30 Aprile, 2014

 

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La normativa domestica e i principi ispiratori l’apparato sanzionatorio 3. Il principio di proporzionalità nella predeterminazione legislativa della sanzione e nel procedimento di irrogazione 4. L’intreccio necessitato di principi: il principio di proporzionalità e il contraddittorio preventivo 5. Il principio di proporzionalità e il sindacato giurisdizionale sulle sanzioni.

 

 

1. Premessa

 

 

Di fronte ad inadempimenti del contribuente che non comportano violazioni sostanziali all’assolvimento della giusta imposta a favore dell’erario, sovente l’Amministrazione finanziaria provvede con l’irrogazione di sanzioni sproporzionate rispetto al reale pregiudizio arrecato alle ragioni di gettito. Tale prassi ci induce ad un esame della giurisprudenza, domestica e comunitaria, concernente la giusta composizione dell’istituto relativo all’applicazione delle sanzioni tributarie, ai soggetti coinvolti e ai relativi poteri.

 

 

2. La normativa domestica e i principi ispiratori l’apparato sanzionatorio

 

 

Tra le finalità riconosciute al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, vi è quella di operare il distinguo tra comportamenti del contribuente tesi alla violazione di norme sostanziali, cui consegue un reale pregiudizio all’erario in termini di minor gettito, e comportamenti che, seppure violatori di norme di legge, attengono a profili applicativi in cui la disobbedienza alla norma si sostanzia nella violazione di un precetto che non arreca né danno economico né pregiudizio alla riscossione dell’imposta, ma incide sul sistema di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria. La stessa, nel documento di prassi emanato a commento della riforma dell’apparato sanzionatorio relativo alle violazioni delle norme tributarie non penali, ha precisato che il D.Lgs. n. 471/1997 contribuisce a realizzare un sistema coordinato il cui scopo è di perseguire prioritariamente le violazioni di natura sostanziale anziché quelle meramente formali (1).

 Mutuato il sistema sanzionatorio amministrativo da quello penale, per la determinazione della sanzione dovuta in caso di violazioni sostanziali tese all’evasione dell’imposta, l’apparato sanzionatorio tributario utilizza il parametro dell’imposta evasa, pertanto la sanzione risulta pari ad una percentuale applicata al tributo non versato. È evidente, quindi, la natura afflittiva della norma sanzionatoria il cui importo da un lato si somma all’imposta evasa, dall’altro non presenta limiti massimi di applicazione essendo parametrata all’entità dell’evasione. Tanto più è alta la seconda, tanto più inciderà la sanzione. Ciò trova fondamento nella circostanza che in un sistema gestito dal contribuente che autodetermina le imposte da versare all’erario, il vantaggio economico dell’evasione (l’imposta dovuta) è noto sin dall’origine. Ne discende che, di fronte alla potenziale decisione di non adempiere, solo una sanzione proporzionale all’imposta evasa, e che si accompagni ad essa, può condizionare il comportamento del contribuente. Per tale ragione si ammette che, come visto, le sanzioni proporzionali non abbiano un limite massimo e si tollera che, sovente, raggiungano cifre astronomiche (2). È facile intuire, infatti, come la previsione di una sanzione disancorata all’imposta evasa e posta in quantità prefissata, anche in limiti minimi e massimi, potrebbe risultare sottostimata in relazione al vantaggio del contribuente di evadere, e della possibilità di essere scoperto, oppure irrazionalmente punitiva nel caso opposto. La predeterminazione della misura proporzionale, ovviamente, compete al legislatore sulla base della valutazione dell’ipotetico comportamento del contribuente: di fronte ad un’imposta dichiarata ma non versata, è ritenuta sufficiente la misura del 30 per cento; per l’imposta non dichiarata la misura della sanzione è elevata, di norma, al 100 per cento. Il modello, quindi, è di tipo personalistico e afflittivo, ispirato dalla volontà di punire il trasgressore, più che ottenere una entrata correlata al danno provocato.

 

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Quanto alle violazioni di precetti che non comportano evasione di imposta, ma che interferiscono sull’attività di controllo, la disobbedienza del contribuente ha una carica lesiva minore dell’interesse tutelato (il gettito erariale). Ne consegue un sistema di sanzioni meno aggressivo, sostanziandosi nell’applicazione di un importo previsto in misura fissa (3), disancorato dal valore dell’imposta eventualmente in gioco, ma circoscritto alla gravità del comportamento e all’importanza economica del contesto quali elementi da valutare ai fini della determinazione dell’importo da comminare entro i limiti minimi e massimi previsti dalla legge (4). La tutela da accordare a tali fattispecie di minore pericolosità, in primo luogo è legittimata dall’art. 10, terzo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), il quale prevede che alla natura meramente formale della violazione consegua l’inapplicabilità di sanzioni amministrative. Sul punto, la dottrina non ha mancato di osservare che l’indicato art. 10 è espressione della concezione sostanzialistica dell’illecito amministrativo, mutuata da quella penale, con una norma di diretta applicazione, non necessitata di successivi interventi attuativi e correttivi previsti dall’art. 16 della legge n. 212/2000 (5).

 Per contro, alla chiara previsione del legislatore è seguita, attraverso l’art. 7 del D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, la modifica del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, con l’aggiunta all’art. 6 del comma 5-bis, secondo cui «Non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo». Per l’effetto, si è modificato il discrimine tra le violazioni formali e sostanziali previsto dalla legge n. 212/2000, sicché sarebbero da considerare formali le violazioni che non solo non incidono sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo, ma che non arrechino altresì pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria, secondo valutazioni operate caso per caso dagli Uffici finanziari competenti.

 Da quanto sin qui esposto, rinvengono corollari di rilievo per la previsione e l’applicazione delle sanzioni tributarie. Il primo nei confronti del legislatore, il quale nel prevedere la disciplina delle norme sanzionatorie deve distinguere le ipotesi di violazioni sostanziali e formali e provvedere, sulla scorta di valutazioni di opportunità politica, con sanzioni proporzionate all’offensività della condotta illecita. L’illegittimità di sanzioni inadeguate perché contrastanti con l’interesse pubblico, invero, trova fondamento nel principio di uguaglianza formale e sostanziale sancito dall’art. 3 Cost. che limita il potere discrezionale del legislatore e impedisce l’esercizio arbitrario del potere. Ne consegue che una disposizione di legge che equipari, in termini di sanzioni, le violazioni formali a quelle sostanziali sarebbe censurabile sotto il profilo della ragionevolezza (art. 3 Cost.).

 Il secondo corollario attiene al comportamento dell’Amministrazione finanziaria la cui attività, riguardo alle sanzioni da applicare alle fattispecie concrete, è vincolata all’apprezzamento fattuale della condotta del contribuente. Sotto tale profilo, l’uso arbitrario dell’apparato sanzionatorio teso ad irrogare una sanzione sproporzionata rispetto al comportamento del contribuente, potrebbe essere oggetto di impugnazione innanzi al giudice tributario.

 Infine riguardo ai profili di legittimità delle sanzioni tributarie, vi sono ricadute di ordine processuale nei confronti dei giudici, chiamati a valutare sia la legittimità in astratto di una norma sanzionatoria, in un’ottica costituzionale e, come vedremo, comunitaria, e sia il corretto uso fattone dall’ente impositore nel caso concreto sottoposto al giudizio.

 

 

3. Il principio di proporzionalità nella predeterminazione legislativa della sanzione e nel procedimento di irrogazione

 

 

In ambito europeo, il legislatore comunitario detta i principi regolatori delle imposte armonizzate, ma rimette alle decisioni del legislatore dello Stato membro la disciplina delle sanzioni collegate alle violazioni relative alle singole imposte (6). Inoltre, il legislatore comunitario attribuisce allo Stato membro il potere di prevedere nei confronti dei soggetti passivi specifici adempimenti di natura contabile o formale al fine di contrastare il fenomeno dell’evasione.

 A riguardo deve osservarsi che il potere riconosciuto a favore degli Stati membri di provvedere in proprio alla determinazione di sanzioni non è illimitato, né privo di garanzie per i contribuenti. In ambito comunitario, infatti, un limite all’esercizio del potere è dato dalla cogenza del principio generale di proporzionalità (7), secondo cui deve esservi corrispondenza tra (i) il provvedimento sanzionatorio previsto dallo Stato membro come appropriato alla fattispecie, (ii) la modalità di determinazione dell’importo dovuto a tale titolo, (iii) la natura e gravità della violazione di legge consumata dal contribuente. Invero per la Corte di Giustizia europea «Secondo una giurisprudenza costante, in mancanza di armonizzazione della normativa dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili in caso di inosservanza delle condizioni previste da un regime istituito da tale normativa, gli Stati membri possono scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate. Essi sono tuttavia tenuti ad esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità (sentenze del 21 settembre 1989, Commissione|Grecia, C-68/88, Racc. pag. 2965, punto 23; del 16 dicembre 1992, Commissione Grecia, C-210/91, Racc. pag. I-6735, punto 19, e del 26 ottobre 1995, Siesse, C-36/94, Racc. pag. I-3573, punto 21)» (8). Il principio di proporzionalità si annovera, oggi, tra i principi generali del diritto europeo utili per l’attuazione delle finalità dell’Unione (9). Il rango del principio è primario per la sua equiparazione alle disposizioni dei Trattati e per la conseguente appartenenza alle fonti del diritto (10). Esso gode, quindi, di un’efficacia diretta all’interno degli ordinamenti statuali, ponendosi come limite all’esercizio dei pubblici poteri. Inoltre, al pari degli altri principi comunitari, il principio di proporzionalità genera un effetto di spill-over, applicandosi alle situazioni soggettive comunitarie e nazionali, in guisa da scongiurare disparità di trattamento nei vari ordinamenti giuridici.

 Con riferimento alla normativa domestica, anche la Corte Costituzionale ha affermato che il principio di proporzionalità tra la quantità e qualità della sanzione, da una parte, e l’offesa, dall’altra, trova fondamento nell’art. 27, terzo comma, Cost., e che esso costituisce un patrimonio della cultura giuridica europea considerato che la Corte di Giustizia CEE lo ha accolto in tutta la sua ampiezza, al punto da estenderlo all’illecito amministrativo (11).

 Dal lato dell’applicazione concreta del principio di proporzionalità, riguardo alla scelta della sanzione da comminare alla fattispecie concreta, la vigenza del principio nel procedimento amministrativo è sancita dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, secondo cui l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge secondo modalità previste, tra l’altro, dai principi dell’ordinamento comunitario. Per gli organi di amministrazione ne rinviene l’obbligo di completezza dell’istruttoria procedimentale per la completa cognizione, fattuale e di diritto, degli interessi coinvolti per la soluzione proporzionata al caso di disobbedienza. Sotto tale profilo, è facile intuire come l’approfondimento istruttorio diventi un elemento imprescindibile affinché la decisione sia assunta nel rispetto del principio di proporzionalità. All’uopo, non ostano i criteri di economicità e di efficacia dell’azione pubblica, i quali impongono di raggiungere il risultato amministrativo in tempi e modi celeri, purché adeguati al caso concreto.

 

 

4. L’intreccio necessitato di principi: il principio di proporzionalità e il contraddittorio preventivo

 

 

Proseguendo nell’analisi, si osserva che sotto il profilo della corretta istruttoria amministrativa deve ritenersi che la partecipazione attiva al procedimento sia un diritto fondamentale del contribuente. Invero, in ambito comunitario la Corte di Giustizia europea riconosce ai contribuenti degli Stati membri il diritto al contraddittorio preventivo con l’Amministrazione pubblica e il rispetto del diritto di difesa in ogni «procedimento con cui possono essere inflitte sanzioni» e questo «costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario, che va osservato anche se si tratta di un procedimento di natura amministrativa» (12). La necessità di un contraddittorio preventivo, anche riguardo l’applicazione delle sanzioni al caso concreto, è altresì provato dalla presenza di norme definitorie il cui costo aumenta con il progredire dell’istruttoria (13). Non a caso, in passato l’utilità per il contribuente di interloquire con l’ente impositore prima della notifica di un atto impositivo è stata rilevata dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, nella fattispecie concreta allora decisa, alla presenza di un avviso di accertamento inutile (annullato dal giudice), per il contribuente non è indifferente intervenire a tutela dei propri interessi nella fase amministrativa anziché giudiziale, considerati i danni che la notifica dell’atto impositivo potrebbe comunque cagionare (14). Si osserva altresì che al mancato contraddittorio consegue la violazione del principio di buon andamento e di imparzialità della pubblica Amministrazione, predicato dall’art. 97 Cost., il quale impone, tra l’altro, che l’Ufficio finanziario valuti con attenzione le ragioni, di fatto e giuridiche, apprese all’istruttoria.

 

 

5. Il principio di proporzionalità e il sindacato giurisdizionale sulle sanzioni

 

 

La questione del conflitto tra principi comunitari e norme nazionali si inquadra nella tematica della prevalenza del diritto di matrice europea sul diritto nazionale legalmente dato. In ossequio al primato dell’ordinamento comunitario su quello interno, il conflitto tra un principio o una norma comunitaria ed una norma nazionale deve essere risolto a favore dei primi con disapplicazione della norma domestica (15).

 In ambito comunitario, il sindacato di proporzionalità attiene alle verifiche di (i) idoneità, (ii) necessarietà, (iii) proporzionalità in senso stretto dell’atto scrutinato. Quanto all’idoneità, una misura può definirsi idonea qualora il mezzo utilizzato si riveli capace di raggiungere l’obiettivo perseguito (16). Quanto al parametro della necessarietà, il giudice europeo afferma che «qualora si presenti una scelta tra più misure appropriate», si debba «ricorrere alla meno restrittiva» (17). Infine, con riferimento al requisito di proporzionalità in senso stretto, esso attiene alla valutazione comparativa tra interesse pubblico e situazioni soggettive protette.

 Riguardo all’apparato normativo relativo alle sanzioni tributarie, nella considerazione che il grado di offensività attribuito dal legislatore nazionale alla violazione della norma di legge interna non può eccedere il valore che è riconosciuto nel contesto normativo armonizzato, rileva il compito che la Corte di Giustizia europea affida ai giudici dei Paesi membri. Sotto tale profilo, per la Corte compete ai giudici nazionali verificare che la sanzione prevista non ecceda quanto necessario allo scopo di assicurare la riscossione dell’imposta ed evitare evasioni del tributo. Invero «Spetta al giudice nazionale verificare se l’importo della sanzione non eccede quanto necessario per conseguire gli obiettivi consistenti nell’assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare l’evasione, considerate le circostanze del caso di specie e in particolare la somma concretamente tassata e l’eventuale sussistenza di un’evasione o di un aggiramento della normativa applicabile imputabili al soggetto passivo …» (18).

 Proseguendo nell’analisi, si osserva che riguardo all’obbligo di verifica non occorre che il giudice sia investito direttamente della questione. Per la più autorevole dottrina, infatti, in forza dei principi comunitari e delle regole processuali interne deve affermarsi l’applicabilità d’ufficio del diritto comunitario da parte del giudice tributario nazionale (19). Sotto il profilo processuale interno, infatti, la conoscenza e l’applicazione del diritto comunitario rientra nel principio dello jura novit curia. Motivo per cui, quando la questione attiene al diritto e non al fatto, compete al giudice il potere decisorio pieno riguardo la ricerca e l’applicazione della norma (anche comunitaria) utile alla soluzione della fattispecie concreta.

 Tornando alla eventuale previsione, da parte del legislatore nazionale, di sanzioni sproporzionate rispetto all’offensività della violazione consumata dal contribuente, oppure all’applicazione pratica, da parte dell’ente creditore, di una sanzione di tal fatta, deve quindi ritenersi che il giudice tributario possa intervenire d’ufficio per l’annullamento parziale o totale della sanzione (20). Le considerazioni sin qui svolte possono estendersi al grado di giudizio di appello. Per la giurisprudenza, infatti «il giudice nazionale deve verificare d’ufficio la compatibilità del diritto interno con le norme comunitarie e, pertanto, nel giudizio d’appello la verifica della compatibilità con il diritto comunitario non è condizionata alla deduzione di uno specifico motivo d’impugnazione. Come nei casi dello jus superveniens e della modifica normativa determinata dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale, le relative questioni possono essere conosciute ex officio, purché l’applicazione del diritto interno sia ancora controversa, costituendo oggetto del dibattito introdotto con i motivi di ricorso» (21).

 Per concludere, riguardo alla previsione di legge o all’applicazione in sede amministrativa di sanzioni tributarie che appaiono sproporzionate rispetto al reale pregiudizio arrecato dal contribuente alle ragioni di gettito o rispetto all’attività di controllo degli organi preposti, deve condividersi il pensiero della dottrina secondo cui possibili violazioni al principio di proporzionalità da parte del legislatore o degli organi amministrativi non si presentano come ipotesi di scuola, ma assumono notevole importanza pratica, specie in prospettiva (22). In tale ottica, l’azione del contribuente è ovviamente opportuna, ma all’eventuale inerzia processuale della parte deve provvedere d’ufficio il giudice tributario, che la Corte di Giustizia europea esige giudice comunitario prima ancora che nazionale, al fine di rendere concreta la fiscalità dell’Unione europea (23).

Dott. Carlo Ferrari – Dott. Mauro Tortorelli

 

(1) Cfr. circ. 25 gennaio 1999, n. 23/E, in Boll. Trib., 1999, 189.

(2) R. Lupi, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, Milano, 2001, 679 ss. L’Autore osserva che è la forza delle cose, cioè delle esigenze in gioco, a dettare questo particolarismo del diritto tributario che se male utilizzato provoca distorsioni nel sistema (ved. pag. 684).

(3) Entro limiti minimi e massimi predeterminati.

(4) Cfr. l’art. 11, primo comma, lett. a), del D.Lgs. n. 471/1997. In dottrina, cfr. R. Lupi, Manuale giuridico professionale di diritto tributario, cit., 684, nota n. 5.

(5) Cfr. L. del Federico, Lo Statuto dei diritti del contribuente, a cura di G. Marongiu, Torino, 2004, 40.

(6) Cfr., per l’IVA, l’art. 273 della Direttiva 2006/112/CE.

(7) Per l’approfondimento si veda L. del Federico, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea. Contributo allo studio della prospettiva italiana, Montesilvano (PE), 2003, 33.

(8) Corte Giust. UE, sez. II, 19 luglio 2012, n. 263, Caso Ainars Redlihs c. Valsts Ienemumu Dienests, punto n. 44, in Boll. Trib. On-line. In tal senso, inoltre, Corte Giust. CE 7 dicembre 2000, causa C-213/99, De Andrade, in Rep. Foro it., 2002, Unione europea e Consiglio d’Europa [6915], n. 1199; e Corte Giust. CE 12 luglio 2001, causa C-262/99, Louloudakis, in Boll. Trib. On-line.

(9) Le pronunce della Corte di Giustizia riguardo il principio di proporzionalità sono circa 600. Ex multis Corte Giust. CEE 20 febbraio 1979, causa C-122/78, Buitoni, in Racc., 1979; Corte Giust. CEE 23 febbraio 1983, causa C-66/82 Fromançais, ivi, 1983; Corte Giust. CEE 1 ottobre 1985, causa C-125/83, OBEA, ivi, 1985; Corte Giust. CEE 22 gennaio 1986, causa C-266/84, Den-kavit, ivi, 1986; Corte Giust. CEE 15 maggio 1986, causa C-222/84, Johnston, ibidem; Corte Giust. CEE 18 settembre 1986, causa C-116/82, Commissione c. Germania, ibidem; Corte Giust. CEE 14 gennaio 1987, causa C-281/84, Zuckerfabrik, ivi, 1987; Corte Giust. CEE 18 marzo 1987, causa C-56/86, Società per l’esportazione dello zucchero, ibidem; Corte Giust. CEE 30 giugno 1987, causa C-47/86, Roquette Frères, ibidem; Corte Giust. CEE 21 gennaio 1993, causa C-188/91, Deutsche Shell, ivi, 1993; Corte Giust. CEE 30 marzo 1993, causa C-328/91, Thomas, ibidem; e Corte Giust. CEE 27 aprile 1993, causa C-375/90, Commissione c. Grecia, ibidem. Tra le più recenti si segnalano Trib. I grado 23 settembre 2009, causa T-341/05, Regno di Spagna c. Commissione, in Racc., 2009; Corte Giust. UE 14 maggio 2009, causa C-34/08, Azienda agricola Disarò, ibidem; Corte Giust. UE 4 giugno 2009, causa C-142/05, Aklagaren, ibidem; Corte Giust. UE 1° ottobre 2009, causa C-103/08, Arthur Gottwald, ibidem; e Corte Giust. UE 12 gennaio 2010, causa C-229/08, Colin Wolf, ivi, 2010; tutte citate da G. Pepe, Principi generali dell’ordinamento comunitario e attività amministrativa, in Studi e dialoghi giuridici, 2013, 176, in nota 426.

(10) Codificato per la prima volta nel Trattato di Maastricht, con riferimento alla sola attività degli organi comunitari il principio di proporzionalità è oggi consacrato dal Trattato di Lisbona che ne ribadisce il ruolo fondamentale nello scenario europeo.

 (11) Corte Cost. 2 luglio 1990, n. 313, in Giust. civ., 1990, I, 2772.

 (12) Corte Giust. CEE 13 febbraio 1979, causa C-17/74, causa C-13/02/1979, e causa C-85/76. In via generale, e non esclusivamente riferito all’applicazione di sanzioni, sull’applicabilità in ambito nazionale del c.d. principio del contraddittorio preventivo, cfr., tra le tante, Corte Giust. UE 22 novembre 2012, causa C-277/11, in Rep. Foro it., 2012, Unione europea e Consiglio d’Europa [6915], n. 1444; e Corte Giust. UE 18 dicembre 2008, causa C-349/07, Sopropè, in Boll. Trib. On-line. Per l’approfondimento, in dottrina si rinvia a A. Marcheselli, Il diritto al contraddittorio nel procedimento amministrativo tributario è diritto fondamentale del diritto comunitario, in Riv. giur. trib., 2009, 211; e G. Ragucci, Il contraddittorio come principio generale del diritto comunitario, in Rass. trib., 2009, 570 ss.

(13) Si ponga mente all’esempio che segue. Maggiori imposte inizialmente presunte 15.000, di cui 10.000 effettivamente dovute e 5.000 in seguito ritenute dall’ente impositore non dovute perché frutto di un errore. Instaurare il contraddittorio prima della notifica dell’atto, per il contribuente significherebbe definire la sanzione (su 10.000 euro) nella misura di un sesto (16,66%) (se la sanzione irrogata è del 100 per cento, la definizione è pari a 1.667,00 euro). Se l’ente impositore non comunica preventivamente la decisione di formulare la pretesa e procede direttamente con la notifica dell’avviso di accertamento, per il contribuente il costo della definizione aumenterebbe al 33 per cento (costo pari a 3.333 euro) perché costretto a chiedere, ex post, l’accertamento con adesione per far valere i suoi diritti su 5.000. Ipotizzando l’esito negativo del tentativo di adesione, nella sede giudiziaria la conciliazione comporterebbe per il ricorrente un costo di definizione della controversia di 4.000 euro (40%). E, ancora, ipotizzando in giudizio la vittoria parziale (su 5.000 euro) sulla restante parte di imposta dovuta (10.000 euro) il ricorrente sosterrebbe un costo per sanzioni pari al 100 per cento dell’imposta (10.000 euro). In conclusione, il costo della definizione della sanzione aumenta con l’avanzare del procedimento.

(14) Cass., sez. trib., 26 febbraio 2009, n. 4622, in Boll. Trib. On-line, e, in tal senso, Cass., sez. trib., 28 luglio 2006, n. 17229, in Boll. Trib., 2006, 1738.

(15) Senza ripercorrere il lungo iter giurisprudenziale, si può affermare che in ipotesi di antinomie tra le norme comunitarie e quelle nazionali, in ultima analisi la giurisprudenza interna ha adottato il criterio della “non applicazione” obbligatoria della norma domestica.

(16) Cfr. Corte Giust. CEE 17 dicembre 1970, causa C-25/70, Koster; Corte Giust. CEE 26 giugno 1980, causa C-808/79, Pardini; e Corte Giust. CEE 11 marzo 1987, cause riunite C-279, 280, 285, 286/84, Rau.

(17) Cfr. Corte Giust. CEE 16 ottobre 1991, causa C-24/90, Hauptzollamt Hamburg-Jonas; e Corte Giust. CEE 18 marzo 1980, cause riunite C-154, 205, 206, da 226 a 227/79, Valsabbia c. Commissione.

(18) Corte Giust. UE causa C-263 del 2012, punto 54, cit. Nello stesso senso, si vedano Corte Giust. UE 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade, punti n. 65-67; e Corte Giust. UE 12 luglio 2012, causa C-284/11, EMS-Bulgaria Transport, punto n. 67; entrambe in Boll. Trib. On-line.

(19) F. Gallo, L’applicazione d’ufficio del diritto comunitario da parte del giudice nazionale nel processo tributario e nel giudizio di Cassazione, in Rass. trib., 2003, 315.

(20) Cass., sez. trib., 9 giugno 2000, n. 7909, in Boll. Trib. On-line.

(21) Cass., sez. trib., 28 marzo 2003, n. 4703, in Boll. Trib. On-line.

(22) A. Marcheselli, Accertamenti tributari e difesa del contribuente, Milano, 2010, 19. L’Autore osserva che, riguardo a Cass., sez. un., 22 febbraio 2010, n. 4077, in Boll. Trib. On-line, alla base dell’esclusione di iscrizioni ipotecarie per crediti inferiori a 8 mila euro, fondata sulla lettera dell’art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, può ben porsi il principio di proporzionalità (ved. pag. 18, in nota 41). Un caso di congruità del mezzo al fine, garantito dall’applicazione del principio di ragionevolezza e di proporzionalità, può ravvedersi nella scelta circa l’adozione di misure quali il fermo dei beni mobili registrati, ex art. 86 del D.P.R. n. 602/1973, o l’iscrizione di ipoteca prevista dall’art. 77 del D.P.R. n. 602/1973, dove l’agente della riscossione è chiamato a ponderare il disagio inferto al contribuente con l’esigenza della riscossione del credito erariale.

(23) Con riferimento al principio di proporzionalità, tra le sentenze di merito si segnalano: Comm. trib. reg. della Lombardia 27 dicembre 2012, n. 142; Comm. trib. prov. di Matera 7 novembre 2012, n. 65; Comm. trib. reg. del Piemonte 20 gennaio 2011, n. 18; Comm. trib. prov. di Novara 5 febbraio 2010, n. 10; Comm. trib. prov. di Chieti 30 gennaio 2007, n. 157; Comm. trib. I grado di Trento 31 gennaio 2007, n. 85; Comm. trib. reg. della Lombardia 30 gennaio 2007, n. 166; e Comm. trib. reg. della Lombardia 3 aprile 2007, n. 84; tutte inedite.

 

 

 

 

 

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