29 Gennaio, 2014

 

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Fallimento – Impugnazione dell’avviso di accertamento – Soggetto fallito – Perdita della capacità processuale – Non si verifica in caso di inerzia del curatore.

Procedimento – Commissioni – Giudizio avanti le Commissioni – Legittimazione del fallito all’impugnazione degli atti impositivi in caso di inerzia degli organi fallimentari – Sussiste.

Accertamento imposte sui redditi e IVA – Accertamento – Avviso di accertamento – Obbligo dell’Ufficio di notificare l’atto impositivo sia al fallimento e sia al soggetto fallito – Sussiste – Notificazione dell’accertamento al solo curatore fallimentare – Inerzia del fallimento successivamente all’instaurazione del procedimento di accertamento con adesione – Diritto del fallito di proporre autonomo ricorso avverso l’avviso di accertamento – Sussiste – Decadenza per decorrenza dei termini di cui all’art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992 – Non si verifica.

L’art. 43 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), nel sancire il principio della sostituzione della capacità processuale del fallito con quella del curatore, per i rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento, specifica che tale disposizione non comporta la perdita della capacità processuale del fallito la quale sussiste pienamente, oltre che per la tutela dei propri diritti personali e patrimoniali esclusi dal fallimento, anche per quelli inclusi nello stesso qualora gli organi fallimentari di tali rapporti volontariamente si disinteressino.

L’Ufficio impositore deve notificare l’avviso di accertamento, oltre che al fallimento in persona del curatore, anche alla parte fallita, di talché in caso di omessa notificazione dell’atto impositivo al fallito non può essere eccepita alcuna decadenza dal potere di quest’ultimo di impugnare tale atto derivante dalla presunta decorrenza dei termini di cui all’art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, né tanto meno l’inapplicabilità della proroga del termine di ricorso prevista dalla disciplina dell’accertamento con adesione nel caso di inerzia del curatore fallimentare nella coltivazione del contraddittorio con l’Ufficio conseguente all’avvenuta presentazione della relativa istanza di accertamento con adesione.

[Commissione trib. provinciale di Matera, sez. II (Pres. Vetrone, rel. Di Leo), 25 marzo 2013, sent. n. 71, ric. Fallimento Blu Italia Group s.r.l. c. Agenzia delle entrate – Ufficio di Matera]

FATTO E DIRITTO – Con atto depositato il 3/10/2012, la “Blu Italia Group Srl” (società in stato di fallimento) presentava ricorso avverso avviso di accertamento Ires, Irap e Iva anno 2007, notificato dalla Agenzia delle Entrate di Matera.

Premesso che, al termine di una verifica veniva consegnato al curatore fallimentare Pvc redatto dalla G.di.F. formulante dei rilievi per violazione delle succitate imposte e che, in seguito, l’Amministrazione Finanziaria notificava l’atto opposto per l’avvenuta deduzione di componenti negativi di reddito quali: 1) costi non inerenti all’attività di impresa; 2) costi non documentati (perché prodotti in fotocopia); 3) costi da reato (per violazione dell’art. 50-bis D.L. n. 331/1993; 4) operazioni imponibili non dichiarate; 5) acquisti irregolarmente eseguiti in sospensione di imposta; 6) acquisti con Iva indebitamente detratta, la parte indicava le somme richieste e specificava che, a seguito di inerzia del curatore fallimentare, che si limitava a chiedere il solo accertamento con adesione, il ricorso veniva dalla stessa proposto direttamente e tempestivamente. Spiegato quindi, in modo estremamente dettagliato, di aver operato correttamente e l’infondatezza dei summenzionati riscontri, in particolare per quanto ne concerne il disconoscimento delle deduzioni dei costi da reato (presunto contrabbando), la ricorrente invocava il principio di presunzione di innocenza, trattandosi ancora di sola notizia di reato non seguita da alcuna pronuncia di sentenza di condanna definitiva.

Illustrate le norme regolanti anche le ulteriori contestazioni sollevatele dalla convenuta Agenzia e dimostrate le proprie ragioni, nonché l’illegittimità della pretesa impositiva, la parte concludeva con alcune considerazioni inoltrando le sue richieste.

Resisteva il convenuto Ufficio che, in via preliminare, eccepiva la inammissibilità del ricorso, vuoi perché presentato da soggetto non avente legittimazione processuale attiva e sia in quanto proposto oltre i termini.

Sottolineato che ciò spettava al solo curatore fallimentare e che non veniva fornita alcuna prova dell’inazione dello stesso, l’Amministrazione Finanziaria aggiungeva che, comunque, per l’ottenimento della proroga di questi, non era sufficiente la semplice istanza di accertamento con adesione proposta bensì, il reale presentarsi della curatela per l’instaurazione del contraddittorio. Specificato, inoltre, che dalla avvenuta verifica risultarono molte irregolarità quali la mancata tenuta delle prescritte scritture obbligatorie, operazioni attive non dichiarate, la deduzione di costi derivanti da reato e altri non inerenti all’attività ecc., la convenuta parte concludeva con richiami giurisprudenziali inoltrando le proprie richieste.

Il Collegio accoglie il ricorso poiché fondato in fatto ed in diritto.

[-protetto-]

Va superata, innanzitutto, la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal resistente Ufficio, in quanto parte ricorrente era pienamente legittimata ad opporsi all’atto impugnato essendo stato, comunque, riscontrato un totale ed evidente disinteresse della curatela fallimentare che, non coltivando l’oramai intrapreso accertamento con adesione, dimostrava un inequivocabile volontà in tal senso.

Del resto, anche l’art. 43 della legge Fallimentare, nel sancire il principio della sostituzione della capacità processuale del fallito con quella del curatore, per i rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento, specifica che tale disposizione tuttavia non comporta la perdita della capacità processuale del fallito la quale sussiste pienamente, oltre che per la tutela dei propri diritti personali e patrimoniali esclusi dal fallimento, bensì anche per quelli inclusi nello stesso qualora, come nel caso di cui trattasi, gli organi fallimentari di tali rapporti volontariamente si disinteressano.

Ritenuta quindi esistente la capacità processuale della ditta ricorrente va aggiunto, a tal proposito, che anche circa il secondo gravame di inammissibilità va disatteso quanto dedotto dal resistente ufficio poiché, sempre in ragione di quanto sopra, questo avrebbe dovuto notificare l’atto di accertamento altresì alla parte direttamente interessata per cui si può addivenire che, con l’omissione di ciò, non può essere invocato dal convenuto alcun decorso dei termini di sessanta giorni di cui all’art. 21 D.Lgs. n. 546/92 né, tanto meno, l’inapplicabilità della proroga derivante dall’inerzia del curatore fallimentare nella instaurazione del contraddittorio verificatasi dopo la presentazione della succitata istanza di accertamento con adesione.

Entrando, invece, nel merito dei rilievi mossi e della legittimità dell’atto impugnato si osserva che dalle risultanze della documentazione esibita e da quanto minuziosamente esposto dalla difesa della ricorrente, appare di tutta evidenza che l’Amministrazione Finanziaria ha fondato la pretesa impositiva esercitando, in pratica, un diritto-dovere in capo ad altro organo avente autonomia funzionale, quale l’Agenzia delle dogane, oltrepassando così le proprie competenze.

Preso atto di pronunce della Corte di Cassazione su detta questione e reputata la fondatezza delle ulteriori doglianze sollevate dalla parte ricorrente, si può giungere alla conclusione che vanno disattese interamente le ragioni della Amministrazione Finanziaria il cui rappresentante, tra l’altro, nel corso dell’odierna pubblica udienza, fondava la sua difesa limitatamente alle sollevate eccezioni di inammissibilità di cui sopra.

Ribadendo pertanto il presente decisum, si specifica che, data la originaria incertezza della lite, si compensano le spese di giudizio.

P.Q.M.1) Accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato. 2) Compensa le spese.

I controversi rapporti tra il fallimento, il fallito e il diritto tributario

1. Premessa

Nel panorama della giurisprudenza concernente la legittimazione processuale nelle controversie di natura tributaria in pendenza di procedura fallimentare (1), la sentenza che si annota risolve in senso favorevole al contribuente questioni di assoluto rilievo (2).

In primo luogo riconosce il potere di azione a favore della società fallita in presenza di un avviso di accertamento appreso de relato perché notificato esclusivamente al curatore del fallimento.

In secondo luogo la sentenza equipara alla mancanza di interesse sostanziale al processo il comportamento del curatore fallimentare che, da un lato, chiedeva all’Agenzia delle entrate di definire la posizione contributiva del fallito (3) a mezzo di specifica procedura di accertamento con adesione, e dall’altro lato, in seguito mostrava disinteresse e ignorava, non coltivandolo, l’iter amministrativo promosso. Trattasi all’evidenza di una situazione al limite tra la sicura inerzia per disinteresse del curatore e quella desumibile ex post dalla valutazione complessiva del suo comportamento.

La sentenza consente, altresì, il riesame dell’istituto per ipotizzare soluzioni alle aporie dell’attuale sistema processuale che vede coinvolta la figura del contribuente dichiarato fallito, alla luce della tutela dei diritti fondamentali dei contribuenti previsti in ambito europeo.

2. La legittimazione processuale del fallito in generale

L’art. 43 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), afferma che il curatore fallimentare sta in giudizio nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti patrimoniali del fallito compresi nel fallimento, limitando l’intervento del soggetto dichiarato fallito ai casi previsti dalla legge e alle questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta.

Riguardo alle controversie concernenti i rapporti patrimoniali del fallito, il delineato assetto processuale non traduce una sopravvenuta incapacità o carenza di legittimazione processuale del fallito, ma si limita a rendere inopponibili alla procedura i giudizi resi in costanza di fallimento che vedono partecipare il fallito nelle vesti di attore o convenuto.

Da tale conclusione, cui convergono dottrina e giurisprudenza, discende che nell’ipotesi di disinteresse della procedura riguardo ad una data pretesa avanzata nei confronti del fallito, questi non resta privo di difesa perché legittimato ad agire a tutela dei propri diritti patrimoniali.

Dall’assetto processuale delineato dall’art. 43 della legge fallimentare rinviene, altresì, che il giudizio sulla (in)efficacia degli atti processuali compiuti dal fallito non compete né al giudice né alla controparte in causa, ma solo al curatore fallimentare, quale unico soggetto legittimato alla valutazione del rilievo della causa riguardo agli interessi della massa dei creditori (4). Viceversa, nel caso in cui l’organo fallimentare abbia manifestato interesse alla cura della lite relativa a beni o a rapporti acquisiti al fallimento, il difetto di legittimazione del fallito attivatosi in giudizio autonomamente e con mezzi propri sarebbe opponibile da chiunque e rilevabile anche d’ufficio dal giudice (5). Sebbene la recente giurisprudenza di legittimità abbia confermato i principi di diritto espressi con riferimento alla previgente normativa (6), a seguito della recente riforma della legge fallimentare l’impostazione processuale così delineata non è condivisa da una parte della dottrina, secondo cui dall’attuale formulazione del terzo comma dell’art. 43 della legge fallimentare si evincerebbe (sempre) la rilevabilità d’ufficio del difetto di legittimazione ad agire del fallito (7).

3. La posizione tributaria del contribuente dichiarato fallito e le conseguenze sul piano processuale

Riguardo alle controversie tributarie relative all’accertamento di crediti erariali sorti prima della dichiarazione di fallimento, e in costanza di procedura, in capo al fallito permane lo stato di soggetto passivo del rapporto tributario. Ne consegue che, al fine di assicurare la tutela dei propri interessi, il contribuente conserva la capacità processuale riguardo all’impugnazione di atti impositivi che la curatela fallimentare non intenda impugnare (8). Trattasi di una legittimazione processuale ad agire non concorrente con quella del curatore, ma autonoma e subordinata alla decisione del secondo di rimanere inerte di fronte alla pretesa azionata dall’Amministrazione finanziaria (9).

Sotto tale profilo, in via generale, l’esercizio dell’azione o l’inerzia del curatore presuppongono la valutazione del realizzo dell’interesse dei creditori concorsuali. Sicché, laddove il curatore proponga ricorso avverso un atto impositivo, in via di principio si realizzerebbe una convergenza di tutela degli interessi del fallito e del ceto creditorio.

Nella diversa ipotesi di impugnazione di un atto da parte del soggetto fallito in considerazione dell’inerzia del curatore, anche in ambito processual-tributario consegue che l’eccezione del difetto di legittimazione ad agire può essere avanzata solo dall’organo della procedura e non dall’Amministrazione finanziaria, né può essere rilevata d’ufficio dal giudice (10).

Tanto premesso, in applicazione degli ordinari principi dell’ordinamento tributario, non derogati in presenza di una procedura fallimentare, gli atti impositivi necessitano di notifica non solo al curatore del fallimento, ma anche al fallito per consentirgli, in via eccezionale, l’esercizio del proprio diritto alla tutela giurisdizionale al consolidarsi dello stato di inerzia dell’organo fallimentare (11).

Si è pure precisato che mentre la notifica al curatore di un atto impositivo relativo ad un’annualità precedente l’inizio della procedura costituisce condizione per l’opponibilità al fallimento della pretesa tributaria, la notifica dell’atto al solo fallito, e non anche al curatore, rende la pretesa inefficace nei confronti della procedura, ma consente al primo l’impugnazione dell’atto una volta tornato in bonis, per la riacquistata capacità di agire in giudizio (12).

4. Il punto nodale della questione: la qualificazione dello stato di inerzia per disinteresse del curatore e le aporie del sistema

Alla luce di quanto sin qui brevemente riportato è opportuno soffermarsi sulla qualificazione dello stato di inerzia del curatore fallimentare, presupposto ineludibile per l’esercizio della tutela giurisdizionale da parte del contribuente fallito.

Una prima ipotesi potrebbe essere quella del curatore che, di fronte alla pretesa erariale, non compia alcuna attività giudiziale o deflattiva del contenzioso. In tal caso, parrebbe ovvio ipotizzare lo stato di inerzia che legittimerebbe l’azione da parte del fallito. Sennonché, in linea di principio, occorrerebbe verificare se lo stato di inerzia del curatore dipenda dal disinteresse verso la pretesa ovvero consegua ad una valutazione negativa circa l’utilità di intraprendere l’azione giudiziaria.

Nella prima ipotesi per la giurisprudenza la mancanza di una concreta iniziativa processuale da parte della curatela integra l’ipotesi di stato di inerzia (13). Viceversa nell’ipotesi in cui la mancata impugnazione dell’atto sia dipesa da una valutazione negativa riguardo alla convenienza ad instaurare la controversia, vi sarebbe la consapevole volontà di non opporsi alla pretesa, con effetto inibitorio di un’azione diretta da parte del fallito (14).

Sul punto si avanzano alcune perplessità di ordine pratico.

Nelle more del decorso del tempo utile per l’impugnazione dell’atto, il fallito potrebbe non essere a conoscenza della decisione assunta dal curatore, né delle ragioni ad essa sottese (15). Inoltre, potrebbe accadere che la notifica dell’atto (al curatore e al fallito) da parte dell’ente impositore avvenga in date diverse. Se la copia destinata al fallito fosse notificata prima di quella del curatore potrebbero sorgere problemi riguardo alla consumazione del termine per l’impugnazione (16). In entrambi i casi, per non incorrere in decadenze, il fallito sarebbe costretto a proporre in proprio il ricorso in opposizione esponendosi al rischio di declaratoria di inammissibilità in caso di concomitante azione intrapresa dal curatore.

anche in presenza di uno stato di inerzia consapevole del curatore, perché preceduta da una valutazione di merito riguardo all’opportunità di agire in giudizio, permangono profili critici al divieto di azione del fallito. Alla base dell’inerzia, infatti, potrebbe esserci un’errata valutazione, da parte degli organi della procedura, dei fatti fondanti la pretesa e rilevanti ai fini dell’annullamento dell’atto (17). Inoltre l’inerzia consapevole del curatore potrebbe essere dettata da motivi contrastanti con quelli del fallito. Si pensi, ad esempio, al caso in cui la procedura non abbia acquisito alcun attivo fallimentare e, quindi, non abbia interesse ad instaurare il giudizio. Oppure, all’ipotesi in cui l’unico creditore sia l’erario stesso. In tal caso, sul piano pratico un’eventuale vittoria in giudizio della procedura sarebbe ininfluente nei confronti di entrambe le parti. Si ponga, ancora, l’ipotesi in cui i fatti contestati generino conseguenze di natura penale in capo al fallito. In tal caso non vi sarebbe convergenza tra la cura degli interessi patrimoniali e finanziari della curatela, e per essa del ceto creditorio, e quelli personali del fallito.

Approfondendo l’analisi si rileva che anche l’ipotesi di contenzioso intrapreso dal curatore potrebbe non tutelare appieno le esigenze di difesa del fallito. Si allude, ad esempio, ad una difesa labile non esaustiva delle ragioni defensionali del fallito, o a un’errata gestione processuale della lite. In tali circostanze è evidente come il difetto di una valida difesa in ambito processuale, da parte del curatore, possa comportare pregiudizi in ordine alla pienezza ed effettività della tutela del fallito.

Alla luce di quanto riportato emergono sia l’oggettiva difficoltà di individuare l’esistenza di un’inerzia consapevole del curatore inibitoria dell’azione in proprio del fallito, sia le aporie che il sistema comporta all’esercizio del diritto di difesa del contribuente fallito, e anche nell’ipotesi di azione da parte del curatore.

5. Il caso risolto dai giudici lucani e le (condivisibili) ragioni sottese alla decisione

Nell’annotata sentenza il curatore aveva posto in essere un comportamento apparentemente equivoco. Invero, da una parte, aveva mostrato interesse all’insorgente controversia chiedendo di definire la posizione contributiva del fallito proponendo istanza di accertamento con adesione. Dall’altra, in seguito, aveva mostrato disinteresse non partecipando al contraddittorio e non proponendo ricorso in opposizione.

I giudici hanno ritenuto tale comportamento ascrivibile allo stato di inerzia della procedura e non ad una consapevole rinuncia al gravame. La decisione risente di una condivisibile ragione sostanziale: di fronte all’esigenza di tutela effettiva del diritto di difesa del fallito, nel dubbio, la ponderazione degli interessi in gioco e la rinuncia al gravame da parte dell’organo della procedura non devono presumersi, ma devono essere verificate ed assunte in termini di certezza, a causa delle gravi conseguenze che sul piano processuale esse potrebbero comportare ai diritti costituzionalmente garantiti al fallito (art. 24 Cost.).

Sotto tale profilo per i giudici di Matera la richiesta iniziale del curatore di definizione bonaria in via amministrativa non seguita né dalla partecipazione al contraddittorio pre-contenzioso né dalla proposizione del ricorso giudiziale doveva leggersi come una mancanza di interesse alla lite, semmai sopravvenuta all’originaria istanza di accertamento con adesione, ma provata in seguito, per facta concludentia, dalla mancata impugnazione dell’atto. invero pare difficile ipotizzare una successiva acquiescenza alla pretesa da parte del curatore, in ragione dell’oggettiva complessità dei fatti contestati (18) e della mancata acquisizione di ulteriori informazioni utili allo scopo a causa del contraddittorio mai instauratosi tra le parti.

Per altro verso ancora la decisione assunta dai giudici appare giustificabile alla luce della contestazione di costi da reato e di un presunto reato di contrabbando.

Proseguendo nell’analisi si osserva che i giudici lucani hanno ritenuto irrilevante la circostanza che l’avviso di accertamento risultasse notificato al solo curatore (19) e che la proposizione del ricorso, da parte del fallito, fosse avvenuta oltre il termine di sessanta giorni dalla notifica (20). In un’ottica garantista per il contribuente, poiché l’Ufficio non si era peritato di notificare al fallito una copia dell’atto impositivo, i giudici hanno rilevato che mancava il dies a quo per il calcolo del termine finale per la proposizione del ricorso. Sicché l’Ufficio non poteva dolersi dell’avvenuto decorso del termine decadenziale per l’azione perché mancante (21), oltretutto, per fatto non imputabile al ricorrente.

Ci sarebbe da chiedersi se il giudizio di ammissibilità poteva essere risolto dai giudici della Basilicata facendo riferimento alla giurisprudenza secondo cui, in caso di omessa notifica dell’atto impositivo, il ricorso tributario è proponibile, a pena di decadenza, dalla data di effettiva conoscenza del provvedimento da parte del fallito (22). Al riguardo rileva quanto affermato dal giudice di legittimità, secondo cui «il curatore non è gravato da un mero onere di informazione nei confronti del fallito, bensì da un vero e proprio obbligo a trasmettergli tutti gli atti relativi a quelle situazioni giuridiche che siano idonee a incidere, dopo la chiusura del fallimento, nella sua sfera patrimoniale» (23).

Sul punto il problema sarebbe individuare la data in cui il fallito aveva avuto conoscenza dell’avviso di accertamento. Al riguardo la sentenza non evidenzia alcunché, ma precisa che per la parte pubblica non rilevava l’ulteriore termine di novanta giorni riveniente dalla richiesta di accertamento con adesione avanzata dal curatore (24). Dalla precisazione può dedursi che il ricorso risultava presentato oltre il termine ordinario di sessanta giorni, ma entro quello finale di centocinquanta giorni. In tale ipotesi si potrebbe ritenere che, poiché la legittimazione al processo da parte del fallito presuppone l’inerzia del curatore, sia legittimo attendere l’ulteriore periodo di novanta giorni, al fine di consolidare lo stato di inerzia del curatore quale presupposto di legittimità per l’azione in proprio.

Si osserva, quindi, che se l’inerzia del curatore costituisce il presupposto ineludibile per il legittimo ricorso in opposizione da parte del fallito, deve ritenersi che la stessa si consolidi quando il curatore non si avvalga, nel termine di legge, del rimedio giurisdizionale.

Assunta tale premessa, il termine finale per la proposizione del ricorso in via diretta a cura del fallito potrebbe ben essere quello di sessanta giorni decorrenti dalla data di ricezione della copia dell’avviso di accertamento notificata al curatore (per comprendere la pretesa nei suoi aspetti fattuali e di diritto, prestarvi acquiescenza o procedere con l’impugnazione), purché successiva al consolidamento dell’inerzia dell’organo fallimentare (quale presupposto di legittimità dell’azione).

In conclusione la decisione assunta dai giudici lucani appare condivisibile alla luce del lodevole sforzo interpretativo teso alla realizzazione dell’insegnamento dei massimi organi della giustizia tributaria che, con una giurisprudenza ampiamente consolidata, invitano a ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità in funzione dell’effettiva tutela giurisdizionale (25) (26).

6. Il diritto di difesa del fallito e la tutela dei diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione europea dei Diritti dell’uomo

Tirando le fila di quanto sin qui rilevato, deve concludersi che l’ambito processuale delineato dall’art. 43 della legge fallimentare non assicura al fallito la tutela piena ed effettiva dei suoi diritti, né in via diretta con l’azione in proprio, né attraverso l’azione processuale del curatore.

Se si concorda sulla conclusione, una soluzione finalizzata alla tutela effettiva del fallito mediante il riconoscimento incondizionato all’esercizio in proprio del diritto di difesa potrebbe rinvenire dall’applicazione in ambito nazionale di alcuni principi di diritto “fondamentali” previsti dall’Unione europea.

7. Il giusto processo nel diritto dell’Unione europea e gli strumenti applicativi nella normativa nazionale

In merito alla clausola del giusto processo prevista dall’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, si osserva che seppure la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo ne esclude l’applicazione al giudizio tributario (27) (28) essa costituisce pur sempre un autorevole modello di “giusto processo”, con il quale l’ordinamento processuale tributario italiano deve pure confrontarsi (29). Non solo, riguardo alla sua operatività in ambito nazionale, l’art. 111 Cost. non esclude l’applicazione del giusto processo per nessun tipo di giudizio. Muovendo da tali premesse, la nozione di giusto processo secondo la Corte europea dei Diritti dell’Uomo tornerebbe applicabile per effetto del principio di uguaglianza e della portata generale dell’art. 111 Cost. attraverso il controllo di costituzionalità delle norme processuali interne alla luce della compatibilità con quelle della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, da considerare norme interposte, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale (30). In particolare la Corte, interpretando l’art. 117, primo comma, Cost., ha affermato l’idoneità delle disposizioni dei trattati internazionali, e quindi anche delle disposizioni della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, a valere come parametro interposto nel giudizio di costituzionalità, incidentale e principale. Con la conseguenza che i contrasti tra le disposizioni internazionali e la normativa interna generano questioni di legittimità costituzionale. Il giudice onerato di interpretazione in via adeguatrice alle disposizioni internazionali, pertanto, ove dubiti della compatibilità della norma interna con quella convenzionale interposta, deve sollevare la questione di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.

Si potrebbe ipotizzare, quindi, il difetto di legittimità costituzionale dell’art. 43 della legge fallimentare muovendo dal sillogismo che segue: «Premessa maggiore: ai sensi dell’art. 111 e 3 Cost. tutti i processi debbono essere ugualmente “giusti”. Premessa minore: le norme della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo si applicano (come parametri interposti di costituzionalità) ai processi non tributari. Conclusione: le norme della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo si applicano indirettamente (per la via dell’art. 3 e 111 Cost. e come parametri di costituzionalità) anche al processo tributario» (31).

Un diverso percorso interpretativo utile a disapplicare l’art. 43 della legge fallimentare, a favore di una tutela effettiva del fallito alla luce delle norme comunitarie, è dato dall’art. 47 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea (32). A tal fine, si precisa che il 1° dicembre 2009 è entrato in vigore il Trattato europeo di Lisbona il quale, tra l’altro, ha attribuito alla Carta dei Diritti fondamentali lo stesso valore giuridico delle norme dei trattati UE. L’innovazione è significativa perché determina l’applicazione al diritto tributario dei diritti fondamentali della Carta che, entrati a far parte per via legislativa del diritto “costituzionale” dell’Unione europea, integrano le norme domestiche dei Paesi membri. Ne consegue che, anche sul piano processuale che qui occupa e in forza del primato del diritto europeo su quello nazionale, eventuali antinomie con norme interne dei Paesi membri devono essere risolte dai giudici a favore del principio comunitario con un’interpretazione adeguatrice ovvero con la disapplicazione delle norme domestiche.

8. Conclusioni

Alla luce delle considerazioni che precedono, può concludersi che l’attuazione di una tutela piena ed effettiva del diritto di difesa del fallito con azioni giudiziarie autonome non subordinate ai vincoli imposti dall’art. 43 della legge fallimentare, e alle conseguenti aporie di sistema, possa trovare adeguata soluzione nell’applicazione dei principi di diritto dell’Unione europea relativi al giusto processo (art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo e art. 47 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea).

Dott. Mauro Tortorelli

  (1) In seno alla procedura fallimentare la definizione dei giudizi di natura tributaria è affidata in via esclusiva al giudice tributario.

(2) La controversia oggetto di esame attiene ad una fattispecie impositiva il cui presupposto risultava generato in epoca anteriore a quello della dichiarazione di fallimento. In tali periodi la responsabilità per il mancato pagamento delle imposte dovute a seguito di rettifica da parte dell’Amministrazione finanziaria è pacificamente imputata al soggetto fallito.

(3) Ai sensi dell’art. 6, secondo comma, del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218.

(4) Cass. 29 agosto 1987, n. 7139, in Dir. fall., 1988, II, 34; Cass. 9 febbraio 1987, n. 1381, in Rep. Foro it., 1987, Contratti bancari [1720], n. 28; Cass. 7 dicembre 1979, n. 6371; Cass. 2 marzo 1978, n. 1043; Cass. 23 settembre 1977, n. 4055; Cass. 27 febbraio 1974, n. 562; Cass. 5 aprile 1974, n. 956; e Cass. 25 novembre 1974, n. 3824.

(5) Cass., sez. III, 21 maggio 2004, n. 9710, in Giust. civ., 2005, I, 2742; Cass., sez. trib., 3 aprile 2003, n. 5202, in Boll. Trib., 2004, 1578; Cass., sez. trib., 26 aprile 2001, n. 6085, ivi, 2003, 1176; Cass., sez. I, 23 luglio 1998, n. 7200, in Fall., 1998, 1270; e Cass. 11 aprile 1983, n. 2544, in Rep. Foro it., 1983, Fallimento [2880], n. 243.

(6) Cass., sez. trib., 25 giugno 2009, n. 14980, e Cass., sez. trib., 9 marzo 2011, n. 5571; entrambe in Boll. Trib. On-line.

(7) Cfr. A. Caiafa, Le procedure concorsuali, Padova, 2011, 288.

(8) Cass., sez. I, 19 febbraio 2000, n. 1901, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. I, 28 aprile 1997, n. 3667, ivi; e Cass. 20 marzo 1993, n. 3321, in Boll. Trib., 1994, 719.

(9) Si precisa che quanto si esporrà nel prosieguo investe anche le liti da rimborso, ove nell’inerzia del curatore il fallito assume lo stato di parte attiva per il recupero delle somme a credito.

(10) Cass., sez. trib., 22 marzo 2006, n. 6393, e Cass., sez. trib., 11 ottobre 2007, ord. n. 21385; entrambe in Boll. Trib. On-line. In senso contrario cfr. Cass. n. 6085/2001, cit.

(11) Cass. n. 21385/2007, cit.; Cass., sez. trib., 9 febbraio 2010, n. 2803, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 24 febbraio 2006, n. 4235, in Boll. Trib., 2006, 629. In dottrina cfr. L. Del Federico, Profili processuali della transazione fiscale, in Corr. trib., 2007, 3657.

(12) Cass., sez. un., 26 novembre 1993, n. 11718, in Rep. Foro it., 1993, Fallimento [2880], n. 524. In ambito tributario cfr. Cass., sez. trib., 23 giugno 2003, n. 9951, in Boll. Trib., 2004, 456. In dottrina cfr. F. Brighenti, Legittimazione del fallito ad impugnare i provvedimenti impositivi: un passo avanti e uno indietro, in Boll. Trib., 1995, 1274 ss.; e F. Bellini, Sulla legittimabilità del fallito nel processo tributario, ivi, 2003, 1310 ss.

(13) Cass., sez. trib., 16 aprile 2007, n. 8990, in Boll. Trib. On-line.

(14) Cass., sez. II, 22 luglio 2005, n. 15369, in Rep. Foro it., 2005, Fallimento [2880], n. 375; Cass., sez. III, 21 maggio 2004, n. 9710, in Giust. civ., 2005, I, 2742; Cass., sez. III, 16 dicembre 2004, n. 23435, in Rep. Foro it., 2004, Fallimento [2880], n. 340; e Cass., sez. I, 26 settembre 1997, n. 9456, in Fall., 1998, 388. Per completezza si osserva che in un recente intervento la Corte di Cassazione ha affermato la legittimità del ricorso in proprio del fallito anche nell’ipotesi di valutazione negativa circa la convenienza alla controversia espressa dal curatore, purché il fallito risulti a ciò autorizzato dal giudice delegato e provveda a sue spese (Cass., sez. II, 20 marzo 2012, n. 4448, in Giust. civ., 2012, I, 168). Nell’insegnamento della Suprema Corte è implicita l’esigenza di un riconoscimento pieno alla tutela effettiva del fallito.

