13 Marzo, 2014

L’art. 19 della storica legge 7 gennaio 1929, n. 4, sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie prevedeva che «il successore a qualsiasi titolo per atto tra vivi in una azienda commerciale o industriale è obbligato verso l’amministrazione finanziaria in solido col suo autore per il pagamento, oltre che del tributo, della sopratassa e della pena pecuniaria, che siano state applicate per violazioni delle norme concernenti i tributi relativi all’azienda per l’anno in cui ha luogo il trasferimento e per i due anni precedenti». La norma intendeva evitare che l’Amministrazione finanziaria potesse perdere i suoi crediti in occasione di operazioni straordinarie quali quelle che comportano il trasferimento dell’azienda(1).

 L’art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ha attualizzato questa garanzia, unitamente a quella prevista dagli artt. 66 e 80 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (2).

 La nuova disposizione prevede «il beneficio della preventiva escussione del cedente», limita la responsabilità del cessionario al valore dell’azienda ceduta e «al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza».

 Colui che subentra nell’azienda è dunque collegato, attraverso il meccanismo della responsabilità solidale, a colui che la cede (3). Una tipica solidarietà dipendente.

 Si versa in questa ipotesi quando il presupposto del tributo coinvolge nel pagamento dell’imposta anche soggetti diversi rispetto a quelli a cui il presupposto stesso risulta riferibile. In questi casi, il soggetto terzo non viene coinvolto perché ha realizzato quel presupposto, ma soltanto perché la legge lo chiama a garantire l’interesse fiscale ad una sicura esazione delle imposte (4).

 All’interno di questo istituto, poi, c’è da distinguere tra solidarietà dipendente contestuale e solidarietà successiva. Ipotesi quest’ultima che si verifica quando gli elementi che la fanno insorgere emergono in un momento successivo rispetto a quello in cui nasce il debito di imposta.

 Il caso che ci occupa integra la seconda di queste ipotesi.

 

[-protetto-]

La solidarietà non insorge infatti nel momento in cui la ditta cedente realizza il presupposto impositivo, ma quando essa cede la titolarità giuridica dell’azienda a mezzo della quale ha realizzato detto presupposto. È in questo secondo momento che la ditta acquirente diventa responsabile delle violazioni commesse dal venditore nell’anno in cui avviene la cessione e nei due precedenti. Solidarietà dipendente successiva, dunque.

 Quando il terzo acquista l’azienda, il solo elemento di incertezza che connota la sua responsabilità dipende dal comportamento del cedente, l’obbligato principale, e dipende dal fatto che questi adempia o meno alla sua obbligazione. Solo se questi non pagherà «il debito risultante ecc.», il soggetto cessionario sarà coinvolto nel procedimento di riscossione.

 Questa responsabilità non è senza limiti ma è soggetta alle limitazioni a cui abbiamo già fatto cenno: il cessionario risponde soltanto del debito che risulta «alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento». Questi ultimi possono inoltre richiedergli l’adempimento di tale debito soltanto dopo l’inutile esecuzione nei confronti del cedente.

 Il cessionario non risponde infine di qualsiasi debito, ma soltanto di quelli relativi all’azienda o al ramo d’azienda acquistato.

 Su questo punto, la norma in esame non è esplicita ma chiaro è il contenuto dell’art. 3, comma 133, della legge delega 23 dicembre 1996, n. 662, laddove disponeva la «previsione di una obbligazione solidale a carico della persona … che si giova o sul cui patrimonio si riflettono gli effetti economici della violazione anche con riguardo ai casi di cessione di azienda». Una lettura correttamente orientata a questo spirito informatore porta dunque a ritenere che il cessionario risponda delle violazioni commesse dal cedente entro i limiti degli effetti economici che si sono prodotti sul patrimonio da lui acquisito.

 Lo strumento per individuare questo limite è il criterio dell’inerenza. In questo senso saranno inerenti soltanto le violazioni che hanno riverberato effetti economici nei riguardi dell’azienda ceduta «sul cui patrimonio si riflettono», dice esattamente la legge.

 Il terzo comma dell’art. 14 prevede che l’interessato possa richiedere all’Ufficio «un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono ancora soddisfatti».

 Questa facoltà attiene evidentemente alla prova della entità del debito. Di certo non rappresenta, come da alcune parti si adombra (5), la condizione a cui il cessionario deve assoggettarsi per limitare la sua responsabilità solidale alle contestazioni in corso e a quelle già definite ma non soddisfatte dal cedente (6). Secondo siffatta logica, chiedendo tale certificazione, il cessionario paralizzerebbe o quanto meno limiterebbe la fattispecie che fa insorgere la sua responsabilità.

 Il ruolo della certificazione è altro che questo. La sua funzione non è quella di differenziare il regime di responsabilità fra chi chiede il certificato e chi non lo fa, concedendo soltanto al primo la limitazione della responsabilità ai debiti risultanti «agli atti degli uffici» nel momento in cui si verifica il trasferimento della titolarità dell’azienda. Più semplicemente, la sua funzione è quella di offrire al cessionario l’opportunità di conoscere preventivamente quale sia l’entità del debito per il quale egli si renderebbe garante qualora acquistasse l’azienda. Una sorta di precauzione a tutela del principio di capacità contributiva, che la norma in esame mette indubbiamente a dura prova.

 Se è vero infatti che l’applicazione di questo principio non esclude che la legge possa stabilire prestazioni tributarie anche a carico di soggetti diversi rispetto a quello che realizza il presupposto d’imposta, è altrettanto vero, come afferma la Consulta (7), che questi terzi non debbono essere estranei al presupposto d’imposta e, ancora, che il collegamento utilizzato per individuare questi soggetti e per stabilire l’ampiezza della loro responsabilità non sia irragionevole.

 Non è un caso che nella circolare 10 luglio 1998, n. 180/E (8), la Direzione centrale dell’accertamento abbia previsto che questo certificato possa «essere richiesto in qualsiasi tempo, sia prima che dopo la cessione». Ciò in quanto, si legge, l’obbligazione del cessionario è «fissata con riferimento al debito risultante “alla data del trasferimento” dell’azienda o del ramo di azienda».

 In questo senso può dunque affermarsi che la responsabilità del cessionario non è illimitata ma legata alle obbligazioni già accertate dall’Ufficio. Non basta dunque che il cedente abbia commesso violazioni nell’arco temporale previsto dalla norma, occorre anche, per configurare la responsabilità del cessionario, che queste violazioni siano state già accertate alla data del trasferimento.

 La norma non responsabilizza dunque il cessionario per obbligazioni future o condizionali, legate cioè ad un avvenimento futuro e incerto che potrebbe compiere l’Ufficio o il cedente (9), obbligandolo soltanto per quelle già accertate all’atto del trasferimento. E dunque oggettivamente determinabili, anche se, in quel momento, da lui non conosciute. Esattamente il principio alla base dell’art. 2560 c.c. laddove limita la responsabilità del cessionario dell’azienda ai debiti che «risultano dai libri contabili obbligatori».

 Il beneficium excussionis, a cui più sopra si è accennato, rappresenta un altro preciso limite alla responsabilità in parola.

 A differenza di quanto avviene nell’ambito del diritto civile, in cui questo beneficio entra in gioco soltanto nella fase della esecuzione (10), come condizione dell’azione esecutiva, nel caso che ci occupa costituisce un presupposto per l’iscrizione a ruolo stessa. Intanto l’Amministrazione finanziaria può iscrivere a ruolo nei confronti del cessionario dell’azienda il debito tributario che fa capo al cedente, in quanto l’esecuzione forzata contro quest’ultimo sia risultata infruttuosa.

 Il perché di questo asserto è presto detto.

 Chi contesta avanti al giudice la mancata osservanza della preventiva escussione del debitore principale, propone, si è appena visto, una opposizione all’esecuzione.

 Nel caso in ispecie, il difetto di una condizione dell’azione come quella che ci interessa andrebbe pertanto eccepita nei confronti dell’esattore, competendo a lui la titolarità dell’azione esecutiva (11).

 Il fatto è che l’art. 57 del D.P.R. n. 602/1973 sulla riscossione vieta espressamente «le opposizioni regolate dall’art. 615 del codice di procedura civile». Questo significa che l’esattore non può essere convenuto in giudizio in relazione alla preventiva escussione del debitore principale.

 Resta l’Ufficio, legittimato a contraddire in relazione al contenuto e al procedimento di formazione del ruolo (12).

 In ambito civilistico, dalla cui prassi stiamo attingendo per esaminare la nostra questione, il creditore può agire contemporaneamente in sede di cognizione sia nei confronti del debitore principale che del coobbligato a cui spetta il beneficio della preventiva escussione (13).

 Se questo ius receptum civilistico fosse estensibile anche al nostro caso, se dunque l’Ufficio potesse procurarsi il titolo esecutivo dell’iscrizione a ruolo senza attendere l’esito della esecuzione nei confronti del cedente, il cessionario non avrebbe azione per garantirsi il rispetto di questa condizione. Non l’avrebbe nei confronti dell’esattore, perché lo vieta l’art. 57. Non l’avrebbe nei confronti dell’Ufficio poiché la contemporanea iscrizione a ruolo nei confronti del cedente e del cessionario non sarebbe censurabile.

 Nei fatti, egli non avrebbe azione per limitare la sua responsabilità nei confronti dell’erario alla sola eventuale differenza non pagata dal suo dante causa.

 Pur vero che gli argomenti non si risolvono adducendo inconvenienti, è tuttavia vero che quanto ora esposto si collega ad una speculazione interpretativa da cui, ad esempio, dissente la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione 8 maggio 2003, n. 7000 (14). La preventiva escussione, dice il Supremo organo, costituisce «un presupposto fondante l’azione di riscossione coattiva». Come tale deve «essere provato adeguatamente dall’Amministrazione procedente». E, dunque, prima della iscrizione a ruolo.

 D’altra parte, se il principio che si enuncia con il broccardo nulla executio sine titulo deve valere anche per il terzo coobbligato, ciò significa che non si può procedere ad esecuzione nei confronti di quest’ultimo senza che la sequenza procedimentale che porta alla formazione del titolo non sia passata attraverso il riscontro di un tale presupposto. Senza che, in buona sostanza, sia emerso che il patrimonio del cedente non fosse stato sufficiente a soddisfare la sua obbligazione.

 La legge non dice se il cessionario debba o meno essere raggiunto da un qualche atto preventivamente formato anche nei suoi confronti. Un atto che contenga l’accertamento dei presupposti sui quali si basa la sua responsabilità.

 La legge tributaria regolamenta ipotesi in cui l’iscrizione a ruolo nei confronti del terzo responsabile deve essere preceduta dalla notifica di un antecedente. Tra queste, si può ricordare il quinto comma dell’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973 secondo cui la responsabilità dei liquidatori delle persone giuridiche, degli amministratori in carica all’atto dello scioglimento e dei due precedenti periodi d’imposta, dei soci e degli associati che hanno ricevuto danaro o altri beni sociali, deve essere «accertata dall’ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell’art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600». Ancora, ad esempio, si può ricordare il secondo comma dell’art. 43-bis del medesimo decreto secondo cui il cessionario dei crediti d’imposta «risponde in solido con il contribuente fino a concorrenza delle somme indebitamente rimborsate, a condizione che gli siano notificati gli atti con i quali l’ufficio delle entrate o il centro di servizio procedono al recupero delle somme stesse».

 Nel caso specifico la legge invece tace, sicché si deve convenire con la posizione assunta dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 255/2012 a cui abbiamo già fatto cenno. È «legittima la richiesta di pagamento al condebitore solidale senza previa notifica nei suoi confronti di alcun avviso» (15).

 Se così è, se per coinvolgere il cessionario nel pagamento dei debiti facenti carico al cedente non occorre alcun preventivo avviso di accertamento, in quanto la sua posizione entra direttamente in gioco nella fase della riscossione coattiva di cui agli artt. 45 e segg. del D.P.R. n. 602/1973, resta da verificare il problema della motivazione del ruolo.

 A questo proposito, soccorre l’art. 12, terzo comma, del D.P.R. n. 602/1973, laddove afferma che, in mancanza dell’eventuale precedente atto di accertamento, il ruolo deve contenere «la motivazione, anche sintetica, della pretesa». Altrettanto preciso è il contenuto dell’art. 7, terzo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212, sullo Statuto dei diritti del contribuente: «Sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria» (16).

 Ne consegue che la cartella di pagamento, primo atto che il cessionario coobbligato riceve, deve essere motivata in modo da permettergli la chiara comprensione delle ragioni della richiesta di pagamento.

 A questo proposito anche la posizione del giudice di legittimità è chiara: «l’obbligo di una congrua, sufficiente ed intelligibile motivazione non può essere riservato ai soli avvisi di accertamento, atteso che alla cartella di pagamento devono ritenersi comunque applicabili i principi di ordine generale indicati per ogni provvedimento amministrativo dall’art. 3 l. n. 241/90 (poi recepiti, per la materia tributaria, dall’art. 7 l. n. 212/00), ponendosi, una diversa interpretazione, in insanabile contrasto con gli art. 3 e 24 cost., tanto più quando tale cartella non sia stata preceduta da un motivato avviso di accertamento» (17).

 In conclusione, il cessionario d’azienda risponde soltanto dei debiti che risultano «alla data del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’amministrazione finanziaria». Soprattutto, risponde soltanto del debito che residua in capo al cedente dopo che ne sia stato escusso il patrimonio. Di tutto questo, la cartella di pagamento deve contenere puntuale motivazione, così come previsto dall’art. 12 del D.P.R. n. 602/1973.

Avv. Bruno Aiudi

 

 (1) Cfr. R. Napolitano, La responsabilità tributaria del cessionario d’azienda, in Boll. Trib., 1984, 1400.

 (2) Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, ha implicitamente abrogato gli artt. 66 e 80 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, che sono stati invece esplicitamente soppressi dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46.

(3) Il classico responsabile d’imposta di cui all’art. 64 del D.P.R. 29 settembre 1973, 600: «chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili». Cfr. P. Accordino, Il responsabile d’imposta e gli effetti della solidarietà tributaria, in Riv. dir. trib., 2008, 1025.

 (4) Chiara, a questo proposito, Cass., sez. trib., 12 gennaio 2012, n. 255, in Boll. Trib., 2012, 859, con nota di P. Accordino, Ammissibilità dell’intervento adesivo dipendente nel processo tributario, laddove, riferendosi alla norma di cui all’art. 14, terzo comma, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ha ritenuto ammissibile l’intervento dei terzi «che potrebbero essere chiamati ad adempiere l’obbligazione tributaria, in quanto la legge li riconosce solidalmente responsabili perché, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, la loro posizione è collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo».

 (5) Tra queste, anche alcuni Uffici, come nel caso deciso da Comm. trib. prov. di Ancona, sez. II, 20 ottobre 2011, n. 330, in Boll. Trib. On-line.

 (6) Contra L. Gorgoglione, La cessione di azienda e le altre operazioni societarie straordinarie, in Le sanzioni tributarie non penali, Milano, 1999, 119; e G. Marini, Note in tema di responsabilità per i debiti tributari dei cessionari di azienda, in Riv. dir. trib., 2009, 181.

 (7) Corte Cost. 13 giugno 2008, ord. n. 211, in Boll. Trib. On-line: «a) il principio di capacità contributiva non esclude che la legge possa stabilire prestazioni tributarie a carico, oltreché del debitore principale, anche di altri soggetti, purché non estranei al presupposto d’imposta, costituendo unico limite alla discrezionalità del legislatore la non irragionevolezza del criterio di collegamento utilizzato per l’individuazione dei predetti responsabili d’imposta (sentenza n. 184 del 1989, ordinanze n. 301 del 1988 e n. 316 del 1987)». Nello stesso senso Corte Cost. 20 dicembre 2000, n. 557, in Boll. Trib., 2001, 395.

 (8) In Boll. Trib., 1998, 1173.

 (9) Quest’ultimo, ad esempio, nel contesto delle dichiarazioni periodiche o annuali che andrà a presentare in relazione al periodo d’imposta in cui è avvenuta la cessione dell’azienda.

 (10) Cass., sez. III, 14 novembre 2011, n. 23749, in Mass. Foro it., 2011, 920: «L’opposizione del socio di società di persone illimitatamente responsabile avverso il precetto notificatogli dal creditore sociale … con la quale si fa valere la mancata osservanza dell’art. 2304 c.c., si configura come opposizione all’esecuzione, in quanto attiene ad una condizione dell’azione esecutiva nei confronti del socio, e, quindi, al diritto del creditore sociale di agire esecutivamente ai danni di quest’ultimo»; nello stesso senso, Cass., sez. I, 16 gennaio 2009, n. 1040, in Foro it., 2010, I, 214: «Il beneficio d’escussione previsto dall’art. 2304 c.c. ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società».

(11) L’agente della riscossione, a cui è demandato il compito di soddisfare i crediti che risultano elencati nel ruolo che gli viene consegnato, non è legittimato ad interloquire davanti al giudice tributario in relazione al contenuto di questo ruolo e nemmeno in relazione alla fase a monte della sua formazione. Risponde invece per la procedura a valle, quella della riscossione.

(12) Questo dato, e cioè la possibilità di impugnare davanti al giudice tributario l’atto impositivo farebbe venir meno, dice Corte Cost. 13 aprile 2011, ord. n. 133, in Boll. Trib. On-line, il sospetto di illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 57 del D.P.R. n. 602/1973 nel punto cui in cui, vietando le opposizioni di cui all’art. 615 c.p.c., impedirebbe al contribuente la possibilità di contestare il diritto dell’Amministrazione finanziaria a procedere esecutivamente.

(13) Il beneficio d’escussione previsto dall’art. 2304 c.c. dice Cass. n. 1040/2009, cit., «non impedisce allo stesso creditore d’agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest’ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito».

(14) In Boll. Trib. On-line.

 (15) Tra le altre Cass., sez. I, 29 ottobre 1997, n. 10638, in Boll. Trib., 1998, 1336, è legittima la notifica ai soci di una società in nome collettivo dell’avviso di mora per il pagamento di ritenute alla fonte operate dalla società, ma non versate all’erario, senza la preventiva notifica ai soci stessi di un avviso motivato diretto all’accertamento della loro responsabilità, atteso che essi debbono rispondere dello stesso debito dichiarato dalla società e tale loro responsabilità, quindi, non è ricollegabile allo svolgimento di una qualche attività rilevante per il fisco che richieda di essere accertata, ma, ai sensi dell’art. 2291 c.c., esclusivamente alla loro qualità di soci e, pertanto, di debitori solidalmente ed illimitatamente responsabili.

(16) Sul punto, ex pluribus, Cass., sez. trib., 4 agosto 2011, ord. n. 16983, in Boll. Trib. On-line: «In tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento, nell’ipotesi di liquidazione dell’imposta ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, costituisce l’atto con il quale il contribuente viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale e come tale deve essere motivata»; Cass., sez. trib., 25 maggio 2011, n. 11466, ivi: «In tema di riscossione delle imposte sul reddito, per la validità del ruolo e della cartella esattoriale, ex art. 25 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, … l’indicazione di circostanze univoche ai fini dell’individuazione di quell’atto, così che resti soddisfatta l’esigenza del contribuente di controllare la legittimità della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti»; Cass., sez. trib., 18 dicembre 2009, n. 26671, ivi: «In tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento, nell’ipotesi di liquidazione dell’imposta ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, costituisce l’atto con il quale il contribuente viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale e come tale deve essere motivata»; Cass., sez. trib., 16 dicembre 2009, n. 26330, in Boll. Trib., 2010, 462: «La cartella esattoriale, che non sia stata preceduta da un motivato avviso di accertamento, deve essere motivata in modo congruo, sufficiente ed intellegibile, tale obbligo derivando dai principi di carattere generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, dall’art. 3 l. n. 241 del 1990, e recepiti, per la materia tributaria, dall’art. 7 l. n. 212 del 2000».

(17) Cass. n. 26330/2009, cit.

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