24 Giugno, 2016

1. Sulla diretta e legittima impugnabilità davanti alle Commissioni tributarie di atti notificati o comunicati ai contribuenti, non elencati nominativamente nell’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ma sostanzialmente rivolti a portare a conoscenza dei destinatari una ben individuata pretesa tributaria, con l’indicazione dei presupposti dell’atto e dei termini per il versamento del tributo [come nel caso di specie, riguardante la riscossione della TARES (1) e delle altre tipologie di proventi collegati alla obbligatoria contribuzione per le spese del servizio comunale di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani], la Corte di Cassazione si è espressa in più occasioni in totale coerenza con le conclusioni dell’annotata sentenza (2).
Superate le altre questioni pregiudiziali (mancata indicazione nell’invito contestato dei modi e termini per la sua impugnabilità, estromissione dal giudizio del Comune, essendo la gestione del servizio assegnata a concessionario, ecc.), il Collegio giudicante è stato chiamato a decidere sulla questione di fondo, riguardante la congruità e conformità a legge della motivazione posta a fondamento della pretesa impositiva azionata con l’impugnato invito di pagamento.
Da quanto emerge dalle premesse in fatto dell’annotata, il contenuto dell’atto risultava limitato all’indicazione della somma da pagare, costituita da due elementi: tanto per “quota fissa” e tanto per “quota variabile” (3); seguivano poi indicazioni sulle modalità di versamento.
Nulla, in altri termini, chiariva ed esprimeva in ordine ai criteri e parametri seguiti per quantificare le due quote, i due addendi che costituivano la base della pretesa; troppo poco, o meglio, niente per consentire al contribuente la conoscenza e la verifica della conformità a legge e della congruità del tributo richiestogli. Di qui la deduzione dei giudici tributari reggiani di trovarsi di fronte ad un atto impositivo gravemente carente di motivazione e quindi da annullare, per violazione del principio codificato, in materia di tributi, dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (4).
Conclusione ineccepibile sul piano formale che tuttavia, per i limiti delle questioni in causa, non tocca il vero e grosso nodo della quantificazione non solo della TARES ma anche delle precedenti forme impositive sui rifiuti (TIA 1 e 2) e della vigente TARI, nodo sul quale chi scrive (vox clamantis in deserto) si è ripetutamente espresso: per tutti questi tributi, succedutisi nel tempo in sostituzione della famosa e vecchia TARSU, la tariffa da applicare a livello dei singoli Comuni non è determinata dalla legge, neppure con la fissazione di una misura massima individuale: viene quantificata in base ai criteri e parametri di un regolamento ministeriale, ancora in vigore sebbene formalmente collegato alla TIA del 1997: il D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158.
Il legislatore, in altri termini, ha delegato e continua a delegare al citato regolamento il compito fondamentale di definire il c.d. metodo normalizzato per la determinazione delle tariffe comunali dei tributi sui rifiuti, determinazione che, in concreto, avviene applicando tale metodo nella compilazione di un piano finanziario, redatto dal Comune interessato e dal gestore del servizio rifiuti, basato sulla ricostruzione dei costi di gestione del servizio, comprensivi degli investimenti e degli interventi necessari per il funzionamento del servizio (artt. 3 e 8 del D.P.R. n. 158/1999). Le osservazioni da fare in merito alla procedura ora accennata sono molteplici e sotto diversi profili: prioritario appare, al riguardo, il rilievo, già più volte espresso (5), del netto e stridente contrasto del meccanismo disposto per la determinazione delle tariffe a livello comunale dei tributi sui rifiuti con il principio costituzionale di “legalità” (art. 23 Cost.), tradotto in varie, specifiche norme legislative (6) nella carenza di potestà decisorie dei Comuni, in materia tributaria, per tutto quanto afferisce alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima dei singoli tributi, potestà di esclusiva competenza della legge statale.
Manca del tutto, insomma, nella normativa vigente sia per la TARES che per la preesistente TIA e per l’attuale TARI la determinazione legislativa dell’aliquota o tariffa massima del tributo; non può essere confusa con “aliquota massima” (che è un dato individuale) l’elemento della copertura del “costo complessivo”, che è un obiettivo della gestione del servizio, costo chiaramente diverso da Comune a Comune; deduzione, questa, che è facile da riscontrare nelle notevoli differenziazioni da tempo esistenti fra Comuni di equivalente popolazione e rilevanza nella determinazione delle tariffe applicabili per fattispecie identiche (7).
Altra osservazione da fare riguarda la totale mancanza di controlli e di verifiche sulla correttezza e congruità dei piani finanziari posti alla base delle tariffe comunali: chi, quale autorità, quale organo istituzionale può intervenire oggi per contestare i dati esposti nei piani in parola per quanto attiene, ad esempio, agli investimenti o agli interventi necessari per il funzionamento del servizio? (8)
Tutte considerazioni – abbiamo premesso – già scritte e alle quali si fa diretto rinvio (9).

2. La sentenza in esame, del tutto condivisibile nelle conclusioni di merito, condizionate dai limiti della do-manda di annullamento del provvedimento impugnato per difetto di motivazione, si conclude con la laconica e stereotipata formula della compensazione fra le parti delle spese di giudizio «stante la novità e la particolarità della materia del contendere».
Tale formula, accettata per anni sulla base della con¬clamata e piena discrezionalità in materia dei giudici, è ormai giuridicamente inaccettabile e sbagliata: il ri¬corrente aveva vinto la causa basata, peraltro, sulla do¬glianza della carenza di motivazione dell’atto impositivo (che è doglianza tipica e comune di tutti i ricorsi di primo grado), e la normativa ormai vigente dal 2006 e successive integrazioni (10), vale a dire il disposto attuale dell’art. 92 c.p.c., applicabile al contenzioso tributario, ha posto fine alla discrezionalità del giudice nell’ipotesi di piena vittoria di una delle parti in causa, imponendo la regola del “victus victori” come soluzione obbligata, derogabile, con la declaratoria della compensazione delle spese fra i contendenti, solo «vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti»; unicamente in tali ipotesi, difatti, «il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero» (11).
A tali nostre puntualizzazioni su un punto marginale di una, per tutto il resto, dotta e convincente sentenza siamo stati indotti dalla constatazione sorprendente della frequente disapplicazione della norma sopra richiamata da parte dei Collegi tributari di merito.
Peraltro l’uso e abuso della compensazione delle spese di giudizio in materia di contenzioso tributario hanno per anni influenzato negativamente la decisione dei contribuenti dinanzi ad atti impositivi iniqui e illegittimi; ricevuto l’atto, il contribuente è costretto a fare “il conto della serva”: vale la pena di ricorrere, tenendo conto delle spese di giudizio e della estesa prassi della loro compensazione?
I principi nobili e mirabili espressi dagli artt. 24 e 113 Cost. sulla piena prerogativa della difesa del cittadino dinanzi al giudice contro atti e comportamenti lesivi dei suoi diritti diventano, in concreto, affermazioni di principio e sostanziale utopia (12).

Eugenio Righi

(1) La TARES è stata istituita frettolosamente, come “anello di raccordo” fra i tributi sui rifiuti solidi in applicazione sino al 2012 (TARSU e TIA) e la programmata nuova TARI, applicabile dal 2014, dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214); gli elementi essenziali del nuovo e provvisorio tributo sono sostanzialmente identici a quelli dei precedenti tributi in materia, ma meritano di essere evidenziate l’estensione del nuovo tributo anche alle spese indivisibili dei Comuni e l’applicazione di una quota aggiuntiva a favore dello Stato.
(2) Ved., oltre a Cass., sez. trib., 26 marzo 2014, n. 7056, in Boll. Trib. On-line, e richiamata nella motivazione dell’annotata, anche Cass., sez. trib., 16 luglio 2010, n. 16713, in Boll. Trib., 2011, 637; Cass., sez. trib., 19 marzo 2014, n. 6395, ivi, 2014, 1730, con nota di D. CARNIMEO, La Suprema Corte riconosce piena validità alla notifica delle cartelle di pagamento eseguita mediante il servizio postale direttamente dall’agente della riscossione; e Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7344, ivi, 2012, 1547, con nota di P. ACCORDINO, Riconosciuta l’autonoma impugnabilità delle cosiddette comunicazioni di irregolarità; in dottrina cfr. G. CHIARIZIA, Gli atti impugnabili dinanzi ai giudici tributari sulla base degli ultimi orientamenti della giurisprudenza di legittimità, ivi, 2011, 1269; ed E. SALVATORES, Cartelle di pagamento a misura di giurisdizione, ivi, 2012, 738.
(3) La definizione delle due tipologie di “quota” della tariffa dei tributi sui rifiuti è contenuta nell’art. 3 del D.P.R. 24 aprile 1999, n. 158, di cui tratteremo in una prossima nota, a breve.
(4) Si tratta dello Statuto dei diritti del contribuente; è singolare che sia il ricorrente che il Collegio giudicante non abbiano fatto riferimento all’art. 1, comma 162, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che ha disposto l’applicazione dei principi dello Statuto sopra richiamato a tutti i tributi locali.
(5) Sull’argomento si fa rinvio ai precedenti interventi di E. RIGHI, Tariffa di igiene ambientale e Costituzione, in Dir. prat. trib., 2007, I, 593; e ID., Prime valutazioni sulla TARI (nuova tassa comunale sui rifiuti), in Boll. Trib., 2014, 503.
(6) Art. 52 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e art. 3, comma 149, della legge 23 dicembre 1966, n. 662.
(7) Su questo rilevante e ingiustificato aspetto della tassazione locale sui rifiuti si fa rinvio alle rilevazioni effettuate da Il Sole 24 Ore e dall’Associazione Artigiani e Piccole Imprese (CGIA) di Mestre.
(8) Non ci risultano infatti norme che consentano controlli e verifiche di merito sulla procedura prevista per la quantificazione delle tariffe applicabili a livello comunale a carico dei possessori dei locali tassabili; l’unico organo “creato” dalla legge, fra i tanti inutili “carrozzoni” esistenti, l’Osservatorio nazionale sui rifiuti, di cui all’art. 223 del nuovo Codice sull’ambiente (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), non ha competenze in materia e, peraltro, non dovrebbe funzionare.
(9) Ved. E. RIGHI, cit. supra in nota 5.
(10) Cfr. l’art. 2, primo comma, lett. a), della legge 28 dicembre 2005, n. 263, e la legge 18 giugno 2009, n. 69, che avevano ricondotto la compensazione ad un evento eccezionale, avendo sostituito i “giusti motivi” con la locuzione restrittiva «solo se concorrono altri gravi ed eccezionali motivi, esplicitamente indicati nella motivazione», oggi eliminata ad opera dell’art. 13 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132 (convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162), con decorrenza dal 13 settembre 2014.
(11) Nel giudizio civile, si configura un’ipotesi di soccombenza reciproca allorquando vengano rigettate sia la domanda principale sia quella riconvenzionale oppure quando il giudice accolga solo alcune delle domande (proposte da un’unica parte) o solo alcuni capi dell’unica domanda formulata (c.d. soccombenza parziale). In tale ultimo caso il giudice decide, in virtù di una valutazione insindacabile in sede di legittimità, quale delle parti in causa deve essere condannata alle spese e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione parziale. Tali principi dovrebbero poter trovare applicazione anche nel giudizio tributario.
(12) Sul tema della compensazione delle spese di lite nei processi tributari si vedano anche i contributi di A. VOGLINO, L’obbligo di motivare la pronuncia di compensazione delle spese del giudizio tributario, in Boll. Trib., 2006, 290; G. VERNA, La sistematica violazione della regola della condanna alle spese del soccombente nel processo tributario, ivi, 2007, 507; F. BRIGHENTI, Questioni di rito: la nuova disciplina delle spese processuali, ivi, 2009, 1335; e U. PERRUCCI, Riflessioni intorno alle spese del processo tributario, ivi, 2008, 1234.

TARES – Invito al pagamento – Costituisce un atto impositivo autonomamente impugnabile avanti le Commissioni tributarie – Convenzione tra Comune e gestore per la gestione e riscossione del tributo – Legittimazione passiva – Si trasferisce in capo al gestore – Estromissione del Comune dal giudizio – Va disposta.
Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie – Invito al pagamento della TARES – Autonoma impugnabilità – Sussiste – Convenzione tra Comune e gestore per la gestione e riscossione del tributo – Legittimazione passiva – Si trasferisce in capo al gestore – Estromissione del Comune dal giudizio – Va disposta.
Imposte e tasse – Riscossione – Invito al pagamento della TARES – Costituisce un atto impositivo – Obbligo di motivazione – Sussiste – Indicazione di tutti i necessari elementi conoscitivi – Va eseguita sin dall’origine e con adeguato grado di determinatezza ed intelligibilità.

In tema di impugnazione degli atti dell’Amministrazione tributaria, nonostante l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, i principi costituzionali di buon andamento della pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.) e di tutela del contribuente (art. 24 e 53 Cost.) impongono di riconoscere l’impugnabilità di tutti gli atti adottati dall’ente impostore che portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con l’esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche che la sorreggono, senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dalla suddetta norma, e tale impugnazione va proposta davanti al giudice tributario, in quanto munito di giurisdizione a carattere generale e competente ogni qualvolta si controversa di uno specifico rapporto tributario, di talché deve ritenersi impugnabile innanzi alla Commissione tributaria l’invito al pagamento della TARES notificato al contribuente, qualora esso sia il primo atto amministrativo con cui il gestore, concessionario e dunque dotato di potere impositivo, quantifichi al contribuente la pretesa tributaria propria del Comune, il quale ultimo va però estromesso dal giudizio in quanto carente di legittimazione passiva, avendo stipulato con un gestore una apposita convenzione per la gestione, la riscossione e, per connessione, anche il contenzioso di tale tributo.
In materia tributaria, l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo, compreso anche l’invito al pagamento della TARES, persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa in modo da poter valutare sia l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur, sicché tali elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato non solo tempestivamente, tramite l’inserimento ab origine nel provvedimento, ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità idonei a consentire un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa.

[Commissione trib. provinciale di Reggio Emilia, sez. III (Pres. e rel. Montanari), 29 dicembre 2014, sent. n. 587, ric. Corradi & C. s.r.l. c. Iren Emilia s.p.a. e Comune di Reggio Emilia]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – 1. La Corradi & C srl, in liquidazione, ricorre, nei confronti di Iren Emilia spa (in prosieguo anche “Gestore”) e nei confronti del Comune di Reggio Emilia (in prosieguo anche “Comune”), avverso avviso di pagamento emesso ai fini del Tributo Comunale sui Rifiuti e sui Servizi-TARES, per un ammontare di € 385,41; l’atto impugnato allegato al ricorso: * nella pag. 1/6, dopo aver indicato nelle “Modalità di pagamento”, che “L’importo del presente avviso può essere pagato mediante il modello F24 allegato entro il … senza alcun aggravio di spese” riporta in un riquadrato la dicitura “TARES 2013 (Rif. art. 14 comma 35 D.L. 6/12/2011 e s. m. i. Descrizione TARES-tributo comunale sui rifiuti e sui servizi Euro 384,83 MAGGIORAZIONE spettante allo Stato (*) Art. 14 c. 13 D.L. n. 201/2011 e s.m.i Euro 20,58” per un “Totale tributo di Euro 385,41”; ** nella pag. 2/6, denominata ‘’Quadro di Dettaglio”, riporta il codice identificativo TARES, l’ubicazione dell’immobile, il fatto che trattasi di utenza non domestica e, nel riquadro successivo, dopo l’annotazione che la superficie assoggettabile alla tariffa è di mq. 80, il dettaglio che l’importo per quota fissa ammonta ad €/mq 2,6179, quello per quota variabile ammonta ad €/mq 2,247, mentre la maggiorazione spettante allo stato ammonta ad €/mq 0,3; *** nella pag. 3/6 sono, poi, riportate alcune comunicazioni in ordine alla possibilità che, per la riscossione del tributo, i comuni possano continuare ad avvalersi dei gestori del servizio, al fatto che il servizio rifiuti urbani avendo natura tributaria, non sconti l’iva, ed, infine, alla necessità che gli utenti comunichino gli estremi catastali dell’immobile dove verrà svolto il servizio che dovranno, poi, a cura del gestore essere comunicati all’Agenzia delle Entrate.
2. La Ricorrente deduce: * di avere ricevuto da Iren Emilia spa, quale concessionario del servizio di gestione e riscossione della TARES, l’atto impugnato, con cui viene invitata a pagare la somma di cui sopra; ** come lo stesso sia stato emesso “in carenza di ogni elemento utile per verificare l’esattezza della pretesa comunale e ciò in spregio ad ogni esigenza di trasparenza e motivazione dei provvedimenti amministrativi”; *** come l’atto impugnato non contenga l’indicazione della Commissione Tributaria Provinciale a cui fare ricorso ed i termini entro cui presentarlo; chiede, infine, l’annullamento dell’atto impugnato ed il rimborso di quanto versato nelle more del giudizio; il Gestore si costituisce in giudizio deducendo: * la non impugnabilità dell’avviso di pagamento, in quanto non rientrante nel novero degli atti autonomamente impugnabili ex art. 19 d.lgs. 546/92; ** l’intervenuta sanatoria, ex art. 156 c.p.c., in quanto, pur in carenza, nell’atto impugnato, delle indicazioni dei termini e del Giudice a cui fare ricorso, la Ricorrente lo ha validamente presentato; il Comune si costituisce in giudizio deducendo: in via principale, l’inammissibilità del ricorso nei Suoi confronti, per carenza di legittimazione passiva, posto che l’unico legittimato passivo sarebbe il Gestore, cui è stato affidato in concessione, la gestione e la riscossione del tributo, con apposita delibera del Consiglio Comunale, n. 113/2013; in via di subordine: * l’inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse a ricorrere e assenza di atto impugnabile; ** la natura non accertativa dell’atto impugnato e la, conseguente, non necessità di motivare lo stesso; chiede, infine, in via principale, di essere estromesso dal giudizio, per carenza di legittimazione passiva processuale ed, in via di subordine, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, per assenza di atti impugnabili e per assenza di interesse a ricorrere nei confronti di un atto privo di contenuto accertativo; la Ricorrente ed il Gestore producono entrambi memoria di replica con cui la Prima evidenzia come, sia il Gestore, sia il Comune, abbiano “entrambi … omesso di replicare sull’eccezione principale del ricorso ovvero la carenza di motivazione dell’avviso di pagamento”, mentre il Secondo richiama il “Quadro di Dettaglio” dove sarebbero riportati gli elementi di motivazione dell’atto.
3. All’udienza dibattimentale le Parti si riportano alle loro conclusioni scritte.

MOTIVI DELLA DECISIONE – 4. Và pregiudizialmente accolta la richiesta del Comune di essere estromesso dal giudizio per carenza di legittimazione passiva; invero dal “Disciplinare per l’affidamento della gestione del[la, n.d.r.] TARES” allegato alla richiamata delibera consigliare, viene specificato all’art. 2-Oggetto che “Nell’ambito del proprio territorio, il Comune affida ad Iren Emilia la gestione del[la, n.d.r.] TARES, disciplinata da apposito regolamento approvato dal comune e la conseguente riscossione consentita dall’art. 10 del D.L. 35 del 8 aprile 2013” non essendo specificato altrimenti, va affermato che anche il contenzioso, connesso alla gestione ed alla riscossione, sono di pertinenza del Gestore; in conclusione il Comune và estromesso dal giudizio [“… va puntualizzato che ove il Comune impositore, per ragioni di convenienza sotto il profilo economico o funzionale, ritenga di affidare il Servizio di riscossione ad un soggetto abilitato, il Concessionario del Servizio e, nei relativi giudizi, non si verifica un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra Concessionario e Comune. La legittimazione passiva del Concessionario sussiste nei casi in cui oggetto della controversia sia l’impugnazione di atti allo stesso, direttamente ed esclusivamente, riferibili. Orbene, nella specie concreta, l’affidamento della gestione aveva ad oggetto non solo l’attività di riscossione, ma anche la preliminare attività accertativa. Pertanto, essendo stata contestata dalla società contribuente la pretesa tributaria con la proposizione dell’istanza di rimborso e la conseguente impugnazione dei silenzio-rifiuto, il Concessionario era legittimato passivamente ed il rapporto processuale doveva essere considerato correttamente instaurato nei confronti del medesimo” (cass. 2007/22519)] (1).
5. Afferma la Corte di Cassazione, con condivisibile principio, che “In tema di impugnazione di atti dell’amministrazione tributaria, nonostante l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, i principi costituzionali di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.) e di tutela del contribuente (art. 24 e 53 Cost.) impongono di riconoscere l’impugnabilità di tutti gli atti adottati dall’ente impostore che portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dalla norma su richiamata, e tale impugnazione va proposta davanti al giudice tributario, in quanto munito di giurisdizione a carattere generale e competente ogni qualvolta si controverta di uno specifico rapporto tributario” (sent. 2012/7344 (2)); se ora si fa applicazione del su richiamato principio di diritto alla fattispecie concreta dedotta in giudizio, non può che conseguirne l’affermazione dell’impugnabilità dell’atto impugnato, posto che è il primo atto, amministrativo, con cui il Gestore, concessionario e, dunque, dotato di potere impositivo, quantifica al contribuente la pretesa tributaria.
6. Passando, ora, al merito del ricorso; * va, logicamente, esaminata in via preliminare la doglianza dedotta dalla Ricorrente in ordine alla carenza, nel corpus dell’atto impugnato, dell’indicazione della Commissione Tributaria Provinciale competente e del termine entro cui proporre ricorso; la Ricorrente, pur essendo la doglianza, in linea di principio, fondata, non ha concreto interesse a proporla avendo interposto il ricorso al Giudice competente, nei termini di rito; la doglianza và pertanto disattesa; ** la Ricorrente si duole, in via principale, della carenza della motivazione dell’atto impugnato; l’art. 3 della L. 241/90, come richiamato dall’art. 7 della L. 212/2000, Statuto del Contribuente, dispone che ogni atto amministrativo, invero di una tale “fattispecie” si sta parlando, posto che l’invito al pagamento è stato emesso dal Gestore su concessione del Comune, deve essere motivato e che la: “La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”; la Corte di Cassazione ha affermato che “In materia tributaria, l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa in modo da poter valutare sia l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’“an” ed il “quantum debeatur”, sicché tali elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato, non solo tempestivamente, tramite l’inserimento “ab origine” nel provvedimento, ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità idonei a consentire un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa” (sent. 2014/7056 (3)); facendo ora applicazione di tale, condivisibile, principio di diritto, alla fattispecie concreta dedotta in giudizio, se può giungere ad affermarsi l’esistenza, nell’atto impugnato, di una motivazione (invero, sia pure in maniera molto “criptica”, sono state esplicitate le ragioni giuridiche ed i presupposti di fatto), non può, certo, affermarsi che una tale tipologia di motivazione abbia quel grado di intellegibilità idonea a consentire un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa specialmente se si tiene conto dell’utenza, invero quanto mai variegata per età, cultura, status sociale …, cui questa tipologia di atto è indirizzata: può pertanto affermarsi che l’atto impugnato non sia fornito di quel tipo di motivazione che lo renda intellegibile nel senso esplicitato dalla Suprema Corte; ma anche, qualora si dovesse andare di contrario avviso, le conclusioni, in ordine alla legittimità dell’atto impugnato, non muterebbero posto che, comunque, dovrebbe affermarsi che il Gestore non abbia, minimamente, adempiuto all’onus probandi che gli incombeva; infatti, seppure opportunamente e reiteratamente sollecitato dalla Ricorrente, non ha giustificato come sia pervenuto a quantificare il moltiplicatore per mq, cioè l’importo per quota fissa e per quota variabile, dell’immobile assoggettato a TARES; in altre parole è rimasta senza risposta la doglianza fondante della Ricorrente: come, cioè, il Gestore sia arrivato a quantificare l’importo TARES richiesto: in conclusione le doglianze della Ricorrente sono fondate ed il ricorso va accolto con conseguente annullamento dell’atto impugnato ed obbligo del Gestore di restituzione di quanto, nelle more del giudizio, incassato, in riferimento all’atto stesso; le spese di giudizio, stante la novità e la particolarità della materia del contendere vanno compensate.

P.Q.M. – La Commissione, dichiarata la carenza di legittimazione passiva dei Comune di Reggio Emilia e la Sua estromissione dal giudizio, in accoglimento del ricorso annulla l’impugnato atto, ordina il rimborso di quanto, eventualmente, percetto dal Gestore in riferimento allo stesso e compensa le spese di giudizio.

(1) Cass. 26 ottobre 2007, n. 22519, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 11 maggio 2012, n. 7344, in Boll. Trib., 2012, 1547.
(3) Cass. 26 marzo 2014, n. 7056, in Boll. Trib. On-line.

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