2 Aprile, 2019

SOMMARIO: 1. Introduzione: i lavori dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia e le diverse declinazioni del concetto di famiglia – 2. La nozione di famiglia fiscale e le proposte di riforma dell’IRPEF – 3. Il T.U. della finanza locale del 1931 e il presupposto dell’imposta di famiglia costituito dalla “agiatezza del nucleo familiare” – 4. La sentenza della Corte Costituzionale sul cumulo dei redditi e la spinta dell’individualismo contributivo, nonostante le positive esperienze di altri ordinamenti in tema di quoziente familiare – 5. No tax area, negative income tax e Fattore Famiglia – 6. Conclusioni e prospettive de jure condendo.

1. Introduzione: i lavori dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia e le diverse declinazioni del concetto di famiglia

La Terza Conferenza Nazionale sulla Famiglia (1) ha fornito una serie di interessantissimi spunti di grande rilevanza e attualità su un tema quanto mai delicato e dai molteplici risvolti; indubbiamente in tale contesto, e le ragioni sono agevolmente comprensibili, l’argomento della fiscalità ha avuto un risalto notevole.
In particolare, nel corso delle sedute tenute dall’Osservatorio nazionale sulla famiglia, che hanno poi condotto alla Conferenza, il tema centrale è stato quello del riconoscimento del valore che lo Stato attribuisce – o dovrebbe attribuire … – alla famiglia, sulla base dell’assunto che a fronte dei maggiori oneri economici derivanti dalla presenza dei carichi familiari, lo Stato riconosce – meglio, dovrebbe riconoscere – minori obblighi fiscali alle stesse famiglie.
Può essere quindi l’occasione per fare il punto sulla situazione, ad oggi, di alcuni profili legati alla tassazione della famiglia, soprattutto nella prospettiva de jure condendo.
Occorre innanzitutto fornire un chiarimento di fondo.
Varie sono le declinazioni del concetto di famiglia.
Indubbiamente, la famiglia riconosciuta dalla Costituzione è quella fondata sul matrimonio (2).
Ora, al di là delle convinzioni personali di ciascuno sul tema, se ben si guarda, la tendenziale stabilità della famiglia fondata sul matrimonio giustifica, sul piano economico, scelte condivise, di distribuzione dei ruoli e delle fonti di produzione del reddito tra i coniugi, che l’assetto fiscale non deve in alcun modo pregiudicare (3).
È altrettanto evidente, però, che dal punto di vista del legislatore vi sono altri due tipi di famiglia di cui tenere conto: quella “anagrafica” e quella c.d. “fiscale” (4), appunto.
La famiglia anagrafica, di cui all’art. 4 del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223, è costituita da soggetti appartenenti ad un medesimo nucleo familiare, conviventi nella stessa abitazione e aventi dimora nello stesso Comune (5).
La famiglia fiscale trova, invece, la sua definizione nelle norme del TUIR (6), ed è individuata sulla base delle informazioni e dei dati delle dichiarazioni dei redditi. Essa risulta, pertanto, costituita dal contribuente dichiarante, dall’eventuale coniuge, dichiarante o meno, e da tutti i familiari fiscalmente a carico, indipendentemente dalla effettiva convivenza nella medesima dimora.

2. La nozione di famiglia fiscale e le proposte di riforma dell’IRPEF

È a quest’ultima nozione, quella di famiglia fiscale, che in sede di lavori dell’Osservatorio sulla famiglia si è fatto riferimento.
I temi trattati si sono focalizzati attorno ad alcune ipotesi di ridefinizione del quadro fiscale, in un’ottica di centralità della famiglia, arrivando a formulare una serie di proposte.
In estrema sintesi, le principali hanno riguardato la revisione dell’IRPEF, sia pure con sfaccettature di tipo diverso, la riforma della TARI, l’unificazione delle detrazioni di familiari a carico e degli assegni di mantenimento, e la riforma dell’esenzione dal pagamento del ticket sanitario.
I lavori, come è agevole intendere, si sono concentrati maggiormente sulla riforma della disciplina dell’IRPEF, per l’importanza anche sistematica che tale imposta assume.
È evidente, peraltro, che eventuali riforme di altre imposte – si pensi, ad esempio, alla TARI, che potrebbe senz’altro anche tener conto, quanto a disciplina positiva, delle considerazioni che qui andiamo svolgendo sulla famiglia – ben potrebbero coesistere con una (quanto mai auspicata) riforma dell’IRPEF.
La proposta che ha incontrato il maggior favore, e vi torneremo, è quella presentata dal Forum delle Associazioni Familiari, che mira a realizzare una riforma dell’IRPEF con l’individuazione di una sorta di No Tax Area mobile a favore del nucleo familiare.
Ciò è interessante in quanto consentirebbe di fare riemergere, tra l’altro, il concetto di unitarietà economica del nucleo familiare (7), già alla base della vecchia, e da tempo soppressa, imposta di famiglia (8).

3. Il T.U. della finanza locale del 1931 e il presupposto dell’imposta di famiglia costituito dalla “agiatezza del nucleo familiare”

Vale la pena dare uno sguardo a quanto accadeva in passato, non per mera curiosità storica, ma perché possiamo scoprire che un tempo vi era uno scenario normativo profondamente diverso da quello attuale, ma con risvolti straordinariamente moderni.
Infatti, seguendo il filo della storia, vediamo come in passato la situazione fosse opposta rispetto ad oggi, rispetto cioè a un momento nel quale la famiglia non è configurabile quale entità dotata di soggettività (9) – anche soltanto tributaria – distinta dalle persone fisiche che la compongono, le quali sono le sole qualificabili come soggetti passivi, titolari di capacità contributiva autonoma (10).
Questa affermazione trova peraltro oggi piena conferma nella disciplina positiva.
In particolare, l’art. 2 del TUIR individua come soggetti passivi dell’IRPEF soltanto le persone fisiche; ancora, l’art. 4 si riferisce ai coniugi e ai figli minori limitatamente ai redditi imputabili loro individualmente.
A fronte di questo scenario, quello del passato era profondamente diverso (11).
Il T.U. sulla finanza locale del 1931 (contenuto nel R.D. 14 settembre 1931, n. 1175) – richiamando la disciplina postunitaria del focatico (12) – dopo avere definito la famiglia come unione di più persone, strette da vincoli di parentela o di affinità, insieme conviventi nella stessa casa e aventi patrimonio unico e indiviso (13), e dopo aver affermato che si parli di famiglia anche in relazione alle persone sole, a quelle sottoposte a tutela e a quelle abitanti presso altre famiglie (14), individuava come presupposto oggettivo dell’imposta di famiglia l’agiatezza del nucleo familiare (15).
L’imposta di famiglia colpiva perciò l’agiatezza del nucleo, e questo concetto, pur tra molte difficoltà applicative, rinviava a un’idea di famiglia quale “entità dotata di una certa individualità” (16).
Più esattamente, la normale economia domestica, incentrata su una “intima fusione di redditi, in diretta funzione della vita comune” (così si esprimeva il Consiglio di Stato negli anni Sessanta) (17), faceva della famiglia un’unità impositiva autonomamente valutabile rispetto alla capacità contributiva dei suoi componenti (18), sebbene famiglia o nucleo non fossero eletti soggetti passivi (19).
Altro elemento curioso, e assai interessante, di quella legislazione è il fatto che prendesse a riferimento un’ampia nozione di famiglia (20).
Quindi, quando oggi si amplia il concetto di famiglia a fini fiscali tutto sommato non si scopre nulla, in quanto anche allora, accanto alla famiglia fondata sul matrimonio, venivano prese in considerazione famiglie di altro genere, che poi sarebbero quelle che oggi definiremmo “di fatto”.
E ritroviamo in quella legislazione un ampio ventaglio di figure: basti pensare alle famiglie religiose, alle famiglie tra conviventi non sposati e via dicendo.
Possiamo quindi notare come la famiglia, dal punto di vista tributario, pare raffigurabile, nella storia più risalente, per l’altissimo grado di vicinanza tra realtà, nei termini appena descritti, e norme giuridiche; nella storia più prossima, invece, per l’altissimo grado di separazione fra quella stessa realtà e il diritto positivo.

