8 Novembre, 2013

Come ormai succedeva da una decina di giorni, anche la mattina di quel lunedì, i verificatori, constatata l’integrità dei due sigilli applicati all’unica porta d’ingresso alla stanza, dov’era custodita la documentazione raccolta il primo giorno della verifica, alla presenza del contribuente, che ne consegnava la chiave, aprirono la detta porta ed entrarono nella stanza accingendosi a continuare le operazioni di controllo, ciascuno accomodandosi al proprio tavolo di lavoro.
I sigilli erano costituiti da due strisce di carta, rinnovate ogni giorno, recanti il timbro e le firme di tutti i verificatori, incollate in modo da congiungere le ante della porta. Il loro valore – com’è noto – era semplicemente simbolico, nel senso che volevano attestare non l’idoneità fisica ad impedire ma la volontà autoritativa a vietare l’accesso al locale.
La loro tutela, come di consueto, era stata affidata allo stesso contribuente, all’uopo nominato custode giudiziario dei sigilli con conseguente sua sottoscrizione di un verbale di accettazione, per cui anche la chiave della porta poté essere lasciata nella sua libera disponibilità.
I documenti erano stati raccolti, con occhio attento, il primo giorno della verifica, dopo l’esibizione delle tessere personali di riconoscimento, dai verificatori che, in coppia, setacciarono gli uffici direzionali ed i vari uffici amministrativi dell’azienda, avvalendosi della facoltà di effettuare ricerche, prevista dall’art. 52, comma primo, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Era stata esibita anche l’autorizzazione del capo ufficio ad eseguire la verifica che ne indicava le ragioni giustificative consistenti essenzialmente nell’estrema esiguità del reddito dichiarato. Naturalmente, nella raccolta dei documenti, l’attenzione era stata rivolta non tanto ai libri, registri ed alle scritture ufficiali, quanto a quei documenti elementari che potessero provare, ai fini dell’evasione, dati contabili diversi da quelli ufficialmente riportati.
L’applicazione dei sigilli a tale documentazione era stata eseguita a norma del citato art. 52, comma settimo, secondo il quale «gli organi procedenti … possono adottare le cautele atte ad impedire l’alterazione o la sottrazione dei libri e dei registri», prassi ormai confermata da unanime e consolidata giurisprudenza.

 

[-protetto-]

 

L’azienda, molto rinomata in città e addirittura nella regione, vendeva ricambi per mezzi di trasporto di ogni genere, dai pullman agli autotreni, dai trattori alle comuni autovetture ed era appartenuta ad una meritoria personalità, ancora circondata da un alone di gloria, per essere stato il “Patron” della locale squadra di calcio, recentemente approdata alla Serie A. In verità, il suo maggior merito – oltre ad assicurare il flusso finanziario alla squadra – era stato quello di aver scoperto un allenatore geniale e un po’ burlone, quello stesso che, in occasione di un incontro difficile, all’augurio: “che vinca il migliore!”, rispondeva: “speriamo di no!”; oppure, al giornalista che gli chiedeva come mai non avesse fatto giocare un certo calciatore, particolarmente promettente, spiegava tutto serio che: «me lo ha proibito mia moglie. Questa mattina, uscendo da casa, mia moglie mi ha detto: ti proibisco di far giocare quello lì, e allora, per non far scoppiare una baruffa in famiglia, non ho potuto mandarlo in campo».
Ora l’azienda era condotta dal figlio ingegnere, signorile e gentile, e non v’era alcun motivo perché la verifica non si svolgesse – come di consueto – secondo uno standard procedurale di sincero rispetto ed apprezzamento nei suoi confronti, a parte ovviamente la necessità di capire il perché dell’estrema tenuità dell’utile dichiarato.
Il controllo fu invero avviato secondo modalità – diremmo – di ordinario ed elementare riscontro: tra i molti documenti raccolti, i verificatori incominciarono a selezionare e a mettere da parte i “buoni di consegna” dei vari pezzi di ricambio alla clientela, per controllare successivamente se, in corrispondenza a ciascuno di loro, fosse stata emessa e registrata la relativa fattura di vendita.
Ogni verificatore ne aveva selezionato ed accantonato, sul proprio tavolo di lavoro, un bel mucchietto e proprio per quella mattina sembrava ormai maturato il momento del passaggio alla fase dell’abbinamento con le rispettive fatture.
Sennonché, ad incominciare dal capo pattuglia, subito i verificatori si avvidero che non c’era più traccia dei buoni accantonati; il capo pattuglia chiese al suo più vicino collaboratore, se per caso li avesse presi lui, ma lo vide annaspare sotto il proprio tavolo, in affannosa ricerca, rosso in volto e palesemente preoccupato: «no, non li ho presi, ma il fatto è che non trovo neanche quelli che avevo messo da parte io».
In breve risultò che, erano spariti, non si trovavano più, si erano volatilizzati anche i buoni di consegna selezionati da tutti gli altri verificatori! Qualcuno era dunque entrato nella stanza e li aveva trafugati.
«Ma, abbiamo visto bene, questa mattina, che i sigilli fossero intatti?» chiese il capo pattuglia. Lui stesso li aveva controllati diligentemente, ma voleva il conforto dell’osservazione di tutti gli altri verificatori e tutti confermarono con convinzione di aver visto che i sigilli erano integri. Eppure, non c’era alcun dubbio che qualcuno avesse sottratto quei documenti!
«Facciamo così» disse allora l’ufficiale, capo pattuglia «voi rimanete qui e fate finta di niente, io vado in Procura a chiedere l’autorizzazione a perquisire l’abitazione dell’ingegnere».
Il Procuratore della Repubblica, molto cordiale – a cui fu puntualmente raccontata la faccenda, compresa la circostanza dell’integrità dei sigilli constatata al momento dell’apertura della porta d’ingresso nella stanza in cui erano custoditi i documenti da controllare, si dimostrò subito visibilmente attratto dal rebus, e chiese allora: «Mi dica un po’ – Signor Tenente – la stanza dispone per caso di un condizionatore?».
«In effetti, la stanza è situata al primo piano del palazzo ed è dotata di un grosso condizionatore, incastrato dall’esterno», rispose l’ufficiale.
«E allora, stia pur certo, sono entrati smontando il condizionatore», sentenziò il Procuratore.
E scortato da due marescialli dei Carabinieri, che costituivano la squadra di polizia giudiziaria della Procura, oltreché dall’ufficiale verificatore, si avviò all’indirizzo del contribuente per dirigere personalmente la perquisizione, alla quale parteciparono ovviamente anche tutti gli altri verificatori.
La ricerca fu relativamente facile, perché schiacciando un pulsante – apparentemente destinato ad accendere la luce – nello studio del contribuente, si alzò magicamente la parete alle spalle della sua scrivania, rivelando l’esistenza di un locale retrostante, pieno di documenti riservati, relativi alla doppia contabilità, quella vera, dell’azienda.
Furono così rinvenuti non solo i buoni di consegna sottratti alla verifica, ma anche quelli relativi alla gestione degli anni precedenti, per vendite effettuate in evasione d’imposta, e il tutto fu dunque acquisito alla verifica.
L’ingegnere fu dichiarato in arresto e contestualmente associato alle carceri locali.
Alla fine di quella movimentata giornata, al momento del commiato, il Procuratore non mancò di dare, con compiaciuta soddisfazione, una benevola pacca sulla spalla dell’ufficiale verificatore, sussurrandogli: «ha visto che avevano rimosso il condizionatore?».
Nei giorni successivi, mentre i verificatori continuavano il loro lavoro, onde puntualizzare le violazioni commesse e quantificare l’evasione consumata dal contribuente, il Procuratore confidò all’ufficiale qualche perplessità sulla tenuta dell’accusa di violazione dei sigilli, in quanto i buoni di consegna rinvenuti presso l’abitazione del contribuente non risultavano singolarmente individuati ed analiticamente descritti nei verbali precedentemente compilati, per cui l’accusa si basava soltanto sulla prova testimoniale dei verificatori; cioè, non c’era la certezza oggettiva che i buoni rinvenuti nell’abitazione fossero proprio quelli selezionati ed accantonati nel corso della verifica, per cui l’accusa si fondava soltanto sul loro riconoscimento da parte dei verificatori.
E in effetti, è pressoché impossibile descrivere analiticamente, con indicazione dell’intestazione, dell’oggetto e della data, di ogni singolo documento acquisito il primo giorno della verifica od anche successivamente esaminato nel corso del suo svolgimento: di solito l’indicazione a verbale vien fatta per categorie, per sintesi, altrimenti la scritturazione del verbale quotidiano comporterebbe un tempo interminabile. Diverso è naturalmente il caso in cui i documenti trattati provino già una violazione accertata.
Sennonché, dopo tre giorni di permanenza in carcere, il contribuente volle telefonare al Procuratore, chiedendogli: «se io confesso, lei mi tira fuori da qui?».
Il carcere non era proprio il suo ambiente naturale.
L’accertamento della verità fu dunque facilitato da un’ampia ed esauriente confessione.
I verificatori compilarono gli ulteriori atti di constatazione dell’evasione fiscale e venne così il giorno del saluto.
E con una certa imbarazzante sorpresa – spiegata come atto di sereno superamento dell’avventuroso infortunio – l’ingegnere volle abbracciare, uno per uno, i verificatori. Guarda come talora sa essere grande l’animo tartassato del contribuente …
Ma il capo pattuglia non resistette alla tentazione di veder risolto il suo dubbio di fondo.
«Adesso me lo può dire, ingegnere: è veramente entrato nella stanza rimuovendo il condizionatore?» chiese.
«Ma quale condizionatore» – rispose l’ingegnere – «è stato facilissimo entrare nella stanza: voi applicate i sigilli di carta incollandoli uno sull’altro, sempre allo stesso posto: dopo dieci giorni si erano formati due cartoncini che, con una lametta, è stato facilissimo staccare alla base senza romperli. Sono entrato con la chiave e, dopo, li ho rincollati perfettamente intatti».
Lasciamo all’intelligenza del cortese Lettore gli ammaestramenti e i rimedi suggeriti dall’avventuroso episodio: da quel momento i verificatori evitarono comunque – nelle successive operazioni di verifica – di incollare uno sull’altro i sigilli di carta ed integrarono il sistema interdittivo dell’accesso avvolgendo anche le ante della porta con uno spago, le cui estremità venivano assicurate con piombo pressato con tenaglia ufficiale dell’ufficio. Furono inoltre sempre molto più analitici nella descrizione dei documenti in trattazione, che potessero sfociare nella prova di violazioni.
Terminiamo non senza aver prima precisato che i verificatori – sul piano umano – accolsero, qualche tempo dopo, con sentimento consolatorio la notizia che la severa sanzione della reclusione, giustamente irrogata dal Tribunale per la violazione dei sigilli, era stata accompagnata dalla concessione della sospensione condizionale della pena.

Prof. Gaetano Nanula

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