22 Gennaio, 2014

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Le reti di impresa quale forma compiuta dei distretti industriali – 3. Il contratto di rete di impresa – 4. I soggetti interessati – 5. Il fondo patrimoniale – 6. “Rete soggetto” e “rete contratto” – 7. L’organo comune – 8. Il beneficio fiscale – 9. Conclusioni.

1. Premessa

 

A distanza di un quinquennio dalla loro introduzione, le reti di impresa hanno probabilmente trovato la dimensione e struttura coerente con gli obiettivi inizialmente prefissati (1). Nel seguito ci si soffermerà sulle caratteristiche di questa forma aggregativa, introdotta con l’art. 3 del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5 (convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33), che, come anticipato, è stata oggetto di numerosi interventi manutentivi/evolutivi, tesi a renderla idonea a perseguire gli scopi originariamente prefissati dal legislatore.

L’iter ha trovato il proprio punto di riferimento nel D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221), con cui è stata riconosciuta alla rete, nel rispetto di determinati requisiti e in via esclusivamente opzionale, la soggettività giuridica.

A breve distanza da tale ultimo intervento normativo, l’Agenzia delle entrate ha emanato la circolare 18 giugno 2013, n. 20/E (2), nella quale si è riconosciuta la soggettività tributaria alle cd. “reti-soggetto” e cioè a quelle reti che hanno optato per il riconoscimento della soggettività giuridica. Quale contraltare, l’Agenzia delle entrate ha precisato come i soggetti partecipanti alle reti-soggetto non potranno più, in maniera condivisibile, fruire dell’agevolazione fiscale consistente nella sospensione di imposta degli utili destinati alla rete.

A questo punto è possibile fornire un quadro generale di una forma aggregativa che, nonostante le incertezze applicative nel tempo evidenziate dalla miglior dottrina, ha avuto un indiscusso successo, se è vero che, i dati forniti da Infocamere parlino al 13 marzo 2013 di:

– 707 contratti di rete stipulati;

– tutte le Regioni interessate;

– 100 province coinvolte con la sola esclusione di Enna, Ragusa, Trapani, Vercelli e Vibo Valentia;

– 3.824 posizioni presenti, 707 contratti rilevati e

– 3.681 imprese coinvolte (3).

Da ultimo, si precisa come nel presente intervento non ci soffermeremo sugli aspetti legati alla disciplina pubblicistica per i quali si rimanda ad altri interventi  (4).

 

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2. Le reti di impresa quale forma compiuta dei distretti industriali (5)

 

Il tessuto imprenditoriale italiano da sempre è caratterizzato da un indiscusso dinamismo e spirito di iniziativa e, al contempo, da un conclamato nanismo rispetto al contesto globale. Di tale gap, evidente se si considerano i parametri individuati dall’Unione europea per la circoscrizione delle Pmi (6), il legislatore ne è sempre stato conscio, tant’è vero che, ben prima delle reti di impresa, aveva introdotto i distretti industriali con l’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (7). Tuttavia, come purtroppo spesso accade, i distretti industriali sono rimasti un’opera incompiuta dal momento che veniva demandato a un decreto ministeriale il compito di delimitare soggettivamente tali distretti (8).

Le reti di impresa, sin dalla loro prima versione, evidenziavano profonde similitudini con i distretti, infatti, esplicito è il rimando effettuato dall’art. 3 del D.L. n. 5/2009 alle disposizioni di cui all’art. 1, comma 368, lett. b), c) e d), della legge n. 266/2005.

Ne deriva che sono estese alle reti di impresa le agevolazioni, originariamente previste per i distretti industriali, in materia:

– amministrativa, consistente nella possibilità di instaurare rapporti con pubbliche Amministrazioni, enti pubblici (anche economici), di avviare istanze in forma collettiva per la richiesta di contributi regionali, nazionali o comunitari, nonché di stipulare un negozio per le imprese aderenti alla rete, secondo le regole riconducibili al mandato;

– finanziaria, data dall’individuazione di semplificazioni per le operazioni di cartolarizzazione aventi a oggetto crediti concessi da banche e/o intermediari finanziari alle imprese della rete e ceduti a un unico soggetto cessionario, e delle condizioni e garanzie a favore dei soggetti cedenti i crediti (9) e

– di ricerca e sviluppo.

Tale assimilazione della rete di impresa al distretto è ancora più evidente alla luce del chiarimento offerto con la citata circolare n. 20/E/2013 con cui è stata riconosciuta alle reti, in caso di opzione per la soggettività giuridica come introdotta con il D.L. n. 179/2012, anche la soggettività tributaria (10).

In tal modo si è realizzato quello che da tanti settori (11) si auspicava e che non si comprendeva perché non avvenisse, a maggior ragione alla luce di quanto si prevedeva in tema di distretti, ove è (era) data la possibilità alle imprese aderenti di optare congiuntamente per la tassazione del distretto ai fini IRES (12).

A chiusura di questo breve excursus storico pare utile delineare le possibili tipologie di reti, non in funzione come vedremo della presenza o meno del fondo patrimoniale e dell’organo comune, bensì della loro ratio ispiratrice.

Una prima suddivisione può essere fatta in funzione dell’intreccio contrattuale sotteso alla rete, individuando tre possibili fattispecie: la prima caratterizzata da un molteplicità di rapporti paralleli tra loro con possibilità quindi di considerarli separatamente, la seconda caratterizzata da rapporti bilaterali e infine l’ultima, la più complessa e strutturata, che si contraddistingue per rapporti plurilaterali.

Le reti si possono ancora distinguere in “reti del sapere” quando l’aggregazione sottende l’obiettivo dello scambio di informazioni e di knok-how, “reti del fare” dove lo scopo è quello di scambiare prestazioni tra gli aderenti (tipica delle filiere di produzione) e infine “reti del fare insieme” dove l’obiettivo è la realizzazione di un progetto comune.