4. La sentenza della Corte Costituzionale sul cumulo dei redditi e la spinta dell’individualismo contributivo, nonostante le positive esperienze di altri ordinamenti in tema di quoziente familiare

Nella legislazione d’inizio del secolo scorso, dunque, con un termine antico e antiquato – il focolare – ci si riferiva a un indice economico sintomatico di una certa unità e di una certa ricchezza, il quale “poteva essere preso in considerazione per la finalità impositiva” (21).
Nella legislazione più recente, invece, dopo la nota sentenza della Corte Costituzionale sul cumulo dei redditi (22), la spinta dell’individualismo contributivo ha determinato il processo inverso: ciò, vale la pena notarlo, nonostante le successive sollecitazioni della stessa Corte (23) al superamento del meccanismo della tassazione separata per i coniugi, foriero di un maggior onere impositivo sulle famiglie monoreddito rispetto a quello gravante, a parità di reddito complessivo, sulle famiglie plurireddito, e produttivo di discriminazioni (24) a danno delle famiglie molto numerose (25).
Proprio sulla scia di tale giurisprudenza della Corte Costituzionale (26) sono state emanate successivamente alcune leggi delega – mai seguite dai relativi decreti delegati – che hanno cercato di proporre disegni riformatori che rivalutassero l’unitarietà della famiglia, almeno per la determinazione dell’imposta, con l’introduzione tra l’altro del c.d. quoziente familiare (pensiamo, ad esempio, alla legge 29 dicembre 1990, n. 408, che delegò al Governo la “revisione del trattamento dei redditi della famiglia con i seguenti criteri: mantenimento del sistema di tassazione separata con facoltà per il contribuente di optare per la tassazione congiunta con l’introduzione del quoziente familiare ai fini della attenuazione della progressività”).
Sicuramente il sistema del quoziente (27) merita considerazione, perché, qualora fosse adottato in futuro, e il tema si è posto nei lavori dell’Osservatorio sulla Famiglia, potrebbe non andare indenne da critiche in punto di legittimità.
Al di là dei temi legati al gettito, e quindi al di là del fatto che deprimerebbe assai, almeno nell’immediatezza, le entrate pubbliche – ma questo non dovrebbe essere un tema inerente rispetto alla bontà e all’utilità o meno dello strumento – e al di là dell’ulteriore critica per cui esso favorirebbe, in termini generali e astratti, le famiglie per così dire più agiate, il quoziente è ritenuto comportare, a stretto rigore, l’alterazione del principio di personalità della tassazione.
Infatti la redistribuzione del reddito complessivo tra i familiari, in ragione dell’applicazione del divisore – il quoziente, appunto – su quel reddito, finisce per attribuire a un soggetto una porzione di ricchezza (tassabile) da lui non prodotta e non posseduta (28).
Tuttavia, questa eventuale distorsione del principio di cui all’art. 53 Cost. può trovare ragione in altri principi costituzionali e, in specie, in quelli fissati negli artt. 31 e, per le famiglie cosiddette di fatto, 2 Cost., almeno stando a quella sentenza della Corte Costituzionale che incardina le unioni diverse da quelle matrimoniali proprio in questa disposizione (29).
Tale eventuale distorsione la si potrebbe giustificare in ragione del concorso di interessi costituzionali equiordinati, radicati sul principio agevolativo e su quello solidaristico: aventi una forza, dunque, in grado di bilanciare quell’effetto distorsivo. Effetto che, in concreto, si potrebbe comunque contenere – riprendendo scelte già consacrate, ad esempio nella legislazione francese – ponendo un limite massimo al reddito “trasferibile” agli altri membri della famiglia collegato al risparmio massimo d’imposta usufruibile dal singolo, originario titolare.

5. No tax area, negative income tax e Fattore Famiglia

Al di là del più volte richiamato sistema del quoziente familiare, e di un sistema, lo splitting (30), in parte analogo, ma forse più grezzo, altri strumenti possono essere verificati per superare l’attuale disciplina – e anche a questo proposito i lavori dell’Osservatorio hanno preso in esame varie ipotesi.
Veniamo così al più volte menzionato Fattore Famiglia, che dà luogo (in estrema sintesi) ad una sorta di No Tax Area, coniugato ai benefici della c.d. imposta negativa (negative income tax), elaborata, tra gli altri, da Milton Friedman (31) e ripresa in Italia, anche sul versante tributario, da attenti studiosi (32).
Ora, l’imposta negativa è uno strumento di politica fiscale, e volendo semplificare al massimo corrisponde a un’imposta personale che, se applicata al di sotto di una determinata soglia di reddito (c.d. minimo vitale), si trasforma o, per meglio dire, “lascia il posto” a un sussidio parametrato alla differenza tra il reddito minimo (o minimo imponibile) e il reddito familiare, ma in ogni caso inferiore al primo, in modo da disincentivare comportamenti improduttivi dei singoli familiari.
In parziale adattamento di tale modello, l’Osservatorio ha fatto propria la proposta del Forum delle Associazioni familiari riguardo al meccanismo c.d. del Fattore Famiglia (33), che nasce dall’esigenza di introdurre un nuovo modello impositivo che tenga conto della capacità contributiva manifestata dalla famiglia (ex art. 53 Cost.), se così vogliamo intenderla, intesa come entità diversa da quella risultante dalla sommatoria delle capacità contributive proprie dei singoli membri del nucleo familiare.
Per fare ciò è necessario stabilire sopra quale limite di reddito sia ammissibile immaginare che inizi il dovere di pagare le imposte.
Individuato il livello minimo di reddito non tassabile per una persona, questo viene moltiplicato per un fattore proporzionale al carico familiare: coniuge e figli a carico in aggiunta a situazioni che contribuiscono ad appesantirne l’economia familiare (quali disabilità, non autosufficienza, monogenitorialità, vedovanza, etc.).
In tal modo si ottiene il livello minimo di reddito non tassabile della persona, tenendo conto del suo carico familiare.
Il metro della ricchezza familiare, posto alla base di questo sistema, potrebbe così fare riemergere (a fini tributari) l’unitarietà economica del nucleo, già alla base della vecchia imposta di famiglia, e potrebbe consentire di elevare quel tipo di unitarietà a parametro di determinazione della minore capacità contributiva del singolo (34).
Insomma, sembra possibile osservare che, seppure in una prospettiva rovesciata rispetto a quella seguita per spiegare e misurare la capacità contributiva, e rovesciata anche rispetto ai meccanismi tradizionali d’imposizione e di valutazione della progressività, la riforma dell’IRPEF con l’individuazione di una “No tax area mobile” potrebbe realmente conseguire gli obiettivi redistributivo e solidaristico delle norme costituzionali.
E, ancora prima, tale sistema potrebbe riportare, in termini davvero nuovi, la famiglia al centro del sistema impositivo e consentire di perseguire scopi non soltanto di sostegno alle famiglie a basso reddito o con figli a carico ma anche di incentivo mirato a favore di categorie più disagiate (per esempio, a favore di donne con figli a carico, giovani, diversamente abili, etc.).

6. Conclusioni e prospettive de jure condendo

Non sfuggono certo a chi scrive le problematiche connesse al finanziamento della spesa necessaria a questo fine, sia che la si intenda sostenere con l’innalzamento delle aliquote marginali dell’IRPEF sui redditi più elevati, sia che si voglia seguire la strada della rimodulazione dei tributi indiretti, o ancora quella della riduzione della spesa corrente.
E neppure sfuggono le questioni di ordine amministrativo, di gestione e controllo del nuovo, complesso sistema, nel quale si potrebbero annidare eventualmente comportamenti opachi.
Si deve però ritenere che queste argomentazioni, pure serie e assai meritevoli di attenzione, non siano determinanti per rinunciare al progetto.
Piuttosto occorre avere chiaro che interventi di tal fatta, per essere realmente efficaci e determinare nel profondo un cambio di rotta, non possono che andare a braccetto con un ripensamento più ampio del sistema fiscale e, parallelamente, di quello assistenziale, ed essere all’unisono con robuste riforme di sistema.
In caso diverso, il rischio è che eventuali interventi di riforma si trasformino in volani dispersivi di risorse, come purtroppo talvolta è accaduto negli scorsi decenni.
In conclusione, la scelta di seguire il modello del Fattore famiglia, che pare essere emersa quale ipotesi più realistica nell’ambito dei lavori dell’Osservatorio sulla Famiglia – e quindi la scelta della connessa imposta negativa – lungi dall’essere una novità assoluta, costituirebbe una sorta di “ritorno all’antico”, sebbene su un percorso aggiornato e rivisto, con una nuova attenzione alla realtà sociale ed economica, alla luce degli ulteriori e diversi scenari offerti dagli istituti del moderno diritto positivo.
Sarebbe soprattutto un tentativo di dare attuazione, finalmente, a dei principi costituzionali sino ad ora tenuti in poca, se non nulla, considerazione da parte del legislatore tributario (35).

Prof. Marco Allena
Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza

(1) La Conferenza si è tenuta il 28 e 29 settembre 2017 a Roma, presso la Sala della Protomoteca in Campidoglio, ed è stata organizzata dal Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il supporto dell’Osservatorio Nazionale sulla famiglia.
(2) Così, in maniera cristallina, l’art. 29 Cost. Su questo aspetto rinviamo, per considerazioni anche di tipo sistematico, a M. MICCINESI, Famiglia e fiscalità: nel quadro dei principi costituzionali e comunitari, in corso di pubblicazione su Jus – Rivista di Scienze Giuridiche, Vita e Pensiero.
(3) Vedi ancora, per questi aspetti, M. MICCINESI, op. cit. Per ulteriori approfondimenti legati al diritto costituzionale, ci limitiamo a rinviare, nella manualistica e senza ovviamente alcuna pretesa di completezza, a T. MARTINES, Diritto costituzionale, Milano, 2009, 725; nonché a G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale, Padova, 2013, 356.
(4) Per maggiori approfondimenti cfr. AA.VV., La famiglia fiscale, rinvenibile nel sito del MEF al seguente indirizzo: http://www.finanze.it/export/sites/finanze/it/.content/Documenti/statistiche/La_Famiglia_fiscale_anno_imposta_2007.pdf.
(5) Art. 4 del D.P.R. n. 223/1989.
(6) In particolare dall’art. 12 del TUIR.
(7) Cfr. E. DE MITA, La definizione giuridica dell’imposta di famiglia, Napoli, 1965, 174; e A. FANTOZZI, La solidarietà nel diritto tributario, Torino, 1968, 313.
(8) Cfr. A. GIOVANNINI, Famiglia e capacità contributiva, in Riv. dir. trib., 2013, III, 221 ss.
(9) Cfr. A. GIOVANNINI, Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, 153 ss.
(10) Questa osservazione è comune a tutti gli studi più recenti. Cfr., per ampi riferimenti, G. SALVETTI, Famiglia nel diritto tributario, in Digesto, sez. comm., V, 1990, 476 ss.; ID., Famiglia (dir. trib.), in S. CASSESE (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, III, Milano, 2006, 2437; P. FILIPPI, Famiglia: diritto tributario, in Enc. giur., XVI, Roma, 1989, 1 ss.; e M.V. CERNIGLIARO, Famiglia nel diritto tributario, in Digesto, sez. comm., Aggiornamento, III, Torino, 2007, 385 ss.
(11) Ved. sul punto, in particolare, A. GIOVANNINI, Famiglia e capacità contributiva, cit., 224 ss.
(12) Il focatico è una misura ancor più antica, in realtà risalente, probabilmente, al medioevo. Ha avuto connotazioni alterne: talvolta configurato come un’imposta diretta sulla ricchezza; altre volte assimilato ad un corrispettivo, in ragione del sale che gratuitamente il sovrano distribuiva a fronte di quel pagamento; altre volte, ancora, come gabella. Cfr. ampiamente R. CRESPOLANI, Focatico, in Enc. giur. it., VI, Milano, 1903, 820 ss.
(13) Art. 112 del T.U. della finanza locale.
(14) Art. 113 del T.U. della finanza locale.
(15) Art. 117 del T.U. della finanza locale.
(16) Ved. A. GIOVANNINI, Famiglia e capacità contributiva, cit., 226 ss.; per ulteriori e diffuse considerazioni cfr. A. TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, Torino, 2012, 22 ss.
(17) Cons. Stato, ad. plen., 3 ottobre 1967, n. 1063, in Cons. Stato, 1969, I, 2615.
(18) Cfr. G. PROVINI, L’imposta di famiglia, Milano, 1965, 22.
(19) Ved. ancora A. GIOVANNINI, Famiglia e capacità contributiva, cit., 227.
(20) Per maggiori approfondimenti sul tema, si veda ancora A. GIOVANNINI, Famiglia e capacità contributiva, cit., 227.
(21) Così ancora A. GIOVANNINI, Famiglia e capacità contributiva, cit., 226.
(22) Cfr. Corte Cost. 15 luglio 1976, n. 179, in Boll. Trib., 1976, 1160, con cui la Corte, dopo aver dichiarato l’incostituzionalità del sistema del cumulo, «esprime l’auspicio che sulla base delle dichiarazioni dei propri redditi fatte dai coniugi, ed in un sistema ordinato sulla tassazione separata dei rispettivi redditi complessivi, possa essere data ai coniugi la facoltà di optare per un differente sistema di tassazione (espresso in un solo senso o articolato in più modi) che agevoli la formazione e lo sviluppo della famiglia e consideri la posizione della donna casalinga e lavoratrice. L’adempimento del proprio dovere fiscale rimanga così, per il singolo coniuge un atto dovuto ma nel contempo sia il logico e conclusivo risultato di una scelta che giustifichi in chi la compie, il convincimento che anche nella specifica materia qui considerata, la libertà del singolo e l’eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge possono coesistere e concorrere per la migliore e maggiore tutela degli interessi emergenti nella società». Per alcuni commenti a tale sentenza, di carattere sia storico sia sistematico, vedi E. DE MITA, La sentenza della Corte Costituzionale sul cumulo fiscale, in E. DE MITA (a cura di), Politica e diritto dei tributi in Italia, 2000, 35. Ved. anche F. GALLO, Regime fiscale della famiglia e principio di capacità contributiva (in margine ad una recente sentenza della Corte costituzionale), in Riv. dir. fin. sc. fin., 1977, I, 95, il quale sostiene che l’obbligazione d’imposta del contribuente avrebbe potuto essere determinata «avendo di mira il suo solo reddito o il reddito congiunto suo e di altro soggetto passivo: l’importante è che in quest’ultimo caso il maggior onere fiscale, proveniente ai due soggetti dal cumulo dei loro rispettivi redditi, sia giustificato dall’esistenza di un’entità – nella specie la famiglia – che, quale unità economica e di interessi derivante dalla convivenza, sia obiettivamente espressiva di maggiore capacità contributiva».
(23) Cfr. Corte Cost. 24 marzo 1983, n. 76 (in Boll. Trib., 1983, 948), che sostiene come spetti «allo stesso legislatore di apprestare rimedio alle sperequazioni, che da tale sistema, rigidamente applicato, potrebbero derivare in danno della famiglia nella quale uno solo dei coniugi possegga reddito tassabile, rispetto a quella in cui ambedue i coniugi posseggano reddito, pari nel complessivo ammontare a quello della famiglia monoreddito, ma soggetto a tassazione separata, con aliquote più lievi, per le due componenti. La innegabile esigenza di correggere tali effetti distorsivi, nella prospettiva di quel favor familiae cui s’informa l’art. 31 della Costituzione, può, invero, venire appagata sia con oculata scelta di un sistema alternativo, suscettibile di essere affiancato in via opzionale al sistema della tassazione separata, sia anche all’interno di quest’ultimo, ristrutturando gli oneri deducibili e le detrazioni soggettive dall’imposta per meglio adeguarli all’esigenza medesima»; cfr. anche Corte Cost. 24 luglio 1995, n. 358, ivi, 1995, 1366.
(24) C’è chi sostiene che più che parlare di discriminazione a danno delle famiglie monoreddito si debba parlare di una tassazione agevolativa di quelle plurireddito: così A. TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, cit., 139 ss. Tra gli altri, parla di “evidenti svantaggi rilevanti anche agli effetti del giudizio di costituzionalità ex art. 53 Cost.” determinati dalla tassazione separata, F. GALLO, Regime fiscale della famiglia e principio di capacità contributiva, cit., 99.
(25) Così F. GALLO, Regime fiscale della famiglia e principio di capacità contributiva, cit., 99 ss; c. PINO, Il ruolo del “nucleo familiare” nel rinnovato accertamento sintetico e redditometro, in A. COTRINO (a cura di), Il nuovo redditometro, 2014, 137; tale aspetto è evidenziato anche da L. TOSI, Considerazioni sul regime fiscale della famiglia: discriminazione ai danni delle famiglie monoreddito, prospettive di riforma e problematiche di ordine costituzionale, in Rass. trib., 1988, I, 346.
(26) Per maggiori approfondimenti sull’evoluzione della giurisprudenza costituzionale e posizione della dottrina italiana si veda C. SACCHETTO, La tassazione della famiglia: il modello italiano, in C. SACCHETTO (a cura di), La tassazione della famiglia: aspetti nazionali e comparati, Catanzaro, 2010, 73 ss.
