11 Giugno, 2015

IL GIUDIZIO DI INERENZA DEGLI INTERESSI PASSIVI

PER LA DEDUCIBILITÀ DAL REDDITO D’IMPRESA

 

 

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Il principio di inerenza nella misurazione dei costi ai fini della determinazione del reddito d’impresa – 3. L’applicazione del principio di inerenza al costo del capitale di debito e la discorde nomofilassi – 4. Il principio di inerenza e i meccanismi forfetari di determinazione dell’importo deducibile – 5. Conclusioni.

 

 

 

1. Premessa

La deducibilità dell’interesse corrisposto dall’impresa al soggetto finanziatore, quale costo del capitale acquisito a titolo di debito, ai fini delle imposte sui redditi è stata oggetto, da parte della dottrina e della giurisprudenza, di differenti ricognizioni cui hanno fatto seguito diverse opinioni circa la concorrenza del costo alla determinazione del reddito di impresa. In un recente arresto (1), la Corte di Cassazione assume la relativa deducibilità in via generale con esclusione del giudizio di inerenza del costo all’attività (2). Seppure confermativa di principi di diritto già tracciati in precedenti interventi della Suprema Corte (3), tale sentenza pare suscettibile di qualche critica perché in possibile contrasto con diversi indirizzi giurisprudenziali e con il pensiero espresso sul punto da parte della dottrina.

2. Il principio di inerenza nella misurazione dei costi ai fini della determinazione del reddito d’impresa

Una preventiva lettura del fenomeno in un’ottica economico-aziendale appare utile perché il legislatore della riforma tributaria ha ritenuto, come noto, che la disciplina del reddito imponibile derivante dall’esercizio di imprese commerciali dovesse informarsi: i) ai principi di competenza economica, tenuto conto delle esigenze di efficienza, rafforzamento e razionalizzazione dell’apparato produttivo; ii) alla determinazione analitica dell’imponibile in base alle risultanze del bilancio o del rendiconto (4). La ragione di tali scelte deriva dal vantaggio ottenuto, ai fini della tassazione, dal muovere da una base economica (i.e. il reddito economico-aziendale) attendibile perché frutto della comparazione analitica di costi e ricavi determinati secondo i criteri delle scienze aziendali. Tuttavia la derivazione del reddito di impresa imponibile da quello economico-aziendale non ne comporta l’automatica identificazione a causa del rilievo assunto dal principio della tassazione secondo la capacità contributiva, previsto dall’art. 53, primo comma, Cost. Principio che comporta la possibilità di prevedere ex lege variazioni del reddito economico tese ad impedire erosioni della base imponibile, fenomeni di elusione o di evasione di imposta. L’incidenza del reddito economico-aziendale deriva, altresì, dalla non tassatività degli elementi reddituali che concorrono alla determinazione del reddito imponibile, considerato che la disciplina prevista dal TUIR non è esaustiva di tutti i fenomeni economici rilevanti per l’impresa. Il legislatore, infatti, avendo disposto che il reddito da attrarre a tassazione deve essere pari a quello civilistico aumentato o diminuito per effetto di specifiche previsioni normative tributarie, ha implicitamente riconosciuto e fatte proprie le norme di ordinaria contabilità (5).

Dal lato giuridico l’inerenza, quale indefettibile presupposto della deducibilità del componente negativo di reddito, è una regola priva di definizione. L’immanenza nel diritto tributario, come visto, rinviene dal nesso che collega la determinazione del reddito imponibile al risultato del conto economico derivante dalla disciplina civilistico-contabile del bilancio di esercizio (6). In forza dei più recenti approdi giurisprudenziali e dottrinari (7), essa si sostanzia nella deduzione dal reddito di ogni onere sostenuto nell’interesse dell’impresa, al fine di conseguire una utilità, anche in via mediata e indiretta (8).

[-protetto-]

Dal lato economico-contabile e, quindi, giuridico, la ratio del principio in esame è di consentire la deduzione dal reddito dei costi che contribuiscono alla sua produzione e non di quelli che ne rappresentano una forma di destinazione. L’imputazione all’esercizio di impresa di spese non inerenti, infatti, rappresenta un fenomeno di distribuzione e non di produzione del reddito. Fenomeno (la distribuzione) che costituisce un evento logico successivo alla produzione e determinazione dell’utile di esercizio (9). L’ammissione di costi non inerenti tra quelli deducibili comporterebbe, quindi, l’anticipazione della distribuzione dell’utile ad una fase anteriore alla sua determinazione, con il risultato di “inquinare” il reddito dichiarato con atti di disposizione anticipativi dello stesso (10).

3. L’applicazione del principio di inerenza al costo del capitale di debito e la discorde nomofilassi

Nella citata sentenza n. 24892/2013 della Suprema Corte, gli interessi passivi sono considerati oneri generati dalla funzione finanziaria che afferiscono all’impresa “nel suo essere e progredire” e, di conseguenza, non riferiti a una particolare gestione aziendale. Ragione per cui secondo i giudici di legittimità la deducibilità del componente negativo del reddito non è subordinata al giudizio di inerenza e di prova da parte sia dell’imprenditore e sia dell’Amministrazione finanziaria.

Ponendosi nel solco di suoi precedenti interventi (11), al fine di escludere il giudizio di inerenza del costo del capitale acquisito a titolo di debito, nella citata sentenza, spunto di partenza per le nostre osservazioni, il giudice di legittimità individua nel previgente art. 75, quinto comma, del TUIR (12), il riferimento positivo del principio di inerenza. Ne consegue che poiché il disposto normativo esclude espressamente dal suo ambito gli interessi passivi, implicitamente ne ammetterebbe la deducibilità senza alcun necessitato vaglio del rapporto di inerenza con l’attività di impresa. La deducibilità degli interessi passivi, quindi, resterebbe regolata in via esclusiva dai meccanismi di misurazione forfetaria previsti da norme specifiche (13).

Tale indirizzo giurisprudenziale è contrastato dalla dottrina. La ragione riposa, essenzialmente, nella considerazione che la ratio dell’art. 109, quinto comma, del TUIR, non è quella di dettare le regole di applicazione del principio di inerenza, ma di evitare una duplicazione di vantaggi per l’impresa che fruisce di esenzioni prevedendo l’indeducibilità dal reddito dei componenti negativi sostenuti a fronte dei ricavi non tassati (14. L’esclusione degli interessi passivi dall’ambito di operatività della norma deve leggersi, pertanto, come la volontà del legislatore di sottrarre il costo in esame non al giudizio di inerenza all’attività di impresa, ma alla regola che ne fa discendere la deducibilità dalla non riferibilità a ricavi esenti da imposizione.

Sul piano concreto, le conseguenze sono di rilievo. Aderendo alla tesi della dottrina, infatti, l’art. 109, quinto comma, non esclude il preventivo giudizio di inerenza all’attività di impresa del debito cui gli oneri finanziari accedono, ma lo presuppone. Con la conseguenza che solo all’esito positivo del giudizio seguirebbe l’applicazione delle regole speciali previste dall’art. 96 (o art. 61) del TUIR, per la determinazione della misura degli interessi passivi deducibili dal reddito.

Per altro verso, a conforto della prefata tesi, depone un diverso indirizzo giurisprudenziale. In altri arresti (15), infatti, la stessa Corte di Cassazione ha subordinato la deduzione dal reddito del costo degli interessi passivi al riscontro, ritenuto decisivo, di inerenza all’attività di impresa, intesa come correlazione del costo non a uno specifico componente del reddito, ma a un’attività potenzialmente idonea a produrre utili per l’impresa. Seppure circoscritto a una definizione restrittiva del concetto di inerenza, limitata al nesso di funzionalità del costo alla produzione del reddito di impresa, tale indirizzo giurisprudenziale avalla la tesi di un ineludibile e preventivo giudizio di inerenza del costo del capitale acquisito a titolo di debito ai fini della deducibilità dal reddito di impresa.

4. Il principio di inerenza e i meccanismi forfetari di determinazione dell’importo deducibile

Nella prospettiva dell’applicabilità del giudizio di inerenza all’attività di impresa del costo degli interessi, resta da esaminare la ragione della sua esclusione dall’art. 109, quinto comma, del TUIR, e della previsione di specifiche norme di deduzione forfetaria.

Si ritiene che la ragione muova da considerazioni proprie dell’economia aziendale. In tale ottica, in via generale, i costi sostenuti sono riconducibili all’attività di impresa mediante un nesso facilmente identificabile. Si pensi all’acquisto di servizi per l’attività o di beni, merce o strumentali, componenti il patrimonio aziendale. In tali casi, la valutazione di inerenza del costo all’attività è operabile con il riscontro del collegamento funzionale della spesa all’attività o con la destinazione del bene all’organizzazione aziendale dedicata all’attività. Per contro, gli interessi passivi attengono alla struttura finanziaria dell’impresa che unitamente al capitale proprio dell’imprenditore forma il passivo aziendale che asserva l’intero attivo patrimoniale. Il giudizio di inerenza del costo degli interessi passivi richiederebbe l’individuazione del collegamento tra il debito contratto (che ha generato il costo) e la parte dell’attivo finanziata dal debito stesso. In altri termini, il giudizio di inerenza riguarderebbe non i debiti contratti, da cui scaturiscono gli interessi, quanto l’utilizzo della liquidità acquisita all’impresa a seguito del finanziamento in termini di attivo patrimoniale o di sostenimento di spese (16) (17). Tale forma di giudizio, all’evidenza, appare solo teoricamente ipotizzabile perché inattuabile sul piano concreto, oltre che errato su quello teorico.

Alla luce delle brevi considerazioni che precedono, è facile concludere che anche dal lato tributario ogni tentativo di stretto collegamento tra costo per interessi passivi e attività di impresa sarebbe difficilmente praticabile. Ne consegue che la previsione normativa di meccanismi di determinazione forfetaria di deducibilità del costo risponde a esigenze e finalità di semplificazione, di certezza dei rapporti tributari e di riduzione di inevitabili controversie.

Seppure giustificato da condivisibili ragioni di ordine pratico e giuridico (18), si ritiene che i meccanismi di determinazione forfetaria del componente negativo del reddito non possano sostituire il giudizio di inerenza. In una lettura costituzionalmente orientata dell’istituto, infatti, la deduzione di interessi passivi non inerenti all’esercizio di impresa comporterebbe la manifestazione di un reddito non correlato all’effettiva capacità contributiva del soggetto dichiarante e, di conseguenza, un errato prelievo di imposta perché radicato anche sulla deduzione di oneri estranei all’impresa. Sotto tale profilo, quindi, l’applicazione del principio di inerenza, quale corollario della capacità contributiva, appare necessitata al fine di evitare l’imposizione di un reddito non corrispondente a quello reale (19).

Scendendo nel dettaglio, deve ritenersi che il giudizio di inerenza non possa limitarsi alla correlazione del costo del capitale acquisito a titolo di debito con operazioni riconducibili esclusivamente alla produzione di ricavi, ma debba ragionevolmente correlarsi all’attività e all’organizzazione aziendale complessivamente intese (20) (21). Ciò in quanto, in ambito aziendale, il sostenimento di costi finanziari derivanti dal ricorso a risorse esterne non è necessariamente correlato alla produzione di ricavi che confluiscono a conto economico. La raccolta di risorse finanziarie costituisce, infatti, un atto fisiologico della gestione che coinvolge vari aspetti della vita aziendale, non tutti riconducibili all’acquisizione di componenti positivi di reddito. Si pensi, ad esempio, alla contrazione di un mutuo a medio o lungo termine per l’estinzione di un più oneroso e preesistente finanziamento a breve o al ricorso al debito per ottenere la provvista necessaria per procedere alla liquidazione di un socio. In tali casi, gli interessi frutto della provvista esterna di liquidità non generano immediata redditività in termini di ricavi, ma sono pur sempre riconducibili ad attività e finalità aziendali. Negarne l’inerenza all’esercizio di impresa e, quindi, la deducibilità dal reddito equivarrebbe a falsare la capacità contributiva del soggetto. Sotto tale profilo, quindi, il principio di inerenza, inteso come riconoscimento dei costi comunque riconducibili all’esercizio dell’impresa (e non ai soli componenti positivi del reddito) secondo programmi e scelte dell’imprenditore, assurge a corollario della capacità contributiva del soggetto. In mancanza, come già evidenziato, non vi sarebbe alcuna giusta imposizione perché radicata su di un reddito imponibile non corrispondente a quello reale. Sotto tale profilo, i più recenti approdi giurisprudenziali e dottrinari affermano che il principio di inerenza estende la sua operatività anche agli oneri sostenuti nell’interesse dell’impresa al fine di conseguire una qualsiasi utilità anche in via mediata e indiretta (22).

5. Conclusioni

Alla luce di quanto sin qui brevemente esposto, per più ragioni la sentenza della Suprema Corte, che ha dato spunto alle presenti riflessioni, può non apparire compiutamente condivisibile nella parte in cui esclude la necessità del giudizio di inerenza ai fini della deducibilità dal reddito di impresa del costo per interessi passivi. In primo luogo, perché non appare pertinente l’asserzione dei Massimi Giudici secondo cui la norma positiva regolatrice della deducibilità del costo in esame coincide con l’art. 109, quinto comma, del TUIR; ciò, inoltre, considerato che l’indirizzo dottrinario che già nella previgente normativa propendeva per la necessità del giudizio di inerenza del costo del capitale acquisito a titolo di debito (23) trova conferma nell’attuale formulazione dell’art. 61, primo comma, del TUIR, laddove il requisito di inerenza è espressamente previsto, seppure in forma aggettivata (24).

Sotto un diverso ma non meno rilevante profilo, l’asserita inapplicabilità del principio di inerenza potrebbe comportare la manifestazione di una capacità contributiva potenzialmente falsata. L’imputazione all’esercizio di impresa di costi per interessi non inerenti all’attività, infatti, integrerebbe un’ipotesi di distribuzione e non di produzione del reddito. Laddove, viceversa, la distribuzione dell’utile di esercizio (inteso come reddito prodotto) costituisce un momento logicamente e cronologicamente successivo rispetto alla sua produzione e determinazione (25). Con la conseguenza che la deduzione di interessi non inerenti comporterebbe una distribuzione di utile anticipata rispetto alla determinazione del reddito, con il risultato di inquinare quest’ultimo con atti di disposizione anticipativi e di comportare, per l’effetto, una tassazione iniqua in violazione di principi costituzionalmente rilevanti.

Dott. Mauro Tortorelli

(1) Cass., sez. trib., 6 novembre 2013, n. 24892, in Boll. Trib. On-line.

(2) Giurisprudenza confortata dalla Relazione ministeriale allo schema del D.P.R. n. 597/1973 dove è specificato come non è consentita «né alla Finanza né al contribuente … la dimostrazione che gli interessi afferiscono a finanziamenti impiegati per la produzione di determinati e specifici ricavi: in altri termini non è ammessa la ricerca dei proventi cui gli interessi passivi possono attribuirsi».

(3) Cfr. Cass., sez. I, 11 agosto 1995, n. 8818, in Boll. Trib., 1996, 156; Cass., sez. trib., 21 novembre 2001, n. 14702, ivi, 2002, 465, con nota di F. Mattarelli, Interessi passivi e principio di inerenza: per la Corte di Cassazione la deducibilità è senza condizioni; Cass., sez. trib., 13 ottobre 2006, n. 22032, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 21 aprile 2009, n. 9380, ivi; Cass., sez. trib., 21 gennaio 2009, n. 1465, in Boll. Trib., 2009, 486; e Cass., sez. trib., 19 maggio 2010, n. 12246, ivi, 2010, 1656.

(4) Rispettivamente cfr. artt. 2, n. 16), e 3, n. 6), della legge 9 ottobre 1971, n. 825.

(5) A. Fantozzi M. Alderighi, Il bilancio e la normativa tributaria, in Rass. trib., 1984, I, 117 ss.

(6) Così Cass., sez. trib., 27 aprile 2012, n. 6548, in Boll. Trib., 2013, 602: «quella di inerenza non è una nozione giuridica, ma pre-giuridica, di origine economica, legata all’idea del reddito come entità necessariamente calcolata al netto dei costi sostenuti per la sua produzione». Nello stesso senso Cass., sez. trib., 12 febbraio 2013, n. 3340, in Boll. Trib. On-line. In dottrina cfr. G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 2012, 428; G. Fransoni, Il sistema dell’imposta sul reddito, in P. Russo (a cura di), Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2009, 192 ss.; e B. Quatraro, Bilancio civile e bilancio fiscale. i principi di competenza e di inerenza, in Boll. Trib., 1991, 1082.

(7) Nel corso del tempo, il concetto di inerenza ha subìto un’evoluzione sostanziale. Si è passati da un’accezione tipicamente restrittiva, che risentiva dell’influenza derivante dalla previgente struttura impositiva dell’imposta di ricchezza mobile, secondo cui erano inerenti all’esercizio di impresa le sole spese “strettamente necessarie” alla produzione del reddito, a una più ampia in cui si considerano inerenti tutte le spese sostenute nell’intento di fornire all’impresa un’utilità, anche in modo indiretto. Per una ricostruzione dell’evoluzione del concetto di inerenza, cfr. M. Procopio, L’inerenza nel sistema delle imposte sui redditi, Milano, 2009, 35 ss. Si veda altresì V. Ficari, Riflessioni sulla giurisprudenza tributaria in materia di inerenza … eppur non si muove, in Boll. Trib., 2010, 1269.

(8) Così Cass. n. 6548/2012, cit.: «inerente è tutto ciò che – sul piano dei costi e delle spese – appartiene alla sfera dell’impresa, in quanto sostenuto nell’intento di fornire a quest’ultima un’utilità, anche in modo indiretto. A contrario, non è invece inerente all’impresa tutto ciò che si può ricondurre alla sfera personale o familiare dell’imprenditore, ovvero del socio o del terzo»; nello stesso senso, cfr. Cass. n. 3340/2013, cit.; Cass., sez. trib., 19 novembre 2007, n. 23863, in Boll. Trib., 2008, 680; Cass., sez. trib., 30 luglio 2007, n. 16826, in Boll. Trib. On-line. In dottrina G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, cit., 430; A. Fedele, Considerazioni generali sulla disciplina degli atti e delle vicende dell’impresa, in AA.VV., Il reddito d’impresa nel nuovo testo unico, Padova, 1988, 780; A. Fantozzi, Diritto Tributario, Torino, 1998, 682 ss.; V. Ficari, Reddito d’impresa e programma imprenditoriale, Padova, 2004, 187 ss.; G. Tinelli, Il principio di inerenza nella determinazione del reddito d’impresa, cit., 437 ss.; G. Fransoni, La categoria dei redditi d’impresa, cit., 192 ss. Nello stesso senso, si è espressa l’Amministrazione finanziaria, secondo cui “il concetto di inerenza non è più legato ai ricavi dell’impresa, ma all’attività della stessa”; cfr. nota 25 ottobre 1980, n. 9/2113, in Boll. Trib., 1980, 1725; circ. 7 luglio 1983, n. 30/9/944, ivi, 1983, 1439; ris. 12 febbraio 1985, n. 9/1603, ivi, 1985, 583; ris. 14 luglio 1993, prot. 111-6-005/93, ivi, 1993, 1533; e ris. 28 ottobre 1998, n. 158/E, ivi, 1998, 1719.

(9) Cfr. G. Zizzo, La determinazione del reddito delle società e degli enti commerciali, in G. Falsitta (a cura di), Manuale di diritto tributario, Padova, 2008.

(10) Quanto alla concreta applicazione del principio in esame, in ambito societario si ritiene che la deducibilità del costo deve vagliarsi con riferimento all’attività economica di fatto esercitata, a nulla rilevando quella prevista dallo statuto sociale. Non sono ritenute inerenti le spese sostenute a favore o nell’interesse dei soci, degli amministratori o di terzi. Riguardo all’impresa esercitata in forma individuale, non si considerano inerenti le spese relative all’interesse personale dell’imprenditore o dei suoi familiari.

(11) Ved. precedenti note nn. 1 e 2.

(12) Per effetto delle modifiche introdotte dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, l’art. 75, quinto comma, è stato trasfuso nel vigente art. 109, quinto comma, di contenuto identico al primo, secondo cui «le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi».

(13) Con riferimento alla normativa vigente, ved. art. 96, per i soggetti IRES, e art. 61, per i soggetti IRPEF.

(14) Tuttavia, si annota che in relazione al previgente art. 75, quinto comma, del TUIR, parte della dottrina ha ritenuto che il principio di inerenza rinvenisse in forma implicita dalla prima proporzione dell’articolato normativo, non necessariamente connesso con il secondo (E. Potito, Il sistema delle imposte dirette, Milano, 1989, 155 e 216; E. De Mita, Appunti di diritto tributario, II, Tomo I, Milano, 2002, 87). In generale, sulla problematica in oggetto, si ved. P. Lipardi – G. Stancati, La nuova disciplina di deducibilità degli interessi passivi. profili applicativi e sindacato di inerenza, in Boll. Trib., 2008, 1651; S. Mayr, Il nuovo limite di deducibilità degli interessi passivi nell’ambito del consolidato fiscale (nazionale e mondiale), ibidem, 298; e V. Ficari, Finanziamenti della società e limiti di deducibilità degli interessi passivi, ivi, 2005, 917.

(15) Cass., sez. trib., 25 novembre 2011, n. 24930, in Boll. Trib. On-line, con rinvio a Cass. n. 1465/2009 e a Cass. n. 6650/2006. Inoltre ved. Cass., sez. trib., 29 marzo 2006, n. 7292, in Boll. Trib., 2006, 951.

(16) In dottrina cfr. D. Stevanato, Inerenza “forfetaria” per gli interessi passivi, in Corr. trib., 2010, 1678; R. Lupi, Limiti alla deduzione degli interessi e concetto generale di inerenza, ivi, 2008, 771; e M. Damiani, Gli interessi passivi sono proprio “costi come tutti gli altri?, in Dial. dir. trib., 2009, 476.

(17) In tal senso deve leggersi l’asserzione dei Massimi Giudici nella sentenza in commento, ricorrente in precedenti interventi della Corte, secondo cui «gli interessi passivi … sono oneri generati dalla funzione finanziaria che afferiscono all’impresa nel suo essere e progredire, e dunque non possono essere specificamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo».

(18) Per autorevole dottrina, il principio di inerenza non sarebbe quindi compatibile con la ratio semplificatrice del pro-rata (cfr. L. Del Federico, Gli interessi passivi nel reddito di impresa, la deducibilità del pro rata e l’irrilevanza dell’inerenza, in Riv. dir. fin. e sc. fin., II, 2005; V. Ficari,

Buy cheap Viagra online

Finanziamenti della società e limiti di deducibilità degli interessi passivi, cit.).

(19) Riguardo al necessario collegamento tra fenomeno economico giustificativo del prelievo tributario e regole di determinazione dell’ammontare dovuto, al fine di garantire l’effettività della capacità contributiva, cfr. Corte Cost. 16 giugno 1964, n. 45, in Boll. Trib., 1964, 1289; Corte Cost. 31 marzo 1965, n. 16, ivi, 1965, 960; Corte Cost. 10 luglio 1968, n. 97, ivi, 1968, 1732; Corte Cost. 10 luglio 1975, n. 201, in Boll. Trib. On-line; Corte Cost. 15 luglio 1976, n. 179, in Boll. Trib., 1976, 1160; Corte Cost. 28 luglio 1976, n. 200, ibidem, 1616; e Corte Cost. 27 luglio 1982, n. 143, ivi, 1982, 1762.

(20) Cass., sez. trib., 27 aprile 2012, n. 6548, in Boll. Trib., 2013, 602; e Cass., sez. trib., 20 dicembre 2012, n. 23551, in Boll. Trib. On-line. Nello stesso senso si è espressa l’Amministrazione finanziaria secondo cui «il concetto di inerenza non è più legato ai ricavi dell’impresa, ma all’attività della stessa», cfr. nota 8.

(21) Sul piano concreto, riguardo alle spese a carattere ibrido, nel senso di spese astrattamente collegate all’attività di impresa ma che nella loro espressione qualitativa o quantitativa possono recare vantaggio a soggetti diversi dall’impresa (titolare, soci, familiari), ai fini dell’esclusione della deducibilità del costo, occorre un’attenta disamina di quello che appare estraneo al rapporto economico con l’impresa secondo i normali canoni economici di giudizio (M. Damiani, Lo spettro largo dell’inerenza e la sua valenza anche quantitativa”, in Corr. trib., 2013, 771). Quanto al riparto in giudizio, tra contribuente e fisco, dell’onere della prova dell’inerenza ved. Cass. n. 3340/2013, cit.

(22) Nel corso del tempo, il concetto di inerenza ha subìto un’evoluzione sostanziale. Si è passati da un’accezione tipicamente restrittiva, che risentiva dell’influenza derivante dalla previgente struttura impositiva dell’imposta di ricchezza mobile, secondo cui erano inerenti all’esercizio di impresa le sole spese “strettamente necessarie” alla produzione del reddito, ad una più ampia in cui si considerano inerenti tutte le spese sostenute nell’intento di fornire all’impresa un’utilità, anche in modo indiretto. Per una ricostruzione dell’evoluzione del concetto di inerenza, cfr. M. Procopio, L’inerenza nel sistema delle imposte sui redditi, Milano, 2009, 35 ss.

(23) Nel senso della riconducibilità del finanziamento che genera il costo al programma imprenditoriale complessivamente inteso piuttosto che a finalità estranee ad esso.

(24) G. Falsitta – A. Fantozzi – G. Marongiu F. Moschetti, Commentario breve alle leggi tributarie. Tomo III – Testo unico delle imposte sui redditi e leggi complementari, a cura di A. Fantozzi, Padova, 2010, 320.

(25) Cfr. G. Zizzo, La determinazione del reddito delle società e degli enti commerciali, cit.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *