16 Gennaio, 2014

Nessuna “decadenza” è prevista dal D.L. 25 settembre 2001, n. 350 (convertito con modificazioni dalla legge 23 novembre 2001, n. 409), che ha istituito e disciplinato il cd. scudo fiscale, né la disposizione di una circolare, che costituisce un atto dell’Amministrazione finanziaria ad efficacia meramente interna, può essere intesa quale atto di interpretazione autentica di una norma, poiché una “decadenza” può essere stabilita solamente da una norma di legge e non essendo prevista alcuna decadenza all’opponibilità dello scudo fiscale, tale beneficio ben può essere invocato per la prima volta in sede di ricorso avverso l’avviso di accertamento dinanzi alle Commissioni Tributarie.

La possibilità di eccepire l’applicabilità dello scudo fiscale in qualsiasi momento non esonera il contribuente dal tenere una condotta improntata a correttezza e buona fede, di talché, se il ricorrente ha, per sua scelta, atteso di proporre il ricorso giudiziale prima di formulare tale eccezione con ciò consentendo un’attività di verifica fiscale e di accertamento che ben poteva essere evitata con notevole risparmio di costi e di attività degli accertatori, dando adito, in definitiva, a spese che l’Amministrazione avrebbe potuto evitare se immediatamente fosse stata esibita la dichiarazione riservata, detto comportamento giustifica la condanna dello stesso ricorrente alle spese di causa ex art. 92 c.p.c.

 

[Commissione trib. provinciale di Massa Carrara, Sez. I (Pres. e rel. Pedroni Menconi), 24 gennaio 2012, sent. n. 64]

 [-privato-]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE

Breve esposizione dei fatti di causa- ricorre il contribuente avverso avviso di accertamento, emesso a seguito di verifica fiscale ad opera della Guardia di Finanza, con il quale gli vengono contestati compensi non dichiarati nell’anno 2005, e conseguentemente gli vengono richieste maggiori imposte IRPEF, IRAP, IVA e gli vengono irrogate sanzioni, eccependo: 1 – illegittimità dell’avviso (…) accertamento per violazione dell’art. l4 D.L. n. 350 del 2001, avendo il ricorrente effettuato il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato, il che preclude ogni accertamento tributario e contributivo limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o altre attività costituite all’estero e oggetto del rimpatrio, risultando palese la riconducibilità delle somme recuperate a tassazione con l’avviso di accertamento, pari ad Euro 905.977, a quelle che il ricorrente ha rimpatriato a norma di legge dopo averle occultamente trasferite all’estero, ammontanti ad Euro 1.114.359; 2- illegittimità dell’avviso di accertamento per infondatezza, nel merito, della pretesa: il ricorrente non avrebbe dichiarato un reddito discendente da compensi per prestazioni professionali rese a terzi, asserzione basata su alcuni questionari inviati dai verificatori, attività illegittima; ante il divieto di prova testimoniale e la scarsa attendibilità delle risposte. Inoltre in alcuni casi si fa riferimento a compensi pagati in annualità diverse da quelle oggetto di accertamento ed infine una parte delle somme corrisposte sarebbero non compensi ma anticipi per spese sostenute in relazione alle pratiche dei clienti.

Si è costituita l’Agenzia delle Entrate assumendo che il contribuente che intenda opporre agli organi competenti gli effetti preclusivi ed estintivi delle operazioni di emersione debba farlo in sede di inizio di accessi, ispezioni e verifiche, ovvero entro i 30 giorni successivi a quello in cui abbia avuto formale conoscenza di un avviso di accertamento, o rettifica o un atto di contestazione di violazioni tributarie. Tale assunto sarebbe basato su quanto disposto dalla Circolare 43/E del 2009, mentre la successiva circolare 52/E del 2010 puntualizza che gli effetti estintivi e preclusivi dell’emersione sono formalmente opposti dal contribuente mediante l’esibizione della dichiarazione riservata consegnata all’intermediario depositario delle somme e delle altre attività finanziarie ed incaricato della regolarizzazione, affinché l’Ufficio possa intraprendere i controlli sulla regolarità della stessa e sulla sussistenza dei presupposti per accedere alla dichiarazione di emersione. Nel caso di specie la verifica fiscale è iniziata il 4.03.2010 quando il ricorrente aveva già perfezionato le operazioni di rimpatrio (26.02.10), ciò nonostante questi ha comunicato di aver aderito allo scudo solamente in sede di ricorso, non opererebbe pertanto l’effetto preclusivo essendo decaduto dal diritto di addurre l’eccezione. A tale conclusione condurrebbe sia la legge, come chiarita dalla circolare 43/E, sia le disposizioni degli artt. 32, c. 4 e 5 D.P.R. n. 600 del 1973 e 53 c. 5 D.P.R. n. 633 del 1972, sia i principi generali di collaborazione e buona fede che debbono informare i rapporti Fisco-Contribuente. Aggiunge infine l’Ufficio come non sia potere della Commissione adita accertare se il rimpatrio, come effettuato dal contribuente, sia stato eseguito correttamente, attività che avrebbe dovuto essere espletata dall’Ufficio stesso al momento della presentazione della dichiarazione di emersione.