Ma la dottrina ha sviluppato infinite variabili che permettono di creare una matrice da cui fuoriescono una moltitudine di forme (13).

 

3. Il contratto di rete di impresa

 

L’art. 3, comma 4-ter, del D.L. n. 5/2009, come rimodulato dall’art. 42, comma 2-bis, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), afferma che «Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa».

La definizione testé data ricalca per sommi capi quella che si potrebbe dare, a livello generale, ad altre forme aggregative quali possono essere le joint venture, le associazioni temporanee di impresa (ATI), siano esse verticali od orizzontali, i contratti di franchising, il Geie, i consorzi e, estremizzando, i gruppi societari.

In dottrina è stato ampiamente studiata e dibattuta la natura del contratto di rete giungendo a conclusioni tra di loro non sempre concordanti. Infatti, secondo una prima versione siamo in presenza di un nuovo tipo contrattuale introdotto dal nostro legislatore (14), altra corrente di pensiero evidenzia la natura atipica del contratto di rete e infine, c’è chi ritiene che si sia in presenza «non già di un tipo contrattuale nuovo … bensì di un insieme di requisiti (clausole, vincoli formali) in presenza dei quali contratti genericamente funzionali alla cooperazione interaziendale, comunque nominati, consentono alle imprese contraenti di beneficiare delle agevolazioni e delle politiche di sostegno nazionale» (15).

Tutti gli sforzi profusi nel dibattito dottrinario avevano, a ben vedere, un preciso scopo: cercare di riconoscere al contratto di rete quella soggettività giuridica che, di fatto, poteva renderlo uno strumento appetibile e soprattutto innovativo rispetto alle già individuate forme aggregative di cooperazione esistenti nel panorama giuridico italiano (16).

Tuttavia, prevalente dottrina concludeva per una negazione della soggettività causa l’assenza di requisiti essenziali, individuati in:

– denominazione della rete;

– sede della rete;

– regime pubblicitario della rete e non dei singoli aderenti (17) e

– obbligo di redazione di un bilancio (18).

Lo stesso Governo italiano fugava qualsivoglia dubbio in tema di soggettività, se è vero che nella nota C(2010)8939 del 26 gennaio 2011 della Commissione europea con cui veniva dato il via libera, in quanto non riconducibile a un aiuto di Stato, all’agevolazione consistente nella sospensione da tassazione degli utili investiti nella rete al paragrafo 30 testualmente si legge come «le autorità italiane hanno chiarito che la rete di imprese non avrà personalità giuridica autonoma. Gli aspetti finanziari delle reti di imprese possono essere gestiti attraverso una dotazione speciale destinata alla realizzazione degli obiettivi comuni o attraverso un semplice accantonamento di risorse gestito, per esempio, su mandato, da un rappresentante o da un organo. Le risorse sono accantonate soltanto per ragioni pratiche, cioè per la disponibilità dei fondi per le operazioni correnti comuni, e vengono messe in comune esclusivamente per realizzare le attività comuni indicate nel contratto, per le quali però ciascuna impresa partecipante mantiene la piena responsabilità. Per queste ragioni, le reti non possono essere considerate entità distinte».

Tale negazione si ripercuoteva in ambito tributario, come confermato dall’Agenzia delle entrate nella circolare 15 febbraio 2011, n. 4/E (19).

L’assenza di una soggettività non solo civilistica, ma anche tributaria, comportava uno minore appeal del contratto di rete che, tuttavia, come visto, ha riscosso un indubbio successo.

A tale mancanza, gli imprenditori sopperivano tramite la creazione di forme alternative o per meglio dire parallele e di supporto al contratto di rete (20).

Il legislatore, sotto l’impulso di un sempre maggior crescente utilizzo del contatto di rete, dapprima con l’art. 45 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134) ha previsto che «qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune … la rete può iscriversi nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede; con l’iscrizione nel registro delle imprese la rete acquista soggettività giuridica», poi, a breve distanza di tempo, con l’art. 36 del D.L. n. 179/2012 ha parzialmente corretto l’indirizzo precisando come il contratto di rete «non è dotato di soggettività giuridica, salva la facoltà di acquisto della stessa ai sensi del comma 4-quater ultima parte».

In altri termini, principio generale è che il contratto di rete non ha una soggettività giuridica propria.

Tuttavia è possibile, previa opzione, acquisire tale soggettività giuridica.

I decreti richiamati, in realtà hanno introdotte ulteriori novità per le reti di impresa, la cui disciplina, in continuo fermento, è stata utilmente “fotografata” dall’Agenzia delle entrate nella richiamata circolare n. 20/E/2013.

A questo punto, prima di analizzare i vari elementi caratterizzanti delle reti di imprese, ricordiamo come il contratto debba essere stipulato in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata. Tale forma è richiesta sia per un controllo di legalità che per la successiva iscrizione al registro delle imprese (21). Nel silenzio della norma, si ritiene che la forma scritta sia richiesta a pena di nullità. L’iscrizione al registro delle imprese deve essere fatta «nella sezione … presso cui è iscritto ciascun partecipante», circostanza che aggrava e non poco l’iter procedurale (22).

 

4. I soggetti interessati

 

L’incipit dell’art. 3, comma 4-ter, del D.L. n. 5/2009, è «Con il contratto di rete più imprenditori …», mentre il successivo comma 4-quater afferma che «Il contratto di rete è soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante …».

Il legislatore, quindi, richiede due requisiti per poter aderire a un contratto di rete: l’essere imprenditori (requisito soggettivo) e l’essere iscritti al registro delle imprese (requisito formale).

