20 Maggio, 2019

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Chi decide sull’impugnazione dell’iscrizione ipotecaria dell’agente della riscossione? – 3. Il revirement della Sezione Tributaria – 4. Una motivazione che non convince – 5. Considerazioni conclusive.

1. Premessa

Com’è noto agli operatori del diritto, la giurisprudenza di legittimità nel corso del tempo può mutare e finanche contraddire se stessa, un evento del tutto naturale, in certa misura anche auspicabile, se si considerano, da un lato, la vastità e complessità della materia giuridica e, dall’altro, il continuo rinnovamento delle idee, dei rapporti umani, dei contesti sociali (1).
La fisiologia del fenomeno, tuttavia, degrada a patologia quando il contrasto interpretativo si registra tra le Sezioni Semplici della Suprema Corte e le Sezioni Unite (2), generando quella che da più parti viene definita “crisi della funzione nomofilattica” (3).
Si tratta di una crisi alla quale il nostro legislatore, recentemente, ha tentato di porre rimedio: con l’art. 8 del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, infatti, è stato modificato l’art. 374 c.p.c., stabilendo che «se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso».
Il tentativo, per il momento, non sembra aver dato gli esiti auspicati né, per il vero, si poteva davvero sperare di arginare tale crisi semplicemente affidando al collegio dissenziente la scelta di rimettere o meno la decisione del ricorso alle Sezioni Unite.
Accade, perciò, che le Sezioni Semplici della Corte di Cassazione, ancora con preoccupante frequenza, si pronuncino in senso difforme dalle decisioni assunte dalle Sezioni Unite, come è accaduto con le recenti sentenze n. 4802 e n. 5430 del 2017 (4), la prima delle quali, peraltro, contrastante con la sentenza n. 4798 (5) deliberata dalla Sezione Tributaria nella stessa camera di consiglio del 1° febbraio 2017 (stesso presidente, diverso relatore/estensore).
Scopo del presente approfondimento, dunque, è di esaminare nel dettaglio le richiamate pronunce per verificare se, nell’occasione, la Sezione Tributaria sia stata vittima di una mera distrazione ovvero abbia scientemente deciso di rivedere – e così modificare – l’orientamento espresso in precedenza dal Massimo Consesso.

2. Chi decide sull’impugnazione dell’iscrizione ipotecaria dell’agente della riscossione?

Oggetto del segnalato contrasto interpretativo è l’individuazione del giudice munito di giurisdizione in materia di impugnazione delle iscrizioni ipotecarie eseguite dall’agente della riscossione.
Senza risalire molto indietro nel tempo osserviamo che la suddetta questione, ancora a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio, era molto dibattuta e controversa, in dottrina come in giurisprudenza, tanto che sull’impugnazione dei fermi di beni mobili registrati e delle iscrizioni ipotecarie eseguiti dai concessionari della riscossione, «a turno tutti gli organi giudiziari nazionali si erano ritenuti a qualche titolo competenti ovvero incompetenti, spesso in diretta antinomia a quanto stimato da altri organi dello stesso tipo» (6).
Preso atto del perdurante stato di confusione, il nostro legislatore decise di intervenire, assegnando quella competenza giurisdizionale alle Commissioni tributarie.
In particolare, con il comma 26-quinquies dell’art. 35 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (introdotto dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248), furono inserite nel primo comma dell’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, le lett. e-bis) ed e-ter), con la conseguenza che, dall’entrata in vigore della novella, l’elenco degli atti impugnabili dinanzi ai giudici tributari comprendeva espressamente l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e il fermo di beni mobili registrati di cui all’art. 86 dello stesso decreto.
Attenta dottrina osservò da subito che «l’istituita giurisdizione del giudice tributario sulle controversie riguardanti il fermo amministrativo dei beni mobili registrati e l’iscrizione di ipoteca sugli immobili non risolve poi tutti gli altri delicati problemi sollevati dalla loro applicazione, che presumibilmente continueranno ad agitare la pratica giudiziaria», in tal senso segnalando, per esempio, che la novella normativa ne riconosceva espressamente l’impugnabilità dinanzi alle Commissioni tributarie «a condizione che i crediti garantiti dalla misura rientrino nella loro giurisdizione come delimitata dall’art. 2 dello stesso D.Lgs. n. 546», mentre rispetto alle medesime misure cautelari applicate dal concessionario «a tutela di crediti diversi … è ragionevole prevedere che l’illustrato dibattito sul giudice competente a conoscerne si protrarrà ancora» (7).
In realtà, su tale “delicato problema” il dibattito non si protrasse poi a lungo, poiché a risolvere la querelle sopraggiunse già nel 2008 l’autorevole presa di posizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (8).
Il Supremo Consesso, preliminarmente, osservò come la modifica introdotta all’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, ad opera dell’art. 35, comma 26-quinquies, del D.L. n. 223/2006, «collocando il fermo [e l’ipoteca, n.d.r.] tra gli atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, abbia di riflesso determinato una modifica dell’art. 2 del medesimo decreto, in particolare del secondo periodo del primo comma di detta norma nella parte in cui esclude dalla giurisdizione tributaria le controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella di pagamento».
Ciò, precisava la Suprema Corte, «indica ancora una volta di più che la individuazione dell’area della giurisdizione tributaria, e dei relativi limiti, può essere compiuta solo mediante una lettura integrata degli artt. 2 e 19, D.Lgs. n. 546 del 1992 e rende testimonianza di una chiara volontà legislativa di generalizzare la giurisdizione tributaria, lasciando alla giurisdizione ordinaria solo la sfera residuale dell’espropriazione forzata vera e propria la cui disciplina ha movenze simili a quella contenuta nel codice di rito e rispetto alla quale possono ben essere funzionali gli strumenti giurisdizionali di tutela del debitore garantiti dal medesimo codice».
La necessità di una lettura integrata degli artt. 2 e 19 del D.Lgs. n. 546/1992, inoltre, «agevola la soluzione del secondo problema: quello, cioè, se il giudice tributario debba limitarsi a conoscere delle sole controversie concernenti il fermo disposto in relazione a crediti tributari, escludendosi quelle controversie che riguardino il fermo adottato per crediti da sanzioni amministrative, in particolare quelle regolate dal codice della strada, rispetto alle quali è previsto l’utilizzo delle procedure di riscossione delle imposte a mezzo ruoli esattoriali. Infatti, la modifica introdotta all’art. 19, D.Lgs. n. 546 del 1992, di cui si discute in questa sede, non ha apportato, come sua conseguenza, una corrispondente modifica del primo periodo del comma 1 dell’art. 2 del medesimo decreto, a norma del quale la giurisdizione tributaria resta ancorata, come alla sua base legittimante, alle controversie concernenti tributi, sia pure di ogni genere e specie, comunque denominati».
In definitiva, le controversie relative al fermo di beni mobili registrati e all’ipoteca esattoriale che possono essere conosciute dal giudice tributario sono «solo quelle concernenti crediti da tributi».
Quella che precede, osservava peraltro la Corte di Cassazione, è «la sola lettura della norma che si presenti come costituzionalmente orientata, in particolare alla luce delle recentissime sentenze del giudice delle leggi nn. 64 e 130 del 2008, secondo le quali “la giurisdizione del giudice tributario, in base all’art. 102, secondo comma della Costituzione, deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto: pertanto, l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria – sia che derivi direttamente da un’espressa disposizione legislativa ovvero, indirettamente, dall’erronea qualificazione di ‘tributaria’ data dal legislatore (o dall’interprete) ad una particolare materia – comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali”».
Se, dunque, il necessario ancoraggio alla natura tributaria del rapporto è il fondamento della legittimità costituzionale della giurisdizione tributaria, anche per quanto riguarda il fermo e l’ipoteca esattoriali bisogna affermare che in tanto il giudice tributario potrà conoscere delle relative controversie in quanto le stesse siano attinenti a una pretesa tributaria.
Di qui l’affermazione del principio di diritto secondo cui «La giurisdizione sulle controversie relative al fermo di beni mobili registrati di cui all’art. 86, D.P.R. n. 602 del 1973, appartiene al giudice tributario ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2, comma 1 e 19, comma 1, lettera e-ter), D.Lgs. n. 546 del 1992, solo quando il provvedimento impugnato concerna la riscossione di tributi».
L’affermato principio, precisava inoltre la Suprema Corte, non comporta conseguenze negative per l’ipotesi che il fermo di beni mobili registrati concerne una pluralità di pretese, solo alcune delle quali di natura tributaria.
In una simile ipotesi, infatti, qualora il ricorso non sia stato originariamente proposto innanzi al giudice competente in relazione alla specifica natura dei crediti posti a fondamento del provvedimento di fermo, opererebbe il principio della translatio iudicii che consente al processo, iniziato erroneamente, in parte o in tutto, davanti a un giudice che non ha la giurisdizione necessaria, di poter continuare davanti al giudice effettivamente dotato di giurisdizione, onde dar luogo a una pronuncia di merito che conclude la controversia, comunque iniziata, realizzando in modo più sollecito ed efficiente il servizio giustizia, costituzionalmente rilevante.
Sicché, concludevano le Sezioni Unite, «il giudice adito dovrà verificare se i crediti posti a fondamento del provvedimento di fermo oggetto dell’impugnazione siano crediti di natura tributaria – ipotesi nella quale sussisterà la giurisdizione del giudice tributario – o crediti di natura non tributaria – ipotesi nella quale sussisterà la giurisdizione del giudice ordinario – e, in esito a tale accertamento, affermerà o declinerà la propria giurisdizione, nel primo caso, trattenendo la causa per la decisione del merito; nel secondo caso, rimettendo la stessa, innanzi al giudice competente. Tanto avverrà anche nell’ipotesi in cui il provvedimento di fermo oggetto di impugnazione concerna più crediti di diversa natura (tributaria e non): in tal caso il giudice adito separerà le cause, trattenendo quella per la quale egli ha giurisdizione e rimettendo la restante al giudice competente. Il debitore potrà in ogni caso proporre originariamente l’impugnazione separatamente innanzi ai giudici diversamente competenti in relazione alla natura dei crediti posti a base del provvedimento di fermo contestato».
Dopo poco tempo, come era ovvio che accadesse, il Supremo Consesso ebbe modo di stabilire che «al pari delle controversie in tema di fermo di beni mobili di cui all’art. 86 D.P.R. n. 602/1973 (che appartengono alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie solo se il fermo è stato eseguito a garanzia del soddisfacimento di crediti di natura tributaria: C. Cass. 2008/14831 e 2009/6593), anche quelle in tema di iscrizione ipotecaria rientrano nella giurisdizione delle Commissioni soltanto nel caso in cui siano state effettuate per ottenere il pagamento d’imposte o tasse (C. Cass. 2009/6594)» (9).
Alle richiamate pronunce seguirono numerose altre delle Sezioni Unite, sia con riferimento all’impugnazione del fermo dei beni mobili registrati (10), sia con riferimento all’impugnazione dell’iscrizione di ipoteca eseguita dall’esattore (11), ribadendosi costantemente che di esse conosce il giudice tributario solo qualora i crediti garantiti da tali misure abbiano natura tributaria, spettando altrimenti la giurisdizione al giudice ordinario.
Una così chiara ed univoca presa di posizione del Massimo Consesso non poteva non orientare la successiva giurisprudenza della Sezione Tributaria, ciò che puntualmente si è verificato, come dimostrano le numerose pronunce rese negli ultimi anni in subiecta materia (12).

3. Il revirement della Sezione Tributaria

Alla luce del descritto e consolidato panorama giurisprudenziale si riteneva ormai definitivamente chiarito che, ove la misura cautelare adottata dall’agente della riscossione «concerna una pluralità di pretese», alcune delle quali di natura tributaria ed altre invece di natura non tributaria, e l’impugnazione sia stata proposta, anziché separatamente innanzi ai giudici diversamente competenti in relazione alla natura dei crediti posti a base del provvedimento cautelare, unicamente dinanzi al giudice tributario, questi deve trattenere la causa presso di sé in relazione ai crediti tributari posti a fondamento del provvedimento cautelare, e rimettere la causa dinanzi al giudice ordinario per la parte in cui il provvedimento si riferisce a crediti di natura non tributaria (13).
Sennonché, con la recentissima citata sentenza n. 4802 del 2017 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha disatteso (o travisato?) il pregresso orientamento della giurisprudenza di legittimità, affermando che il giudice tributario può disporre l’annullamento dell’iscrizione ipotecaria “nella sua interezza”, anche quando il credito garantito concerna in parte tributi e in parte entrate di natura non tributaria.
Nel caso di specie, in particolare, pur avendo il giudice di prime cure dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in ordine ai rilievi che riguardavano le cartelle di pagamento relative ai debiti non tributari, aveva comunque annullato per intero l’impugnata iscrizione ipotecaria.
Il giudice di appello, dal canto suo, nonostante la specifica censura in tal senso formulata dall’agente della riscossione, aveva del tutto omesso di pronunciarsi sulla stessa.
Investita della questione, la Suprema Corte ha ritenuto che la Commissione tributaria provinciale abbia fatto «corretta applicazione» dell’art. 19, primo comma, lett. e-bis), del D.Lgs. n. 546/1992, «poiché, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 35, comma 26-quinquies, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, introdotto dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248, l’iscrizione dell’ipoteca è stata inclusa tra gli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie, indipendentemente dalla natura del credito del quale costituisce garanzia. Le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione del provvedimento d’iscrizione di ipoteca sugli immobili sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario solo se promosse in epoca anteriore all’entrata in vigore dell’art. 35, comma 26 quinquies, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, dato che non si può attribuire carattere interpretativo all’art. 35, comma 26 quinquies cit., che ha ampliato la categoria degli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie (Cass. SS.UU. n. 7034 del 24/3/2009; Cass. n. 13190 del 11/6/2014)».
Ad avviso di chi scrive, nell’occasione la Sezione Tributaria non ha ben compreso la questione giuridica sottoposta al suo autorevole giudizio.
La contestazione del ricorrente non riguardava l’an della competenza giurisdizionale del giudice tributario in materia di misure cautelari dell’agente della riscossione, bensì il quantum di quella competenza.
In subiecta materia, come abbiamo visto, non è risolutiva l’applicazione del solo art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 occorrendo, ai fini dell’esatta «individuazione dell’area della giurisdizione tributaria e dei relativi limiti», procedere mediante «una lettura integrata degli artt. 2 e 19, D.Lgs. n. 546 del 1992».
Meno che mai assumeva rilievo, ai fini della suddetta decisione, risolvere la questione di diritto intertemporale rispetto alla modifica introdotta dell’art. 35, comma 26-quinquies, del D.L. n. 223/2006.
Desta sconcerto, peraltro, che la richiamata sentenza n. 4802 del 2017 sia stata pronunciata dalla Suprema Corte nella camera di consiglio del 1° febbraio 2017, nella quale, come abbiamo anticipato, è stata pronunciata anche la sopra citata sentenza n. 4798 del 2017 che è giunta a conclusioni diametralmente opposte.
Nella decisione da ultimo richiamata, infatti, è stato accolto il ricorso dell’agente della riscossione nel presupposto che, alla luce della documentazione dallo stesso prodotta in giudizio, con la quale si dava prova della valida notifica delle cartelle di pagamento presupposte all’impugnata iscrizione ipotecaria, «avrebbe dovuto essere confermata la statuizione del primo giudice che aveva affermato la giurisdizione ordinaria per le cartelle relative ai premi INAIL e ai contributi INPS».
In altri termini, bene aveva fatto la Commissione tributaria provinciale a declinare la giurisdizione rispetto alla parte (o porzione) dell’impugnata iscrizione ipotecaria concernente crediti di natura non tributaria e, di contro, aveva errato il giudice di appello nel riformare sul punto la sentenza di primo grado.
Una pronuncia che, all’evidenza, si allinea al pregresso orientamento giurisprudenziale, favorevole allo “spacchettamento” della giurisdizione in materia di impugnazione delle misure cautelari esattoriali.
Sta di fatto che, nella successiva camera di consiglio del 2 febbraio 2017, la Sezione Tributaria si è nuovamente pronunciata per la esclusiva giurisdizione delle Commissioni tributarie in ordine ai ricorsi avverso le iscrizioni ipotecarie di cui all’art. 77 del D.P.R. n. 602/1973, anche laddove il credito garantito attenga in parte a crediti di natura non tributaria (14).
In tale occasione, tuttavia, la motivazione è ben più articolata rispetto a quella addotta nella decisione n. 4802 del 2017, motivo per il quale vale la pena riprodurne i passaggi più significativi.
Dopo avere pedissequamente ribadito quanto affermato nell’arresto da ultimo richiamato, ovvero che l’iscrizione di ipoteca è impugnabile dinanzi alle Commissioni tributarie «indipendentemente dalla natura del credito del quale costituisce garanzia», e che le controversie che hanno ad oggetto tali provvedimenti sono «devolute alla giurisdizione del giudice ordinario solo se promosse in epoca anteriore all’entrata in vigore dell’art. 35, comma 26-quinquies, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223», la Sezione Tributaria ha osservato quanto segue: «mette conto considerare che la giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie in ordine ai ricorsi proposti contro l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 d.p.r. 602/73 sussiste nel caso in cui siano prospettati vizi propri dell’iscrizione ipotecaria. Nel caso che occupa il ricorrente, con il ricorso introduttivo del giudizio, ha prospettato, tra l’altro, la nullità della iscrizione ipotecaria perché effettuata a seguito di cartelle esattoriali che non risultavano essere state notificate. Taluni crediti portati dalle cartelle esattoriali erano di natura non tributaria, come si evince dai documenti prodotti in causa, e, tuttavia, ciò non può indurre ad affermare che la CTR fosse priva di giurisdizione poiché si trattava di accertare la sola ritualità della notifica delle cartelle medesime, non essendo stata posta in discussione la sussistenza dei crediti stessi ma solo il vizio di notifica.
Invero ciò che rileva al fine di valutare se sussista la giurisdizione del giudice tributario non è il vizio che la parte deduce, bensì l’atto che è fatto oggetto di impugnazione. Se il contribuente impugna l’atto di iscrizione di ipoteca e ne chiede la dichiarazione di nullità, facendo valere vizi propri dell’atto o della sua notificazione ovvero il vizio derivante dall’omessa notificazione dell’atto presupposto, l’impugnazione dell’atto di iscrizione di ipoteca dinanzi alle commissioni tributarie è ammissibile, anche se l’atto presupposto della cui notificazione si tratta è una cartella afferente debiti non tributari.
Ciò in quanto l’omissione della notifica degli atti presupposti costituisce un vizio che inerisce alla procedura di iscrizione dell’ipoteca e ne comporta la nullità sicché, in tal caso, il giudice dovrà verificare la sussistenza o meno del difetto di notifica delle cartelle prodromiche, ancorché esse attengano a crediti non tributari, all’esclusivo fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (cfr., per il diverso caso in cui è stata affermata la giurisdizione del giudice ordinario in materia di opposizione agli atti esecutivi, Cass. n. 9246 del 12/2/2015)».

4. Una motivazione che non convince

Se la motivazione della sentenza n. 4802 del 2017 risulta inopportunamente sbrigativa, quella della decisione n. 5430 del 2017, vale ribadirlo, si presenta più articolata, corredata com’è da considerazioni giuridiche ulteriori.
Ciò non di meno, si tratta di argomentazioni che, ad avviso di chi scrive, non appaiono idonee a contrastare ed eventualmente a superare il pregresso orientamento giurisprudenziale in ordine al giudice competente a conoscere delle controversie che hanno ad oggetto l’impugnazione delle misure cautelari esattoriali.
Premettiamo subito che il nostro giudizio non è in alcun modo condizionato dalla recente presa di posizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (15), che hanno giudicato non condivisibile l’orientamento espresso (tra le altre) dalla decisione n. 9246 resa dalla Corte di Cassazione in data 12 febbraio 2015 (richiamata, come abbiamo visto, nella sentenza n. 5430 del 2017), sul riparto di giurisdizione in materia di opposizione all’esecuzione e/o agli atti esecutivi dell’agente della riscossione.
Essendosi occupato il Supremo Consesso, nell’occasione, del diverso «problema dell’individuazione del giudice davanti al quale proporre l’opposizione agli atti esecutivi ove questa concerna la regolarità formale o la notificazione del titolo esecutivo e, in particolare, ove il contribuente, di fronte al primo atto dell’esecuzione forzata tributaria (cioè all’atto di pignoramento), deduca (come nella specie) di non avere mai ricevuto in precedenza la notificazione del titolo esecutivo», riteniamo trattarsi di un tema meritevole di autonomo approfondimento, nonostante siano ivi affrontate numerose questioni comuni alla materia che ci occupa nel presente scritto.
Tornando alle argomentazioni svolte nella decisione n. 5430 del 2017, in primo luogo ci sembra quanto meno inopportuna la scelta della Sezione Tributaria di richiamare (e farsi orientare da) un precedente in tema di giurisdizione sull’impugnazione dei pignoramenti presso terzi eseguiti dall’agente della riscossione, quando esistono, come abbiamo visto, numerosissimi precedenti di legittimità che si sono specificamente occupati della giurisdizione sull’impugnazione delle iscrizioni ipotecarie di cui all’art. 77 del D.P.R. n. 602/1973.
Ma al di là di tale aspetto, quelle argomentazioni non convincono non solo e non tanto perché contrastano con un orientamento giurisprudenziale consolidatissimo, che peraltro non si premurano nemmeno di confutare, ma perché muovono da una premessa del tutto errata e fuorviante.
La premessa errata consiste, a nostro parere, nell’assumere che sussisterebbe una “giurisdizione esclusiva” delle Commissioni tributarie «in ordine ai ricorsi proposti contro l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 d.p.r. 602/73».
La giurisdizione dei giudici tributari in ordine ai suddetti ricorsi non è affatto “esclusiva”, qualunque sia il vizio dedotto dal ricorrente, poiché essa sussiste soltanto se e nella misura in cui l’ipoteca è stata «iscritta a garanzia del soddisfacimento di crediti di natura tributaria».
La giurisdizione tributaria, vale ribadirlo, resta sempre e comunque «ancorata … alle controversie concernenti tributi, sia pure di ogni genere e specie, comunque denominati», e non può in nessun caso essere attribuita oltre i limiti inderogabilmente fissati dall’art. 2, primo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, poiché ciò comporterebbe «la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali».
Nella più volte citata sentenza n. 5430 del 2017 l’area «della giurisdizione tributaria e dei relativi limiti» non è stata individuata mediante «una lettura integrata degli artt. 2 e 19, D.Lgs. n. 546 del 1992», bensì mediante la lettura del solo art. 19, come si deduce anche dall’ulteriore assunto secondo cui «ciò che rileva al fine di valutare se sussista la giurisdizione del giudice tributario non è il vizio che la parte deduce, bensì l’atto che è fatto oggetto di impugnazione».
Trattasi di un’affermazione che, per altro verso, non solo è errata perché con essa si pretenderebbe di ancorare la giurisdizione tributaria esclusivamente al tipo di atto impugnato invece che alla natura (tributaria) del rapporto o del credito controverso, ma che disvela anche una clamorosa contraddizione in cui è incorsa, ad avviso di chi scrive, nell’occasione la Sezione Tributaria.
Il Massimo Collegio, invero, poco prima aveva sostenuto che è ammissibile l’impugnazione dinanzi al giudice tributario dell’iscrizione ipotecaria iscritta a garanzia anche di crediti non tributari quando, come nel caso di specie, viene prospettato un vizio proprio della misura cautelare (omessa notifica delle presupposte cartelle di pagamento) e non viene «posta in discussione la sussistenza dei crediti stessi ma solo il vizio di notifica».
Ma delle due una: ai fini dell’attribuzione al giudice tributario delle controversie aventi ad oggetto le misure cautelari esattoriali o assume rilievo la causa petendi – e, per quanto qui rileva, la contestazione della sussistenza o meno del credito garantito – oppure il vizio prospettato dal ricorrente non assume alcun rilievo, dovendosi avere esclusivo riguardo al tipo di atto impugnato.
Chiariamo bene questo punto: la Sezione Tributaria, in un primo momento, ha affermato che «la giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie in ordine ai ricorsi proposti contro l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 d.p.r. 602/73 sussiste nel caso in cui siano prospettati vizi propri dell’iscrizione ipotecaria».
Dopo avere precisato quale vizio aveva prospettato il ricorrente nella controversia al suo esame (omessa notifica delle presupposte cartelle di pagamento), la Suprema Corte ha stabilito che la Commissione tributaria regionale non poteva ritenersi priva di giurisdizione poiché era chiamata ad accertare la sola ritualità di quella notifica, «non essendo stata posta in discussione la sussistenza dei crediti stessi ma solo il vizio di notifica».
Ma questo cosa vuol dire? Che, secondo la Corte, se il ricorrente avesse invece contestato anche la sussistenza dei crediti non tributari, la giurisdizione non sarebbe spettata totalmente alla Commissione tributaria bensì, «in quota parte», anche al giudice ordinario?
Se così è, allora non è più vera l’affermazione precedente, secondo la quale in ordine ai ricorsi avverso le misure cautelari esattoriali la giurisdizione tributaria sarebbe “esclusiva”.
Se così è, allora è contraddittorio affermare, immediatamente dopo, che «ciò che rileva al fine di valutare se sussista la giurisdizione del giudice tributario non è il vizio che la parte deduce, bensì l’atto che è fatto oggetto di impugnazione».
A noi pare che nella sentenza n. 5430 del 2017 non abbia difettato soltanto la conoscenza o la memoria dei precedenti specifici di legittimità, che pure sono numerosi, ma abbia difettato anche la coerenza degli assunti motivazionali.

5. Considerazioni conclusive

Dopo avere esaminato nel dettaglio la motivazione delle sentenze n. 4802 e n. 5430 del 2017 della Suprema Corte, possiamo rispondere all’interrogativo che ci siamo posti in premessa, ovvero se con esse la Sezione Tributaria abbia scientemente inteso modificare il precedente orientamento in tema di riparto della giurisdizione nelle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione delle misure cautelari esattoriali.
Siamo dell’avviso che la risposta a tale quesito sia negativa.
Duole constatarlo, ma ci sembra che nelle due sentenze inquisite la Sezione Tributaria sia stata semplicemente (ancorché colpevolmente) superficiale, si sia sbrigativamente lasciata condizionare dalla sola circostanza che l’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 annovera espressamente, tra gli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie, le iscrizioni ipotecarie di cui all’art. 77 del D.P.R. n. 602/1973, tralasciando qualsiasi indagine sui limiti della giurisdizione tributaria imposti dall’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992.
La fretta, che ormai caratterizza tantissime decisioni di legittimità, nell’occasione non solo ha impedito di svolgere un’adeguata ricerca dei precedenti in termini, ma non ha consentito nemmeno di meditare adeguatamente sulle conseguenze che deriverebbero dall’applicazione del principio di diritto affermato, ovvero che «ciò che rileva al fine di valutare se sussista la giurisdizione del giudice tributario è … l’atto che è fatto oggetto di impugnazione».
Sarebbe stato sufficiente, in tal senso, riflettere sul fatto che, traducendo in termini pratici tale principio, per esempio, le cartelle di pagamento emesse per il recupero di contributi previdenziali non versati risulterebbero impugnabili dinanzi ai giudici tributari, invece che dinanzi al Tribunale del lavoro, per la sola ragione che la cartella di pagamento è uno degli atti elencati nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992.
Una conclusione semplicemente improponibile.
Sentenze come quelle che abbiamo qui criticato, ahimè, danno testimonianza di quanto giustificata fosse l’impietosa analisi del Primo Presidente della Corte di Cassazione, svolta in occasione dell’Assemblea Generale della Suprema Corte del 25 giugno 2015, in cui si affermava che «è amaro dover constatare che il nostro organo di legittimità, nel suo insieme e in ogni suo singolo componente, non è in grado, allo stato, di assicurare quella stabile e unitaria interpretazione e applicazione delle leggi nazionali, da cui dovrebbe derivare un risultato deflattivo delle impugnazioni infondate e, quindi, una consistente riduzione del contenzioso accumulatosi anche nelle fasi precedenti, grazie all’effetto dissuasivo che una giurisprudenza in linea con la sua essenziale dimensione istituzionale è capace di determinare anche nei giudici di merito» (16).

Dott. Domenico Carnimeo

(1) Significativo, in tal senso, il monito secondo cui «la nomofilachia raggiungibile sarà soltanto quella storicamente “possibile”: cioè quella che – al di là delle migliori intenzioni soggettive – sarà di fatto consentita da tutti i fattori condizionanti (interni alla magistratura ed esterni o di contesto) in campo»: così G. FIANDACA, Diritto penale giurisprudenziale e ruolo della Cassazione, in Cass. pen., 2005, 1722.
(2) Secondo autorevole dottrina i contrasti tra le Sezioni Unite e le Sezioni Semplici «Sono assolutamente inammissibili, specie quando sorgono su questioni di cui le sezioni unite erano già state investite a causa di un precedente contrasto o di una questione di massima di particolare importanza. Anche in un sistema come l’italiano, che sembra non conoscere il vincolo formale del precedente giurisprudenziale, la decisione delle sezioni unite vincola le sezioni semplici: se così non fosse salterebbe del tutto la funzione di nomofilachia attribuita dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario alla Corte di cassazione e la funzione delle sezioni unite nell’ambito della corte»: così A. PROTO PISANI, Su alcuni problemi organizzativi della Corte di Cassazione: contrasti di giurisprudenza e tecniche di redazione della motivazione, in Foro it., 1998, V, 28-29.
(3) Per un contributo aggiornato sull’argomento ved. A. CARRATTA, Le più recenti riforme del processo civile, Torino, 2017.
(4) Ved. Cass., sez. trib., 24 febbraio 2017, n. 4802; e Cass., sez. trib., 3 marzo 2017, n. 5430; pubbl. entrambe in questo stesso fascicolo a pag. 1128 e 1125.
(5) Cfr. Cass., sez. trib., 24 febbraio 2017, n. 4798, pubbl. pure in questo fascicolo a pag. 1132.
(6) Così A. VOGLINO, Nuove competenze e vecchie questioni sul fermo amministrativo e sull’iscrizione d’ipoteca a tutela della riscossione, in Boll. Trib., 2006, 1360.
(7) Cfr. A. VOGLINO, op. cit.
(8) Cfr. Cass., sez. un., 5 giugno 2008, ord. n. 14831, in Boll. Trib., 2008, 1607.
(9) Ved. Cass., sez. un., 22 febbraio 2010, n. 4077, in Boll. Trib., 2012, 298, con nota di A. FANELLI, L’iscrizione ipotecaria e la giurisdizione tributaria.
(10) Cfr. Cass., sez. un., 12 ottobre 2011, n. 20931; Cass., sez. un., 20 giugno 2012, n. 10147; Cass., sez. un., 18 ottobre 2012, ord. n. 17844; e Cass., sez. un., 20 dicembre 2016, n. 26269; tutte in Boll. Trib. On-line.
(11) Cfr. Cass., sez. un., 16 gennaio 2015, ord. n. 641; Cass., sez. un., 12 novembre 2015, ord. n. 23113; Cass., sez. un., 30 giugno 2016, ord. n. 13380; e Cass., sez. un., 11 ottobre 2016, n. 20426; tutte in Boll. Trib. On-line.
(12) Cfr. Cass., sez. trib., 18 dicembre 2014, n. 26835; Cass., sez. trib., 30 novembre 2016, n. 24402; Cass., sez. trib., 7 dicembre 2016, n. 25118; e Cass., sez. trib., 24 febbraio 2017, n. 4798; tutte in Boll. Trib. On-line.
(13) Cass. n. 25118/2016, cit.
(14) Cfr. Cass. n. 5430/2017, cit.
(15) Cass., sez. un., 5 giugno 2017, n. 13913, in Boll. Trib. On-line.
(16) Cfr. G. SANTACROCE, Assemblea generale della Corte Suprema di Cassazione: funzioni, tempi e risorse della giurisdizione di legittimità, 25 giugno 2015.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *