12 Giugno, 2015

 

 

 

 

 

1. Premessa

Una recente sentenza della Commissione tributaria provinciale di Latina (1), pur contenendo diversi passaggi motivazionali oscuri, se non anche criticabili, costituisce l’occasione per fare, sinteticamente, il punto in materia di fatture per operazioni inesistenti; questione – come noto – estremamente frequente e spinosa, in relazione alla quale si registrano disallineamenti (sebbene in parte venuti meno) tra la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e quella della Corte di Cassazione nonché un recente intervento normativo sul tema della indeducibilità dei costi da reato.

2. Operazioni “oggettivamente” e “soggettivamente” inesistenti

Preliminarmente si osserva che la citata sentenza è incorsa nell’errore logico-concettuale – invero frequente da parte dei verificatori e dell’Amministrazione finanziaria in genere – di confondere o comunque non distinguere i concetti diversi di fatture per operazioni “oggettivamente” o “soggettivamente” inesistenti, come delineati dall’art. 1, primo comma, lett. a), del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (2). Detta distinzione ha infatti conseguenze rilevanti sia in merito alla corretta individuazione del thema probandum della controversia, sia in relazione agli effetti sostanziali della violazione contestata, in termini di deducibilità del costo e detraibilità dell’IVA afferente.

Per inesistenza oggettiva deve intendersi l’assoluta mancanza, nella realtà fenomenica, dell’operazione documentata (c.d. inesistenza assoluta) oppure una divergenza in termini quantitativi tra la realtà e la rappresentazione documentale (c.d. inesistenza relativa).

Viceversa, la nozione di inesistenza soggettiva riguarda operazioni realmente avvenute tra soggetti diversi rispetto a quelli indicati nella fattura. L’inesistenza soggettiva ricorre, in particolare, quando è indicato nella fattura un soggetto che non ha partecipato alla realizzazione dell’operazione, che dunque è privo di alcun rapporto effettivo con quello che dal documento appare essere la controparte commerciale (3), assumendo pertanto il ruolo di “interposto fittizio” tra le parti dell’operazione concretamente realizzata (4).

3. Onere della prova e relativo contenuto

Ciò premesso, in merito all’onere della prova in caso di fatture per operazioni inesistenti, la Corte di Cassazione, dopo alcune pronunce oscillanti (5), ha ormai consolidato il principio per cui, muovendo dal presupposto che «la fatturaè documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa, come si evince chiaramente dall’art. 21 del d.p.r. n. 26 ottobre 1972, n. 633» (6), «nell’ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva, ma spetta all’Amministrazione, che adduce la falsità del documento …, provare che l’operazione commercialein realtà non è mai stata posta in essere», anche mediante l’utilizzo delle presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (7).

[-protetto-]

Ne consegue che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., solo dopo che il giudice tributario abbia ritenuto, motivando al riguardo, che gli elementi offerti dall’Amministrazione finanziaria assurgono «ad effettiva valenza probatoria, viene per ciò stesso a ricadere sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni» (8).

Pertanto non sono condivisibili quelle sentenze, ancora purtroppo frequenti, che si limitano ad affermare che sia in ogni caso il contribuente a dovere dimostrare la sussistenza dell’operazione fatturata ogni qualvolta l’Amministrazione finanziaria ritenga di contestarne l’inesistenza.

Con riguardo al contenuto della prova che deve fornire l’Amministrazione finanziaria, considerato che quest’ultima può utilizzare anche il ragionamento presuntivo ex artt. 2727 e 2729 c.c., deve consistere nella dimostrazione di elementi oggettivi, acquisiti all’esito di una diligente attività istruttoria, da cui si desuma con ragionevole certezza (in base al criterio dell’id quod plerumque accidit) l’inesistenza (oggettiva o soggettiva) dell’operazione (9); detta prova può essere fornita anche attraverso i verbali relativi ad ispezioni seguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti in possesso dell’Ufficio finanziario (10).

In merito all’oggetto della (contro)prova che deve fornire il contribuente, la giurisprudenza ha costantemente affermato che sono irrilevanti la correttezza formale della fatturazione e della contabilità nonché la tracciabilità dei pagamenti, trattandosi di “circostanze non concludenti”, dovendo invece il contribuente dimostrare la sussistenza concreta dell’operazione contestata (11); ciò tuttavia non è sempre facile, soprattutto con riguardo alle prestazioni di servizio, per cui in tali casi è opportuno che i giudici tributari richiedano preventivamente un rigoroso assolvimento dell’onere della prova in capo all’Amministrazione finanziaria, in applicazione dei principi ormai consolidati dalla Corte di Cassazione.

4. Operazioni che si inseriscono in una frode all’IVA altrui

Venendo alle operazioni che si inseriscono in una c.d. “frode carosello”, in relazione alle quali viene contestata (impropriamente) l’inesistenza soggettiva della fattura, in quanto emessa da un soggetto ritenuto “fittizio” (c.d. missing trader) (12), si osserva la sussistenza di un contrasto tra la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea e quella della Corte di Cassazione.

Infatti, esaminando la questione della legittimità della detrazione dell’IVA in relazione a operazioni che si inseriscono, “a monte” o “a valle”, in una evasione all’IVA realizzata da terzi, la Corte di Giustizia europea ha costantemente affermato che, pur costituendo la lotta contro le evasioni elusioni e gli abusi un obiettivo del diritto comunitario, l’Amministrazione finanziaria può negare il diritto alla detrazione dell’IVA di un operatore economico solamente nel caso in cui quest’ultimo, sulla base di «elementi oggettivi» (13), «sapeva o doveva sapere» (14) che una precedente (o successiva) operazione della “catena” fosse compiuta da terzi in frode all’IVA. Ciò in considerazione dei seguenti principi:

di certezza del diritto e dell’affidamento, per cui ogni operazione deve essere considerata singolarmente e la relativa disciplina non può essere modificata da eventi precedenti o successivi (15);

di neutralità dell’IVA, per cui, altrimenti, l’operatore economico in buona fede verrebbe di fatto trasformato nel soggetto inciso dall’IVA (16);

di proporzionalità, per cui deve escludersi la legittimità di una norma o di una prassi interna che faccia ricadere l’intera responsabilità tributaria della frode in capo a un operatore economico indipendentemente dal suo coinvolgimento, in virtù di una responsabilità di tipo oggettivo ovvero richiedendo prove diaboliche per la dimostrazione della sua buona fede (17).

La Corte di Giustizia europea (18) inoltre, in applicazione dei suddetti principi, ha individuato i criteri per valutare il parametro di diligenza richiesto a un operatore commerciale, affinché possa considerarsi estraneo e in buona fede rispetto a una frode (i.e., non era in una situazione in cui, sulla base di elementi oggettivi, avrebbe dovuto sapere).

I Giudici di Lussemburgo, infatti, esaminando le «misure che, in una fattispecie concreta, possono essere ragionevolmente imposte ad un soggetto passivo … perché si assicuri che le sue operazioni non si iscrivano in un’evasione commessa da un operatore a monte» (punto 59), hanno sottolineato che, pur dovendosi effettuare una valutazione caso per caso, «l’amministrazione fiscale non può esigere in maniera generalizzata che il soggetto passivo … verifichi

(i) che l’emittente della fatturaabbia la qualità di soggetto passivo,

(ii) che disponga di beni di cui trattasi e

(iii) sia in grado di fornirli e che

(iv) abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o, dall’altro lato,

(v) che il suddetto soggetto passivo disponga di documenti a tale riguardo.

Spetta infatti, in linea di principio, alle autorità fiscali effettuare i controlli necessari presso i soggetti passivi» (punti 61 e 62), per cui l’onere di provare gli elementi oggettivi da cui desumere che il soggetto IVA sapesse o dovesse sapere della frode compiuta da terzi spetta necessariamente a quest’ultima (19).

I suddetti principi sono stati poi ribaditi dalla Corte di Giustizia europea con diverse sentenze (20) con le quali è stato sottolineato, in particolare, che l’Amministrazione finanziaria non può esigere dal destinatario della fattura verifiche alle quali non sia tenuto, né deve attendersi da quest’ultimo verifiche che non gli incombono, con l’ulteriore conseguenza che la mancanza presso il fornitore di personale, di risorse materiali e di spese per l’operazione non sono circostanze di per sé sufficienti a disconoscere la detrazione dell’IVA in capo al cessionario, non essendo elementi idonei a dimostrare automaticamente che quest’ultimo sapesse o dovesse sapere della frode altrui.

Già in precedenza del resto la Corte di Lussemburgo aveva escluso la necessità di procedere a indagini in ordine alla volontà (lecita o illecita) della controparte commerciale (21).

Viceversa, in merito alle circostanze al ricorrere delle quali l’operatore commerciale deve ragionevolmente sospettare della correttezza dell’operato della controparte, la Corte di Giustizia europea (22) ha affermato che è lecito presumere «che un soggetto abbia ragionevoli motivi per sospettare la sussistenza di tale fattispecie [i.e., evasione o frode della controparte, n.d.r.] se il prezzo ad esso richiesto era inferiore al prezzo minimo che questi poteva ragionevolmente aspettarsi di pagare sul mercato per detti beni, ovvero era inferiore al prezzo richiesto per precedenti cessioni dei medesimi beni».

Tale criterio è del resto quello previsto dall’art. 60-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (23), inserito dall’art. 1, comma 386, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, in attuazione dell’art. 205 della Direttiva 2006/112/CE, che ha previsto la solidarietà del cessionario per il pagamento dell’IVA in relazione a taluni beni, al fine di combattere le frodi all’IVA.

La Corte di Cassazione invece, come accennato, aveva in origine assunto una posizione diametralmente opposta a quella della Corte di Giustizia europea, escludendo radicalmente che in materia potesse avere rilievo la buona fede del cessionario, intesa quale ignoranza della frode altrui (24).

Solo successivamente ha iniziato a recepire i principi affermati dalla Corte di Lussemburgo in tema di rilevanza della “buona fede” del cessionario-committente (25), ritenendo tuttavia di doverli applicare – non già in quanto tali, bensì – in maniera «più rigorosa», per giungere ad affermare che «il committente-cessionario … ha l’onere di conoscere che il venditore-prestatore è autore di un’operazione in frode all’IVA e, se vuole vedersi riconosciuto il diritto di detrarre l’IVA, ha l’onere di dimostrare che è incolpevole la sua ignoranza di aver partecipato ad una operazione in frode dell’IVA» (26). Conseguentemente, continua la Corte di Cassazione, «sul piano processuale … il soggetto, sul quale grava l’onere di conoscere, in tanto si sottrae alla conseguenza dell’inadempimento del suo vincolo, in quanto dimostri almeno uno di questi due fatti: a) di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità dell’oggetto della conoscenza da acquisire; b) che, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata e nonostante la sua esplicazione volta ad adottare un comportamento cognitivo idoneo, egli non è stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione» (27).

In tale contesto i giudici di legittimità hanno continuato a sostenere che l’onere della prova della consapevolezza della frode altrui ovvero della inesistenza (soggettiva) della operazione poteva essere assolto dall’Amministrazione finanziaria dimostrando semplicemente i presupposti della frode realizzata dalla controparte commerciale, quali ad esempio l’insussistenza o l’inadeguatezza della organizzazione aziendale e/o della struttura commerciale del fornitore (per mancanza di una sede operativa, di magazzini, di personale, di costi per prestazioni di terzi, etc.) e il ricorso sistematico all’evasione fiscale da parte di quest’ultimo (28), addossando di fatto in capo al contribuente l’onere di dimostrare la sua buona fede (in contrasto con le indicazioni del giudice comunitario).

Con tale filone giurisprudenziale pertanto vi è stato un allineamento ai principi affermati dalla Corte di Giustizia europea in termini di rilevanza della buona fede dell’operatore commerciale, che tuttavia appare essere meramente formale, continuando sostanzialmente i giudici di legittimità a ritenere che questi, per non incorrere nel rischio di vedersi negato a posteriori il diritto alla detrazione dell’IVA, debba effettuare gravose e improbe verifiche in merito all’effettività e alla consistenza della organizzazione dell’attività d’impresa dei propri fornitori (con buona pace delle strutture minimali, tipiche dell’attività di intermediazione ovvero delle imprese neocostituite), che diventano diaboliche, laddove si richiede anche l’accertamento della relativa regolarità fiscale (29).

Successivamente la Corte di Cassazione (30) ha recepito appieno i principi della Corte di Giustizia europea affermando il seguente principio di diritto: «In tema di IVA, qualora l’amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla detrazione d’imposta in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto dell’accertamento, è onere della medesima amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva – per l’esistenza nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati dall’amministrazione – in un’evasione commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di prestazioni. Né il diritto alla detrazione può essere negato con la motivazione che (i) il soggetto passivo non si è assicurato che l’emittente della fattura correlata ai beni a titolo dei quali viene richiesto l’esercizio del diritto a detrazione avesse la qualità di soggetto passivo, che (ii) disponesse dei beni di cui trattasi e (iii) fosse in grado di fornirli e che (iv) avesse soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’IVA, o con la motivazione che (v) il suddetto soggetto passivo non dispone, oltre che di detta fattura, di altri documenti idonei a dimostrare la sussistenza delle circostanze menzionate, benché ricorrano le condizioni di sostanza e di forma previste dalla direttiva 2006/112 per l’esercizio del diritto a detrazione e sebbene il soggetto passivo non disponga di indizi che giustifichino il sospetto dell’esistenza di irregolarità o evasioni nella sfera del suddetto emittente. L’amministrazione può assolvere il proprio onere probatorio anche mediante presunzioni semplici, che, se anche non hanno il rango di prova certa ed incontrovertibile, debbono, tuttavia essere dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, e debbono consistere nella esposizione di elementi obiettivi tali, per la loro idoneità indiziante, da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente. Spetta, invece, al contribuente l’onere della prova contraria, ove l’amministrazione abbia correttamente assolto al proprio onere probatorio» (31).

Tale illuminata pronuncia è rimasta tuttavia isolata, in quanto l’orientamento maggioritario, pure addossando all’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare la consapevolezza della frode della controparte commerciale, richiama ancora il filone giurisprudenziale in base al quale detta consapevolezza può essere desunta dalla mera inesistenza di una struttura operativa del fornitore e dal mancato pagamento dell’IVA da parte di quest’ultimo (32), nel presupposto che il contenuto della controprova che il contribuente deve offrire consiste nella dimostrazione di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità della frode ovvero che, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, non è stato possibile abbandonare lo stato di ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni del fornitore, con ciò rimettendo in discussione il pieno recepimento dei principi affermati dalla Corte di Giustizia europea (33).

5. La nuova disciplina in materia di costi da reato introdotta con l’art. 8 del D.L. n. 16/2012

Infine, merita un accenno la nuova disciplina in materia di costi da reato introdotta dall’art. 8, primo, secondo e terzo comma, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44), che ha modificato sensibilmente il previgente regime di cui all’art. 14, comma 4-bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (34).

La riforma citata ha previsto espressamente l’indeducibilità dei costi per beni e servizi “direttamente utilizzati” per il compimento di delitti non colposi, per i quali l’Autorità giudiziaria abbia esercitato l’azione penale.

La sanzione impropria dell’indeducibilità del costo presuppone, pertanto, un rapporto diretto tra il costo e il reato, che per l’Agenzia delle entrare sarebbe configurabile sia con riguardo a singoli atti illeciti compiuti nell’ambito di una attività lecita, i cui specifici costi sono quindi indeducibili (si pensi al costo di una tangente), sia anche nel caso di attività totalmente illecita, i cui costi complessivamente considerati sarebbero pertanto indeducibili tout court (35).

Inoltre, sebbene il citato art. 8 non lo abbia previsto espressamente, rimane ferma l’indeducibilità del costo e l’indetraibilità dell’IVA afferente le operazioni oggettivamente inesistenti, per i principi generali di effettività e inerenza.

In tali casi, tuttavia, per rispettare il principio di effettività della capacità contributiva ex art. 53 Cost., è stato sancito che non concorrono alla formazione del reddito i componenti positivi “direttamente afferenti” i costi relativi ai beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione (salva l’applicazione della sanzione amministrativa dal venticinque al cinquanta per cento dell’ammontare dei costi relativi ai beni o servizi non effettivamente scambiati).

In ogni caso si ritiene che, in applicazione del principio di effettività della capacità contributiva, i ricavi fittizi non possano essere tassati, a prescindere dalla disposizione di cui all’art. 8, secondo comma, del citato D.L. n. 16/1012.

Viceversa, per le operazioni soggettivamente inesistenti, anche nel caso di piena partecipazione al disegno evasivo da parte del ricevente-utilizzatore del documento falso, è ora ammessa la deduzione del costo (per la detrazione dell’IVA, è necessario, invece, che il contribuente sia partecipe o consapevole della frode altrui, come illustrato nel precedente paragrafo), come si evince dalla relazione governativa al D.L. n. 16/2012 e confermato dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, ferma ovviamente la verifica della concreta deducibilità in relazione ai requisiti generali di inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità del costo (36).

Infine, l’IVA risultante dalle fatture emesse in relazione alle operazioni (oggettivamente o soggettivamente) inesistenti è comunque dovuta per il principio di cartolarità sancito dall’art. 21, settimo comma, del D.P.R. n. 633/1972.

6. Conclusioni

Il tema delle operazioni inesistenti è divenuto estremamente frequente, sia per malcostume diffuso, sia per l’eccessiva semplicità con cui l’Amministrazione finanziaria, prima, e i giudici tributari, poi, ritengono dimostrata l’inesistenza oggettiva o soggettiva di una operazione, spesso mediante presunzioni labilissime e meramente indiziarie, che nulla hanno a che vedere con i requisiti richiesti dagli artt. 2727 e 2729 c.c.

Ciò assume particolare rilievo con riguardo alle operazioni soggettivamente inesistenti, dove si registra il perdurante disallineamento tra l’orientamento maggioritario della Corte di Cassazione e le pronunce della Corte di Giustizia europea in tema di individuazione dei criteri per valutare il parametro di diligenza richiesto a un operatore commerciale, affinché possa considerarsi estraneo e in buona fede rispetto a una frode altrui.

Ciò configura, con riguardo all’IVA, una possibile violazione del diritto comunitario, in relazione ai quali i contribuenti pregiudicati dalla prassi giudiziaria italiana contraria alle pronunce del Giudice di Lussemburgo potrebbero sollecitare, mediante apposita denuncia, l’azione di inadempimento ex art. 226 (già art. 169) del Trattato CE da parte della Commissione europea (la cui successiva attivazione costituisce, tuttavia, per la Commissione, esercizio di una facoltà insindacabile), ovvero adire il giudice nazionale per il risarcimento dei danni subiti per violazione del diritto comunitario da parte dello Stato italiano, da accertarsi mediante rinvio pregiudiziale ex art. 234 (già 177) del Trattato CE, con il quale il giudice nazionale rimette alla Corte di Giustizia europea la questione sulla interpretazione o sulla validità di una norma comunitaria (37).

Avv. Giulio Chiarizia

 

 

(1) Ci riferiamo a Comm. trib. prov. di Latina, sez. VI, 19 marzo 2013, n. 107, in questo stesso fascicolo a pag. 1501.

(2) Cfr. G. Giuliani F. Giuliani, Violazione e sanzioni delle leggi tributarie, Torino, 2013, 2302 ss.; G. Bellagamba G. Cariti, Il sistema delle sanzioni tributarie, Milano, 2011, 6 s.; M. Di Siena, La nuova disciplina dei reati tributari, Milano, 2000, 110 s.; e S. Servidio, Operazioni “soggettivamente” inesistenti e deduzione dei costi secondo la Corte di Cassazione, in Boll. Trib., 2011, 540, in nota a Cass. 16 marzo 2010, n. 10394.

(3) In tal senso cfr. Cass., sez. III pen., 27 aprile 2012, n. 27392; Cass., sez. trib., 21 gennaio 2011, n. 1364; Cass., sez. trib., 16 aprile 2010, n. 9138; Cass., sez. trib., 24 luglio 2009, n. 17377; Cass., sez. trib., 5 febbraio 2009, n. 2779; e Cass., sez. III pen., 23 dicembre 2008, n. 48039; tutte in Boll. Trib. On-line.

(4) La giurisprudenza maggioritaria ha inoltre attratto nell’ambito dell’inesistenza soggettiva anche la diversa fattispecie concernente la conclusione di operazioni con un soggetto che ha realizzato una frode all’IVA (si pensi alle c.d. “frodi carosello”). Tuttavia, come sottolineato in dottrina, le due ipotesi sono diverse in quanto, se la contestazione riguarda operazioni soggettivamente inesistenti, il thema probandum è la volontà simulatoria; viceversa, se la contestazione attiene alla frode compiuta dal fornitore, il tema probatorio è invece quello della consapevolezza del cessionario della frode altrui (cfr. G. Moschetti, “Diniego di detrazione per consapevolezza” nel contrasto alle frodi IVA, Padova, 2013, 130 ss.; e A. Giovanardi, Le frodi IVA, profili ricostruttivi, Torino, 2013, 167). Tale aspetto è stato colto anche da Cass., sez. trib., 19 settembre 2012, n. 15741, in Boll. Trib. On-line.

(5) Cfr. Cass., sez. trib., 23 settembre 2005, n. 18710; Cass., sez. trib., 12 dicembre 2005, n. 27341; e Cass., sez. trib., 31 luglio 2007, n. 16896; tutte in Boll. Trib. On-line, secondo le quali era sempre il contribuente a dover dimostrare l’effettività dell’operazione documentata dalla fattura, solamente contestata dall’erario, in quanto costo deducibile (cfr. L.R. Corrado, Utilizzo di fatture per operazioni inesistenti: un «circolo delle quinte» tra prova, controprova e onere di contestazione argomentata, in Dir. prat. trib., 2009, I, 749 ss.).

(6) Cfr. Cass., sez. trib., 25 marzo 2011, n. 6943, in Boll. Trib., 2013, 232, con nota di F. Cerioni, L’indetraibilità dell’IVA relativa alle operazioni inesistenti tra frode ed abuso del diritto di detrazione; Cass., sez. trib., 13 maggio 2011, n. 10565, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 11 giugno 2008, n. 15395, in Boll. Trib., 2013, 233, con nota di F. Cerioni, L’indetraibilità dell’IVA relativa alle operazioni inesistenti tra frode ed abuso del diritto di detrazione; Cass., sez. trib., 21 agosto 2007, n. 17799, ivi, 2008, 1378, con nota di F. Cerioni, Sull’onere di provare la veridicità o falsità delle fatture commerciali; Cass. n. 27341/2005, cit.; Cass. n. 18710/2005, cit.; e Cass., sez. I, 5 febbraio 1997, n. 1092, ivi, 1998, 946.

(7) Cfr. Cass., sez. trib., 12 dicembre 2013, n. 27840, in Boll. Trib. On-line; nonché ex pluribus Cass., sez. trib., 27 giugno 2014, n. 14704, ivi; Cass., sez. trib., 18 giugno 2014, n. 13806, ivi; Cass., sez. trib., 30 ottobre 2013, n. 24426, ivi; Cass., sez. trib., 24 luglio 2013, n. 17959, ivi; Cass. n. 15741/2012, cit.; Cass., sez. trib., 6 giugno 2012, n. 9108, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 12 maggio 2011, n. 10414, ivi; Cass. n. 6943/2011, cit.; Cass. n. 1364/2011, cit.; Cass., sez. trib., 23 aprile 2010, n. 9784, ivi; Cass., sez. trib., 23 febbraio 2010, n. 4306, ivi; Cass., sez. trib., 6 ottobre 2009, ord. n. 21317, ivi; Cass., sez. trib., 29 luglio 2009, n. 17572, ivi; Cass., sez. trib., 18 gennaio 2008, n. 1023, ivi; Cass. n. 15395/2008, cit.; Cass. n. 17799/2007, cit.; Cass., sez. trib., 19 ottobre 2007, n. 21953, in Boll. Trib., 2007, 1816, con nota di F. Del Torchio, Falsa fatturazione ed onere della prova: ancora due recenti pronunce della Corte di Cassazione sul tema; Cass. n. 27341/2005, cit.; e Cass. n. 18710/2005, cit.

(8) Cfr. Cass., sez. trib., 29 settembre 2005, n. 19109, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 21 febbraio 2007, n. 4046, in Boll. Trib., 2007, 1324.

(9) Cass. n. 17959/2013, cit.

(10) Cfr. Cass. n. 9108/2012, cit.

(11) Cfr. Cass., sez. trib., 8 novembre 2013, n. 25142, in Boll. Trib. On-line; Cass. n. 13806/2014, cit.; Cass. n. 9108/2012, cit.; Cass. n. 1364/2011, cit.; Cass., sez. trib., 11 marzo 2010, n. 5912, ivi; Cass., sez. trib., 20 gennaio 2010, n. 867, in Boll. Trib., 2013, 233, con nota di F. Cerioni, L’indetraibilità dell’IVA relativa alle operazioni inesistenti tra frode ed abuso del diritto di detrazione; Cass. n. 17377/2009, cit.; Cass., sez. trib., 7 agosto 2008, n. 21303, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 23 marzo 2007, n. 7146, ivi; e Cass., sez. trib., 23 dicembre 2005, n. 28695, ivi.

(12) Le ipotesi possono essere infatti le più varie, potendo ricorrere (in diverse sfumature) sia quella della preordinata interposizione di un soggetto “fittizio” tra fornitore effettivo e committente al fine di realizzare in comune una frode all’IVA, sia quella in cui l’interposto “fittizio” ceda i propri beni agli artefici della frode e a soggetti ignari, sia ancora di un fornitore apparente che tuttavia incamera l’IVA addebitata ai clienti ignari.

(13) Cfr. Corte Giust. CE, sez. III, 6 luglio 2006, cause riunite C-439/04 e C-440/04, Axel Kittel, p. 55, in Boll. Trib. On-line; Corte Giust. UE, sez. III, 6 dicembre 2012, causa C-285/11, Bonik, p. 43, in Boll. Trib., 2013, 1688; Corte Giust. UE, sez. VII, 13 febbraio 2014, causa C-18/13, Maks Pen, pp. 26 e 28, in Boll. Trib. On-line; e Corte Giust. UE, sez. II, 13 marzo 2014, causa C-107/13, Firin, p. 44, ivi.

(14) Cfr. Corte Giust. CE cause riunite C-439/04 e C-440/04 del 2006, p. 56, cit.; Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, p. 43, cit.; Corte Giust. UE, sez. III, 31 gennaio 2013, causa C-643/11, LVK–56, p. 59, in Boll. Trib. On-line; Corte Giust. UE causa C-18/13 del 2014, p. 27, cit.; e Corte Giust. UE causa C-107/13 del 2014, p. 43, cit.

(15) Cfr. Corte Giust. CE, sez. III, 12 gennaio 2006, cause riunite C354/03, C355/03 e C484/03, Optigen Ltd, p. 47, in Boll. Trib. On-line; Corte Giust. CE, sez. V, 6 aprile 1995, causa C-4/94, BLP Group plc, ivi; Corte Giust. CE cause riunite C-439/04 e C-440/04 del 2006, pp. 42 e 43, cit.; Corte Giust. CE, sez. IV, 21 febbraio 2008, causa C-271/06, Netto Supermarkt, pp. 27-29, ivi; Corte Giust. CE, sez. III, 27 settembre 2007, causa C-184/05, Twohinternational BV, p. 25, in

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Boll. Trib., 2009, 899, con nota di F. Cerioni, Cessioni intracomunitarie: non imponibilità e prova dell’uscita della merce dal territorio dello Stato; Corte Giust. UE, sez. grande, 7 dicembre 2010, causa C-285/09, R., p. 45, in Boll. Trib. On-line; Corte Giust. UE, sez. II, 6 settembre 2012, causa C-273/11, Mecsek-Gabona Kft, p. 36, ivi; e Corte Giust. UE, sez. III, 6 settembre 2012, causa C-324/11, Toth, p. 42, ivi.

(16) Cfr. Corte Giust. CE cause riunite C-354/03, C-355/03 e C484/03 del 2006, cit.; Corte Giust. CE cause riunite C-439/04 e C-440/04 del 2006, cit.; Corte Giust. CE, sez. III, 27 settembre 2007, causa C-409/04, Teleos plc, in Boll. Trib., 2009, 902, con nota di F. Cerioni, Cessioni intracomunitarie: non imponibilità e prova dell’uscita della merce dal territorio dello Stato; e Corte Giust. UE causa C-324/11 del 2012, pp. 32 e 53, cit. In ordine all’essenzialità del principio di neutralità nel sistema dell’IVA cfr. Corte Giust. UE, sez. II, 12 luglio 2012, causa C-284/11, EMS-Bulgaria Transport OOD, p. 44, in Boll. Trib. On-line; Corte Giust. CE 21 marzo 2000, cause riunite da C-110/98 a C-147/98, Gabalfrisa, p. 43, ivi; Corte Giust. CE, sez. III, 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade, p. 39, ivi; Corte Giust. UE, sez. III, 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahagében, p. 37, in Boll. Trib., 2013, 1370; e Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, p. 25, cit.

(17) Cfr. Corte Giust. CE causa C-409/04 del 2007, pp. 58 e 68, cit.; Corte Giust. CE causa C-271/06 del 2008, pp. 22 e 23, cit.; Corte Giust. CE, sez. III, 11 maggio 2006, causa C-384/04, Federation of Technological Industries, p. 32, in Boll. Trib. On-line; Corte Giust. UE causa C-273/11 del 2012, p. 36, cit.; Corte Giust. CE cause riunite C-80/11 e C-142/11 del 2012, pp. 48 e 57, cit.; Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, p. 42, cit.; Corte Giust. UE, sez. V, 11 aprile 2013, causa C-138/12, Rusedespred OOD, p. 29, ivi; e Corte Giust. UE causa C-107/13 del 2014, p. 43, cit.

(18) Cfr. Corte Giust. UE cause riunite C-80/11 e C-142/11 del 2012, cit.

(19) Nello stesso senso cfr. Corte Giust. UE causa C-285/11 del 2012, p. 43, cit.; Corte Giust. UEcausa C-643/11 del 2013, p. 62, cit.; Corte Giust. UEcausa C-18/13 del 2014, p. 29, cit.; Corte Giust. UE causa C-107/13 del 2014, p. 44, cit., nonché le conclusioni dell’Avvocato Generale 15 settembre 2011, causa C-280/10, Kopalnia, p. 63, in Boll. Trib. On-line.

(20) Cfr. Corte Giust. UE causa C-324/11 del 2012, pp. 39-44, cit.; Corte Giust. UE, sez. III, 31 gennaio 2013, causa C-642/11, Stroy Trans, p. 49, in Boll. Trib., 2013, 1364, con nota di F. Cerioni, La Corte di Giustizia UE sancisce l’indetraibilità dell’IVA da parte del fittizio cessionario nelle operazioni inesistenti; Corte Giust. UE causa C-643/11 del 2013, p. 61, cit.; e Corte Giust. UE causa C-18/13 del 2014, pp. 31 e 32, cit.

(21) Cfr. Corte Giust. CE causa C-4/94 del 1995, p. 24, cit.; e Corte Giust. CE cause riunite C-354/03, C-355/03 e C484/03 del 2006, pp. 45, 46 e 47, cit.

(22) Così Corte Giust. CE causa C-384/04 del 2006, p. 31, cit.

(23) In merito all’art. 60-bis del D.P.R. n. 633/1972 cfr. B. Aiudi, Note a margine dell’art. 60-bis della legge IVA, in Boll. Trib., 2010, 685.

(24) Cfr. Cass., sez. trib., 5 giugno 2003, n. 8959, in Boll. Trib. On-line.

(25) Cfr. Cass. n. 2779/2009, cit.; Cass., sez. trib., 24 luglio 2009, n. 17378, in Boll. Trib. On-line; e Cass. n. 9138/2010, cit.

(26) Cfr. Cass. n. 1364/2011, cit.; e Cass., sez. trib., 11 aprile 2011, n. 8132, in Boll. Trib., 2011, 1561, con note di F. Provenzano, Notazioni a margine della giurisprudenza di legittimità sulle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, in Boll. Trib., 2011, 1569, e di F. Cerioni, L’indetraibilità dell’IVA relativa alle operazioni inesistenti tra frode ed abuso del diritto di detrazione, ivi, 2013, 233.

(27) Cfr. Cass. n. 1364/2011, cit.; Cass., sez. trib., 28 settembre 2012, n. 16556; Cass., sez. trib., 19 ottobre 2012, n. 18009; Cass., sez. trib., 14 dicembre 2012, n. 23076; Cass., sez. trib., 14 dicembre 2012, n. 23077; e Cass., sez. trib., 14 dicembre 2012, n. 23078; tutte in Boll. Trib. On-line.

(28) Cfr. Cass. n. 15741/2012, cit.; Cass. n. 9108/2012, cit.; e Cass., sez. trib., 12 maggio 2011, n. 10417, in Boll. Trib. On-line.

(29) Sul tema cfr. M. Rossi, L’onere della prova nelle frodi carosello, in Boll. Trib., 2013, 1638; F. Cerioni, L’onere di conoscenza del soggetto passivo nel sistema dell’IVA europea e i suoi limiti secondo la Corte di Giustizia, ibidem, 1397; e G. Verna, Frode carosello e partecipe ignaro, ivi, 2012, 227.

(30) Cfr. Cass., sez. trib., 20 dicembre 2012, n. 23560, in Boll. Trib. On-line.

(31) Nella medesima prospettiva cfr. Cass., sez. trib., 25 settembre 2013, n. 21992, par. 4.6, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. VI, 17 giugno 2014, ord. n. 13792, ivi, che ha confermato una sentenza di merito con cui si è affermato che «la buona fede della contribuente può rilevarsi … dalla minima entità dei rapporti tra la stessa e la ditta … [i.e., la fornitrice, n.d.r.], che consente di concludere per una impossibilità materiale della ricorrente di rendersi conto della specifica situazione della fornitrice, senza contare che non si vede come la contribuente avrebbe potuto controllare o verificare la correttezza fiscale della fornitrice».

(32) Cfr. Cass., sez. trib., 13 marzo 2013, n. 6229; Cass., sez. VI, 13 marzo 2013, ord. n. 6400; Cass., sez. VI, 28 marzo 2013, ord. n. 7900; Cass., sez. VI, 2 aprile 2013, ord. n. 8011; Cass., sez. VI, 2 maggio 2013, ord. n. 10252; Cass., sez. trib., 15 maggio 2013, n. 11667; Cass., sez. trib., 15 maggio 2013, n. 11668; Cass., sez. trib., 24 maggio 2013, n. 12952; Cass., sez. trib., 24 maggio 2013, n. 12963; Cass., sez. trib., 14 giugno 2013, n. 14960; Cass., sez. VI, 1° luglio 2013, ord. n. 16462; Cass., sez. VI, 9 luglio 2013, ord. n. 17000; Cass., sez. VI, 9 luglio 2013, ord. n. 17003; Cass., sez. trib., 19 luglio 2013, n. 17679; Cass., sez. trib., 11 settembre 2013, n. 20777; Cass., sez. VI, 9 maggio 2014, ord. n. 10178; e Cass., sez. VI, 17 giugno 2014, ord. n. 13787; tutte in Boll. Trib. On-line.

(33) Sottolinea la lontananza della giurisprudenza della Corte di Cassazione da quella della Corte di Giustizia europea anche A. Giovanardi, Le frodi IVA, cit., 207.

(34) Sull’argomento si veda ex multis circ. Assonime 28 settembre 2012, n. 25; circ. Assonime 28 maggio 2012, n. 14; circ. 3 agosto 2012, n. 32/E, in Boll. Trib., 2012, 1182; F. Cerioni, La disciplina dei costi da reato tra Corte Costituzionale e novità del decreto semplificazioni fiscali, ivi, 2014, 969; e C. Papa, Costi da reato: indeducibilità e disapplicazione della sanzione per infedele dichiarazione, ivi, 2013, 460.

(35) Dubbi sussistono in merito alla deducibilità dei costi sostenuti nell’ambito dell’esercizio abusivo di una professione o una impresa che, stando all’orientamento erariale, dovrebbero ricadere nella sanzione in questione sebbene una simile conclusione non sembra essere compatibile con il principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.

(36) Cfr. Cass., sez. VI, 30 gennaio 2014, ord. n. 2026; Cass., sez. trib., 27 gennaio 2014, n. 1565; Cass., sez. trib., 30 ottobre 2013, n. 24429; Cass., sez. trib., 22 maggio 2013, n. 12503; Cass., sez. VI, 11 febbraio 2013, ord. n. 3258; tutte in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 20 giugno 2012, n. 10167, in Boll. Trib., 2013, 224, con nota di F. Cerioni, L’indetraibilità dell’IVA relativa alle operazioni inesistenti tra frode ed abuso del diritto di detrazione.

(37) Cfr. C. Salvatores, La tutela del contribuente a livello comunitario, in Boll. Trib., 1998, 1351; L. Del Federico, Giurisdizione comunitaria e giustizia tributaria: azioni, tecniche di tutela e cooperazione fra giudici, in AA.VV., Sistema di garanzie e ordinamento tributario, Napoli 2008; e R. Miceli G. Melis, Le sentenze interpretative della Corte di Giustizia delle Comunità europee nel diritto tributario; spunti dalla giurisprudenza relativa alle direttive sulla “imposta sui conferimenti” e sull’IVA, in Riv. dir. trib., 2003, I, 111 ss.

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