I requisiti individuati devono sussistere entrambi, poiché, se per quanto riguarda l’essere imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c. non vi è alcun dubbio essendo la medesima norma che in maniera esplicita lo afferma, per quanto attiene l’iscrizione al registro, altrimenti non potrebbe essere stante l’obbligo di iscrizione in tutte le CCIAA dei soggetti aderenti e soprattutto la circostanza che dall’avvenuta iscrizione nell’ultimo registro degli aderenti il legislatore fa decorrere gli effetti del contratto di rete.

Automaticamente sono esclusi per carenza del requisito soggettivo i liberi professionisti e le pubbliche Amministrazioni, queste ultime per le attività svolte nell’esercizio delle loro funzioni e non anche per le attività imprenditoriali gestite da enti pubblici.

Passando ad analizzare le forme ammesse, preliminarmente giova rilevare come il rimando sia generico alla figura dell’imprenditore, con la conseguenza che può aderire a una rete sia l’imprenditore agricolo che la società semplice agricola. Infatti l’imprenditore agricolo appartiene alla famiglia dell’imprenditore di cui all’art. 2082 c.c., articolo che delinea il genus da cui derivano le due declinazioni di commerciale (art. 2195 c.c.) e agricolo (art. 2135 c.c.).

Qualche dubbio in tema di ammissibilità potrebbe sorgere pensando a una rete di imprese costituita tra società facenti parte tutte del medesimo gruppo. Tuttavia, a parere di chi scrive, non si ravvisano particolari ostacoli a tale possibilità, atteso che di prassi il legislatore, nel limitare determinate operazioni tra soggetti “infragruppo” ha riguardo all’effettività del capitale sociale. Semmai, ci si domanda l’utilità di soggetti, già di per sé “federati” tra loro, di creare una rete di imprese.

Da ultimo merita alcune considerazioni, l’ipotesi di soggetti esteri partecipanti a un contratto di rete, fattispecie che a fronte della sempre più spinta internazionalizzazione delle imprese che va di pari passo con la globalizzazione del mercato, rappresenta l’esplorazione più interessante per questa forma aggregativa.

Sul punto l’Agenzia delle entrate (23) ha ammesso la partecipazione delle «stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di imprese non residenti». A dire il vero l’Agenzia si riferiva all’ammissibilità all’agevolazione fiscale e altrimenti non poteva affermare, poiché essa, come vedremo, consiste nella sospensione da imposizione degli utili conferiti alla rete. In dottrina è stato affermato che allo stadio attuale sia consigliabile per i soggetti stranieri, onde evitare possibili contestazioni, aprire una sede secondaria in Italia, fermo restando possibili problematiche connesse con una limitazione alla libera attività imprenditoriale (24).

 

5. Il fondo patrimoniale

 

Fino alle modifiche normative apportate nel 2012 le reti di imprese venivano suddivise in c.d. “reti leggere” e c.d. “reti pesanti”. Le seconde erano quelle dotate di un fondo patrimoniale comune la cui presenza, facoltativa e non obbligatoria, rappresentava il discrimine (25).

Allo stato normativo attuale, le reti c.d. “pesanti” dovranno essere ulteriormente suddivise in “rete-soggetto” e “rete-contratto” a seconda che si sia proceduto all’iscrizione nel registro imprese e quindi al riconoscimento della soggettività giuridica.

La nostra attenzione, almeno per quanto attiene l’analisi in questa sede, si concentrerà sulle reti c.d. “pesanti”.

Per quanto attiene le reti “leggere” ci si limita a evidenziare come la suddivisione dei costi e degli eventuali profitti, non essendo presente il fondo comune, sarà gestita attraverso la ripartizione di tali voci tra i singoli contraenti.

Il contratto di rete, quindi, può prevedere o meno la presenza di un fondo comune in cui far confluire gli apporti dei singoli partecipanti alla rete, scelta che determina la successiva possibilità di riconoscimento della soggettività giuridica e, quindi, di quella tributaria.

In altri termini, se l’autonomia giuridica è una scelta, quella tributaria ne è una conseguenza.

A tal fine si rende necessaria l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede della rete, con l’ulteriore accortezza che, in questo caso il contratto deve essere stipulato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per atto firmato digitalmente a norma dell’art. 25 del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (26).

Prima di analizzare le conseguenze tributarie che derivano dal riconoscimento della soggettività anche nell’alveo del sistema normativo tributario pare opportuno soffermarci, seppur brevemente, sul fondo comune.

Tale fondo sarà previsto nelle reti più strutturate e rappresenta un indice di attendibilità del progetto di rete, poiché, maggiormente proporzionato sarà rispetto agli obiettivi prefissati e tanto più probabilmente sarà in grado di fronteggiare le obbligazioni assunte (27). La proporzionalità del fondo alle esigenze della rete, rende quest’ultima uno strumento ancor più flessibile in quanto minore sarà la dipendenza dai soggetti aderenti in termini di richieste di integrazione patrimoniale.

Il fondo potrà essere costituito a mezzo di conferimenti di denaro. Tuttavia, non è esclusa la concessione in godimento di un immobile da adibire, a esempio, a sede sociale, o ancora lo sfruttamento di brevetti, impianti, macchinari e marchi. Tali conferimenti dovranno essere valutati secondo le regole ordinarie di cui all’art. 110, primo comma, del TUIR (28). In misura analoga, l’imputazione degli investimenti al periodo di effettuazione seguirà le regole generali del precedente art. 109, primo e secondo comma del TUIR, senza che rilevi l’esborso finanziario.

 

6. “Rete soggetto” e “rete contratto”

 

Così brevemente delineati i tratti caratterizzanti del fondo comune occorre analizzare le caratteristiche della “rete-soggetto” e della “rete-contratto”.

Per quanto riguarda la prima, come più volte anticipato, il riconoscimento della soggettività giuridica porta con sé anche quella tributaria. Nella più volte citata circolare n. 20/E/2013 è stato affermato che la rete diventa a tutti gli effetti soggetto IRES ai sensi dell’art. 73, secondo comma, del TUIR, quale ente commerciale o non diverso dalle società.

Nel primo caso, la rete farà parte dei soggetti di cui alla lett. b) e il relativo reddito sarà determinato secondo le regole di cui agli artt. 81 e segg. del TUIR, mentre nel caso in cui la rete rientri tra i soggetti di cui alla successiva lett. c), le regole applicabili saranno quelle previste dagli artt. 144 e segg.

In ragione dell’attività svolta dalla rete, commerciale o agricola, differente è l’imposizione ai fini dell’imposta di registro.

Infatti, si ritiene che il contratto dovrà essere assoggettato ad imposta di registro ai sensi dell’art. 4, lett. a), della Tariffa, parte I, allegato al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ossia quale atto costitutivo di “enti diversi dalle società”, nel caso in cui la rete abbia per oggetto «esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole» (29). Quindi, in caso di apporti di denaro, beni mobili, aziende o rami di esse, l’imposta si applicherà in misura fissa, mentre sarà proporzionale nel caso di apporto di beni immobili, comunque sempre nel rispetto del principio dell’alternatività IVA-registro.

Nel caso differente in cui la “rete-soggetto” non svolga attività commerciale o agricola, il contratto sconterà l’imposizione “residuale” del 3% prevista dall’art. 9 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131/1986, da applicarsi sul valore dei beni conferiti (30).

La soggettività tributaria comporta anche la necessità di apertura di partita Iva in quanto la rete è soggettivamente rilevante ai sensi dell’art. 4 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Anche in questo caso si avrà una bipartizione nelle modalità di tenuta delle scritture contabili a seconda che la rete svolga attività commerciali e quindi rientrando tra gli enti di cui all’art. 13, primo comma, lett. b) (in tal caso gli articoli di riferimento sono quelli dal 14 al 16) o meno. In questo secondo caso, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 633/1972, l’ente sarà tenuto alla contabilità in caso di eventuale esercizio di un’attività commerciale.

La “rete-soggetto” essendo a tutti gli effetti equiparata a una società comporterà che per i soggetti aderenti al contratto, la “quota” conferita darà la misura della partecipazione (31).

Infatti, quanto conferito non sarà più sotto il controllo del conferente, ma dell’organo comune che avrà lo scopo di perseguire il programma di rete.

Quale conseguenza della soggettività giuridico/tributaria vi è anche la negazione dell’agevolazione fiscale consistente, come vedremo, nella sospensione da tassazione degli utili investiti nella rete per il perseguimento del programma relativo. Come nel seguito si illustrerà in relazione al beneficio fiscale, si sottolinea che la sospensione da tassazione compete a condizione che gli investimenti previsti nel programma di rete siano realizzati. Nel caso di “rete-soggetto”, gli investimenti saranno realizzati dalla rete in quanto tale con conseguente decadenza dal beneficio.

Con questa soluzione precisata dall’Agenzia delle entrate, si è di fatto addivenuti alla risoluzione dei problemi derivanti dalla Decisione della Commissione europea C(2010)8939 del 26 gennaio 2011.

La circostanza che la rete sia a tutti gli effetti un soggetto giuridico/tributario e che in tal caso viene meno la sospensione dell’utile investito fa sì che, salvo particolari e specifiche previsioni del contratto di rete, la partecipazione in essere sarà trattata alla stessa stregua di qualsivoglia partecipazione sociale.

Alternativa alla “rete-soggetto” è la forma equivalente della “rete-contratto” che, a ben vedere, rappresenta la fattispecie complessiva delle reti con fondo patrimoniale fino alle novelle legislative del 2012.

Tali reti si caratterizzano per la circostanza che gli atti posti in essere per il tramite dell’organo comune, rifletteranno i propri effetti direttamente in capo alle singole partecipanti. Del resto, il fondo comune non rappresenta che un «complesso di beni e diritti destinato alla realizzazione del programma comune di rete» (32), con la conseguenza che la titolarità dei beni, i diritti e gli obblighi dovranno essere imputati pro-quota ai singoli aderenti al contratto di rete.

Per quanto riguarda la corretta imputazione dei ricavi e la deduzione dei costi sostenuti, ogni soggetto partecipante farà concorrere tali componenti positivi e negativi secondo le regole impositive proprie e andranno indicate nelle relative dichiarazioni dei redditi. A titolo di esempio, abbiamo visto che possono partecipare a un contratto di rete gli imprenditori agricoli, in tal caso, se il soggetto rispetta i parametri richiesti dall’art. 32, determinerà il reddito su base catastale e quindi i costi sostenuti per la rete non rileveranno.

Ma i reali problemi che portano a una gestione a dir poco bizantina nelle “reti-contratti”, derivano dalle modalità di imputazione delle operazioni, compiute dall’organo comune, soggetto di cui parleremo nel prossimo paragrafo, sui singoli partecipanti alla rete.

In caso di operazioni compiute dall’organo comune quale mandatario con rappresentanza, gli effetti fiscali degli atti si riferiscono e si imputano pro-quota ai singoli partecipanti. Infatti, bisogna ricordare come non vi sia soggettività tributaria della rete.

Senza descrivere l’architettura che si dovrebbe andare a creare, si evidenzia come sia la stessa Agenzia delle entrate a consigliare, quale forma alternativa, l’assegnazione di un mandato senza rappresentanza, sulla falsariga delle ATI verticali, a un’impresa capofila della rete.

 

7. L’organo comune

 

Ulteriore elemento che contraddistingue le reti di impresa è la presenza dell’organo comune e soprattutto la sua rilevanza e i poteri assegnati. In particolare, l’analisi svolta nel recente passato dalla dottrina, a seguito delle novelle legislative del 2012 perde parzialmente di rilevanza in quanto si rende applicabile alla sole “rete-contratto” e alla rete priva del fondo comune ma dotata dell’organo comune.