(27) Per quoziente familiare deve intendersi un meccanismo in cui vengono cumulati i redditi familiari, vengono sottratte dal cumulo le spese per la produzione del reddito, viene suddiviso il totale netto così ottenuto per un divisore risultante dalla sommatoria dei coefficienti attribuiti a ciascun membro della famiglia valorizzato ai fini del cumulo (viene generalmente attribuito il coefficiente 1 a ciascun genitore e un coefficiente inferiore a 1 a ciascuno dei figli, se del caso aumentando il coefficiente per i figli successivi al secondo o al terzo) e ciascuna delle quote così ottenute viene tassata separatamente (applicando sul quoziente così ottenuto le relative aliquote e moltiplicando l’ammontare così ottenuto per il numero che precedentemente ha rappresentato il divisore), con successivo scomputo di eventuali detrazioni e crediti d’imposta (per alcune esemplificazioni di possibili declinazioni dei meccanismi di quoziente familiare cfr. A. TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, II, cit., 486 e 494).
(28) Cfr. L. TOSI, Considerazioni sul regime fiscale della famiglia: discriminazioni ai danni delle famiglie monoreddito, prospettive di riforma e problematiche di ordine costituzionale, in Rass. trib., 1988, I, 337 ss., specie 365.
(29) Cfr. Corte Cost. 14 aprile 2010, n. 138, in Giur. cost., 2010, 1604; in dottrina cfr. v. SCALISI, “Famiglia” e “famiglie” in Europa, in Riv. dir. civ., 2013, 6 ss.
(30) Lo splitting si distingue dal metodo del quoziente, risultando più semplificato dal momento in cui vengono valorizzati ai fini del cumulo soltanto i coniugi e, quindi, il divisore del reddito netto complessivo è sempre pari a due: sul punto cfr. altresì A. TURCHI, La famiglia nell’ordinamento tributario, II, cit., 452-472 (specie 452-454).
(31) Come ricordano gli economisti, il concetto di imposta negativa sul reddito (NIT appunto) è menzionato per la prima volta da Cournot (1838), elaborato in dettaglio in forma di dividendo sociale da Lady Rhys-Williams (1943-1953), successivamente formalizzato nel concetto di NIT tradizionale da Milton Friedman (1962) e infine sviluppato in modo significativo soprattutto da Lampman (1965), Tobin (1965) e Tobin, Pechman e Mieszkowski (1967). Cfr. M. FRIEDMAN, Capitalism and freedom, Chicago, 1962, trad. it. Capitalismo e libertà, prefazione di A. MARTINO, Torino, 2010.
(32) Cfr. F. GALLO, Diseguaglianze, giustizia distributiva e principio di progressività, in Rass. trib., 2012, 287 ss., specie 295 ss.; D. TONDANI, Dividendo sociale e imposta negativa: due diversi modi di interpretare la redistribuzione, in Econ. pub., 2008, 1 ss. La teoria è stata “tradotta” in proposta concreta da V. VISCO, Il dividendo sociale, una imposta negativa per rinnovare il welfare e sostenere i redditi delle famiglie, in Comunicati MEF, 2000.
(33) Cfr. FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI, Il “Fattore famiglia”: proposta di riforma (23 settembre 2010), in Iustitia, vol. 63, fasc. 4, Milano, 2010.
(34) La necessità di interpretare il principio di capacità contributiva alla luce del disegno personalistico della Costituzione repubblicana è stata magistralmente posta in evidenza da F. MOSCHETTI, Il principio di capacità contributiva, espressione di un sistema di valori che informa il rapporto tra singolo e comunità, in L. PERRONE – C. BERLIRI (a cura di), Diritto tributario e Corte Costituzionale, Napoli 2006, 39 ss. L’Autore sottolinea come il fondamento personalistico delinei l’identità basilare dell’ordinamento italiano e venga a costituire il vero nucleo di quello che J. HABERMAS, La rivoluzione in corso, Milano 1990, 147, definirebbe “patriottismo costituzionale”.
(35) Così diffusamente M. MICCINESI, op. cit.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *