30 Ottobre, 2013

Accertamento imposte sui redditi – Accertamento basato sugli studi di settore – Insufficienza dei soli studi di settore – Necessità della sussistenza dei presupposti di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni comprovanti gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e condizioni dell’attività svolta – Necessità di valutare la situazione concreta del contribuente – Sussiste – Omissione di tale valutazione – Illegittimità dell’accertamento – Consegue.

L’art. 39, primo comma, lett. d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e l’art. 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, consentono l’accertamento sulla base degli studi di settore di cui all’art. 62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427), ma la legittimità di tale indagine è condizionata dalla sussistenza dei presupposti di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni, poiché lo studio di settore non può essere sufficiente di per sé a fondare l’accertamento, ma deve trovare la sua legittimità logico-giuridica in un contesto di elementi che facciano desumere una grave incongruenza ritenuta fondamentale per utilizzare tale forma di ricostruzione presuntiva dei ricavi, considerato che gli studi di settore costituiscono un importantissimo ausilio dell’accertamento che deve però considerare la situazione concreta del contribuente, a pena di nullità dell’accertamento medesimo.

[Commissione trib. regionale della Liguria, sez. VIII (Pres. Delucchi, rel. Chiti), 25 ottobre 2012, sent. n. 132]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – M.A., titolare dell’impresa di fabbricazione di ondulati ed imballaggi di carta e cartoni, impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’ufficio, in applicazione degli studi di settore, determinava il ricavo di riferimento in Euro 1.701.764,00 a fronte di un ricavo dichiarato di Euro 1.524.446,00.
La contribuente, nel ricorso, contestava puntualmente la ricostruzione dei ricavi effettuata dall’ufficio asserendo che era frutto di una erronea interpretazione dei dati analizzati.
In diritto riteneva la illegittimità dell’avviso di accertamento per difetto assoluto di motivazione per insussistenza dei requisiti previsti dall’art. 62-sexies comma 3 del D.L. n. 331 del 1993 nonché dell’art. 42 D.P.R. n. 600 del 1973 e art. 56 comma 2 D.P.R. n. 633 del 1972.
Chiedeva, pertanto, l’annullamento dell’avviso di accertamento.
L’Ufficio, nelle controdeduzioni, sosteneva la correttezza del proprio operato e ribadiva la legittimità dell’atto impositivo.
La Commissione Tributaria Provinciale di Imperia, con sentenza n. 89/05/09 accoglieva il ricorso, annullando l’avviso di accertamento.
Avverso questa decisione proponeva appello l’Ufficio, che sosteneva la illogicità ed erroneità della sentenza ribadendo la validità degli studi di settore. Esponeva, inoltre, di non aver basato l’azione sulla mera applicazione degli studi di settore, ma di avere esaminato gli elementi contabili dell’azienda.
Chiedeva, in conclusione, l’accoglimento dell’appello in totale riforma della sentenza impugnata.
La contribuente depositava controdeduzioni ed appello incidentale, ribadendo le motivazioni già svolte in primo grado e chiedendo il rigetto dell’appello con vittoria delle spese di causa.

[-protetto-]

MOTIVI DELLA DECISIONE – L’art. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 600 del 1973 e art. 54 D.P.R. n. 633 del 1972 consente l’accertamento sulla base degli studi di settore di cui all’art. 62 bis del D.L. n. 331 del 1993, ma la legittimità di tale indagine è condizionata dalla sussistenza dei presupposti di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni.
Lo studio di settore non può essere sufficiente di per sé a fondare l’accertamento, ma “deve trovare la sua legittimità logico-giuridica in un contesto di elementi che fanno desumere una grave incongruenza ritenuta fondamentale per utilizzare tale forma di ricostruzione presuntiva dei ricavi (Cass. Sent. 2891/02 ).
Ritiene, ancora, la Suprema Corte che lo studio di settore sia “un importantissimo ausilio” dell’accertamento, che, peraltro deve considerare la situazione concreta del contribuente (Cass. Sent. n. 19163/03 e sent. n. 2411/06 ).
Il presente avviso avviso di accertamento difetta, anzitutto, di motivazione, non essendo state indicate le gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli determinati dall’applicazione degli studi di settore.
Non ha, infatti, tenuto conto l’Ufficio della situazione concreta dell’azienda che, nel corso degli anni 2004-2005 e 2006, ha operato una ristrutturazione sia organizzativa che logistica con rilevanti investimenti economici.
L’Ufficio non ha poi esaminato con attenzione le disposizioni date dalla stessa Agenzia delle Entrate con la circolare n. 5 del 23/1/2008 che esplicitamente afferma la insufficienza della mera applicazione degli studi di settore alla realtà delle singole aziende.
Così si legge: “… la fondatezza della stima dipende … 1) dalla capacità del campione di rappresentare in modo adeguato le situazioni di “normalità economica” di una determinata realtà produttiva … 2) dalla effettiva coincidenza della situazione del singolo contribuente oltre che con quella propria della realtà produttiva anche con quella di “normalità economica” … (questa) circostanza deve invece essere di volta in volta appurata valutando attentamente le caratteristiche del singolo contribuente onde stabilire se la situazione produttiva coincida effettivamente con quella del gruppo o dei gruppi omogenei in cui viene classificata”. La contribuente ha altresì dato idonea giustificazione della mancata presentazione al contraddittorio presso l’Ufficio di Sanremo presentandosi qualche giorno dopo, ma le venne risposto che il controllo era già stato chiuso.
A prescindere dal fatto che l’Ufficio avrebbe ben potuto ascoltare la contribuente e ottenere così le informazioni sullo stato economico dell’azienda che la stessa voleva fornirgli.
Si osserva ancora sul punto, che una seconda convocazione potrebbe essere prevista, prima di procedere alla emissione dell’accertamento, entro un breve periodo di tempo.
L’accertamento non ha, inoltre tenuto in nessuna considerazione il fatto rappresentato dalla contribuente sulla non coincidenza della situazione aziendale con quella del gruppo omogeneo, ciò in quanto la ditta non svolgeva soltanto attività di produzione di imballaggi in cartone ondulato, ma anche quella di commercializzazione dei prodotti acquistati da terzi e non trasformati e lavorati dall’impresa. Ciò risultava evidente dai bilanci del 2005.
Pertanto la produzione dell’azienda era diversa da quella presa a confronto dai campioni degli studi di settore applicati.
Infine l’Ufficio ha agito senza tener conto della Circolare n. 23/E del 22/6/2006 che affermava: “Si segnala all’attenzione degli Uffici che il settore cartotecnico trasformatore è stato caratterizzato, negli ultimi anni, da un modesto incremento della produzione e da una contemporanea diminuzione del fatturato”.
Da quanto sopra se ne desume che, nella fattispecie, non vi erano i presupposti per procedere all’accertamento e comunque da quanto emerso dagli atti di causa l’avviso di accertamento deve considerarsi affetto da nullità.
La complessità della materia giustifica la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M. – Rigetta l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale Ufficio Controlli Imperia e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza e dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio.

La motivazione dell’accertamento standardizzato quando

il contribuente ha disertato il contraddittorio

Dopo l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia di avvisi di accertamento “standardizzati” (1), molti hanno ritenuto che il contenzioso tra l’Agenzia delle entrate e i contribuenti, sulla legittimità e fondatezza degli atti impositivi fondati sull’applicazione di parametri e studi di settore, fosse destinato a ridursi notevolmente, oltre che a trovare soluzioni univoche presso i giudici tributari.
In effetti una riduzione di quel contenzioso certamente c’è stata, grazie anche al decisivo contributo di altri fattori, tra i quali principalmente il ricorso di un numero sempre maggiore di contribuenti all’istituto della definizione dell’accertamento con adesione, negli ultimi tempi particolarmente incentivato dal nostro legislatore (2).
Qualche delusione, invece, è venuta dalla giurisprudenza tributaria di merito che ha continuato a fornire soluzioni ondivaghe in subiecta materia, spesso travisando gli insegnamenti della Suprema Corte, come dimostra la sentenza in rassegna.
Nel caso di specie l’Agenzia delle entrate aveva accertato, per l’anno d’imposta 2005, un maggior reddito d’impresa nei confronti di una imprenditrice che produceva «ondulati e imballaggi di carta e cartone», nel presupposto che quest’ultima avesse dichiarato ricavi inferiori al «ricavo di riferimento» indicato dagli studi di settore.
La contribuente impugnava l’avviso di accertamento contestandone l’illegittimità per «difetto assoluto di motivazione per insussistenza dei requisiti previsti dalla legge» e l’infondatezza della ricostruzione induttiva dei ricavi per «erronea interpretazione dei dati analizzati» dall’Ufficio.
La Commissione tributaria provinciale di Imperia accoglieva il gravame e annullava l’atto impugnato.
La sentenza veniva impugnata dall’Ufficio che, oltre a ribadire la legittimità del proprio operato, evidenziava di non aver basato l’azione accertatrice sulla mera applicazione degli studi di settore, ma di avere anche «esaminato gli elementi contabili dell’azienda».
L’Agenzia delle entrate, tuttavia, non è riuscita a convincere la Commissione tributaria regionale della Liguria, che ha rigettato l’appello e confermato la sentenza impugnata.
Dopo avere indicato le disposizioni di legge che «consentono l’accertamento sulla base degli studi di settore», il Collegio ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo la quale lo strumento statistico non sarebbe «di per sé sufficiente a fondare l’accertamento», trattandosi piuttosto di un «importantissimo ausilio» che, ai fini dell’accertamento del reddito, deve considerare la situazione concreta del contribuente.
Fatte queste premesse di carattere generale, la Commissione tributaria regionale della Liguria ha ravvisato in primo luogo il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, «non essendo state indicate le gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli determinati dall’applicazione degli studi di settore».
Infatti, proseguono i giudici liguri, l’Ufficio non avrebbe tenuto conto della situazione concreta dell’azienda che nel corso del triennio 2004-2005-2006 aveva «operato una ristrutturazione sia organizzativa che logistica con rilevanti investimenti economici».
Pertanto è stato rimproverato all’Agenzia delle entrate di non avere tenuto conto dei documenti di prassi (3) nei quali si riconosce «l’insufficienza della mera applicazione degli studi di settore alla realtà delle singole aziende».
Peraltro, sottolinea la Commissione, la contribuente aveva dato «idonea giustificazione della mancata presentazione al contraddittorio presso l’Ufficio di Sanremo presentandosi qualche giorno dopo, ma le venne risposto che il controllo era già chiuso», mentre l’Ufficio ben avrebbe potuto ascoltarla e ottenere così «le informazioni sullo stato economico dell’azienda». Secondo la Commissione tributaria regionale, infatti, «una seconda convocazione potrebbe essere prevista, prima di procedere alla emissione dell’accertamento, entro un breve periodo di tempo».
I giudici, inoltre, hanno sottolineato che l’Ufficio aveva comunque errato nel non considerare la circostanza, rappresentata dall’appellata, secondo la quale la situazione aziendale «non coincideva con quella del gruppo omogeneo, in quanto la ditta non svolgeva soltanto attività di produzione di imballaggi in cartone ondulato, ma anche quella di commercializzazione dei prodotti acquistati da terzi e non trasformati e lavorati dall’impresa». Dunque, «la produzione dell’azienda era diversa da quella presa a confronto dai campioni degli studi di settore applicati».
Infine la Commissione d’appello ha censurato l’operato dell’Ufficio perché non aveva tenuto conto di una ulteriore circostanza meritevole di considerazione, evidenziata dalla stessa Amministrazione centrale nella circolare 22 giugno 2006, n. 23/E (4), ovvero che «il settore cartotecnico trasformatore è stato caratterizzato, negli ultimi anni, da un modesto incremento della produzione e da una contemporanea diminuzione del fatturato».
Di qui la conclusione che «nella fattispecie non vi erano i presupposti per procedere all’accertamento e comunque da quanto emerso dagli atti di causa l’avviso di accertamento deve considerarsi affetto da nullità».
Precisiamo subito che, per quanto emerge dall’annotata sentenza, la decisione ivi assunta di confermare la pronuncia di primo grado e, con essa, l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato, appare del tutto condivisibile.
La pretesa impositiva fatta valere con il suddetto atto, ad avviso di chi scrive, deve considerarsi certamente infondata se è vero, come afferma la Commissione tributaria regionale della Liguria, che «la situazione aziendale non coincideva con quella del gruppo omogeneo» considerato dallo studio di settore applicato e che «la produzione dell’azienda era diversa da quella presa a confronto dai campioni degli studi di settore applicati».
Ricordiamo, a tale proposito, che anche secondo la Suprema Corte «la non perfetta rispondenza tra l’attività esercitata dall’imprenditore e quella presa in considerazione dallo studio di settore applicato» è motivo sufficiente per annullare un avviso di accertamento standardizzato (5).
Non altrettanto condivisibile, invece, è l’affermazione secondo la quale sussisterebbe il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato non essendo state in esso indicate «le gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli determinati dall’applicazione degli studi di settore».
Sul punto la Commissione tributaria regionale della Liguria non si è allineata all’autorevole insegnamento della Suprema Corte, di cui pure ha richiamato alcuni precedenti.
Nel caso di specie, ci sembra di capire, la contribuente era stata regolarmente invitata al contraddittorio ma non si era presentata il giorno indicato dall’Ufficio delle entrate di Sanremo, bensì «qualche giorno dopo».
Ora, tralasciando ogni considerazione sull’illazione dei giudici secondo cui l’Ufficio avrebbe potuto ugualmente ascoltare la contribuente o convocarla una seconda volta, il dato di fatto certo e incontestato è che, nel giorno indicato dall’Agenzia delle entrate, quella contribuente aveva disertato il contraddittorio, nonostante a tal fine avesse ricevuto un rituale invito.
Tale circostanza, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, consentiva (e consente) all’Ufficio di motivare l’avviso di accertamento sulla base della sola applicazione degli standards, dando conto in motivazione semplicemente dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente nonostante il rituale invito (6).
Naturalmente, e sempre secondo la richiamata giurisprudenza di legittimità, restava (e resta) salva la possibilità per il contribuente di provare in sede contenziosa, senza limitazione alcuna di mezzi, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’atto impositivo si riferisce, ciò che è puntualmente avvenuto nel caso esaminato dal Collegio ligure.
Per completezza dell’esposizione, vale segnalare che nei casi in cui il contribuente diserti il contraddittorio amministrativo nonostante il rituale invito dell’Ufficio, la riconosciuta sufficienza della motivazione dell’avviso di accertamento che si limiti a dare atto di tale diserzione e dello scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dallo studio di settore rende superfluo l’esame di una ulteriore questione, ovvero se sia necessario che in quella motivazione si dia comunque conto dell’esistenza di “gravi incongruenze” tra i ricavi dichiarati e il “ricavo puntuale” indicato da Ge.ri.co.
Tale questione, com’è noto, si è posta in virtù del fatto che l’art. 62-sexies del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427), dispone che gli accertamenti analitico-induttivi previsti dall’art. 39, primo comma, lett. d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dall’art. 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, possano essere fondati anche sull’esistenza di «gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’articolo 62-bis del presente decreto».
Di qui l’assunto che negli avvisi di accertamento standardizzati si dovesse dare specificamente conto della sussistenza di quelle “gravi incongruenze”, pena l’illegittimità dell’atto impositivo.
Invero, che l’esistenza di tali “gravi incongruenze” condizioni la validità dell’intero procedimento accertativo è opinione, anche questa, diffusa e ormai ampiamente condivisa.
Non a caso anche tale questione è stata specificamente affrontata dalla Suprema Corte nel richiamato intervento chiarificatore del 2009, stabilendosi che «gli studi di settore rappresentano la predisposizione di indici rilevatori di una possibile anomalia del comportamento fiscale, evidenziata dallo scostamento delle dichiarazioni dei contribuenti relative all’ammontare dei ricavi o dei compensi rispetto a quello che l’elaborazione statistica stabilisce essere il livello “normale” in relazione alla specifica attività svolta dal dichiarante. Lo scostamento non deve essere “qualsiasi”, ma testimoniare una “grave incongruenza” (come espressamente prevede l’art. 62-sexies, comma 3, del D.L. n. 331 del 1993, e come deve interpretarsi, in una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva, l’art. 10, comma 1, della L. n. 146 del 1998, nel quale pur essendo presente un diretto richiamo alla norma precedentemente citata, non compare in maniera espressa il requisito della gravità dello scostamento): tanto legittima l’avvio di una procedura finalizzata all’accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore devono essere “corretti”, in contraddittorio con il contribuente, in modo da “fotografare” la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell’ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa “incoerenza” con la “normale redditività” delle imprese omogenee considerate nello studio di settore applicato».
E non a caso, dopo tali considerazioni, la Corte ha ribadito «ancora una volta, che è il contraddittorio … l’elemento determinante per adeguare alla concreta realtà economica del singolo contribuente l’ipotesi dello studio di settore».
Tuttavia, anche le affermazioni che precedono sono contenute in quella che possiamo definire la sentenza-manifesto (7) in materia di accertamenti standardizzati, nella quale, come abbiamo visto, è stato conclusivamente stabilito, tra gli altri, il principio di carattere generale secondo il quale la mancata partecipazione del contribuente al contraddittorio, nonostante il rituale invito dell’Ufficio, consente a quest’ultimo di motivare l’atto impositivo sulla base della sola applicazione degli standards, e dunque, aggiungiamo noi, in tali casi nessuna indicazione deve essere fornita in merito alla sussistenza di “gravi incongruenze” tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dallo studio di settore applicato.

Dott. Domenico Carnimeo

(1) Cass., sez. un., 18 dicembre 2009, nn. 26635, 26636, 26637 e 26638, in Boll. Trib., 2010, 303, con nota di M. PROIETTI, Presunzioni semplici quelle di parametri e studi di settore: la lettura costituzionalmente orientata delle Sezioni Unite.
(2) Tra gli interventi più recenti segnaliamo l’art. 10, commi da 9 a 13, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214).
(3) In particolare circ. 23 gennaio 2008, n. 5/E, in Boll. Trib., 2008, 207.
(4) In Boll. Trib., 2006, 1009.
(5) In tal senso Cass., sez. VI, 31 agosto 2010, ord. n. 18941, in Boll. Trib. On-line.
(6) In tal senso, accanto a Cass. n. 26635/2009, cit., segnaliamo le recentissime Cass., sez. VI, 18 gennaio 2013, ord. n. 1289, e Cass., sez. trib., 31 gennaio 2013, n. 2368, entrambe in Boll. Trib., 2013, 785 ss.

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