La mancata previsione di un organo comune, comporta, molto probabilmente, l’individuazione di un soggetto, anche terzo alla rete, cui delegare lo svolgimento di compiti specifici, tramite l’istituto del mandato che potrà essere generale o per uno specifico affare.

La mancanza di un organo comune potrebbe determinare un’alternanza nel soggetto cui viene delegato il compito di raggiungere gli obiettivi della rete, il tutto al fine di evitare possibili “abusi di potere” da parte, a esempio, di un soggetto forte della rete (33).

A questo punto, riprendendo la classificazione delle reti in funzione della presenza o meno del fondo comune e, in caso affermativo, dell’avvenuta iscrizione nella sezione ordinaria del registro imprese con conseguente riconoscimento della soggettività giuridico/tributaria, è possibile individuare tre differenti fattispecie da indagare:

– “rete-contratto” senza fondo patrimoniale ma con un organo comune che svolge attività nei confronti di terzi;

– “rete-contratto” con un fondo patrimoniale e con un organo comune che svolge attività nei confronti di terzi e

– “rete-soggetto” con un fondo patrimoniale e con un organo comune che svolge, anche in questo caso, attività nei confronti di terzi.

Ma è prima doveroso fare un passo indietro e ricordare come in dottrina si sia proposta una struttura di rete improntata, almeno per quanto riguarda le più complesse, su un duplice livello di organo comune:

– il primo con la funzione di rappresentare i contraenti nel complesso e che abbia la capacità di decidere sulle questioni strategiche più rilevanti. Tale organo dovrebbe consistere nell’assemblea degli aderenti cui compete prendere le decisioni, adottando, alternativamente, la maggioranza o, in determinati casi, l’unanimità;

– il secondo esecutivo, sia unipersonale che collegiale (34).

Fatte queste premesse di carattere generale e passando ad analizzare caratteristiche, funzioni e poteri dell’organo comune in caso di “rete-contratto” senza fondo patrimoniale ma con un organo comune che svolge attività nei confronti di terzi, in dottrina è stato evidenziato come, sebbene il legislatore abbia eliminato il riferimento al mandato, esso non potrà fare altro che assumere la veste di mandatario dei singoli imprenditori. Si precisa come l’organo comune, alla luce della mancanza di soggettività giuridica, dovuta all’assenza di un fondo comune, non potrà mai essere il mandatario della rete in sé stessa.

Nella seconda fattispecie di “rete-contratto” con un fondo patrimoniale e con un organo comune che svolge attività nei confronti di terzi, il rapporto che si instaura tra l’organo e i singoli aderenti alla rete è il medesimo visto nell’ipotesi precedente.

In questo caso, elemento rilevante è la presenza di un fondo patrimoniale comune che fungerà da garanzia per le obbligazioni che l’organo comune contrae ai fini del raggiungimento del programma della rete, determinando una sorta di responsabilità limitata, ma circoscritta a tali operazioni. Infatti, per le obbligazioni assunte dall’organo comune per i singoli partecipanti vi sarà una responsabilità solidale e in caso di insolvenza, il debito sarà ripartito pro quota.

A differenza di quanto visto nel precedente caso ove non sussisteva un fondo comune, la presenza dello stesso comporta un obbligo, peraltro previsto ex lege, in capo all’organo comune, di redigere – entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale – una situazione patrimoniale e depositarla al Registro imprese di competenza territoriale rispetto alla sede della rete.

Da ultimo, nel caso di rete dotata sia di autonomia giuridica e quindi con un fondo e un organo comune, avremo un soggetto nuovo (35) con la conseguenza che, ai fini dell’individuazione della responsabilità della rete e dei suoi partecipanti, si dovrà necessariamente fare riferimento alle regole come individuate dal D.L. n. 5/2009, mentre per quanto riguarda l’organo comune, sarà rimessa alla libera autonomia negoziale delle parti stabilirne poteri e doveri.

 

8. Il beneficio fiscale

 

Troppo spesso le reti di impresa sono state scambiate come uno strumento il cui scopo principale era quello di consentire, al rispetto di determinati requisiti, la sospensione da tassazione per gli utili destinati al fondo comune.

A ben vedere, e ciò dovrebbe risultare chiaro a chi ci ha seguito in questo percorso, il fare rete da parte degli imprenditori non deve avere come scopo la detassazione (temporanea) degli utili investiti, bensì quello di fruire di uno strumento sufficientemente snello per poter competere sul mercato.

L’agevolazione fiscale era “a tempo” e, salvo reperimento di nuovi fondi, l’ultimo periodo di imposta interessato era quello in corso al 31 dicembre 2012, come testualmente affermato dall’art. 42, comma 4-quater, del D.L. n. 78/2010.

Alla luce del dato letterale si ricava che, per poter fruire della sospensione devono essere rispettati i seguenti presupposti, così schematizzabili:

– rispetto dei requisiti civilistici visti;

– preventiva asseverazione del programma di rete da parte dagli organismi abilitati e

– previsione di un fondo patrimoniale comune.

L’Amministrazione finanziaria, prendendo posizione sul punto nella già richiamata circolare n. 20/E/2013 ha negato la possibilità di sospensione da tassazione degli utili conferiti al fondo comune per le “reti-soggetto”. La motivazione deriva dall’impossibilità di rispettare il requisito consistente nella realizzazione degli investimenti contenuti nel programma di rete asseverato. Si rammenta, infatti, che il riconoscimento della soggettività comporta la scissione della “rete-soggetto” dagli aderenti alla rete con imputazione degli atti compiuti in ossequio al programma in capo alla rete soggetto giuridico-tributario.

Del resto a conclusioni differenti non poteva giungere l’Agenzia delle entrate, sull’ulteriore presupposto che la Commissione europea, con la decisione C(2010)8939 del 26 gennaio 2011 ha ritenuto che la sospensione da imposta degli utili in oggetto non contemplasse violazione al divieto di aiuti di Stato sul presupposto che la rete non è un soggetto giuridico autonomo (36).

I soggetti che di fatto hanno ottenuto, sfruttando il dettato di cui al D.L. n. 179/2012 la soggettività  giuridica e fiscale ma che a loro tempo hanno fruito dell’agevolazione, dovranno riprendere a tassazione gli utili sospesi nell’esercizio di riconoscimento della soggettività che rappresenta quelle in cui viene meno uno dei presupposti richiesti dal legislatore.

L’utile destinato al fondo dovrà essere accantonato ad apposita riserva e, nel caso delle società di capitali, ne sarà data adeguata informazione in Nota integrativa.

Gli altri soggetti dovranno procedere all’integrazione delle scritture contabili previste ai sensi dell’art. 2217, secondo comma, c.c. (bilancio e inventario), con un prospetto da cui risulti la destinazione dell’utile a riserva, nonché le relative movimentazioni della stessa.

Si è illustrato il motivo per cui le “reti-soggetto” decadono dall’agevolazione: ossia il venir meno della possibilità di realizzare direttamente l’investimento previsto dal programma asseverato.

Infatti, a tal fine, con la citata circolare n. 15/E/2011 l’Agenzia delle entrate ha affermato che detti utili devono essere «accantonati nell’apposita riserva e destinati al fondo patrimoniale comune» e «devono essere vincolati alla realizzazione degli investimenti previsti dal programma comune di rete».

Sotto tale profilo si considerano investimenti:

– i costi sostenuti per l’acquisto o l’utilizzo di beni (strumentali e non) e servizi, nonché per l’utilizzo di personale e quelli relativi a beni, servizi e personale messi a disposizione da parte delle imprese aderenti al contratto di rete. In tal caso rileva il costo figurativo relativo all’effettivo impiego di detti beni, servizi e personale per la realizzazione degli investimenti.

L’investimento deve avvenire nel termine del saldo delle imposte dovute per il periodo di imposta relativo all’esercizio cui si riferiscono gli utili.

L’investimento parziale comporta il venire meno della sospensione dell’intero utile accantonato, salvo che ciò non derivi dal verificarsi di «circostanze sopravvenute e, comunque, non dipendenti dalla volontà del contribuente oppure allorquando la mancata effettuazione degli investimenti sia conseguente ad una riduzione del valore degli stessi per il conseguimento di economie di costo e/o di scala che incidono sull’ammontare del valore complessivo del progetto di investimento» (37).

Da ultimo si ricorda come, per effetto dei fondi stanziati a copertura della norma agevolativa, non  tutto l’utile accantonato (nel limite comunque di 1 milione di per aderente alla rete) veniva posto in sospensione.

A tal fine, era previsto che entro il periodo compreso tra il 2 e il 23 maggio di ogni anno, le imprese aderenti alla rete, presentassero, esclusivamente in via telematica, la comunicazione modello RETI necessaria affinché l’Agenzia delle entrate conoscesse l’ammontare complessivo di utili di esercizio accantonati e destinati ai fondi patrimoniali.

Sulla base del rapporto tra utili destinati e fondi a disposizione, ogni anno il direttore dell’Agenzia delle entrate emanava un decreto in cui veniva stabilito l’effettiva percentuale degli utili accantonati che potevano godere della sospensione di imposta.

 

9. Conclusioni

 

Le reti di impresa, evoluzione dei distretti produttivi, rappresentano uno strumento moderno ed efficiente a disposizione delle imprese per potersi porre sul mercato globalizzato senza timori dimensionali nei confronti dei competitors.

Per raggiungere tale scopo il legislatore come abbiamo visto è dovuto intervenire svariate volte per affinare uno strumento che, originariamente concepito con determinati criteri e presupposti, se è vero che ne veniva negata l’autonomia soggettiva sia giuridica che tributaria, è stato modellato ascoltando, almeno una volta, le esigenze di chi tale strumento doveva utilizzarlo.

E il venir meno dell’agevolazione fiscale consistente nella sospensione da imposta degli utili destinati al fondo comune per la realizzazione di ben definiti investimenti, non dovrebbe far ritenere che ciò comporti il venir meno dell’interesse verso questo istituto.

Di certo non si può negare che, in un momento di congiuntura economica che non ha ancora invertito la rotta, questo passo indietro potrebbe comportare disagi per i soggetti in difficoltà da un punto di vista della liquidità.

Al contempo sarà eliminato il problema sentito in passato e consistente in barriere alla determinazione di rating delle reti di impresa, di modo che gli istituti bancari, già sensibili al fenomeno, potranno erogare finanziamenti con maggiori certezze anche sul piano normativo.

L’avere riconosciuto a determinate reti la soggettività non solo giuridica ma anche tributaria consente di creare sinergia tramite uno strumento sufficientemente flessibile che d’ora in poi dovrà essere trattato alla stregua di una partecipazione sociale, aggiungiamo noi di scopo.

E a tal fine si potrà creare un mercato delle partecipazioni alle reti di impresa.

A questo punto il tessuto imprenditoriale italiano è dotato di uno strumento per incrementare la competitività e per creare nuovi canali di sviluppo economico, con l’auspicio che non si sia in presenza di una misura restrittiva nei confronti della opportunità di creare partnership e sinergie con soggetti stranieri.

 

Avv. Alberto AlfredoFerrario – Dott. Luigi Scappini

 

 

(1)  Sin d’ora si precisa come le reti di impresa non debbano essere confuse con le imprese a rete, altra variabile imprenditoriale esistente la cui origine deriva da fenomeni di decentramento produttivo delle grandi imprese. Per ulteriori approfondimenti si rimanda a Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie, Linee guida per i contratti di rete, marzo 2012, 2 s.

(2)  In Boll. Trib., 2013, 943.

(3)P. Magnante, Reti di imprese: percorso ad ostacoli tra novità, semplificazioni e adempimenti contabili e fiscali, in Riv. delle op. straordinarie, 2013, 5, sottolinea come il successo delle reti di imprese sia dovuto, da un lato all’estrema flessibilità dello strumento rispetto alle forme ordinarie di aggregazione imprenditoriale, e dall’altro alla circostanza che con tale strumento sono emerse forme aggregative latenti nel tessuto economico italiano e che hanno trovato uno stimolo all’emersione. Recenti sono anche i dati pubblicati da Intesa Sanpaolo-Mediocredito Italiano che nell’ultimo osservatorio pubblicato hanno rilevato nel primo trimestre 2013 ben 94 nuove reti che hanno coinvolto 455 realtà imprenditoriali. S. Delle Monache, La rete non è un soggetto distinto dalle imprese che lo partecipano, in Il Sole 24 Ore del 5 febbraio 2013, 17, evidenzia come «Il successo delle aggregazioni realizzate mediante modelli reticolari è prevedibile e si gioca sulla loro capacità di porsi come strumenti che, mentre favoriscono lo sprigionamento dei valori sinergici che derivano dall’appartenenza a un gruppo, siano in grado di non deludere l’affidamento dei terzi in ordine al fatto che i rapporti contrattuali possano collocarsi direttamente in capo alle imprese riunite in rete …».

(4)  Per un approfondimento legato agli aspetti pubblicistici del contratto di rete si rimanda a Notariato Studio n. 5-2013/I, Le pubblicità del contratto di rete: questioni applicative, a cura di M. Maltoni, gennaio 2013.

(5)  Per una disamina di differenze e similitudini dei distretti produttivi e delle reti di impresa si rimanda a I contratti di rete, gennaio 2012, a cura della Commissione Diritto Societario dell’Odcec di Roma.

(6)  LaRaccomandazione dell’Unione europea del 6 maggio 2003 n. 2003/361/CE classifica le PMI in: – micro imprese: quelle con meno di 10 dipendenti e un fatturato o un totale di bilancio annuo inferiore o uguale a 2 milioni; – piccole imprese: quelle con meno di 50 dipendenti e un fatturato o un totale di bilancio annuo inferiore o uguale a 10 milioni e – medie imprese: quelle con meno di 250 dipendenti e un fatturato o inferiore o uguale a 50 milioni o un totale di bilancio annuo inferiore o uguale a 43 milioni.

(7)  A dire il vero, le reti di impresa erano state embrionalmente concepite con l’art. 6-bis della legge 6 agosto 2008, n. 133. Ved. P. Magnante, op. cit., 4 ss.

(8)L’art. 1, comma 366, della legge n. 266/2005, rimandava a un decreto interministeriale l’individuazione dei distretti «quali libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare l’efficienza nell’organizzazione e nella produzione, secondo principi di sussidiarietà verticale ed orizzontale, anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali».

(9)  Attualmente tale previsione è ancora lettera morta in ragione della mancata emanazione del relativo Regolamento ministeriale attuativo.

(10)Per un excursus della transizione dai distretti alle reti si rimanda a a. sacrestano,Reti d’impresa: dalla semplificazione della procedura di costituzione all’attribuzione della soggettività, in Corr. trib., 2012, 3289 s.

(11)In senso dubitativo S. Delle Monache, op. cit., che si domanda quale sia la coerenza dell’intervento legislativo rispetto alle linee ispiratrici di un «… modello costituito da un’intelaiatura estremamente leggera che il legislatore della prima ora intendeva offrire alle imprese per favorirne i processi di aggregazione, nel rispetto della loro reciproca autonomia e individualità intese come valori forti, che hanno caratterizzato la crescita e lo sviluppo economico del nostro Paese».

(12)Art. 1, comma 366, della legge n. 266/2005, come modificato dall’art. 3 del D.L. n. 5/2009. Per approfondimenti si rimanda a B. Izzo M. Mangano,Tassazione dei distretti produttivi e delle reti d’impresa, in Corr. trib., 2009, 927 ss.; S. Trettel,Le misure fiscali a favore dei distretti produttivi (e delle reti di impresa), ibidem, 1051 ss.; e a G.M. Committeri, Fiscalità agevolata per aggregazioni e distretti industriali, ibidem, 1797 ss.

(13)AA.VV., Reti d’impresa: profili giuridici, finanziamento e rating, in Il Sole 24 Ore, 2011; e AA.VV., Reti d’impresa. Profili aziendali, civilistici, fiscali, contabili e finanziari, Milano, 2012, capitoli 1 e 5.

(14)C. Camardi, Dalle reti di imprese al contratto di rete nella recente prospettiva legislativa, in I contratti, 2009, 930, il quale ritiene si sia in presenza di un nuovo contratto plurilaterale a contenuto obbligatorio, costituito come un contratto associativo a struttura aperta, che ha quale causa il perseguimento di un obiettivo strategico specifico e consistente nell’accrescimento della capacità delle imprese aderenti alla reti di competere sul mercato. Vedasi anche G. Villa,Il coordinamento interimprenditoriale nella prospettiva del contratto plurilaterale, in AA.VV., Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di P. Iamiceli, Milano, 2009, 119, secondo il quale si è in presenza di un nuovo tipo contrattuale, dotato di rilevante leggerezza e rientrante nel novero dei contratti plurilaterali con comunione di scopo.

(15)Notariato, Studio n. 1-2011/I, Il “contratto di rete, a cura di M. Maltoni P. Spada, aprile 2011, 2. Gli autori si spingono oltre affermando come si abbia una “rete di imprese” tutte le volte in cui si è in presenza di un contratto plurilaterale di cooperazione interaziendale, comunque qualificato, con l’esclusione o almeno il dubbio di inclusione del consorzio con attività esterna.

(16)A questo si doveva aggiungere la preferibilità in termini di certezza del diritto e delle regole delle altre forme aggregative.

(17)È solo con le modifiche introdotte con il D.L. n. 179/2012 che viene riconosciuta alla rete in quanto tale la possibilità di iscrizione al Registro imprese, mentre prima la pubblicità era chiesta e fatta in nome e per conto dei singoli aderenti alla rete.

(18)L. Barchi,L’organo comune nel contratto di rete alla luce della recente novella (Legge di conversione n. 221/12 del D.L. n. 179/12), in Riv. delle op. straordinarie, 2013, 17.

(19)In Boll. Trib., 2011, 272; al par. 20.2 testualmente si afferma come «l’adesione al contratto di rete non comporta l’estinzione né la modificazione della soggettività tributaria delle imprese che aderiscono all’accordo in questione, né l’attribuzione di soggettività tributaria alla rete risultante dal contratto stesso».

(20)L. Barchi, op. cit., 17, sottolinea come «Tali soluzioni erano, per lo più, costituite dalla costituzione tra i medesimi imprenditori riuniti in rete di una società (normalmente a responsabilità limitata) strumentale, la quale, sotto la direzione della rete, operava con i terzi per l’attuazione degli scopi della rete, garantendo così agli imprenditori aderenti il beneficio della responsabilità limitata nella realizzazione del programma comune di rete, il quale veniva così scisso in due parti: a) la parte interna volta a regolare solo i rapporti tra gli imprenditori aderenti, disciplinata dal contratto di rete; b) la parte esterna esecutiva destinata ad operare verso i terzi, affidata alla società».

(21)L’attuale formulazione dell’art. 3, comma 4-quater, prevede l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata per l’acquisizione della soggettività giuridica, ma si ritiene che in tal senso si debba procedere in tutte le fattispecie.

(22)M. Granatieri, Il contratto di rete: una soluzione in cerca del problema?, in I contratti, 2009, 937.

(23)Cfr. circ. 14 aprile 2011, n. 15/E, par. 2.1, in Boll. Trib., 2011, 603.

(24)Comitato interregionale dei Consigli notarili delle Tre Venezie, op. cit., 10 s.

(25)Il comma 4-quater, lett. c), così recita: «qualora sia prevista l’istituzione di un fondo patrimoniale comune …».

(26) Abbiamo già visto come, a prescindere dalla libertà accordata dal legislatore, di fatto sia sempre preferibile la forma scritta.

(27)In tal senso F. Cirianni,La costituzione del contratto di rete: aspetti operativi, in Il corriere del merito, 2010, 29.

(28) Circ. n. 20/E/2013, par. 5.4, cit.

(29) Cfr. anche circ. n. 20/E/2013, cit.

(30)Anticipando l’analisi sulla “rete-contratto”, si evidenzia come la citata circ. n. 20/E/2013 in questo caso ritiene applicabile l’imposta di registro in misura fissa ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. n. 131/1986. A tal fine viene affermato come in questo caso le imprese «destinano parte del proprio patrimonio alla realizzazione del programma comune senza, tuttavia, che si verifichi alcun effetto traslativo». Tale affermazione non fa altro che avvalorare la teoria di quella dottrina che definisce la rete come «un’ipotesi normativa di patrimonio autonomo, da intendersi quale somma dei patrimoni separati appartenenti alle imprese partecipanti e la cui separazione è subordinata alla realizzazione della destinazione all’accrescimento e all’innovatività del programma di rete». M. Bianca, Il modello normativo del contratto di rete, in F. Cafaggi P. Iamicheli G.D. Mosco,Il contratto di rete per la crescita delle imprese, Milano, 2012, 55.

(31)L’Agenzia delle entrate, nella circ. n. 20/E/2013, par. 2, cit., afferma come «i conferimenti iniziali, nonché gli ulteriori eventuali contributi successivi, che ciascuna impresa partecipante si impegna a versare al fondo patrimoniale comune, costituiscono un apporto “di capitale proprio” in un nuovo soggetto».

(32) Cfr. circ. n. 20/E/2013, par. 3, cit.

(33)G. Cariani G. Fusco A. Nicolini V. Rubertelli,Relazione al Convegno La aggregazione attraverso il contratto di rete di impresa, Modena, 12 ottobre 2010. A nostro parere, simile forma di governo della rete si confà a reti leggere che, come evidenziato in dottrina, molto probabilmente saranno dotate di una struttura talmente ridotta da affidare l’attività amministrativa e contabile a terzi. F. Cafaggi, Il nuovo contratto di rete: learning by doing, in I contratti, n. 11/2010.

(34)In tal senso F. Cirianni, op. cit., che evidenzia come nelle strutture meno complesse sarà possibile, per non dire preferibile, adottare un sistema monolivello.

(35) Almeno questa è la posizione dell’Agenzia delle entrate espressa nella circ. n. 20/E/2013, cit.

(36)In senso critico T. Tassani,La fiscalità “ordinaria” del contratto e dei rapporti di rete secondo l’Agenzia delle entrate, in La circ. trib., 2013, 13 ss., che afferma come «Simile interpretazione non pare convincente, neppure in termini di interpretazione letterale ed appare motivata soprattutto dalla esigenza di rispettare la decisione della Commissione Europea C(2010)8939 del 26/1/2011, con cui si è esclusa la natura di aiuto di Stato alla agevolazione in esame sul presupposto che non si trattasse di un beneficio che andasse a favore di un autonomo soggetto di diritto. Occorre però notare che l’attribuzione del beneficio anche nella rete-soggetto non determina una violazione del divieto comunitario di aiuti di Stato, visto che lo stesso può essere goduto da quelle imprese che concludono un contratto di rete, non risultando allora di natura settoriale e specifica, ma configurandosi quale agevolazione di carattere generale».

(37) Cfr. circ. n. 20/E/2013, cit.