(15) «In altri termini, il fallito non è in grado di conoscere il comportamento che il curatore intende adottare in ordine alla pretesa tributaria in questione, per cui non ha contezza dello stato d’inerzia dell’organo della procedura fino a quando lo stesso non si è verificato»: così M Mauro, Controversie tributarie e posizione processuale del fallito nell’ordinamento italiano, in Revista de Estudios Jurídicos, 2012, fasc. 12, 7.

(16) Per il giudice di legittimità il termine per l’impugnazione decorre dalla notifica dell’atto al fallito nel caso di chiara volontà del curatore di non impugnare (Cass. n. 3321/1993, cit.; e Cass., sez. I, 20 dicembre 1994, n. 10957, in Boll. Trib., 1995, 1272), ma resta il problema di individuare quando può dirsi consolidata la volontà di non impugnare, non potendosi escludere legittimi ripensamenti dell’organo della procedura nel termine di legge per la proposizione del ricorso.

(17) Cfr. Cass. n. 4235/2006, cit.

(18) Cfr. l’annotata sentenza nell’esposizione dei fatti di causa.

(19)In dottrina cfr. M. Miccinesi, Fallimento nel diritto tributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., Torino, 1990, 476, il quale afferma la legittimazione processuale sussidiaria del fallito anche nel caso in cui l’atto impositivo fosse stato notificato soltanto al curatore rimasto inerte.

(20) Cfr. l’art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

(21) In un caso che presenta forti analogie con quello che qui occupa, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la mancata apposizione nella relata di notifica della data di consegna dell’atto non consente il calcolo del termine ultimo per la proposizione del ricorso che, pertanto, deve ritenersi ammissibile (Cass., sez. lav., 13 gennaio 2012, n. 398, in Boll. Trib., 2012, 1562).

(22) In forza di una logica giuridica che trova fondamento nell’art. 24 Cost., cfr. Cass., sez. trib., 20 novembre 2000, n. 14987, e Comm. trib. reg. della Campania, sez. XXVII, 18 maggio 2006, n. 57; entrambe in Boll. Trib. On-line.

(23) Cass. n. 14987/2000, cit.

(24) Cfr. l’art. 6, secondo comma, del D.Lgs. n. 218/1997.

(25) Corte Cost. 18 marzo 2004, n. 98, in Foro it., 2005, I, 3285; Corte Cost. 6 dicembre 2002, n. 520, in Boll. Trib., 2003, 146, con nota di F. Brighenti, La costituzione in giudizio per posta: la Consulta chiamata a sfondare una porta aperta; e Cass., sez. trib., 20 marzo 2009, n. 6780, ivi, 2004, 1500.

(26) Mette altresì conto rilevare, per ragioni di completezza, che il giudizio intrapreso dal fallito non potrebbe arrecare danno alla massa fallimentare, la quale, al più, si può giovare della pronuncia favorevole al fallito per eliminare pretese creditorie insinuabili nel passivo della procedura.

(27) In forza della qualificazione dell’obbligazione tributaria tra quelle non aventi “carattere civile”. Cfr. Corte europea dei Diritti dell’uomo 12 luglio 2001, richiesta n. 44759/98, Ferrazzini v. Italia.

(28) Nonostante, in seguito, la Suprema Corte abbia affermato l’applicabilità dell’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo alle sanzioni tributarie (cfr. Corte europea dei Diritti dell’uomo 23 novembre 2006, richiesta n. 73053/01, Jussila) e all’istruttoria tributaria relativa alla ricerca degli elementi di prova nel domicilio dei soggetti interessati o nei locali da essi occupati (cfr. Corte europea dei Diritti dell’uomo 21 febbraio 2008, richiesta n. 18497/03, Ravon e altri c. Francia; Corte europea dei Diritti dell’uomo 24 luglio 2008, richiesta n. 18603/03, Andrè e altri c. Francia; Corte europea dei Diritti dell’uomo18 settembre 2008, richiesta n. 18659/05, Kandler e altri c. Francia; Corte europea dei Diritti dell’uomo 16 ottobre 2008, richiesta n. 10477/03, Maschino; e Corte europea dei Diritti dell’uomo 20 novembre 2008, richiesta n. 2058/04, Società IFB).

(29) A. Marcheselli, La (in)dipendenza del giudice tributario italiano nella lente della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, in Dir. prat. trib., 2013, 388.

(30) Cfr. Corte Cost. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349, entrambe in Giur. it., 2008, 565; e Corte Cost. 11 marzo 2011, n. 80, in Giur. cost., 2011, 1224.

(31) A. Marcheselli,La (in)dipendenza del giudice tributario italiano nella lente della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, cit., 389.

(32) Secondo cui «Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni individuo ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia».