16 Maggio, 2016

FATTISPECIE E DISCIPLINA DEI COMMERCIAL PAPER

SOMMARIO: 1. Il senso dell’indagine – 2. Funzione operativa e struttura civilistica della “polizza” 3. Imposizione reddituale: a) il provento conseguito dal primo prenditore e il relativo regime di prelievo alla fonte 4. (Segue): b) la plusvalenza da cessione – 5. Imposte indirette: a) bollo – 6. (Segue): b) IVA – 7. (Segue): c) registro.

A un quarto di secolo dalla comparsa in Italia (1), i commercial paper meritano rivisitazione giuridico-tributaria. Il problema è in primo luogo di diritto cartolare rispetto a: (i) cambiali finanziarie, dette anche commercial paper all’italiana, e “carta commerciale” del TUF post MIFID; (ii) cambiali finanziarie dematerializzate exdecreto sviluppo”; (iii) titoli atipici. Su quest’architrave si costruisce la determinazione tributaristica della ricchezza (imposte dirette e ritenute alla fonte, tributi indiretti); donde nuovi confronti con la sfera “cambiaria” e con quella dei “certificati”, e l’emersione di questioni ermeneutiche ulteriori.

1. Il senso dell’indagine

1.1. Non che la chiarezza regni sovrana sull’identità dei commercial paper in Italia. A volte li si assimila corrivamente alle cambiali finanziarie (2). Così la base giuridico-fiscale starebbe nella legge 13 gennaio 1994, n. 43 (disciplina cambiali finanziarie), modificata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (“decreto sviluppo”), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. Ma ciò trascura che (3) le nostre polizze di credito commerciale sono bensì progenitrici delle cambiali finanziarie, ma non coincidono con queste. Ancora il commercial paper è altrove avvicinato alla cambiale finanziaria dematerializzata, di cui all’art. 32, comma 76, del “decreto sviluppo” citato (4). Qui è palese l’obiezione logica per cui nel più sta il meno: le cambiali finanziarie dematerializzate sono pur sempre cambiali finanziarie; e se il commercial paper non è cambiale finanziaria, non lo può essere neppure in forma dematerializzata.

1.2. Sul piano normativo si tende ancora a trascurare che la “carta commercialeè nominata fra gli “strumenti del mercato monetario” – quali sottotipi degli “strumenti finanziari” –, dall’art. 1, comma 1-ter), del D.Lgs. 24 febbraio 1988, n. 58 (TUF), come vigente a seguito dell’attuazione della direttiva MIFID (5). In tale contesto si parla in dottrina di uno strumento a breve termine, a bassa rischiosità, normalmente negoziato nel mercato monetario; e si aggiunge che si tratta di “titolo di debito(6). Quest’ultima notazione non deve fare incappare nell’errore di lettura (della lettura) di pensare che dire titolo di debito equivalga a dire titolo di credito, con la sola mutazione dell’angolo prospettico soggettivo. Infatti il sintagma “titolo di debito” può – e non già deve – assurgere a sinonimo del suo apparente contrario (”titolo di credito”, appunto), come è stato espresso a proposito dell’art. 2483 c.c. (titoli di debito emettibili dalle s.r.l. post riforma 2003) (7).

La questione attiene piuttosto al sostantivo “titoli”, poiché può ben ritenersi che questo importi di per sé il carattere della emissione in massa (8) o in serie (9) – il che non si attaglia alla polizza di credito commerciale (infra passim). Al riguardo, proprio con riferimento all’art. 1, comma 1-ter), del TUF, la “normale negoziazione al mercato monetario” ivi contemplata – specie nella sua effettività e non mera attitudine (10) – sembra importare il requisito di serialità-massificazione in parola; tanto è vero che, proprio nel contesto del TUF, per “carta commerciale” si è intesa la cambiale finanziaria e non la polizza di credito commerciale (11) – donde ancora il problema di non confondere l’una con l’altra (12). Insomma il dato normativo del TUF lascia irrisolta la questione cartolare del commercial paper: anche perché la disciplina dei titoli di credito si colloca su di un altro piano (c.c. e legge cambiaria); e il TUF appare alieno, se si dà una certa lettura della locuzione “carta commerciale”, alla “polizza” di cui si tratta.

1.3. Sulla scorta del panorama riassunto – anglismi incrociati, anfibolie di altro tipo, classificazioni normative non immediatamente risolutrici –, struttura e funzione del mercato esigono maggiore nitore, anche per i risvolti fiscali di uno strumento pur reputato “elitario” quale quello in oggetto. Ne nasce l’esigenza di un’indagine rinnovata rispetto a quella condotta funditus anni fa (13) – lavorando sempre su fattispecie e disciplina (i due anelli della catena).

2. Funzione operativa e struttura civilistica della “polizza”

2.1. Il commercial paper (o polizza di credito commerciale) è un metodo di finanziamento d’impresa a breve termine, consolidato nella prassi finanziaria del nostro Paese. Sul congegno operativo basti ricordare che si tratta di una lettera in cui l’emittente riconosce un suo debito nei confronti del creditore, il quale può essere un’impresa o una persona fisica. Nella lettera sono indicati l’importo e la scadenza del debito (a pochi mesi di distanza dalla data di emissione) e la banca incaricata di effettuare il pagamento. Il commercial paper è, per l’impresa emittente, alternativo al mutuo bancario e si distingue anche dal prestito obbligazionario per la breve durata di quello. Allo strumento ricorrono per la sovvenzione imprese con elevato standing creditizio, anche perché il “paper” è di regola assistito da fideiussione bancaria. Sulla lettera-polizza è apposta una clausola con cui il debitore principale rinuncia a opporre, nei confronti dei legittimi cessionari del credito, le eccezioni non espressamente previste nella lettera stessa. Anche la banca garante rinuncia a opporre eccezioni. La circolazione del credito avviene con la consegna della lettera-polizza, cui si aggiungono le regole sulla cessione dei crediti (spec. “notifica” al debitore ceduto ex art. 1264 c.c.) (14).

Ciò premesso in prassi operazionale, sul coté del diritto non è revocabile in dubbio che la dichiarazione di debito della polizza è riconducibile all’art. 1988 c.c. (“promessa di pagamento e ricognizione di debito”). Con la conseguenza che il destinatario della ricognizione-promessa è dispensato dall’obbligo di provare il rapporto sottostante, l’esistenza del quale si presume fino a prova contraria (15).

2.2. Ma anche ciò non basta a sciogliere il nodo cartolare, perché su autonomia e letteralità, incorporazione e circolazione, bisogna porre l’attenzione (16). Si ribadisce così che, nel testo della “polizza”, vi è la rinuncia espressa del dichiarante a tutte le eccezioni non risultanti dal “paper”. E si aggiungono gli eventuali cessionari del commercial paper, rispetto ai quali paiono valere ancora sia la ricognizione o promessa sia la rinuncia espressa – sempre che, quanto meno, la cessione sia avvenuta secondo le regole della circolazione creditoria. Sulla circolazione è del resto palese che i commercial paper non si trasferiscono mediante girata; anche se quest’ultima affermazione, ove di per se stessa bastasse a escludere la natura cartolare dello strumento, farebbe sì che il problema del titolo o non titolo del commercial paper non si porrebbe neppure, il che sarebbe troppo semplicistico (17).

Su queste basi avevo a suo tempo concluso nel senso del commercial paper come titolo improprio (18). L’assunto è stato poi condiviso (19). Qualcuno predilige il riferimento ai documenti di legittimazione, pure menzionati nella norma escludente (dalla disciplina dei titoli di credito) di cui all’art. 2002 c.c. (20). Vi è anche chi, mettendo da parte le categorie di titoli impropri e documenti di legittimazione, preferisce ragionare in termini di molteplicità di schemi negoziali diversi, senza creazione ed emissione di un solo documento (21). In tutte queste letture, comunque, le polizze di credito commerciale sono documenti che non incorporano un credito (come invece ex lege le cambiali finanziarie o commercial paper all’italiana) (22).

3. Imposizione reddituale: a) il provento conseguito dal primo prenditore e il relativo regime di prelievo alla fonte

3.1. Il su esposto inquadramento privatistico non è sterile, perché la disciplina pubblicistico-fiscale ne risente in toto. È questa una disciplina che non può essere né quella delle cambiali finanziarie né quella dei titoli atipici (23). E ciò – si badi bene – non per una questione di etichetta definitoria, ma proprio perché, non essendo il commercial paper un titolo di credito, tutta la normativa fiscale della legge del ’94 sulle cambiali finanziarie non gli pertiene; e per altro verso, se un titolo di credito non c’è, non c’è nemmeno un titolo di credito atipico (ché di nuovo il meno sta nel più (24), e allora le norme tributarie sugli “atipici” non pertengono a loro volta.

Iniziamo dunque col vedere l’imposizione sui redditi del primo prenditore o sovventore originario. Il rapporto sottostante è di mutuo: per cui la differenza tra capitale dato in prestito e somma percepita alla scadenza costituisce reddito di capitale, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. a), del TUIR (25). Se il percettore è persona fisica non imprenditore, all’atto del pagamento si applica una ritenuta alla fonte a titolo di acconto, con aliquota del 26 per cento, in ragione dell’art. 26, comma 5, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

Tre precisazioni si rendono necessarie al riguardo. La prima è che, se il percettore è un imprenditore commerciale (individuale o collettivo), non si applicano ritenute, e il provento di cui sopra entra a far parte del coacervo del reddito d’impresa. La seconda è che non è applicabile, al pagamento in questione, alcuna imposta sostitutiva. La terza precisazione, infine, è che se il percettore è un soggetto non residente, la ritenuta del 26 per cento è applicata a titolo d’imposta anziché d’acconto (sempre ai sensi dell’art. 26, comma 5, del D.P.R. n. 600/1973).

3.2. Sul piano pratico il descritto regime fiscale della “polizza” non è agevole – proprio in ragione del prelievo alla fonte non definitivo. Un titolo atipico, per parte sua, rientra in quello che la norma fiscale denomina “certificato”, e dunque nella lett. b) del comma 1 dell’art. 44 del TUIR – certo a condizione della “massificazione” del titolo stesso (per aversi “similaritàalle azioni). Per esso, sul versante del prelievo alla fonte, l’art. 5, comma 5, del D.L. 30 settembre 1983, n. 512 (convertito, con modificazioni, dalla legge 25 novembre 1983, n. 649), prevede bensì una ritenuta del 26 per cento (26), ma – se il percettore è persona fisica non imprenditore, o rectius un c.d.nettista” (anziché “lordista”) – a titolo d’imposta e non già d’acconto.

4. (Segue): b) la plusvalenza da cessione

4.1. Se dalla cessione della polizza di credito commerciale, nel corso della sua durata, deriva una plusvalenza (differenza tra l’importo percepito e quello pagato per l’acquisto), si applica l’art. 67, comma 1, lett. c-quinquies), del TUIR, che dichiara imponibili, quali redditi diversi, le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari (credito del mutuante “sottostante”, che poi a rigore sottostante non è, perché – come visto – esso non s’incorpora in alcun titolo neppure atipico) (27).

Questa è la soluzione adottata in prevalenza, poiché il reddito da cessione del commercial paper non può essere ricondotto alla lett. c-ter) dell’art. 67 del TUIR quale reddito diverso – ivi facendosi menzione dei “certificati di massa”, mentre la polizza, come visto, non è tale (non è “certificato”, cioè titolo se pure atipico anzitutto, e non è nemmeno di massa) (28).

La tesi contraria – assertiva della sussunzione del commercial paper nella lett. c-ter) dell’art. 67 del TUIR – è foriera del diverso regime dei redditi diversi rispetto ai redditi di capitale. Si pensi alla tassazione al netto anziché al lordo delle spese di produzione. Ma è una tesi non contestabile quand’anche si adotti l’assunto estremo, secondo cui il carattere “di massa” [di cui appunto all’art. 65, lett. c-ter)] significhi non già circolazione effettiva presso una moltitudine d’investitori, bensì mera attitudine a una siffatta circolazione (29). Infatti, per definizione il commercial paper non è emesso in serie, e circola a mezzo della “notifica” al debitore ceduto (30); sicché non integra gli estremi di un “certificato” idoneo alla circolazione presso il pubblico, come invece accade a un titolo atipico trasferibile mediante girata.

Per le imprese commerciali, ovviamente, la cessione del credito s’inserisce nel coacervo del conto economico.

4.2. Nessuna ritenuta né imposta sostitutiva è prevista, in ogni caso, in capo ad alcun soggetto per il provento in parola. Ciò vale, naturalmente, in tanto in quanto si rimanga fermi sulla tesi per cui il commercial paper non è riconducibile ai “certificati” di cui all’art. 67, comma 1, lett. c-ter), del TUIR (31) – tesi che, visti i caratteri distintivi della “polizza” in senso stretto, risulta essere quella corretta.

Per gli “atipici”, invece, la disciplina si coagula intorno alla lettera degli artt. 44, comma 1, lett. b), del TUIR (“interessi e altri proventi”), e 5 del D.L. n. 512/1983 (“proventi di ogni genere”). Ivi si tratta di stabilire quale sia la base imponibile del reddito di capitale all’interno del provento totale da cessione, su cui applicare la ritenuta a titolo d’imposta del citato art. 5. Non sembra infatti congruo, nonostante il tenore della norma, applicare il prelievo alla fonte sul componente di reddito diverso (anziché di capitale), insito nel provento di cui si parla (32).

Su questo specifico punto (provento da cessione in circolazione della “polizza”), a differenza di quello precedente (emissione del commercial paper stesso), la disciplina del “paper” risulta più lineare rispetto a quella degli “atipici”.

5. Imposte indirette: a) bollo

5.1. La norma sull’imposta di bollo dedicata alla cambiale finanziaria, cioè l’art. 6, n. 4, della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642 (con imposta all’origine proporzionale dello 0,1 per mille uguale a quella per le cambiali), non è applicabile alla polizza di credito commerciale (33) – viceversa incorrendosi ancora in una confusione di fattispecie e discipline.

Viene poi in considerazione la menzionata norma del “decreto sviluppo”, cioè l’art. 32, comma 76, del D.L. n. 83/2012. Tale disposizione inserisce un nuovo art. 1-bis nella citata legge n. 43/1994 (disciplina delle cambiali finanziarie), per cui le cambiali finanziarie stesse – sempre come titoli di serie – se emesse in forma dematerializzata sono esenti da imposta di bollo. La ratio è quella di stimolare le P.M.I. con questa forma peculiare di cambiali finanziarie. È chiaro che, a tale innovazione civilistico-fiscale, restano estranee le polizze di credito commerciale (34). Ancora una volta, diversamente opinando, si confonderebbe il commercial paper con la cambiale finanziaria emessa “cartolarmente” in serie ex lege; e se ne farebbe discendere un’esenzione tributaria inconferente con il “paper”, di per sé privo del tratto di serialità e circolazione cartolare.

5.2. Fatte le doverose distinzioni di cui sopra (su cui purtroppo in pubblicistica non sempre vi è chiarezza), per il commercial paper il regime del bollo è quello di una promessa di pagamento o ricognizione di debito. Il che vuol dire che viene in considerazione l’art. 2 della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 642/1972, insieme all’art. 24 della Tariffa, parte II, dello stesso decreto. Ne consegue che l’attestazione del debito redatta in forma di corrispondenza (scambio di lettere) è soggetta a imposta di bollo soltanto in caso d’uso (35).

5.3. Proprio su questo punto si gioca operativamente la praticabilità-modernità del commercial paper; tanto è vero che, già un quarto di secolo fa, de iure condendo s’ipotizzava l’introduzione di una norma ad hoc che assoggettasse le “polizze” a imposta di bollo proporzionale: dal che sarebbe sortita l’eutanasia del titolo improprio in parola (36). Se non che ciò poi non accadde per i “paper”, bensì per le cambiali finanziarie, proprio ex art. 2 della legge n. 43/1994, allorché s’interpolarono dette cambiali nell’art. 6, n. 4, di cui sopra al par. 5.1. Da lì nacque successivamente l’opportunità di esentarle, con regime fiscale di favore, se e in quanto dematerializzate (ibidem). Ma, appunto, a questa sequela normativa in materia di bollo proporzionale è sempre rimasto estraneo il commercial paper in senso stretto (non seriale-cartolare). Di conseguenza la “polizza” ha conservato la sua originaria praticabilità in quanto soggetta all’imposta di bollo solo in caso d’uso – e peraltro anche in tale ipotesi con imposta fissa (16 euro per foglio), visto l’art. 2 della citata Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 642/1972.

6. (Segue): b) IVA

6.1. Sia l’emissione della polizza sia le sue eventuali cessioni sono estranee all’ambito di applicazione dell’IVA, poiché non costituiscono né cessione di beni né prestazione di servizi (37). L’assunto è condivisibile con facilità per ciò che concerne la creazione del commercial paper, perché una promessa di pagamento, senza corrispettivo specifico, è di per sé fuori dal campo IVA – visti gli artt. 1, 2 e 3 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

Più problematica è la questione delle cessioni successive della polizza. Sono cessioni del credito oppure sconti? Da un’analisi specifica si era concluso che si tratti di cessioni del credito in senso stretto, con la conseguenza che il relativo contratto è anch’esso fuori dal campo di applicazione dell’IVA – il tutto ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 (cessioni che hanno a oggetto denaro o crediti di denaro) (38).

6.2. Gli è che, sul piano testuale, alle cessioni di crediti di cui all’art. 2, comma 3, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, si affiancano le operazioni finanziarie attuate mediante negoziazione di crediti e le cessioni di contratti di ogni tipo e oggetto, di cui all’art. 3 (n. 3 e 5) dello stesso decreto. Ma pensare di ricondurre la cessione del commercial paper a una di queste categorie di prestazioni di servizi sarebbe erroneo, giacché le negoziazioni di crediti quali servizi differiscono dalle cessioni di crediti di cui all’art. 2 in ciò che le seconde, a differenza delle prime, sono poste in essere isolatamente (39), e tale è il caso della “polizza(40). Quanto alle cessioni di contratti, queste vanno tenute distinte dalle cessioni di crediti (41), ed è in queste ultime che la circolazione del “paper” va sussunto, poiché non è il mutuo a essere ceduto nella sua totalità ma solo il credito alla restituzione del capitale in uno col saggio d’interesse (42). Peraltro non è sempre scontato che il cedente la polizza integri gli estremi del presupposto soggettivo dell’IVA; e comunque le cessioni di crediti in operazioni finanziarie non isolate cadono nell’esenzione di cui all’art. 10, n. 1, del D.P.R. n. 633/1972 (43).

7. (Segue): c) registro

7.1. Anche qui, attraverso apposita dimostrazione (44), si perviene alla conclusione che la polizza di credito commerciale, in uno con la fideiussione bancaria giustapposta, è soggetta a imposta di registro solo in caso d’uso – qualora risulti che le rispettive dichiarazioni documentali siano, come di regola accade, redatte in forma di corrispondenza. In buona sostanza l’attestazione del debito rientra nell’art. 3 della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131: con applicazione dell’art. 1 della Tariffa, parte II, sul caso d’uso quando v’è la formazione mediante corrispondenza (45).

7.2. Quanto alla cessione del “paper”, non essendo questo – come sappiamo – un titolo di credito, essa è cessione della posizione soggettiva “sottostante” (credito).

Essa dev’essere così ricondotta all’art. 6 della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986. Ciò non pare revocabile in dubbio: sì che l’imposta è bensì dovuta, ma soltanto (nuovamente) in caso d’uso – qualora la cessione, come di solito avviene, sia redatta in forma di corrispondenza (ved. l’art. 1 della Tariffa, parte II, allegata al decreto poc’anzi menzionato) (46).

Avv. Federico Maria Giuliani

(1) A. Atti, Commercial papers, in Contratto e impresa, 1988, 626 ss.; F.M. Giuliani, Contributo allo studio dei “commercial paper”, in Dir. prat. trib., 1991, I, 625 ss.; F. Ascarelli, Commercial paper, in Digesto disc. priv., sez. comm., Torino, 1998, 158 ss.; V. Troiano, Le polizze di credito commerciale, Bari, 1994; e C. Cacciamani, Le commercial paper: tecniche e mercati, in Banche e banchieri, 1993, 909 ss.

(2) Ved. ad esempio A. Bompani – E. Catelani, Project bond & commercial paper. Obbligazioni garantite, subordinate, partecipative e cambiali finanziarie alla ricerca di investitori qualificati, Milano, 2013, passim.

(3) S. Carlino, La cambiale finanziaria, in G. Laurini, in AA.VV., I titoli di credito, Milano, 2009, 358 ss.

(4) G. Polo, La “nuova” imposta di bollo, Santarcangelo di Romagna, 2014, 173.

(5) A. Niutta, Concetti di base: i prodotti finanziari, gli strumenti finanziari, la negoziazione e l’intermediazione finanziaria, in S. Amorosino – C. Rabitti Bedogni (a cura di), Manuale di diritto dei mercati finanziari, Milano, 2014, 57 s.

(6) E. Righini, Definizioni, in AA.VV., Commentario al TUF, a cura di F. Vella, t. 1, Torino, 2012, 21.

(7) B. Libonati, Diritto commerciale, Milano, 2005, 462; e M. Stella Richter Jr., Le società a responsabilità limitata, in AA.VV., Diritto delle società. Manuale breve, Milano, 2006, 284.

(8) Ved. op. loc. ultt. citt.; e F. Caringella – L. Buffoni, Manuale di diritto civile, Roma, 2013, 1717.

(9) G.F. Campobasso, Diritto commerciale. Diritto delle società, Torino, 2007, 558, e ivi alla nota 13.

(10) E. Righini, op. loc. citt.

(11) F. Del Bene, Strumenti finanziari e regole MIFID, Milano, 2009, 131 s. e ivi nota 56.

(12) Ut supra par. 1.1.

(13) F.M. Giuliani, op. cit.

(14) V. Amendola Provenzano – S. Dedola – P. De Felice, Gli strumenti di investimento finanziario. La disciplina della tassazione dei redditi finanziari, Milano, 2000, 114-124; e F.M. Giuliani, op. cit., par. 1.

(15) Proprio con riferimento ai commercial paper ved. F. Galgano, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2009, 824. Che poi il nostro ultimo punto di cui sopra nel testo (c.d. obbligazione ex promissa) ponga, sul piano logico prima ancora che giuridico-processuale, in capo all’asserito debitore un onere diabolico di provare non già qualcosa che c’è bensì qualcosa che non c’è, e dunque un non essere – dal che l’interrogativo del come si possa dimostrare il nulla -, è difficilmente revocabile in dubbio. E infatti ved. Cass., sez. III, 10 marzo 2006, n. 5245, in Mass. Foro it., 2006, 523, ove si precisa che non si tratta di provare di non avere rapporti debitori tout court, bensì l’insussistenza di un rapporto sottostante specifico alla dichiarazione particolare sottoscritta. Non che in questo modo il divisato problema teorico si dissolva del tutto, perché la contraddizione del dovere dimostrare il vuoto d’essere non è quantitativo ma qualitativo. Piuttosto sembra che i casi in cui il rapporto sottostante non esiste, e dunque l’asserito debitore può di ciò dare prova, coincidano con quelli di una ricognizione contraffatta magari su biancosegno: ipotesi, queste, nelle quali la dichiarazione scritta, a ben vedere, non è una ricognizione debitoria ma mero simulacro di essa.

(16) Su questi concetti, in sintesi, si consulti ad esempio G. Cottino, Diritto commerciale, II, t. 1, Torino, 1992, 262 ss.

(17) Cfr. V. Amendola Provenzano – S. Dedola – P. De Felice, op. cit., 122; e A. Spoto – A. Aliberti, Manuale fiscale 2011. Imposte sui redditi, reddito d’impresa, IRAP, Milano, 2011, 146.

(18) F.M. Giuliani, op. cit., 639.

(19) Ved. V. Amendola Provenzano – S. Dedola – P. De Felice, op. cit., 122; e circ. ABI 24 marzo 1994, n. 68 – Serie tecnica, 2.

(20) C. Porzio, Il mercato della carta commerciale: le recenti esperienze francese, italiana ed inglese a confronto, in AA.VV., L’intermediazione finanziaria in evoluzione, Milano, 1988, 305. In giurisprudenza Trib. Napoli 17 maggio 1994 (decr.), in Banca, borsa, tit. cred., 1995, II, 360.

(21) F. Martorano, Profili cartolari delle cambiali finanziarie, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, I, 132.

(22) Vedi F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2009, 763.

(23) Cfr. F.M. Giuliani, op. cit., 664-667.

(24) Ved. supra, par. 1.1, alla fine.

(25) F.M. Giuliani, op. cit., 668; V. Amendola Provenzano – S. Dedola – P. De Felice, op. loc. ultt. citt.; e A. Spoto – A. Aliberti, op. loc. citt.

(26) Così sull’aliquota circ. 28 marzo 2012, n. 11/E, par. 4.1., in Boll. Trib., 2012, 509; e A. Iorio, Accertamento e riscossione, Milano, 2014, 324.

(27) G. Falsitta – A. Fantozzi – G. Marongiu – F. Moschetti, Commentario breve alle leggi tributarie, Breviaria iuris – Tomo III: TUIR e leggi complementari, a cura di A. Fantozzi, Padova, 2010, 353.

(28) Sul fatto che la polizza di credito commerciale in senso stretto non sia di massa non essendo nemmeno in serie – e nemmeno ab ovo essendo un titolo improprio ovvero “certificato” -, atteso che un titolo non può essere di massa se non è di serie (sebbene possa essere di serie senza essere di massa) -, cfr. ad esempio G. Polo, La “nuova” imposta di bollo, cit., 173. E infatti, nel senso che non siano riconducibili all’art. 67, comma 1, lett. c-ter), del TUIR (facente riferimento ai “certificati di massa”), i certificati non destinati alla circolazione presso il pubblico, ved. L. Abritta – L. Cacciapaglia – V. Carbone – M.R. Gheido, Codice TUIR commentato, Milano, 2013, 943. Contra, nel senso che sia riconducibile a tale norma un “certificato” per la sua mera attitudine alla potenziale circolazione, circ. 2 novembre 1998, n. 165/E, in Boll. Trib., 1998, 1806.

(29) Ved. nota prec., alla fine.

(30) Supra, par. 2.

(31) Supra, par. 4.1.

(32) Cfr. G. Corasaniti, Diritto tributario delle attività finanziarie, Milano, 2012, 372.

(33) Ved. V. Amendola Provenzano – S. Dedola – P. De Felice, op. cit., 116 e 123; e G. Polo, op. cit., 174.

(34) Cfr. G. Polo, op. cit., 173 s.

(35) F.M. Giuliani, op. cit., 650 ss.; e V. Amendola Provenzano – S. Dedola – P. De Felice, op. cit., 123.

(36) Ved. ancora F.M. Giuliani, op. loc. ultt. citt.

(37) Ved. V. Amendola Provenzano – S. Dedola – D. De Felice, op. cit., 123; e F.M. Giuliani, op. cit., 650 ss.

(38) F.M. Giuliani, op. cit., 660 ss.

(39) G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, il sistema delle imposte in Italia, Padova, 2014, 809; e F. Reggi – M. Reggi, IVA 2008, Milano, 2008, 37 s.

(40) Ved. supra par. 2

(41) F. Reggi – M. Reggi, op. cit.

(42) Ancora supra, par. 2.

(43) F. Reggi – M. Reggi, op. loc. ultt. citt.

(44) F.M. Giuliani, op. cit., 654 ss.

(45) Op. loc. ultt. citt.

(46) Ved. V. Amendola Provenzano – S. Dedola – P. De Felice, op. loc. ultt. citt.

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