28 Marzo, 2014

 

Con ritardo sul termine previsto (24 marzo 2012), è stato finalmente emanato il Decreto del Ministro dell’economia (D.M. 2 agosto 2013) con le disposizioni di attuazione del comma 2-quater dell’art. 166 del TUIR (1).

 Con esso non si è ancora tuttavia esaurito il “processo di attuazione” perché il Decreto rinvia ad altri futuri provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate per individuare le modalità dell’esercizio dell’opzione e del versamento rateale, di prestazione delle garanzie ai fini del riconoscimento della sospensione e del rilascio delle stesse, nonché le modalità di monitoraggio annuale delle plusvalenze in sospensione.

 Il Decreto doveva affrontare una serie di problemi (2) connessi alla nuova norma (3) ma comunque “in conformità ai principi sanciti dalla sentenza 29 novembre 2011, causa C-371/10, National Grid Indus BV”.

 Essenzialmente, accanto alla tassazione immediata delle plusvalenze realizzate, per il trasferimento all’estero della sede (4), sui beni non confluiti nella stabile organizzazione, il Decreto “offre” al contribuente le seguenti opzioni:

 1) sospensione integrale della riscossione (salvo per gli elementi di cui al comma 2 che si considerano realizzati e tassabili immediatamente se non confluiti in una stabile organizzazione), fino al realizzo dei beni all’estero;

 2) sospensione su uno o più cespiti (sempre se non confluiti in una S.O.), sempre fino al realizzo all’estero;

 3) versamento delle imposte (anche per singolo cespite) in 10 rate costanti annuali. Si tratta in questo caso non di una sospensione ma di un pagamento rateale (con interessi). In questo caso non è necessario il monitoraggio sul realizzo all’estero della plusvalenza.

 Per la sospensione di cui ai nn. 1 e 2 non sono dovuti interessi, ma sono dovute delle garanzie nelle modalità che saranno stabilite da un provvedimento dell’Agenzia (5). Nell’ipotesi 3) sono dovuti gli interessi e le garanzie.

 Senza entrare nei dettagli in questa sede, sulla questione della piena conformità o meno del decreto di attuazione “ai principi sanciti dalla sentenza CGUE”, occorre notare che il D.M. 2 agosto 2013 (di seguito “D.M.” o “Decreto”), nega in ogni caso (art. 1, comma 2) la sospensione dell’imposta sui plusvalori dei “beni merce” (lett. “a”), sui fondi in sospensione di imposta (lett. “b”) e sui componenti positivi e negativi relativi ad esercizi precedenti la cui deduzione o tassazione sia stata rinviata in conformità alle disposizioni del TUIR (lett. “c”) (ovviamente, per tutti, solo se non confluiti nella stabile organizzazione); gli altri componenti positivi e negativi “correnti” che concorrono a formare il reddito dell’ultimo periodo di imposta di residenza, è ovvio che non possano beneficiare del differimento della tassazione.

 Le disposizioni della lett. c) sopra citata necessitano comunque di un ulteriore chiarimento se non altro per comprendere il significato di “e non attinenti ai cespiti trasferiti” (vedi dopo).

 Per quanto riguarda la lett. b) – fondi in sospensione d’imposta (sempre che non vengano ricostituiti nell’ambito della stabile organizzazione) – la negazione della sospensione della tassazione non è “colpa” del decreto di attuazione perché è la norma stessa (comma 2-quater dell’art. 166 del TUIR) che non fa alcun cenno ai fondi di sospensione di cui all’art. 166, comma 2. Sono evidenti i motivi di una simile scelta – difficile se non impossibile monitoraggio nel futuro degli eventi che comportano l’assoggettamento all’imposta di tali fondi e quindi l’interruzione della sospensione accordata in occasione del trasferimento della sede – ma rimane il problema, come anche per i “beni merce” (nei quali sono compresi anche i titoli del circolante), della conformità della disciplina “ai principi sanciti dalla sentenza C-371/10”.

 A prescindere quindi dalla piena conformità (o meno) della disciplina dettata dal D.M. “ai principi sanciti dalla sentenza CGUE”, qui di seguito vengono analizzati alcuni problemi “tecnici” della stessa.

 

[-protetto-]

 

1) Determinazione delle plusvalenze

 

 I punti importanti e parzialmente nuovi del Decreto anche rispetto al comma 1 dell’art. 166 del TUIR (rimasto sempre invariato) sono i seguenti:

 a) I valori di realizzo per determinare la plusvalenza

 Secondo il comma 1 dell’art. 166 del TUIR, il realizzo dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale (salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione) avviene al “valore normale” e per tale si intende quello definito dall’art. 9 del TUIR. Nel passato in dottrina è stato discusso il problema se tra i componenti dell’azienda al valore normale rientrasse o meno anche l’elemento dell’avviamento.

 Il Decreto (che in realtà doveva attuare solo il comma 2-quater sulla sospensione della tassazione e non incidere sulla determinazione della plusvalenza regolata dal comma 1) non solo individua (interpretazione autentica del comma 1?) (6) l’avviamento come elemento che concorre a formare la plusvalenza ma aggiunge altri elementi: il valore delle funzioni e dei rischi propri dell’impresa (questi ultimi se trasferiti isolatamente, perché se trasferiti insieme all’azienda, il valore può essere anche considerato compreso nel valore dell’avviamento).

 Ma la novità più interessante riguarda i criteri di valutazione richiamati dal D.M.: come già anticipato, il criterio indicato dal comma 1 dell’art. 166 del TUIR è il “valore normale”. L’art. 1 del D.M. usa lo stesso termine quando afferma “… sulla plusvalenza, unitariamente determinata, in base al valore normale dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale” ma poi, quando precisa che nei suddetti componenti si comprendono anche il valore dell’avviamento e quello delle funzioni e dei rischi, indica come valore da attribuire agli elementi citati “l’ammontare che imprese indipendenti avrebbero riconosciuto per il loro trasferimento”.

 Quest’ultima formulazione rispecchia chiaramente il principio del “dealing at arm’s length” sul quale si concentrano tutti i rapporti dell’OCSE sul tranfer pricing e anche l’art. 9 del Trattato Modello OCSE.

 Visto che il termine “valore normale” come definito dall’art. 9 del TUIR e il principio “dell’arm’s length” non sono la stessa cosa (7), è lecito porsi il seguente dubbio: il principio dell’arm’s length vale solo per l’avviamento, le funzioni e i rischi (e quindi avremo due valori; quello dell’arm’s length per avviamento e funzioni e quello del valore normale per gli altri beni) oppure con ciò si è voluto dare una nuova interpretazione generale del concetto di “valore normale”? Oppure, ciò vale solo per il trasferimento sede?

 b) Plusvalenza relativa ai componenti non confluiti nella stabile organizzazione

È chiaro che la plusvalenza va determinata – e la tassazione eventualmente sospesa – solo per i componenti dell’azienda della società che non sono confluiti in una stabile organizzazione.

 Se tutto ciò che prima era nella società viene trasferito all’estero in occasione del trasferimento della sede della società, la plusvalenza da determinare riguarderà la plusvalenza dell’intera azienda (che continuerà la sua attività all’estero e non più in Italia).

 In questo caso la determinazione unitaria della plusvalenza avviene come nel caso di una cessione dell’azienda al valore normale (o al valore dell’arm’s length) da parte della società italiana ad un altro soggetto. Ai fini della sospensione occorre però distinguere tra quei componenti e plusvalori che concorrono a formare il reddito dell’ultimo periodo di imposta (art. 1, comma 2, del D.M.) – che non formano quindi la plusvalenza, e per i quali la tassazione non può essere sospesa – e i plusvalori sui cespiti che formano invece la plusvalenza, la cui tassazione può essere sospesa o rateizzata.

 L’altro caso estremo è quello in cui tutto ciò che prima apparteneva alla società italiana venga a trovarsi poi in una stabile organizzazione della società trasferita all’estero. In tal caso non si verifica alcun realizzo e di conseguenza non c’è alcuna plusvalenza da determinare e non sorge il presupposto per la tassazione immediata degli elementi di cui al comma 2 dell’art. 1 del Decreto.

 I problemi nascono però nel caso in cui una parte dei componenti dell’azienda della società italiana non confluiscano nella stabile organizzazione perché trasferiti all’estero.

 Visto che il D.M. non si è limitato ad attuare solo le disposizioni del comma 2-quater, avrebbe anche potuto fornire un chiarimento sul concetto “confluiti”. Che i componenti confluiti debbano costituire una stabile organizzazione ai fini delle imposte dirette secondo la disposizione dell’art. 162 del TUIR è ovvio. Così non è possibile neutralizzare il realizzo della plusvalenza latente su un singolo bene (per esempio una partecipazione) confluito in una asserita stabile organizzazione perché l’attività connessa a detta partecipazione non potrà costituire una attività di stabile organizzazione ai sensi dell’art. 162 del TUIR.

 Anche un immobile rimasto necessariamente in Italia perché non trasferibile non costituirà una stabile organizzazione se tramite esso, dopo il trasferimento della sede all’estero, non viene esercitata una attività di impresa (per esempio, perché semplicemente concesso in locazione a terzi).

 Anche in questo caso si ha realizzo della plusvalenza sull’immobile però per effetto dell’uscita dello stesso dal regime del reddito di impresa. La società italiana che operava nel regime del reddito di impresa di cui l’immobile faceva parte e che dopo il trasferimento della residenza “lascia” in Italia l’immobile non più utilizzato come bene strumentale in una propria stabile organizzazione in Italia, perde lo status di imprenditore in Italia e con ciò si realizza la plusvalenza sull’immobile a causa della sua uscita dalla sfera del reddito di impresa.

 Se il termine “confluito in una stabile organizzazione” significa che presso la S.O. devono essere individuabili i componenti che prima erano individuabili presso la società e ammesso anche che il contribuente possa liberamente scegliere gli elementi che intenda far confluire o meno (con il limite che i componenti confluiti devono costituire una azienda, ovvero una stabile organizzazione), questa “tracciabilità” diventa critica in caso di elementi che non trovano riscontro né nella contabilità della società prima né nella stabile organizzazione poi.

 Questo è il caso di alcuni beni immateriali non iscritti in bilancio della società (avviamento, know how, funzioni, etc.) il cui confluire o meno nella stabile organizzazione può essere giudicato solo in funzione del confluire o meno delle attività e dei beni cui detti beni immateriali si connettono.

 Ma al di là di questa osservazione, sussiste il rischio che per effetto della “trasformazione” di una società (che si è trasferita all’estero) in una stabile organizzazione, certi beni immateriali si siano trasferiti “per natura” insieme alla società perché gli stessi devono considerarsi “localizzati” presso il soggetto (“headquarter”) (in base alla c.d. teoria dell’accentramento di determinati beni immateriali e funzioni presso la casa madre)?

 Nel caso di trasferimento solo di alcuni beni all’estero – sempre in connessione con la perdita della residenza fiscale della società – mentre tutto “il resto” della società confluisce in una stabile organizzazione, occorre distinguere innanzitutto tra “beni merci” e “beni cespiti”. In entrambi i casi si realizzano i plusvalori latenti, ma mentre i plusvalori dei primi concorrono a formare il reddito dell’ultimo periodo d’imposta (e quindi sono assoggettati a tassazione immediata), la plusvalenza dei secondi, determinata unitariamente, può essere sospesa (o assoggettata a tassazione rateale).

 Le eventuali differenze tra ammortamenti civilistici e fiscali dei beni cespiti si ripercuotono sull’ammontare della plusvalenza. Non può trovare applicazione in questo caso la previsione di cui alla lett. c) del comma 2 dell’art. 1 del Decreto con riferimento alla tassazione o deduzione integrale nell’ultimo periodo di imposta dei componenti la cui concorrenza alla formazione del reddito avviene pro quota in più periodi di imposta (spese di manutenzione, quote deducibili per svalutazione crediti, plusvalenze rateizzate, etc.). Queste posizioni fiscali soggettive sono “slegate” dai singoli beni trasferiti per cui seguono la propria disciplina fiscale nell’ambito dell’azienda che rimane come branch. L’ammontare non ancora dedotto o non tassato di questi componenti assume rilevanza integrale – come componente di reddito dell’ultimo periodo di imposta – solo in caso di cessazione dell’attività in Italia (ovvero se l’intera azienda viene trasferita e in Italia quindi non rimane una stabile organizzazione) (8).

 

 

2) Momento di realizzo della plusvalenza e la questione dell’ultimo periodo di imposta

 

 

Il decreto attuativo non affronta in modo chiaro questi due problemi, anzi esso crea parecchi dubbi.

 Una volta, quando si riferisce ai componenti la cui tassazione non può essere sospesa (comma 2, lett. c), il D.M. parla del reddito del “l’ultimo periodo di imposta di residenza in Italia”; un’altra volta, quando si riferisce alla definitività dell’imposta determinata (comma 3), parla di plusvalenza “realizzata nel periodo in cui avviene il trasferimento” e un’altra volta ancora, quando si riferisce alla rateizzazione dell’imposta (comma 7), parla “dell’esercizio in cui ha efficacia il trasferimento”.

 Nei due ultimi casi il “trasferimento” potrebbe riferirsi anche al trasferimento del bene e non al trasferimento della residenza, ma allora risulterebbe strana la formulazione “in cui ha efficacia il trasferimento”. Quando invece parla dell’utilizzo delle perdite pregresse (comma 4) si riferisce chiaramente “all’ultimo periodo di imposta di residenza in Italia” il cui reddito viene prioritariamente compensato con la perdita di esercizi precedenti (e l’eccedenza, insieme alla eventuale perdita dello stesso periodo, compensa poi la plusvalenza).

 Considerando il momento in cui si perfeziona il trasferimento della sede dal punto di vista civilistico, inteso qui come la cancellazione della società dal Registro delle imprese italiano (9) e tenendo conto della disciplina particolare sulla residenza fiscale (maggior parte del periodo di imposta), le diverse norme prima citate lasciano quindi parecchi dubbi sull’esatta determinazione del momento del realizzo della plusvalenza e dell’individuazione dell’ultimo periodo di imposta di residenza in Italia.

 La risposta al quesito sul momento del realizzo della plusvalenza forse la si può trovare al comma 1 dell’art. 166 del TUIR che collega il realizzo della plusvalenza alla perdita della residenza fiscale. Ma quando la società perde la residenza fiscale?

 È chiaro che il trasferimento del bene all’estero deve avvenire a causa del trasferimento della sede (altrimenti si ha sempre realizzo della plusvalenza, però senza l’applicazione della disciplina della sospensione di cui al comma 2-quater dell’art. 166 del TUIR e dell’art. 1, comma 1, del D.M.).

 Assumiamo allora che il trasferimento del bene avvenga qualche giorno prima del trasferimento civilistico della sede (e che tale trasferimento costituisca anche il momento della nascita della stabile organizzazione che subentra alla società emigrata per tutti i componenti dell’azienda non trasferiti all’estero). Premesso che il trasferimento della sede in continuità giuridica non interrompe il periodo di imposta della società (esercizio sociale) (10), assumiamo che tale periodo corrisponda all’anno solare e che l’ultimo esercizio chiuso sia quello al 31 dicembre 2012. Assumiamo inoltre che la procedura civilistica del trasferimento della sede si sia perfezionata entro il 20 giugno 2013 con la cancellazione della società dal Registro delle imprese italiano e che il trasferimento all’estero di alcuni beni sia avvenuto poco prima del 20 giugno 2013 (e comunque nel periodo 1.1.2013-20.6.2013).

 Si avrebbe la seguente situazione: la società non è più considerata residente dal 1° gennaio 2013 perché è “uscita” dall’Italia prima del decorso della maggior parte del periodo di imposta (quello che ha inizio il 1 gennaio 2013). La società ha quindi “perso” la residenza fiscale a mezzanotte del 31 dicembre 2012 ed è diventata non residente da quel momento in poi. Però non si può dire che il soggetto non residente abbia una stabile organizzazione in Italia dal 1° gennaio 2013 perché il soggetto (società) esiste ancora in Italia e i beni appartengono a questo soggetto (fino al 20 giugno 2013).

 Ai sensi del comma 1 dell’art. 166 del TUIR il realizzo della plusvalenza sarebbe avvenuta con la perdita della residenza, cioè dopo mezzanotte del 31 dicembre 2012 e l’ultimo periodo di imposta di residenza in Italia di cui alla lett. c) del comma 2 e di cui al comma 4 dell’art. 1 del D.M. sarebbe quello dal 1.1.2012-31.12.2012.

 Se, ai sensi del comma 3 e del comma 7 del Decreto per “periodo in cui avviene il trasferimento” si intende quello in cui avviene il trasferimento del bene, allora la plusvalenza andrebbe determinata nel periodo di imposta 1.1.2013-20.6.2013, che non è più periodo di imposta di residenza, ma comunque un periodo in cui la società esisteva ancora in Italia e non era ancora venuta in essere la stabile organizzazione.

 Se invece si intende il periodo di imposta di residenza, la plusvalenza andrebbe determinata alla fine del periodo di imposta 2012 sui valori al 31 dicembre 2012 o su valori presunti per il momento dell’effettivo trasferimento del bene (nell’esempio indicato, un pò prima della cancellazione della società dal Registro delle imprese); nel primo caso verrebbero completamente ignorati gli sviluppi dei valori durante il periodo 1.1.2013-20.6.2013 (nascenti dalla gestione del business da parte della società ancora considerata come soggetto italiano) e nel secondo caso tali valori potrebbero essere solo stimati.

 Per effetto di queste incertezze – alle quali si aggiunge il problema relativo all’utilizzo delle perdite precedenti – la disciplina sul trasferimento della sede, come descritta nel Decreto, risulta di difficile se non impossibile applicazione.

 Tutto ciò dimostra la necessità di modificare, anche per questo motivo, la disciplina sulla residenza delle società introducendo il principio del frazionamento del periodo di imposta. La società estera dovrebbe acquistare la residenza al momento dell’“arrivo” in Italia e la società italiana dovrebbe perdere la residenza al momento dell’“uscita” dall’Italia.

 

 

3) Le diverse opzioni previste dal Decreto

 

 

Ferma restando la tassazione immediata – in ogni caso – dei componenti di cui al comma 2 dell’art. 1 non confluiti in una stabile organizzazione (maggiori/minori valori dei beni “merce”, fondi di sospensione di imposta di cui al comma 2 dell’art. 166 del TUIR; altri componenti di cui alla lett. c), tutti formanti il reddito dell’ultimo periodo di imposta), per la plusvalenza su tutti gli altri beni trasferiti il contribuente può scegliere tra le seguenti alternative:

 pagamento immediato (cioè secondo le modalità ordinarie);

 sospensione della tassazione;

 pagamento rateale dell’imposta.

 Nel primo caso si applicano le normali regole del versamento dell’imposta, laddove la plusvalenza sui beni trasferiti, concorrerà a formare l’intera base imponibile del periodo di imposta cui applicare le imposte (però tenendo conto delle regole per l’eventuale utilizzo delle perdite precedenti). In tal caso ovviamente nessun monitoraggio è richiesto sulle future vicende all’estero di tali beni. Ovviamente la plusvalenza determinata può essere oggetto di rettifica da parte del fisco in un momento successivo.

 Nel secondo caso vengono calcolate le imposte sulla plusvalenza determinata, ma la riscossione è rinviata fino al momento del realizzo all’estero di tale plusvalenza. Per realizzo si intende quello definito dal TUIR (art. 86: realizzo mediante cessione a titolo oneroso; realizzo mediante risarcimento, anche in forma assicurativa per la perdita o il danneggiamento dei beni; assegnazione dei beni ai soci o destinazione degli stessi a finalità estranee all’attività di impresa).

 Solo per le partecipazioni (immobilizzate) trasferite, oltre alle sopra citate ipotesi di realizzo, viene indicata, come ulteriore ipotesi di realizzo, la “distribuzione degli utili o delle riserve di capitali” (11). Si considera prioritariamente distribuito l’utile prodotto in Italia?

 L’opzione può essere esercitata anche distintamente per ciascuno dei cespiti trasferiti (la plusvalenza però deve essere determinata sempre unitariamente, il che significa che la plusvalenza va intesa come somma algebrica delle plusvalenze e minusvalenze relative ai beni trasferiti).

 In tal caso la plusvalenza è riferita a ciascun cespite o componente trasferito in base al rapporto tra il suo maggior valore e il totale dei maggiori valori trasferiti.

 L’esempio potrebbe essere il seguente: vengono trasferiti i seguenti cespiti:

 – Cespite 1 maggior valore 100

 – Cespite 2 maggior valore 500 (per questo viene richiesta la sospensione)

 – Cespite 3 minusvalenza (200)

 Plusvalenza unitaria 400

 Plusvalenza cespite 2:400x(500/600)= 333

 La minusvalenza sul cespite 3 viene quindi imputata proporzionalmente al cespite 2.

 Nel terzo caso il pagamento dell’imposta sulla plusvalenza (con interessi e garanzie) – anche solo su certi cespiti – può avvenire in quote costanti con riferimento all’esercizio in cui ha efficacia il trasferimento e i nove successivi. Questo tipo di opzione fa venir meno la necessità del monitoraggio sul realizzo della plusvalenza all’estero.

 Per tutte le immobilizzazioni materiali e immateriali (brevetti, marchi, know how, etc.) il contribuente può scegliere, quindi, oltre al pagamento immediato, la sospensione della tassazione o il pagamento rateale dell’imposta. Nell’ultimo caso il monitoraggio sul realizzo all’estero non è più richiesto. Se il contribuente opta per la sospensione di imposta occorre invece monitorare il realizzo all’estero; però le forme di realizzo sono solo quelle del TUIR (art. 86), ad eccezione per le partecipazioni immobilizzate. Ciò significa che in caso di cespiti ammortizzabili non rilevano gli ammortamenti (12) fatti all’estero nel futuro ma la plusvalenza rimane sospesa fino alla cessione a titolo oneroso del cespite o fino al momento dell’assegnazione del bene ai soci o fino alla destinazione del bene a fini estranei all’attività di impresa (o fino al verificarsi delle cause di decadenza della sospensione ai sensi del comma 8). Lo stesso vale per i marchi e i brevetti: anche se all’estero vengono dati in licenza non rilevano come realizzo i canoni maturati, ma solo le ipotesi di realizzo previste dal Testo Unico (che possono anche verificarsi mai!). Lo stesso vale per l’avviamento.

Per i beni immateriali (ad esempio brevetti) l’opzione per la sospensione può essere quindi molto più conveniente (anche al netto dell’onere della garanzia sull’importo sospeso) rispetto all’opzione per la tassazione rateale. Non essendo previste particolari forme di realizzo diverse da quelle del TUIR, è possibile rinviare “sine die” (13) la tassazione della plusvalenza “realizzata” con il trasferimento all’estero di detti beni in occasione del trasferimento all’estero della residenza. A fronte di una simile “apertura” del decreto di attuazione è lecito domandarsi dell’opportunità di mantenere, tra le operazioni potenzialmente elusive ai sensi dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, quella “del trasferimento della residenza fiscale all’estero da parte di una società”.

 

 

4) Regime delle perdite pregresse

 

 

Per semplicità assumiamo che non esistano i problemi di individuazione del periodo di imposta indicati precedentemente. Assumiamo quindi che l’ultimo periodo di imposta di residenza coincida anche con il periodo in cui si è considerata realizzata la plusvalenza sui beni trasferiti e il periodo che segue è il periodo della branch e quindi un periodo di imposta di un soggetto non residente (ciò potrebbe verificarsi quando il trasferimento civilistico si perfeziona nella seconda metà del periodo d’imposta).

 Il comma 4 del D.M. indica il seguente ordine di compensazione: le perdite precedenti all’ultimo periodo di imposta di residenza compensano prioritariamente il reddito di quest’ultimo periodo (con i limiti dell’art. 84 del TUIR), comprensivo dei componenti di cui al comma 2 del D.M. L’eccedenza, unitamente alla eventuale perdita di tale periodo, compensa la plusvalenza sui beni trasferiti (se tale plusvalenza viene totalmente compensata, ovviamente non si ha alcuna IRES da pagare o da sospendere e tanto meno alcun obbligo di monitoraggio sul realizzo delle plusvalenza all’estero). Se la compensazione della plusvalenza è solo parziale esiste il problema di capire a quale cespite trasferito occorre imputare la plusvalenza residua ai fini del monitoraggio del realizzo della stessa all’estero (in caso di sospensione). L’eventuale importo residuo della perdita (dopo la compensazione con il reddito del periodo e con la plusvalenza) è utilizzabile dalla stabile organizzazione secondo le regole dell’art. 84 del TUIR e nei limiti dell’art. 181. Il Decreto semplicemente conferma, quindi, l’applicabilità dell’art. 166, comma 2-bis, del TUIR, che si riferisce anche ai limiti di cui all’art. 181 del TUIR. Come è noto, l’art. 181 del TUIR contiene un doppio limite. In esso si afferma – la norma è applicabile alle fusioni e alle scissioni transnazionali cui il trasferimento sede è stato, a questi fini, assimilato – che per il soggetto non residente (ad esempio società incorporante di società italiana), le perdite pregresse sono riportabili (A) “proporzionalmente alla differenza tra gli elementi dell’attivo e del passivo effettivamente connessi alla stabile organizzazione sita nel territorio dello Stato risultante dall’operazione” e (B) “nei limiti di detta differenza”. Ciò implica (secondo la relazione governativa al D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 199): “calcolare la quota [per esempio 33] delle perdite residue della società trasferita [100] proporzionalmente corrispondente al rapporto tra patrimonio netto contabile della società [30] e patrimonio netto della stabile organizzazione “superstite” [10], e confrontare tale quota [33] con lo stesso patrimonio netto contabile di detta stabile [10] assumendo il minore tra i due importi [10]”. L’art. 181 del TUIR è, quindi, volto ad introdurre una limitazione forfettaria della perdite basata, in definitiva, sul patrimonio netto della stabile organizzazione (come se non potessero più considerarsi riportabili perdite attribuibili, in via forfetaria, ad attività non più connesse alla stabile organizzazione italiana). L’art. 181 del TUIR rinvia, a sua volta, all’art. 172, comma 7, del TUIR. Se l’applicazione delle particolari condizioni richieste dal citato comma 7 per il riporto delle perdite (ad esempio i c.d. indici di vitalità) ha senso nel caso delle fusioni e scissioni transnazionali (poiché tali operazioni non possono essere trattate diversamente dalle omologhe operazioni nazionali), meno logico appare considerare applicabile tale comma, per di più effetto di un doppio rinvio normativo, anche ai trasferimenti della residenza di società di capitali. Nelle fusioni e scissioni avviene difatti un’integrazione di attivi di soggetti diversi mentre nel caso di trasferimento della residenza ciò che avviene è solo la (eventuale) permanenza in Italia di una parte del patrimonio della società trasferita in capo alla (eventuale) stabile organizzazione. In altre parole, pare corretto affermare che le residue perdite debbano essere riportabili per la misura che scaturisce dal rapporto tra patrimonio netto contabile della società [30] e patrimonio netto della stabile organizzazione superstite [10] e basta, cioè senza confrontare tale quota [33] con lo stesso patrimonio netto contabile di detta stabile organizzazione [10], assumendo il minore tra i due importi [10] (nell’esempio le perdite riportabili della S.O. sarebbero pari a 33 e non a 10).

Dott. Siegfried Mayr

 

 (1) Con l’art. 91 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, è stato modificato l’art. 166 del TUIR (trasferimento all’estero della residenza delle società), come reazione del legislatore italiano alla sentenza della Corte di Giustizia sulla c.d. “exit tax” (cfr. Corte Giust. UE, sez. grande, 29 settembre 2011, causa C-371/10, National Grid Indus BV, in Boll. Trib. On-line). La modifica consiste nell’aggiunta, all’art. 166 del TUIR, dei commi 2-quater e 2-quinquies. In base al primo, i soggetti che trasferiscono la residenza in Stati dell’Unione o in Stati aderenti all’Accordo SEE possono optare per il differimento della tassazione secondo i principi sanciti dalla Corte Giust. UE causa C-371/10 del 2011, cit. Il secondo prevede, appunto, un decreto di attuazione del comma 2-quater.

 (2) Ved. S. Mayr, Trasferimento della residenza delle società: i problemi che dovrà affrontare il decreto attuativo, in Boll. Trib., 2012, 331. Sul Decreto di attuazione ved. G. Albano L. Miele, Exit tax «congelata» fino al realizzo, in il Sole 24 Ore del 26 agosto 2013, pag. 2; P. Centore, ivi del 12 luglio 2013; C. Galassi L. Miele, Disciplinate le modalità di differimento della riscossione della “exit tax”, in Corr. trib., 2013, 2598; C. Galassi M.
Savi
, Exit tax: stabili organizzazioni estere e notional tax credit, in Fisc. & comm. internaz., 2013, n. 8-9; M. Piazza, in il Sole 24 Ore del 10 luglio 2013; e ID., ivi del 13 agosto 2013, pag. 19.

 (3) Ultima parte del comma 2-quater dell’art. 166 del TUIR.

 (4) Inteso come trasferimento della residenza per cui il trasferimento all’estero, per far venir meno la residenza fiscale, deve riguardare tutti i tre elementi costitutivi della residenza (sede legale, sede dell’amministrazione e oggetto principale dell’attività).

 (5) Sarà interessante conoscere queste modalità quando, per esempio, il realizzo della plusvalenza all’estero avverrà solo dopo tanti anni o addirittura mai.

 (6)Scrivono, a tale proposito, G. Albano L. Miele, cit.: «Deve intendersi, quindi, definitivamente superato il dubbio circa la tassazione dell’avviamento e degli “immateriali” in caso di trasferimento di residenza fiscale».

 (7) Il concetto di valore “normale” come definito dall’art. 9 del TUIR non coincide del tutto con il concetto dell’“arm’s length” criterio principe indicato dall’art. 9 del Trattato Modello OCSE e la cui interpretazione è contenuta nei rapporti OCSE sul transfer price e in particolare nell’ultimo Rapporto del 22/7/2010. Anche sostenendo che la normativa sulla documentazione dei prezzi di trasferimento (art. 26 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), e il successivo provvedimento dell’Agenzia delle entrate 29 settembre 2010, n. 137654, in Boll. Trib., 2010, 1444, abbiano di fatto recepito nel nostro ordinamento le disposizioni delle Linee Guida OCSE sul transfer price e quindi anche il principio dell’arm’s length, ciò era chiaramente riferito solo all’art. 110, comma 7, del TUIR.

 (8) Di differente opinione sembrano essere C. Galassi L. Miele, Disciplinate le modalità di differimento della riscossione della “exit tax”, cit., 2598, ove, equiparando il trasferimento della residenza alla cessazione di attività, si lascia intendere che il “rilievo integrale” di tali posizioni si abbia anche nel caso di trasferimento di singoli beni.

 (9) Ved. su questo punto anche C. Galassi L. Miele, Disciplinate le modalità di differimento della riscossione della “exit tax”, cit., 2600.

 (10) Ved. ris. 17 gennaio 2006, n. 9/E, in Boll. Trib., 2006, 681.

 (11) Come giustamente scrive M. Piazza, in il Sole 24 Ore del 10 luglio 2013, cit., in relazione alla distribuzione di utili: “si ritiene solo quelli prodotti fino al trasferimento”.

 (12) C. Galassi L. Miele, Disciplinate le modalità di differimento della riscossione della “exit tax”, cit., 2602, sembrano descrivere l’ipotesi del pagamento rateale come se fosse l’unica ipotesi di rinvio della tassazione sui cespiti soffermandosi sulle forme di realizzo indiretto, come l’ammortamento, solo con riferimento alla rateizzazione e non anche con riferimento alla sospensione della tassazione della plusvalenza, ipotesi che rimane in essere come alternativa al pagamento rateale.

 (13) Sarà interessante capire come funzioneranno le garanzie in questo caso.

 

 

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