13 Maggio, 2016

 

La tassazione IRAP – che è un’imposta di carattere reale (cioè che attiene alle cose) e non è un’imposta sul reddito – colpisce la struttura di cui si avvale il lavoratore autonomo, cioè quel complesso dato dalla combinazione di mezzi e di uomini capace di creare, come sottolinea la Corte Costituzionale nella famosa sentenza 21 maggio 2001, n. 156 (1), “valore aggiunto”. In altri termini, la struttura di cui si avvale il contribuente deve possedere l’attitudine a incrementare la capacità produttiva del lavoratore autonomo rispetto a quella che deriverebbe da un’ordinaria attività personale (per tutte le attività esercitate in forma societaria l’autonoma organizzazione è invece presunta ex lege proprio in ragione della cooperazione tra i soci che viene creata per raggiungere scopi normalmente irrealizzabili dal singolo).

In tale ordine di idee – osserva il giudice delle leggi – «in assenza di elementi di organizzazione … risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive, per l’appunto rappresentato, secondo l’art. 2 [del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, n.d.r.], dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa».

Ma quand’è che il professionista si avvale di un’autonoma organizzazione, cioè di una struttura che abbia attitudine a produrre “valore aggiunto”?

A tale domanda è estremamente difficile, se non addirittura impossibile, rispondere: nessuno ha ancora individuato con precisione la linea di confine laddove finisce l’organizzazione non autonoma (che non realizza il presupposto dell’IRAP) e inizia l’organizzazione autonoma (che realizza il presupposto di imposta).

Non rimane quindi che ricorrere a semplificazioni convenzionali di carattere generale.

È quello che ha fatto la Corte di Cassazione che, in numerosissime sentenze, ha ripetutamente affermato il seguente principio: «l’esercizio delle attività di lavoro autonomo è escluso dall’applica­zione dell’imposta sulle attività produttive (IRAP) solo qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organiz­zative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui» (2).

In particolare, per quanto riguarda l’impiego “non occasionale di lavoro altrui”, il criterio adottato si ispira a un’osservazione della Corte Costituzionale che aveva affermato (3) come si potesse «ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui».

L’assenza di “lavoro altrui” nasce proprio da lì.

Ecco quindi che diviene costante il principio secondo cui «in tema di IRAP, il ricorso al lavoro di terzi per la fornitura di tutti i necessari servizi (dalla telefonia al segretariato) in forma rilevante e non occasionale, ma continuativa, integra il presupposto dell’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata, previsto dall’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, non rilevando che la struttura posta a sostegno e potenziamento dell’attività professionale del contribuente sia fornita da personale dipendente o da un terzo in base ad un contratto di fornitura» (4). Si tratta dell’ennesima conferma di precedenti arresti: «il requisito dell’autonoma organizzazione … ricorre quando il contribuente … si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui» (5); alla stessa stregua, solo la «sporadica assistenza da parte di terzi, cioè la occasionalità dell’impiego di lavoro altrui, esclude la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione» (6).

Ormai il lavoratore autonomo che si avvale stabilmente, anche part-time, dell’opera di terzi, a prescindere da cosa facciano in concreto questi terzi (sempre che siano funzionali all’attività professionale: non lo è, ad esempio, la donna delle pulizie), si era rassegnato a pagare l’IRAP. Ma ecco che, verso la fine del 2013, irrompe sulla scena una sentenza della Corte di Cassazione che spariglia le carte. Non è vero che il lavoratore autonomo che si avvale stabilmente di lavoro altrui è sempre soggetto passivo ai fini IRAP: «l’automatica sottoposizione ad IRAP del lavoratore autonomo che disponga di un dipendente, qualsiasi sia la natura del rapporto e qualsiasi siano le mansioni esercitate vanificherebbe l’affermazione di principio desunta dalla lettera della legge e dal testo costituzionale secondo cui il giudice deve accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento potenziatore cd. aggiuntivo ai fini della produzione del reddito tale da escludere che l’IRAP divenga una (probabilmente incostituzionale) tassa sui redditi di lavoro autonomo; vi sono infatti ipotesi in cui la disponibilità di un dipendente (magari part time o con funzioni meramente esecutive) non accresce la capacità produttiva del professionista, non costituisce un fattore “impersonale ed aggiuntivo” alla produttività del contribuente, ma costituisce semplicemente una comodità per lui (e per i suoi clienti)» (7).

I Supremi Giudici si rendono conto che questa valutazione è «difficile, assai più complessa della automatica deduzione dell’imposizione da un fatto accertabile attraverso la denuncia dei redditi e i tabulati INPS»; tuttavia – soggiungono i giudici della Corte di Cassazione – «questa valutazione conduce a razionalità costituzionale (ed economica: i due profili sono strettamente connessi) l’imposizione». E inoltre – sottolinea la Suprema Corte – non penalizza l’assunzione di lavoratori.

La sentenza, però, non lascia il segno.

L’Agenzia delle entrate la ignora; la ignorano anche i contribuenti che, probabilmente, non intendono rischiare una valutazione così opinabile. Poi, siccome si tratta della prima sentenza sul tema, è scontato che l’Amministrazione finanziaria – visto che risulta per tabulas sia la presenza di un dipendente sia la mancata presentazione della dichiarazione IRAP – si attiverà sicuramente per recuperare l’imposta. Occorre quindi mettere in conto i costi e i tempi di un giudizio che arriverà fino in cassazione. In definitiva, il rapporto costi/benefici suggerisce di attenersi alla precedente giurisprudenza.

Quella sentenza, però – come dimostra la pronuncia in esame – non è un fuoco di paglia; anzi. Dopo un’accurata esposizione dei principi in tema di IRAP la Suprema Corte, infatti, afferma qui che «in linea astratta, non può affermarsi che l’apporto fornito all’attività di un professionista dall’utilizzo di prestazioni segretariali costituisca di per se stesso, a prescindere da qualunque analisi qualitativa e quantitativa di tali prestazioni, un indice indefettibile della presenza di un’autonoma organizzazione».

È un principio dirompente, che ribalta una giurisprudenza quasi decennale: ora, proprio in linea teorica, la segretaria del professionista non rileva ai fini dell’autonoma organizzazione: «l’apporto di un collaboratore che apra la porta o risponda al telefono, mentre il medico visita il paziente o l’avvocato riceve il cliente, rientr[a], secondo l’id quod plerumque accidit, nel minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale».

Il principio è chiaro.

La segreteria di un professionista, di norma, rientra nel minimo indispensabile per l’esercizio della professione. Quindi, se l’Agenzia delle entrate pretende di assoggettare a IRAP l’avvocato o il medico dotato di segretaria deve fornire la prova – che grava sull’Amministrazione finanziaria sia perché si tratta di dimostrare l’eccezione a un principio generale, sia perché non si può addossare sul professionista la prova di un fatto negativo (è impossibile provare che la segretaria non svolge certe attività) – che, «nel caso concreto, per le specifiche modalità qualitative e quantitative delle prestazioni segretariali [aggettivo indubbiamente elegante, n.d.r.] di cui il professionista si avvale, le stesse debbano giudicarsi eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale». Questo perché, secondo la Suprema Corte, il fisiologico esercizio di una professione prevede, in linea di massima, l’impiego di una segretaria.

Quando il medico sta visitando un paziente o l’avvocato sta ricevendo un cliente, se suona il campanello o il telefono chi apre la porta o risponde? A metà mattinata un caffè non si nega a nessuno. Come non si può impedire a nessuno di espletare i bisogni fisiologici. Se il medico o l’avvocato scendono al bar una decina di minuti o vanno in bagno chi riceve i pazienti o i clienti? La segretaria, appunto. Per l’avvocato poi c’è il problema che deve assentarsi dallo studio per le udienze. Lo stesso vale per il medico quando viene chiamato per una visita domiciliare urgente. Se telefona qualcuno chi risponde? È vero, si può attivare il trasferimento di chiamata. Ma si è mai visto un avvocato che mentre sta parlando al giudice risponde al cellulare con una mano e con l’altra apre l’agenda per fissare un appuntamento in studio? E come fa un medico – non avendo dieci mani come la dea Kalì – a rispondere al telefono mentre sta facendo un’urgentissima (e salvavita) iniezione di cortisone a un soggetto colpito da shock anafilattico?

La segretaria (che sia una sola, s’intende), in definitiva, non produce valore aggiunto, ma è un elemento connaturato allo svolgimento della professione come lo stetoscopio o il codice.

Quindi niente IRAP.

A meno che le «prestazioni segretariali … debbano giudicarsi eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale».

Prova impegnativa, perché per stabilire se la segretaria fa qualcosa di più del minimo indispensabile bisogna fare un sopralluogo nello studio del contribuente (sempre ammesso che si possa trovare un soddisfacente criterio discretivo tra prestazioni segretariali indispensabili e non indispensabili: la discussione è aperta). Salvo che il funzionario dell’Agenzia delle entrate per ventura incontri il professionista con la segretaria, di sera, a cena insieme. Ecco, questo potrebbe essere un caso in cui si può presumere che la segretaria faccia di più del minimo sindacale.

Avv. Fausta Brighenti

(1) In Boll. Trib., 2001, 873.

(2) Cfr. Cass., sez. trib., 16 febbraio 2007, n. 3677, in Boll. Trib., 2007, 386, con nota di F. Brighenti, Niente IRAP per i professionisti non organizzati: parola della Cassazione; Cass., sez. trib., 16 febbraio 2007, n. 3678, ibidem, 479, con nota di F. Brighenti, La Cassazione sull’IRAP dei professionisti non organizzati: certezze e dubbi; Cass., sez. trib., 5 marzo 2007, nn. 5020 e 5021; Cass., sez. trib., 30 dicembre 2011, ord. n. 30394; Cass., sez. trib., 25 luglio 2012, ord. n. 13095; e Cass., sez. trib., 21 ottobre 2013, n. 23719; tutte in Boll. Trib. On-line.

(3) Cfr. Corte Cost. n. 156/2001, cit.

(4) Cfr. Cass., sez. trib., 12 aprile 2013, n. 8962, in Boll. Trib., 2013, 974.

(5) Cfr., ex pluribus, Cass., sez. trib., 21 marzo 2012, ord. n. 4490, in Boll. Trib., 2012, 1275.

(6) Cfr. Cass., sez. trib., 10 febbraio 2012, ord. n. 1941, in Boll. Trib. On-line.

(7) Cfr. Cass., sez. trib., 25 settembre 2013, n. 22020, in Boll. Trib., 2014, 473, con nota di F. Brighenti, Presupposto IRAP: il lavoro altrui conta solo se di qualità.

IRAP – Attività professionale – Professionisti non organizzati – Autonoma organizzazione – Verifica della sussistenza degli elementi di autonoma organizzazione – È di esclusiva pertinenza del giudice di merito.

IRAP – Attività professionale – Professionisti non organizzati – Autonoma organizzazione – Esercizio dell’attività con l’apporto di una segretaria – Non costituisce necessariamente un fatto indice di autonoma organizzazione – Meccanica assoggettabilità all’IRAP – Esclusione – Verifica delle concrete caratteristiche dell’attività svolta e della presenza di un’autonoma organizzazione da parte del giudice di merito – Necessità.

IRAP – Attività professionale – Professionisti non organizzati – Autonoma organizzazione – Nozione – Necessità di un contesto organizzativo esterno rispetto all’operato del professionista – Sussiste – Valutazione da parte del giudice di merito – Necessità.

IRAP – Attività professionale – Professionisti non organizzati – Autonoma organizzazione – Utilizzazione di un dipendente – Automatica soggettività passiva all’IRAP – Esclusione – Verifica da parte del giudice di merito della sua natura potenziatrice e aggiuntiva ai fini della produzione del reddito – Necessità.

IRAP – Attività professionale – Professionisti non organizzati – Autonoma organizzazione – Esercizio dell’attività con l’apporto di una segretaria – Non costituisce necessariamente un indice di autonoma organizzazione – Meccanica assoggettabilità all’IRAP – Esclusione – Verifica delle concrete caratteristiche dell’attività svolta e della presenza di un’autonoma organizzazione da parte del giudice di merito – Necessità.

In tema di IRAP, l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla stessa Corte costituzionale, presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata, e l’accertamento in concreto del requisito dell’autonoma organizzazione, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce una questione di mero fatto, di esclusiva pertinenza del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.

In tema di IRAP sull’esercizio dell’attività di lavoratore autonomo, il “fatto indice” costituito dall’avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui non può essere considerato di per sé solo, secondo un giudizio aprioristico che prescinda da qualunque valutazione di contesto e da qualunque apprezzamento di fatto in ordine al contenuto ed alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, manifestazione indefettibile della sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione.

Dalla natura reale e non personale dell’IRAP discende che la nozione di autonoma organizzazione si definisce in termini di “contesto organizzativo esterno”, diverso ed ulteriore rispetto al mero ausilio dell’attività personale, e costitutivo di un quid pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista, di talché in tale prospettiva è allora necessario verificare se la prestazione lavorativa sia effettivamente idonea ad integrare, in concorso con altri fattori, un “contesto organizzativo esterno” rispetto all’operato del professionista, oppure costituisca un mero ausilio di tale attività, vale a dire una mera agevolazione delle relative modalità di svolgimento, e tale verifica deve essere condotta alla stregua del criterio dell’eccedenza rispetto al minimo indispensabile secondo l’id quod plerumque accidit, dovendosi accertare, caso per caso, da parte del giudice di merito, se l’apporto del lavoro altrui ecceda l’ausilio minimo indispensabile, secondo l’id quod plerumque accidit, per lo svolgimento di una determinata attività professionale, con una valutazione di natura non soltanto logica, ma anche socio-economica, secondo il comune sentire, censurabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio motivazionale di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c.

L’automatica sottoposizione ad IRAP del lavoratore autonomo che disponga di un dipendente, qualsiasi sia la natura del rapporto e qualsiasi siano le mansioni esercitate, vanificherebbe l’affermazione di principio desunta dalla lettera della legge e dal testo costituzionale secondo cui il giudice deve accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento potenziatore ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito, tale da escludere che l’IRAP divenga una tassa sui redditi di lavoro autonomo, probabilmente incostituzionale.

Premesso che in linea astratta non può affermarsi che l’apporto fornito all’attività di un professionista dall’utilizzo di prestazioni segretariali costituisca di per se stesso, a prescindere da qualunque analisi qualitativa e quantitativa di tali prestazioni, un indice indefettibile della presenza di un’autonoma organizzazione, e che si deve al contrario ritenere che l’apporto di un collaboratore che apra la porta o risponda al telefono, mentre il medico visita il paziente o l’avvocato riceve il cliente, rientri, secondo l’id quod plerumque accidit, nel minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale, compete al giudice di merito apprezzare, con un giudizio di fatto, se nel caso concreto, per le specifiche modalità qualitative e quantitative delle prestazioni segretariali di cui il professionista si avvale, le stesse debbano giudicarsi eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale.

[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. Cicala, rel. Cosentino), 19 dicembre 2014, sent. n. 26991, ric. Agenzia delle entrate]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – L’Agenzia delle Entrate ricorre contro il dott. R.L., medico di medicina generale convenzionato con il servizio Sanitario Nazionale, per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale del Veneto ha affermato il diritto del contribuente al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 2004/2007 (ad eccezione del versato a titolo di primo acconto 2004, in ragione della maturata decadenza), ritenendo che non ricorresse il presupposto impositivo in quanto “l’essersi avvalso delle prestazioni di una lavoratrice dipendente addetta alla segreteria, unitamente all’avere utilizzato i locali e gli altri beni strumentali necessari, non realizza quel quid pluris richiesto ai fini IRAP”.

Il ricorso si fonda su un solo motivo, con il quale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 2 e 3 del D.Lgs. n. 446/1997 (art. 360, n. 3, c.p.c.), censurandosi la sentenza gravata per aver escluso che nella specie ricorresse il presupposto impositivo IRAP, nonostante che il contribuente si avvalesse, nell’esercizio della propria attività, di una lavoratrice addetta alla segreteria.

Il contribuente non si è costituito in sede di legittimità.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 4 dicembre 2014, per la quale non sono state depositate memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE – È opportuno premettere che, in tema di IRAP, l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diversa dall’impresa commerciale costituisce, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001 (1), presupposto dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività autonomamente organizzata.

Il significato della nozione di autonoma organizzazione – introdotta nella disciplina dell’IRAP dalla modifica dell’art. 2 del D.Lgs. n. 446 del 1997, recata dall’art. 1 del D.Lgs. n. 137 del 1998 – è stata individuata dalla Sezione Tributaria di questa Corte, a partire dalle sentenze n. 3672 (2), 3673 (3), 3674 (4), 3675 (5), 3676 (6), 3677 (7), 3678 (8), 3679 (9) e 3680 (10) del 16 febbraio 2007, secondo un duplice approccio. In primo luogo, di tale nozione è stata fornita una definizione astratta, secondo formule variamente modulate, di cui conviene qui riportare quelle più significative:

– “l’organizzazione dotata di un minimo di autonomia che potenzi ed accresca la capacità produttiva del contribuente”; non, quindi, “un mero ausilio della attività personale, simile a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esclusi dalla applicazione dell’IRAP” (sent. 3672/07);

– “un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui, risultante dall’aggregazione di beni strumentali e/o di lavoro altrui” (sent. 3673/07);

– “un contesto organizzativo esterno anche minimo, derivante dall’impiego di capitali e/o di lavoro altrui, che potenzi l’attività intellettuale del singolo” vale a dire, una “struttura riferibile alla combinazione di fattori produttivi, funzionale all’attività del titolare” (sent. 3675/07);

– “uno o più elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell’interessato, potenziandone le possibilità “…” ovverosia un quid pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista” (sent. 3676/07);

– “una struttura organizzativa “esterna” del lavoro autonomo e cioè quel complesso di fattori dei quali il professionista si avvale e che per numero ed importanza sono suscettibili di creare valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how” (3678/07).

In secondo luogo, le suddette formule astratte sono state riempite di significato concreto con un approccio empirico-induttivo, vale a dire mediante l’indicazione di talune circostanze di fatto valutate come di per se stesse idonee a manifestare la sussistenza del requisito impositivo dell’autonoma organizzazione. Tali circostanze sono state individuate in numerosissime pronunce della Sezione Tributaria, confermate anche dalle Sezioni Unite (sentt. 12108 (11) e 12111 (12) del 26.5.09), nel fatto che il contribuente non sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse (sia, cioè, il responsabile dell’organizzazione) e nel fatto che il contribuente impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo l’“id quod plerumque accidit”, costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, o, alternativamente, si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

Nelle citate sentenze del 16 febbraio 2007 si è peraltro precisato che l’accertamento in concreto del requisito dell’autonoma organizzazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.

Così sintetizzati gli approdi ermeneutici raggiunti da questa Corte, può osservarsi che – mentre la definizione astratta della nozione normativa di autonoma organizzazione costituisce il risultato dell’individuazione del significato precettivo dell’art. 2 del D.Lgs. n. 446 del 1997, offerto dalla Corte nell’esercizio della propria funzione nomofilattica – l’enumerazione dei “fatti indice” sopra menzionati si risolve nella definizione di criteri empirici volti ad orientare un accertamento in fatto che comunque pertiene al giudice di merito. Infatti, come precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 156/01, l’accertamento degli elementi di organizzazione “in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto”. Tanto premesso, ritiene il Collegio che, ferma restando la definizione normativa di autonoma organizzazione scolpita nelle formulazioni sopra riportate, il “fatto indice” costituito dall’avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui non possa essere considerato di per sé solo – secondo un giudizio aprioristico che prescinda da qualunque valutazione di contesto e da qualunque apprezzamento di fatto in ordine al contenuto ed alle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa – manifestazione indefettibile della sussistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione. Proprio dalla natura reale, e non personale, dell’imposta – sottolineata nella sentenza C. cost. n. 156/01, laddove si evidenzia che la stessa “colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate” – discende infatti che la nozione di autonoma organizzazione si definisce, come emerge dagli stralci giurisprudenziali sopra trascritti, in termini di “contesto organizzativo esterno”, diverso ed ulteriore rispetto al “mero ausilio della attività personale” e costitutivo di un “quid pluris che secondo il comune sentire, del quale il giudice di merito è portatore ed interprete, sia in grado di fornire un apprezzabile apporto al professionista”. In questa prospettiva, è allora necessario verificare se la prestazione lavorativa sia effettivamente idonea ad integrare, in concorso con altri fattori, “un contesto organizzativo esterno” rispetto all’operato del professionista (ossia, per il suo contenuto, o anche soltanto per la sua rilevanza quantitativa, fornisca al medesimo un apporto ulteriore rispetto alla di lui personale attività), oppure costituisca un mero ausilio di tale attività, vale a dire una mera agevolazione delle relative modalità di svolgimento. Tale verifica, deve aggiungersi, deve essere condotta alla stregua del medesimo criterio già formalizzato dalla Corte con rifermento all’impiego di beni strumentali, ossia il criterio dell’eccedenza rispetto al minimo indispensabile secondo l’id quod plerumque accidit. Si tratta, cioè, di accertare, caso per caso, se l’apporto del lavoro altrui ecceda l’ausilio minimo indispensabile, secondo l’id quod plerumque accidit, per lo svolgimento di una determinata attività professionale. Tale accertamento compete al giudice di merito e si risolve in una valutazione – censurabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio motivazionale di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. – di natura non soltanto logica, ma anche socio-economica, secondo il comune sentire, del quale, come persuasivamente sottolineato nella motivazione di Cass. n. 3677/07, proprio il giudice di merito è portatore ed interprete. Alla stregua delle considerazioni che precedono non può quindi condividersi l’assunto – sul quale si fonda il ricorso della difesa erariale – secondo cui incorrerebbe nel vizio di violazione di legge (art. 2 del D.Lgs. n. 446 del 1997) la negazione del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione in capo ad un medico di medicina generale convenzionato con il servizio sanitario nazionale che si avvalga “delle prestazioni di una lavoratrice dipendente addetta alla segreteria”.

Come infatti questa Corte ha già avuto modo di precisare nella sentenza n. 22024/13 (13), “l’automatica sottoposizione ad IRAP del lavoratore autonomo che disponga di un dipendente, qualsiasi sia la natura del rapporto e qualsiasi siano le mansioni esercitate, vanificherebbe l’affermazione di principio desunta dalla lettera della legge e dal testo costituzionale secondo cui il giudice deve accertare in concreto se la struttura organizzativa costituisca un elemento potenziatore ed aggiuntivo ai fini della produzione del reddito, tale da escludere che l’IRAP divenga una (probabilmente incostituzionale) tassa sui redditi di lavoro autonomo”. Pertanto – premesso che, in linea astratta, non può affermarsi che l’apporto fornito all’attività di un professionista dall’utilizzo di prestazioni segretariali costituisca di per se stesso, a prescindere da qualunque analisi qualitativa e quantitativa di tali prestazioni, un indice indefettibile della presenza di un’autonoma organizzazione, dovendosi al contrario ritenere che l’apporto di un collaboratore che apra la porta o risponda al telefono, mentre il medico visita il paziente o l’avvocato riceve il cliente, rientri, secondo l’id quod plerumque accidit, nel minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale – compete al giudice di merito apprezzare, con un giudizio di fatto, se nel caso concreto, per le specifiche modalità qualitative e quantitative delle prestazioni segretariali di cui il professionista si avvale, le stesse debbano giudicarsi eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale. Nella specie, il giudizio di fatto espresso nella sentenza gravata nel brano trascritto in narrativa non è stato censurato sotto il profilo del vizio di motivazione e, pertanto, il ricorso va rigettato. Non vi è luogo a regolazione di spese, in difetto di costituzione dell’intimato.

P.Q.M. – La Corte rigetta il ricorso.

(1) Corte Cost. 21 maggio 2001, n. 156, in Boll. Trib., 2001, 873.

(2) In Boll. Trib., 2007, 388.

(3) In Boll. Trib., 2007, 486.

(4) In Boll. Trib., 2007, 395.

(5) In Boll. Trib., 2007, 385.

(6) In Boll. Trib., 2007, 488.

(7) In Boll. Trib., 2007, 386.

(8) In Boll. Trib., 2007, 479.

(9) In Boll. Trib., 2007, 490.

(10) In Boll. Trib., 2007, 484.

(11) In Boll. Trib., 2009, 1144.

(12) In Boll. Trib. On-line.

(13) Cass. 25 settembre 2013, n. 22024, in Boll. Trib. On-line.

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