5 Maggio, 2014

 

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Avviso di accertamento – Adozione dell’avviso di accertamento senza permettere la preventiva presentazione delle osservazioni del contribuente a causa della mancata redazione del processo verbale delle operazioni di controllo – Illegittimità dell’accertamento – Consegue.

 

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Accessi, ispezioni e verifiche – Mancata redazione del processo verbale delle operazioni di controllo – Impossibilità da parte del contribuente di esercitare la facoltà di presentare osservazioni e richieste ex art. 12 della legge n. 212/2000 – Violazione del principio del contraddittorio – Si configura – Illegittimità dell’accertamento – Consegue.

 

IVA – Accertamento – Accessi, ispezioni e verifiche – Accesso nei locali destinati all’esercizio dell’attività o negli altri luoghi indicati dall’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 – Redazione del processo verbale a seguito dell’acquisizione di dati, elementi e notizie – Necessità – Omessa redazione – Comporta l’invalidazione del successivo avviso di accertamento.

 

 Nel processo verbale dell’accesso eseguito ai fini fiscali non devono essere necessariamente formulati i rilievi o gli addebiti, essendo tale fase del procedimento finalizzata all’acquisizione di dati, elementi e notizie utilizzati dall’Ufficio finanziario per l’emanazione dell’avviso di accertamento, di talché la mancata redazione del processo verbale dell’attività effettuata dall’Ufficio non è giustificata dal fatto che in sede di verifica e di accesso presso i locali aziendali non sia stata svolta alcuna attività istruttoria ma una mera richiesta di documentazione al contribuente e, conseguentemente, comporta l’impossibilità da parte del contribuente di esercitare il diritto, previsto dall’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), di presentare osservazioni e richieste esercitando così la facoltà di interloquire con la pubblica Amministrazione e rendere effettivo il principio del contraddittorio già nella fase antecedente a quella giurisdizionale.

 

In tema di IVA, la redazione del processo verbale descrittivo delle operazioni di controllo è necessaria anche in mancanza di indagini istruttorie e in caso di accesso finalizzato al solo reperimento di documentazione, cosicché qualora ai fini dell’accertamento dell’imposta sia stato effettuato un accesso nei locali destinati all’esercizio dell’attività o negli altri luoghi indicati dall’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, i funzionari che hanno proceduto sono tenuti a redigere un processo verbale secondo le indicazioni contenute nel sesto comma del medesimo art. 52, che non prescrive affatto (tantomeno a pena di nullità) che nello stesso verbale debbano essere formulati rilievi o addebiti, essendo tale fase del procedimento finalizzata soltanto all’acquisizione di dati, elementi e notizie successivamente utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per l’emanazione dell’eventuale avviso di accertamento.

 

 

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Adamo, rel. Meloni), 11 settembre 2013, sent. n. 20770]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – L’agenzia delle Entrate di Pontedera ha notificato a B.M., titolare della ditta Kontessa, due distinti avvisi di rettifica, contestando per l’anno 1998 di non aver fornito la prova dell’avvenuta esportazione di alcuni beni e per l’anno 1999 di aver venduto merci in evasione d’imposta in particolare 21.498 borsette di midollino importate dalla Cina prelavorate, estratte nella seconda metà del mese di dicembre 1999 dal deposito fiscale di Genova e consegnate alla B. nei giorni 22, 24 e 27 dicembre dello stesso anno, non risultanti dall’inventario alla data del 31/12/1999.

 Avverso gli avvisi di rettifica B.M. presentava ricorso chiedendone l’annullamento alla Commissione Tributaria provinciale di Pisa la quale, con sentenza nr. 170/05/05, ha accolto il ricorso sia per l’anno 1998, acquisita la prova delle avvenute esportazioni, sia per l’anno 1999, in quanto ha ritenuto inverosimile la vendita entro l’anno 1999 della merce consegnata nei giorni 22, 24 e 27 dicembre di quell’anno.

 Su ricorso in appello proposto dall’Ufficio delle Entrate, la Commissione tributaria regionale della Toscana con sentenza nr. 61/29/07 depositata in data 1/10/2007, riformava la sentenza di primo grado. Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Toscana ha proposto ricorso per cassazione B.M. con otto motivi, ha resistito l’Agenzia con controricorso e memoria.

 

[-protetto-]

 

MOTIVI DELLA DECISIONE – Con il primo motivo di ricorso la ricorrente B.M. lamenta violazione dell’art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 4 del D.P.R. n. 441 del 1997, e dell’art. 210 c.p.c., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., in quanto la CTR, contravvenendo alle norme indicate, non ha chiesto di produrre le fatture di vendita delle borsettine, non rinvenute nel fascicolo perché andate perdute e non le ha acquisite d’ufficio, pur ritenendole decisive, e non ha in alcun modo motivato sul fatto, emettendo una decisione sommaria senza alcun esame critico delle risultanze accertate.

 Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione degli artt. 10, comma 1, e 12, commi 4 e 7, della L. n. 212 del 2000, e 52 del D.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., in quanto la CTR ha escluso la facoltà di presentare osservazioni in assenza di pvc di verifica e constatazione.

 Con il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione degli artt. 9 e 15 della L. n. 289 del 2002, in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., in quanto la CTR ha escluso la facoltà di presentare domanda di definizione della lite a causa della notifica (in realtà mai avvenuta) del pvc con esito positivo e per mancanza di relativa richiesta.

 Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., l’illegittimità dell’art. 4 del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, regolamento delegato emanato ai sensi dell’art. 17 della L. n. 400 del 1988, nella parte in cui stabilisce che la presunzione di acquisto e cessione istituita con regolamento delegato, può essere basata su differenze inventariali meramente contabili.

 Con il settimo e l’ottavo motivo di ricorso la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere il giudice di appello motivato in ordine al denunciato vizio di eccesso di potere ed in ordine alla denunciata errata quantificazione delle cessioni.

 Il secondo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto, con assorbimento dei rimanenti motivi.

 Infatti l’art. 12, comma 7, della L. 27 luglio 2000, n. 212, prevede che l’avviso di accertamento, non può essere emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni ispettive, salvo casi di particolare e motivata urgenza.

 A norma dell’art. 52, comma 6, del D.P.R. n. 633 del 1972, “di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia”. Nel caso in esame non risulta redatto il verbale previsto dalla norma sopra indicata e, conseguentemente, la ricorrente lamenta di non aver potuto esercitare la facoltà prevista dall’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000, di presentare osservazioni e richieste esercitando così la facoltà di interloquire con la Pubblica Amministrazione e rendere effettivo il principio del contraddittorio già nella fase antecedente a quella giurisdizionale. Occorre osservare che nel processo verbale dell’accesso non devono necessariamente essere formulati i rilievi o gli addebiti, essendo finalizzata tale fase del procedimento all’acquisizione di dati, elementi, notizie, utilizzati dall’ufficio ai fini della emanazione dell’avviso e pertanto la mancata redazione di processo verbale dell’attività effettuata dall’Ufficio non è giustificata dal fatto che in sede di verifica e di accesso presso i locali aziendali non era stata svolta alcuna attività istruttoria ma una mera richiesta di documentazione al contribuente.

 Sulla medesima questione questa Corte si è già espressa per la necessità della redazione del processo verbale anche in mancanza di indagini istruttorie e di accesso finalizzato al solo reperimento di documentazione: “In tema di IVA, qualora ai fini dell’accertamento dell’imposta sia stato effettuato un accesso nei locali destinati all’esercizio dell’attività o negli altri luoghi indicati dall’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, i funzionari che hanno proceduto sono tenuti a redigere processo verbale secondo le indicazioni contenute nel comma sesto del medesimo art. 52, che non prescrive affatto, tantomeno a pena di nullità, che nello stesso debbano essere formulati rilievi o addebiti, essendo tale fase del procedimento finalizzata soltanto all’acquisizione di dati, elementi, notizie, successivamente utilizzabili dall’Amministrazione per l’emanazione dell’eventuale avviso di accertamento” (Sez. 5, Sentenza n. 10381 del 12/5/2011(1)). Nella specie pertanto non poteva essere emesso avviso di accertamento.

 Per quanto sopra deve essere accolto il ricorso proposto in relazione al secondo motivo, assorbiti gli altri. La causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., non richiedendo ulteriori accertamenti in punto di fatto, con accoglimento del ricorso introduttivo.

 Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della Agenzia delle Entrate.

 

 

P.Q.M. – Accoglie il secondo motivo del ricorso principale assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo. Compensa le spese del giudizio di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento dei compensi del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 2.050,00 complessivamente.

(1) In Boll. Trib. On-line.

 

I processi verbali conclusivi delle attività di indagine nel confronto con l’effettività della tutela del contribuente e con le norme statutarie

 

 

1. Premessa

 

 

L’annotata sentenza si sofferma sulle modalità di redazione dei processi verbali conclusivi delle attività di indagine poste in essere dall’Amministrazione finanziaria mediante gli organi ad esse preposti e ne precisa i contenuti, con l’obiettivo di assicurare l’effettività delle garanzie introdotte a favore del contribuente con la legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente.

 L’intervento della Suprema Corte appare volto a rafforzare la tutela del contribuente con riguardo al contraddittorio che deve essere instaurato con l’Amministrazione finanziaria già nella fase procedimentale antecedente a quella giurisdizionale. A tal fine si precisano i contenuti del processo verbale conclusivo delle operazioni ispettive in quanto si ritiene che anche il semplice reperimento di documentazione necessiti di un riscontro documentale.

 La lettura dei Supremi Giudici appare in linea con lo spirito e i principi dello Statuto dei diritti del contribuente espressamente citati a supporto delle motivazioni e delle conclusioni della sentenza in esame. Tali principi hanno costituito oggetto di approfondimento nella precedente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del luglio 2013 (1), con la quale si era riconosciuta l’illegittimità di un avviso di accertamento emanato prima che fossero decorsi sessanta giorni dalla consegna al contribuente della copia del processo verbale di chiusura della verifica fiscale, salvo i casi in cui sussistano qualificati motivi d’urgenza, espressamente indicati, che legittimino una notifica ante tempus.

 L’odierna pronuncia appare, a nostro avviso, anche fortemente influenzata da principi costituzionali come quelli contenuti negli artt. 24 e 97 Cost. È evidente, infatti, lo sforzo di assicurare un giusto equilibrio tra l’esigenza dell’Amministrazione finanziaria di ottenere, mediante l’utilizzo di tutti i poteri che le sono attribuiti, l’adempimento dell’obbligazione tributaria e quella – altrettanto importante – di evitare che l’esercizio di tali poteri vada a compromettere il diritto di difesa del contribuente e, di riflesso, anche il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione finanziaria.

 Per realizzare questo contemperamento tra istanze diverse, ma ugualmente rilevanti, è necessario che il contraddittorio tra contribuente e Amministrazione finanziaria venga garantito anche nel periodo conclusivo delle indagini degli Uffici, intercorrente tra il momento in cui le operazioni ispettive vengono concluse – che deve necessariamente coincidere con la consegna al contribuente della copia di un atto finale dalla quale fare decorrere il termine di sessanta giorni di cui all’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000 – e l’emissione del primo atto di accertamento autonomamente impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie.

 Dopo una ricostruzione degli elementi di fatto e di diritto contenuti nella sentenza, effettuiamo, pertanto, un inquadramento sistematico del tema per soffermarci, infine, a formulare alcune considerazioni conclusive.

 

 

2. La pronuncia in esame

 

 

L’Agenzia delle entrata notificava al titolare di un’attività commerciale due distinti avvisi di accertamento. Nel primo, relativo all’anno 1998, contestava al contribuente di non aver fornito la prova dell’avvenuta esportazione di alcuni beni; nel secondo, relativo all’anno 1999, la contestazione riguardava l’aver venduto, in evasione d’imposta, merci ricevute in consegna nei giorni 22, 24 e 27 di dicembre, ma non risultanti dall’inventario al 31 dicembre 1999.

 Il titolare della ditta interessata impugnava innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pisa gli avvisi di rettifica chiedendone l’annullamento. La Corte adita accoglieva il ricorso sia per l’anno 1998, acquisita la prova delle avvenute esportazioni, sia per l’anno 1999, in quanto riteneva inverosimile la vendita entro il 1999 della merce consegnata nei giorni 22, 24 e 27 di dicembre di quell’anno.

 L’Agenzia delle entrate ricorreva in appello avverso la predetta sentenza e la Commissione tributaria regionale della Toscana, competente a conoscere, riformava la sentenza di primo grado.

 Il contribuente, infine, ricorreva in cassazione contro la sentenza di secondo grado formulando otto motivi di ricorso, mentre l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso e memoria.

 Con il primo motivo di ricorso il contribuente lamentava la violazione dell’art. 7 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 4 del D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441, e dell’art. 210 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), c.p.c., in quanto la Commissione tributaria regionale della Toscana, contravvenendo alle norme indicate, non aveva chiesto di produrre le fatture di vendita della merce – non rinvenute nel fascicolo perché andate perdute – e non le aveva acquisite d’ufficio, pur ritenendole decisive. In più la Commissione tributaria regionale non aveva in alcun modo motivato tale circostanza, pur ritenendola decisiva, e aveva emesso una pronuncia sommaria priva di alcun esame critico delle risultanze accertate.

 Con il secondo motivo di ricorso il contribuente ricorrente lamentava la violazione degli artt. 10, primo comma, e 12, quarto e settimo comma, della legge n. 212/2000, nonché dell’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), c.p.c., in quanto la Commissione tributaria regionale aveva escluso la facoltà di presentare osservazioni in assenza di processo verbale di verifica e constatazione.

 Con il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso il ricorrente lamentava la violazione degli artt. 9 e 15 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), c.p.c., in quanto la Commissione tributaria regionale aveva escluso la facoltà di presentare domanda di definizione della lite a causa della notifica (in realtà mai avvenuta) del processo verbale di constatazione con esito positivo e per mancanza di relativa richiesta.

 Con il sesto motivo il ricorrente lamentava, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), c.p.c., l’illegittimità dell’art. 4 del D.P.R. n. 441/1997 – regolamento delegato emanato ai sensi della legge 23 agosto 1988, n. 400 – nella parte in cui stabilisce che la presunzione di acquisto e di cessione istituita con regolamento delegato può essere basata su differenze inventariali meramente contabili.

 Con il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, ancora, il ricorrente lamentava, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto il giudice di appello non aveva motivato in sentenza in ordine al denunciato vizio di eccesso di potere e alla censurata errata quantificazione delle cessioni.

 La pronuncia in esame afferma che il secondo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto, con assorbimento dei rimanenti motivi.

 L’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, prevede, infatti, che l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni ispettive, salvo nei casi di particolare e motivata urgenza.

 Inoltre a norma dell’art. 52, sesto comma, del D.P.R. n. 633/1972, «di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia». Nel caso in esame non risulta che sia stato redatto il verbale previsto dalla norma predetta. Conseguentemente, il ricorrente lamenta di non aver potuto esercitare la facoltà prevista dall’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, di presentare osservazioni e richieste, interloquendo con l’Amministrazione finanziaria e rendendo effettivo il principio del contraddittorio già nella fase antecedente a quella giurisdizionale.

 I Supremi Giudici osservano, inoltre, che nel processo verbale dell’accesso non devono necessariamente essere formulati i rilievi o gli addebiti, essendo tale fase del procedimento finalizzata all’acquisizione di dati, elementi e notizie, utilizzabili dall’Ufficio ai fini dell’emanazione dell’avviso. La mancata redazione del processo verbale dell’attività effettuata dall’Ufficio non è, pertanto, giustificata dal fatto che in sede di verifica e di accesso presso i locali aziendali non sia stata svolta alcuna attività istruttoria ma una mera richiesta di documentazione al contribuente.

 La Suprema Corte precisa di essersi già espressa sulla medesima questione a favore della necessità della redazione del processo verbale anche in mancanza di indagini istruttorie e di accesso finalizzato al solo reperimento di documentazione con la sentenza n. 10381/2011 (2). In tema di IVA, infatti, qualora ai fini dell’accertamento dell’imposta sia stato già effettuato un accesso nei locali destinati all’esercizio dell’attività o negli altri luoghi indicati dall’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 i funzionari che hanno proceduto sono tenuti a redigere processo verbale secondo le indicazioni contenute nel sesto comma del medesimo art. 52, che non prescrive affatto – tantomeno a pena di nullità – che nello stesso debbano essere formulati rilievi o addebiti, essendo tale fase del procedimento finalizzata soltanto all’acquisizione di dati, elementi e notizie successivamente utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per l’emanazione dell’eventuale avviso di accertamento.

 Nella specie, pertanto, non poteva essere emesso l’avviso di accertamento e, per quanto sopra, la Suprema Corte ha accolto il ricorso del contribuente in relazione al secondo motivo, con l’assorbimento di tutti gli altri. La causa è stata, quindi, decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., non richiedendosi ulteriori accertamenti di fatto.

 

 

3. Inquadramento sistematico delle tematiche centrali

 

 

L’annotata sentenza incentra la propria motivazione sull’interpretazione attribuita a due articoli di legge esaminati in combinato disposto e, cioè, l’art. 52, sesto comma, del D.P.R. n. 633/1972, e l’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000.

 La prima disposizione, contenuta nel decreto sull’IVA, stabilisce che «di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia».

 È vero che generalmente (3) si ritiene che il processo verbale di constatazione si compone di due parti: una narrativa che registra le operazioni compiute da funzionari e impiegati, le richieste rivolte al contribuente, le risposte di quest’ultimo, la riproduzione di documenti e scritture; l’altra, valutativa, di elaborazione dei dati e delle notizie raccolti, di inquadramento giuridico delle risultanze e di formulazione di esiti. Nondimeno i Massimi Giudici concludono che il fatto che, in sede di verifica e di accesso presso i locali aziendali, non sia stata svolta alcuna attività istruttoria, ma solo una mera richiesta di documentazione al contribuente, non giustifica la mancata redazione del processo verbale conclusivo dell’attività effettuata dall’Ufficio.

 La Suprema Corte, per rafforzare le proprie argomentazioni, richiama un proprio precedente (4) nel quale si è precisato che non è prescritto, tantomeno a pena di nullità che nel processo verbale di accesso debbano essere formulati rilievi o addebiti. Tale fase del procedimento è, infatti, finalizzata all’acquisizione di dati, elementi e notizie utilizzabili dall’Ufficio ai fini dell’emanazione dell’eventuale avviso di accertamento – atto autoritativo diretto al contribuente – con il quale si modifica, in misura più o meno estesa, la rappresentazione della fattispecie tributaria da questo fornita, ovvero si sopperisce alla mancanza di tale doverosa rappresentazione, determinando gli elementi rilevanti per la quantificazione del tributo dovuto.

 Dopo avere chiarito questo primo punto, i Supremi Giudici precisano che l’approccio ermeneutico all’art. 52, sesto comma, del D.P.R. n. 633/1972, non può essere disgiunto da quello riguardante l’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, nella parte in cui dispone che «nel rispetto del principio di cooperazione tra Amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli Uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza».

 Essi quindi si riportano a quanto contenuto nella sopra citata sentenza n. 18184/2013 delle Sezioni Unite.

 Invero la bagarre che aveva caratterizzato il periodo precedente all’emanazione di quest’ultima sentenza era giustificata dall’assenza di un orientamento unanime sul valore da attribuire al termine di sessanta giorni indicato nella predetta disposizione statutaria. In merito, avendo riguardo ai risvolti giurisprudenziali più recenti, autorevole dottrina (5) aveva rilevato che la sezione tributaria della Corte di Cassazione, nello stesso anno (6), a distanza di un mese, si era espressa in modo del tutto difforme, prima a favore dell’illegittimità dell’avviso di accertamento emanato prima dello scadere dei sessanta giorni dalla consegna al contribuente della copia del processo verbale, poi escludendo che la violazione di detto termine comportasse la nullità dell’atto emanato. Nondimeno, come già rilevato, le Sezioni Unite, ponendo fine all’annoso dibattito (7), hanno stabilito che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, previsto dall’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, e decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, comporta l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, salvo che ricorrano motivi di urgenza che, peraltro, devono essere espressamente enunciati nell’atto notificato al contribuente in anticipo sui tempi.

 Il Supremo consesso, dunque, ha superato i contrasti dottrinari e giurisprudenziali che avevano caratterizzato la questione proponendo un diverso punto di vista. Riportandosi, cioè, alla ormai acquisita tesi in base alla quale, pur non potendosi riconoscere alle norme statutarie, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria, tuttavia, in forza della specifica “clausola rafforzativa” di autoqualificazione delle disposizioni stesse come attuative delle norme costituzionali richiamate e come «principi generali dell’ordinamento tributario», non può non essere attribuito ad esse un preciso valore normativo di «principi generali del diritto, dell’azione amministrativa e dell’ordinamento tributario». Tale natura si riferisce evidentemente, in primo luogo, a quelle disposizioni statutarie che dettano norme volte ad assicurare la trasparenza e il buon andamento dell’attività amministrativa e ad orientare in senso garantistico tutta la prospettiva costituzionale del diritto tributario. Esse devono essere considerate immanenti nell’ordinamento tributario, già prima dell’entrata in vigore dello Statuto dei diritti del contribuente, e quindi costituiscono criteri guida per orientare l’interprete nell’esegesi delle norme, anche anteriormente vigenti (8).

 L’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, pertanto, secondo i Supremi Giudici, introduce nell’ordinamento la previsione di un termine dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica decorrente dalla consegna al contribuente della copia di un atto conclusivo sottoscritto, prima della cui scadenza l’atto impositivo vero e proprio “non può essere emanato”, in quanto sarebbe invalido. Non si consentirebbe, infatti, al contribuente di attivare, e coltivare, il contraddittorio procedimentale. Del resto non sono conducenti a giustificare una conclusione contraria né il preteso carattere “vincolato” dell’avviso di accertamento, rispetto al verbale di constatazione sul quale si basa, né la possibilità di attivare ulteriori strumenti di tutela per il contribuente (istanza di autotutela, accertamento con adesione, ecc.).

 Il profilo innovativo della sentenza in commento sta nell’ulteriore tassello aggiunto, dalla Sezione Tributaria, alla vicenda.

 Condivisibile dottrina (9) ha affermato che lo spatium temporis posto dall’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, deve necessariamente decorrere dalla consegna al contribuente della copia di un atto che – seppur non qualificabile come processo verbale di constatazione in termini di nomen juris – deve, comunque, assolverne la funzione di strumento che conclude le operazioni di verifica e che, pertanto, è volto a stimolare il contraddittorio tra contribuente e Amministrazione finanziaria prima dell’emissione di un atto di accertamento autonomamente impugnabile.

 Il risvolto ermeneutico scaturente dal combinato disposto degli artt. 52, sesto comma, del D.P.R. n. 633/1972, e 12, settimo comma, della legge n. 212/2000, consiste nel chiarire che l’avviso di accertamento, nel caso di specie, non poteva essere emesso poiché mancava un atto che, per il suo contenuto, fosse incontrovertibilmente idoneo a raggiungere lo scopo del processo verbale, in quanto conclusivo delle operazioni di indagine. Tale atto doveva essere redatto anche se l’accesso avesse comportato solo una richiesta di documentazione formulata al contribuente. Nella fattispecie in esame, pertanto, non essendo stato redatto un atto siffatto e non avendone il contribuente ricevuto copia, il dies a quo dal quale far decorrere i sessanta giorni non avrebbe potuto essere individuato neppure astrattamente. Nondimeno il principio del contraddittorio doveva essere garantito, nei confronti del contribuente, anche nell’irrituale segmento del procedimento di accertamento che si era venuto a creare. Si tratta, infatti, di un principio incontrovertibilmente acquisito all’interno del nostro ordinamento e anche in ambito comunitario (10). proprio tale circostanza ha spinto la Suprema Corte a concludere con l’inciso nella specie, pertanto, l’avviso di accertamento non poteva essere emesso.

 

 

4. Considerazioni conclusive

 

 

Nell’ultimo aspetto evidenziato, a nostro avviso, l’annotata sentenza si differenzia da altre precedenti sul tema.

La Corte di Cassazione ritiene infatti opportuno soffermarsi specificamente sul processo verbale che va redatto in caso di accesso specificandone le condizioni essenziali e precisando, in particolare, che anche una semplice richiesta di documenti necessita di una garanzia di confronto tra contribuente e Amministrazione finanziaria. Come a significare che, non essendo prevedibile quali conseguenze possano derivare anche da un’operazione di controllo che potrebbe apparire meramente formale, i principi costituzionali e statutari impongono il rispetto di tutte quelle garanzie riconosciute al contribuente in ipotesi di indagine più complesse. E, soprattutto, che un atto conclusivo delle operazioni ispettive, dal quale far decorrere uno spatium deliberandi nell’interesse di entrambe le parti, appare necessario proprio per dare senso all’interpretazione correlata delle due disposizioni di legge sulle quali si basa la decisione dei Supremi Giudici: insomma, per rendere effettiva la tutela sostanziale del contribuente, talvolta, si deve agire sugli aspetti formali.

 Ricordiamo peraltro che l’interpretazione dottrinaria prevalente (11) in tema di invalidità degli atti impositivi, in assenza di una specifica disposizione di legge, è riconducibile alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e, in particolare, al suo art. 21-septies, che afferma che un atto impositivo è invalido in mancanza di elementi essenziali, tra i quali deve essere ricompresa la violazione delle regole del contraddittorio nell’ambito del procedimento istruttorio, considerato che l’atto conclusivo, in tal caso, non assolve adeguatamente alla propria funzione.

 Con specifico riguardo al processo verbale, peraltro, si era già affermato (12), in tempi non sospetti, che tale atto deve essere considerato come un vero e proprio atto strumentale di accertamento che ha una propria autonoma rilevanza e che, quindi, può anche condizionare l’esercizio della funzione impositiva cui è preordinato.

 Ecco perché la Suprema Corte non esita a ricondurre la problematica dell’invalidità dell’atto che non poteva essere emesso al dato sostanziale e, cioè, all’impossibilità di esercitare la facoltà di interloquire con la pubblica Amministrazione e di rendere effettivo il principio del contraddittorio.

 Ciò che i Supremi Giudici hanno voluto evidenziare è che il contribuente deve essere posto nelle condizioni di approntare una giusta difesa anche quando i verificatori si siano limitati a richiedere l’esibizione di documenti. Anche questa, infatti, è una richiesta che apre un confronto tra contribuente e Uffici fiscali. Per poter essere certi che questo contraddittorio si svolga in termini di correttezza e di imparzialità, l’unica possibilità è quella di redigere un atto conclusivo delle operazioni di verifica in cui venga documentata qualsiasi attività posta in essere dai verificatori, anche in presenza del contribuente. Di tale atto quest’ultimo deve avere copia e, su di esso, le parti devono poter meditare per un congruo termine ed, eventualmente, confrontarsi ulteriormente prima che si giunga all’emissione dell’avviso di accertamento. Il previsto intervallo di sessanta giorni, infatti, non è esclusiva del contraddittore più debole ma è posto a garanzia di entrambi i soggetti del rapporto d’imposta. La conclusione alla quale giungono i Supremi Giudici ha proprio il pregio di ricordarci come tale cautela tuteli anche le ragioni dell’Amministrazione finanziaria: l’aggiramento di un contenzioso sempre più complesso e lungo mediante il ricorso a strumenti deflativi della lite tributaria – ipotizzabili nel citato spazio di tempo concesso ad entrambi – è, indubbiamente, uno degli obiettivi che anche gli Uffici fiscali dovrebbero perseguire.

Avv. Patrizia Accordino

 Università degli Studi di Messina

 

 

 (1) Cfr. Cass., sez. un., 29 luglio 2013, n. 18184, in Boll. Trib., 2013, 1428, con note di V. Azzoni F. del Torchio U. Perrucci. Sul punto si veda anche F. Tundo, Validità dell’avviso di accertamento emesso “ante tempus”: i difformi orientamenti richiedono l’intervento delle Sezioni Unite, in Riv. giur. trib., 2012, 675 ss., il quale chiarisce il quadro in cui si è posta Cass. n. 18184/2013, cit., nel commento all’ordinanza di rimessione resa da Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7318 (in Boll. Trib. On-line).

 (2) Cfr. Cass., sez. trib., 12 maggio 2011, n. 10381, in Boll. Trib. On-line.

 (3) Cfr. G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Padova, 2008, 469 ss.

 (4) Cfr. Cass. n. 10381/2011, cit.

 (5) Cfr. P. Russo, Le conseguenze del mancato rispetto del termine di cui all’art. 12, ultimo comma della legge n. 212/2000, in Riv. dir. trib., 2011, 1077 ss.

 (6) Ved. Cass., sez. trib., 16 settembre 2011, n. 18906; e Cass., sez. trib., 13 ottobre 2011, n. 21103; entrambe in Boll. Trib. On-line.

 (7) Riteniamo opportuno sintetizzare brevemente gli orientamenti che si sono contrapposti. La tesi che non riconosce la nullità dell’avviso di accertamento emanato prima del decorso dei 60 giorni si fonda sulla natura vincolata dell’atto, rispetto al processo verbale di constatazione sul quale lo stesso si fonda, sulla mancanza di una specifica previsione di legge in tal senso, nel rispetto della dimensione tassativa della nullità degli atti, e sulla possibilità in capo al contribuente di esperire altri strumenti di difesa (ad esempio, l’istanza di annullamento in autotutela). L’altra tesi, diametralmente opposta, afferma invece l’illegittimità dell’atto in ragione della perentorietà del termine. Un orientamento intermedio, infine, riconosce la presenza del vizio negli atti che non contengono indicazioni relative all’urgenza legittimante l’aggiramento del termine. Tale ultimo orientamento è, peraltro, riconducibile a Corte Cost. 24 luglio 2009, n. 244, in Boll. Trib., 2009, 1724, con nota di F. Brighenti, Avviso di accertamento anticipato: è nullo se manca la motivazione sull’urgenza.

 (8) Cfr. Cass., sez. trib., 10 dicembre 2002, n. 17576, in Boll. Trib., 2003, 778; Cass., sez. trib., 14 aprile 2004, n. 7080, ivi, 2004, 1340; Cass., sez. trib., 6 maggio 2005, n. 9407, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 6 ottobre 2006, n. 21513, in Boll. Trib., 2007, 297, con nota di M.V. Serranò, Il principio dell’affidamento del contribuente nell’evoluzione giurisprudenziale; e Cass., sez. trib., 17 aprile 2013, n. 9308, in Boll. Trib. On-line.

 (9) Cfr. F. Tundo, Illegittimo l’avviso di accertamento emanato dopo gli accessi in assenza del verbale di chiusura, in nota a Comm. trib. reg. della Liguria, sez. VIII, 24 agosto 2012, n. 97, in Corr. trib., 2013, 28 ss., e anche in Boll. Trib., 2013, 298, la quale si attesta su posizioni analoghe a quelle contenute nella sentenza in commento.

 (10) Con riguardo al principio del contraddittorio così come elaborato dalla dottrina tributaristica, con specifico riferimento all’art. 12 della legge n. 212/2000, cfr., per tutti, A. Colli Vignarelli, La violazione dell’art. 12 dello Statuto e la illegittimità dell’accertamento alla luce dei principi di collaborazione e di buona fede, in A. Bodrito A. Contrino A. Marcheselli, Consenso, equità e imparzialità nello Statuto del contribuente. Studi in onore del Prof. Gianni Marongiu, Torino, 2012, 499 ss. Con riferimento all’accoglimento del principio in ambito comunitario, la citata sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 18184/2013 richiama espressamente, sul punto, Corte Giust. UE, sez. II, 18 dicembre 2009, causa C-349/07, Sopropè, in Boll. Trib. On-line.

 (11) Cfr. F. Pistolesi, La “invalidità” degli atti impositivi in difetto di previsione normativa, in Riv. dir. trib., 2012, 1131 ss.; e A. Viotto, La permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente, ivi, 2013, 203 ss.

  (12) Cfr. D. Stevanato, Il ruolo del processo verbale di constatazione nel procedimento accertativo dei tributi, in Rass. trib., 1990, I, 463 ss.