Conclusioni delle parti- per il ricorrente previa sospensione dell’esecutorietà dell’atto impugnato, accertare l’illegittimità e, comunque, l’infondatezza della pretesa impositiva e sanzionatoria di cui è causa, totale o parziale, condannando l’Agenzia delle Entrate alla restituzione delle somme che risulteranno indebitamente corrisposte in corso di causa dal ricorrente per il titolo in contestazione, compresi gli interessi. Per l’Agenzia: rigetto del ricorso e condanna del ricorrente alle spese di giudizio.

All’udienza fissata per discutere della sospensione dell’esecutività dell’atto impugnato la Commissione concedeva la sospensione subordinandola alla presentazione di garanzia fideiussoria. La parte chiedeva la proroga del termine concesso per il deposito di garanzia. Venivano quindi depositate memorie illustrative ed il procedimento era trattenuto in decisione.

Motivi della decisione – Con la normativa detta “scudo fiscale” si è consentito a determinati soggetti di rimpatriare e/o regolarizzare, a fronte del pagamento di una somma una tantum, le attività finanziarie detenute illegittimamente all’estero. Il “rimpatrio” preclude nei confronti del dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi di imposta per i quali ancora è possibile l’accertamento, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o altre attività costituite all’estero è oggetto di rimpatrio, estingue le sanzioni (amministrative, previdenziali, tributarie ecc.), esclude la punibilità dei reati. Il contribuente per accedervi non deve essere soggetto ad accertamento o a procedimenti penali in corso.

Nel caso di specie il contribuente contesta l’accertamento adducendo l’applicabilità dell’art.14 D.L. n. 350 del 2001 e l’Ufficio eccepisce che possa operare la preclusione data dallo scudo fiscale sulla base di un’asserita intempestività della presentazione della relativa documentazione: il ricorrente sarebbe decaduto dal diritto di far valere la preclusione all’accertamento in forza della circolare 43/E del 10.10.2009 che prevede il termine di 30 giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento (ovvero dall’inizio della verifica fiscale) per la presentazione della dichiarazione riservata. Trattasi di interpretazione non condivisibile: nessuna “decadenza” è prevista dalla L. n. 409 del 2001, che ha istituito e disciplinato il cd. scudo fiscale, né la disposizione di una circolare – atto dell’Amministrazione finanziaria ad efficacia meramente interna – può essere intesa quale atto di interpretazione autentica di una norma. Una “decadenza” può essere stabilita solamente da una norma di legge. Non essendo prevista alcuna decadenza all’opponibilità dello scudo fiscale, tale beneficio ben può essere invocato in sede di ricorso avverso l’avviso di accertamento dinanzi alle Commissioni Tributarie.

L’Ufficio eccepisce inoltre il proprio impedimento ad effettuare i controlli sull’efficacia dello scudo “formalmente ostacolati dalla mancata produzione di qualsiasi elemento di riscontro ad opera di controparte”. Tale assunto non è condivisibile, il contribuente avendo depositato, sin dalla costituzione in giudizio, la dichiarazione riservata di rimpatrio che ben poteva essere verificata dall’Agenzia delle Entrate nel periodo intercorso tra la proposizione del ricorso e successiva iscrizione a ruolo e l’udienza di discussione. Non sussistendo alcuna effettiva e concreta contestazione della documentazione prodotta, la stessa deve ritenersi valida ed efficace.

Rileva peraltro questa Commissione che la possibilità di eccepire l’applicabilità dello scudo in qualsiasi momento non esonera il contribuente dal tenere una condotta improntata a correttezza e buona fede: nel caso di specie il ricorrente ha, per sua scelta, atteso di proporre il ricorso giudiziale prima di formulare tale eccezione con ciò consentendo un’attività di verifica fiscale e di accertamento che ben poteva essere evitata con notevole risparmio di costi e di attività degli accertatori, dando adito, in definitiva, a spese che l’Amministrazione avrebbe potuto evitare se immediatamente fosse stata esibita la dichiarazione riservata, ritiene pertanto la Commissione che detto comportamento giustifichi la condanna dello stesso ricorrente alle spese di causa ex art. 92 c.p.c.

P.Q.M. – La Commissione accoglie il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese sostenute dall’ Agenzia delle Entrate che liquida complessivamente in Euro 7.477,88.