposta sui redditi: tra disciplina e definizione delle ipotesi categoriali e del reddito complessivo, in Riv. dir. fin. e scien. fin., 2000, I, 618 ss.; e M. Leo, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, I, Milano, 2010, 767 s.

(40) Cfr. art. 53 Cost.

(41) Cfr. art. 3 Cost.

(42) Coerentemente con l’oggetto del presente scritto, di seguito verranno presi in considerazione unicamente gli orientamenti tributari che, direttamente o indirettamente, hanno affrontato il tema della compensazione ai fini della tassazione dei componenti del reddito e del valore della produzione IRAP secondo un principio di “cassa”, dell’effettuazione delle operazioni in ambito IVA, nonché degli obblighi dei sostituti d’imposta, e non anche quelli che, al contrario, hanno trattato tale istituto in altri contesti, quali, ad esempio, la compensazione delle imposte ex art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241; in questo senso, anche i riferimenti al concetto di efficacia/rilievo fiscale/tributario della compensazione, contenuti nel prosieguo, devono essere intesi con esclusivo riguardo ai predetti fini. Ciò premesso, si evidenzia come l’assimilazione, ai fini fiscali, tra compensazione e adempimento sia stata espressamente confermata dalla giurisprudenza di legittimità; cfr. Cass., sez. trib., 15 gennaio 2007, n. 712; Cass., sez. trib., 13 marzo 2009, n. 6120; e Cass., sez. trib., 30 giugno 2010, n. 15441; tutte in Boll. Trib. On-line. Si tratta di un’impostazione sostenuta anche dall’Amministrazione finanziaria; cfr. ris. 2 agosto 2002, n. 260/E, in Boll. Trib. On-line; ris. 30 settembre 2003, n. 189/E, in Boll. Trib., 2003, 1414; e ris. 16 marzo 2005, n. 35/E, ivi, 2005, 1137. In senso conforme, in dottrina, cfr. P. Boria, Le categorie di reddito, in P. Russo, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2009, 130; M. Andriola, Il problema tributario delcosiddetto «incasso giuridico», in Fiscalitax, 2009, 870 ss.; G. Odetto M. Peirolo
,
IVA. Guide e soluzioni, Milano, 2013, 248; G. Zizzo, Brevi note sulla nozione di «pagamento dei dividendi» nelle convenzioni contro le doppie imposizioni, in Rass. trib., 2013, 675 ss. (quest’ultimo scritto proprio nell’ambito di un’analisi critica relativa a quel recente orientamento della Corte di Cassazione, poc’anzi richiamato, nel quale i termini pagamento, corresponsione, distribuzione e percezione di dividendi sono stati correlati alla consegna effettiva degli stessi). Si evidenzia, per completezza, che non sempre, all’interno dei citati contributi, sia stato affrontato il tema relativo al momento in cui la compensazione deve considerarsi effettuata ai fini fiscali; questo spiega perché, nel successivo paragrafo, avendo riguardo a tale questione, solo alcuni di essi verranno presi in considerazione.

(43) Cfr. Cass. n. 6120/2009, cit.

(44) Cfr. Cass. n. 3551/1969, cit.

(45) Cfr. Cass. n. 15441/2010, cit.

(46) Nel caso di compensazione di somme soggette a ritenuta, l’estinzione dei crediti/debiti reciproci dovrebbe avvenire, di regola, per importi corrispondenti, ma il soggetto con diritto di rivalsa dovrebbe ricevere dalla controparte una provvista finanziaria equivalente all’importo della ritenuta. In dottrina, è stata anche ipotizzata un’alternativa, secondo cui, anziché procedere ad un conguaglio in denaro, l’obbligo di rivalsa potrebbe essere assolto estinguendo i reciproci crediti/debiti per importi non corrispondenti; in particolare, ipotizzando, per semplicità, crediti/debiti di pari importo, dei quali uno relativo a somme soggette a ritenuta e l’altro no, il primo si estinguerebbe per intero, mentre il secondo per l’importo eccedente il valore della ritenuta, rimanendo, così, aperto per l’ammontare della stessa; cfr. F. Avella, Dividendi distribuiti a soggetti non residenti. Profili di diritto interno, in La tassazione dei dividendi intersocietari. Temi attuali di diritto tributario italiano, dell’Unione Europea e delle convenzioni internazionali, a cura di G. Maisto, Milano, 2011, 423. Ad avviso di chi scrive, tuttavia, detto approccio risulterebbe compatibile con l’obbligo di rivalsa nel solo caso in cui il credito/debito residuo (pari, appunto, all’importo della ritenuta) fosse estinto, mediante pagamento, entro la data di effettuazione della compensazione (il che, in sostanza, ricondurrebbe tale alternativa all’ipotesi di conguaglio in denaro).

(47) Cfr. ris. n. 35/E/2005, cit.

(48) A tale riguardo, occorre ricordare che le registrazioni contabili delle imprese devono avvenire nel rispetto del principio di competenza economica e, quindi, tenendo conto di dati interni aziendali (i.e. correlazione tra ricavi/proventi e costi/oneri) non sempre e, in ogni caso, non immediatamente noti a soggetti esterni. Peraltro, la rappresentazione contabile di un fatto di gestione non deve obbligatoriamente avvenire nella data in cui lo stesso ha avuto luogo; l’art. 2216 c.c., infatti, pur stabilendo che il libro giornale debba indicare, giorno per giorno, le operazioni relative all’esercizio dell’impresa, non fissa un termine entro il quale devono essere eseguite le relative registrazioni contabili; l’art. 22, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, si limita, invece, a stabilire che, ai fini fiscali, dette registrazioni debbano avvenire non oltre 60 giorni, lasciando, quindi, il contribuente libero di scegliere, all’interno di tale arco temporale, quando eseguire le stesse. Sulla base di quanto appena affermato, è evidente che ove intercorrano determinati rapporti societari/giuridici tra i reciproci creditori/debitori, come nel caso esaminato dall’Agenzia delle entrate, la data in cui è avvenuta la registrazione di un determinato fatto di gestione e, di riflesso, quella in cui la compensazione ha avuto rappresentazione contabile, dovrebbe essere, ragionevolmente, conosciuta da entrambi i soggetti; viceversa, tale informazione potrebbe risultare ignota ad uno di essi.

(49) Per un’analisi critica relativa alla risoluzione in commento, cfr. G.M. Committeri, Opere e servizi conferiti nelle S.r.l., in L’IVA, 2005, 29 ss.; e G. Stancati, Momento impositivo dei conferimenti di opere e servizi in società a responsabilità limitata, in Corr. trib., 2005, 1371 ss.

(50) Cfr. ris. 25 gennaio 1978, n. 363519, in Boll. Trib., 1978, 459; ris. 14 marzo 1981, n. 330541, ivi, 1981, 520; ris. 6 dicembre 1989, n. 551041, ivi, 1990, 136; circ. 5 agosto 1994, n. 134/E/VI-12-1108, ivi, 1994, 1269; ris. 23 aprile 2007, n. 77/E, ivi, 2007, 1881; circ. 30 aprile 2009, n. 20/E, par. 4.1, ivi, 2009, 724; ris. 29 maggio 2009, n. 138/E, ibidem, 1535; e circ. 23 giugno 2010, n. 38/E, par. 3.3, ivi, 2010, 1045.

(51) Si ricorda, infatti, che, sulla base di quanto previsto dall’art. 2, comma 3, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il giudice tributario è chiamato a risolvere, in via incidentale, tutte le questioni da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatte salve le ipotesi in cui sia possibile sospendere il processo ai sensi dell’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992. Considerato che, nel caso in oggetto, non si rientrerebbe tra le ipotesi contemplate nella norma da ultimo citata, la sospensione del processo sarebbe ammessa solo laddove, in ragione di quanto stabilito all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/1992, si ritenesse applicabile, anche in ambito tributario, l’art. 295 c.p.c. La dottrina maggioritaria tende ad escludere in radice l’estensione di tale disposizione al processo tributario; cfr. C. Bafile, Il nuovo processo tributario, Padova, 1994, 144; F. Batistoni Ferrara, Appunti sul processo tributario, Padova, 1995, 90 s.; E. Della Valle, Sospensione, interruzione ed estinzione del processo, in Il processo tributario. Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, diretta da F. Tesauro, Torino, 1998, 606 ss.; C. Glendi, Sulla travagliata esperienza della sezione tributaria della Corte di Cassazione in tema di pregiudizialità fra (e di sospensione necessaria dei) processi tributari, in Riv. giur. trib., 2001, 1223 ss.; e M. Basilavecchia, Ancora incertezze sugli accertamenti relativi a società e soci, in Corr. trib., 2002, 27 ss. Tale conclusione trova conferma anche in alcune pronunce della Corte Costituzionale: cfr. Corte Cost. 26 febbraio 1998, n.
31, in
Boll. Trib. On-line; Corte Cost. 21 gennaio 1999, ord. n. 8, in Boll. Trib., 1999, 598; Corte Cost. 16 aprile 1999, ord. n. 136, in Boll. Trib. On-line; Corte Cost. 21 luglio 2000, ord. n. 330, ivi; e Corte Cost. 25 luglio 2011, n. 247, in Boll. Trib., 2011, 1489, con nota di F. Brighenti, Corte Costituzionale: salvo (con riserva) il raddoppio dei termini di accertamento (la sentenza da ultimo citata, meglio conosciuta per aver considerato infondate le questioni di legittimità costituzionale legate al raddoppio dei termini di accertamento in presenza di reati tributari che comportino l’obbligo di denuncia exart. 331 c.p.p., assume rilievo, per i fini che qui interessano, laddove afferma come, nel caso di specie, il giudice rimettente non potesse sospendere il processo tributario ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in quanto ciò non era consentito dall’art. 2, comma 3, e dall’art. 39 del D.Lgs. n. 546/1992). L’interpretazione prevalente della giurisprudenza di legittimità, invece, pur riconoscendo un’estensione dell’art. 295 c.p.c. in ambito fiscale, ne circoscrive l’ammissibilità alle ipotesi di pregiudizialità interna (nei rapporti, quindi, tra processi tributari) e non anche a quelle di pregiudizialità esterna (nei rapporti, quindi, tra processi tributari e processi non tributari); cfr. Cass., sez. trib., 18 luglio 2002, n. 10509, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 6 settembre 2004, n. 17937, ivi; e Cass., sez. trib., 1° giugno 2006, n. 13082, in Boll. Trib., 2006, 1669; e Cass., sez. trib., 14 maggio 2007, n. 10952, in Boll. Trib. On-line. È evidente, pertanto, che, nell’ambito del processo tributario, il giudice possa essere chiamato ad esprimersi sull’esistenza delle condizioni necessarie per procedere alla compensazione dei crediti/debiti reciproci e sulla data della sua efficacia.

(52) Cfr. art. 2, lett. a), del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, per gli atti formati in Italia, e art. 11 della Tar., parte II, all. al medesimo decreto, per gli atti formati all’estero.

(53) Cfr. art. 6 della Tar., parte I, all. al D.P.R. n. 131/1986.

(54) Cfr. art. 41, comma 2, del D.P.R. n. 131/1986, e art. 11 della Tar., parte I, all. al medesimo decreto.

(55) Cfr. artt. 5, comma 1, e 13, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986.

(56) Cfr. art. 5, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986, e art. 2, comma 1, della Tar., parte II, all. al medesimo decreto.

(57) Cfr. art. 5, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986, e art. 11, lett. b), della Tar., parte II, all. al medesimo decreto.

(58) Cfr. art. 5, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986, e art. 1, lett. a), della Tar., parte II, all. al medesimo decreto.

(59) Cfr. art. 5, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986, e, rispettivamente, art. 11 della Tar., parte I, all. al medesimo decreto, in caso di atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero art. 4 della Tar., parte II, all. al D.P.R. n. 131/1986, in caso di scrittura privata non autenticata. Sul trattamento fiscale degli atti ricognitivi di compensazione già avvenuta, cfr. A. Busani, L’imposta di registro, Milano, 2009, 796; e anche A. Mauro G. Odetto M. Peirolo, Imposte indirette, Milano, 2010, 745, che, pur esprimendo alcune incertezze al riguardo, sembrerebbero ricondurre tra tali atti quelli relativi alla compensazione legale.

(60) Cfr. artt. 5, comma 1, e 37, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986, e art. 8, comma 1, lett. d), della Tar., parte I, all. al medesimo decreto.

(61) Cfr. art. 7 del D.P.R. n. 131/1986, e art. 2 della Tab. all. al medesimo decreto.

(62) Cfr. art. 5, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986, e art. 9 della Tar., parte I, all. al medesimo decreto. Per l’applicabilità di tale disposizione anche agli atti giudiziari, cfr. nota Min. fin. 7 giugno 1988, n. 220660, in Boll. Trib., 1988, 950; e ris. 21 settembre 2007, n. 260/E, in Boll. Trib. On-line. Nello stesso senso, in dottrina, cfr. G. Arnao, Manuale dell’imposta di registro, Milano, 2005, 604; contra, cfr. A. Montesano B. Ianniello, Imposte di registro, ipotecaria e catastale, Milano, 2010, 579.

(63) Quanto appena affermato, ovviamente, si ritiene valido esclusivamente per le disposizioni degli atti da sottoporre a registrazione che riguardano la compensazione ed esula, pertanto, dalle diverse interpretazioni rese, a livello più generale, in relazione agli stessi. Resta inteso, peraltro, che laddove siano contenute ulteriori disposizioni all’interno dei medesimi atti, questi ultimi risulteranno soggetti ad imposta di registro sulla base di quanto previsto dall’art. 21 del D.P.R. n. 131/1986; in particolare, ove tali disposizioni (ivi incluse quelle relative alla compensazione) derivino necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta di registro si applicherà unicamente su quella che dà luogo all’imposizione più elevata, ai sensi del comma 2; viceversa, ciascuna disposizione risulterà soggetta ad imposta di registro in misura autonoma, ai sensi del precedente comma 1.

(64) Si tratta di una conclusione coerente con quanto previsto dal già richiamato art. 21, comma 2, del D.P.R. n. 131/1986. In questo senso, cfr. G. Arnao, op. cit., 589; A. Busani, op. cit., 797; A. Montesano B. Ianniello, op. cit., 544; e A. Mauro G. Odetto M. Peirolo, op. cit., 749.

(65) Si ricorda, al riguardo, che le remissioni di debiti, al pari delle compensazioni, rientrano tra le fattispecie di cui all’art. 6 della Tar., parte I, all. al D.P.R. n. 131/1986, per le quali l’imposta proporzionale di registro, ove applicabile, è dovuta nella misura dello 0,5%.