11 Settembre, 2014

 

 

Sulle attività esterovestite detenute in violazione degli obblighi valutari e fiscali (capitali non tax compliant), il rischio di una loro intercettazione da parte del fisco è verosimile, verificata la definizione dell’accordo di scambio multilaterale automatico – non più volontario – dei dati a livello OCSE a cui si aggiungono gli strumenti giuridici in fase di recepimento sull’allargamento del patrimonio conoscitivo a supporto dell’Amministrazione finanziaria, ved. la reciprocità di dati finanziari, come le Direttive multilaterali 2011/16 UE e la Direttiva 2003/48 UE. Il FACTA americano ha dato il là alla proliferazione massiva di “sub FACTA” o “son of FACTA” e iniziative omologhe. Lo scenario di cooperazione internazionale si sta dunque evolvendo verso un’assoluta trasparenza, con rimozione delle ultime resistenze, scorie al segreto bancario (inopponibile) e una condivisione dei dati alla luce dell’evoluzione del global information reporting. Il riferimento è anche agli oltre sessanta accordi bilaterali contro le doppie imposizioni che ex se prevedono lo scambio di informazioni “a richiesta”, ved. art. 26 modello OCSE e i sette accordi bilaterali identificati come Tiea (questi ultimi firmati con i paradisi fiscali) e i numerosi trattati in discussione, ved. OECD, e quello multilaterale MAAT con la Svizzera, in recepimento. A ciò si aggiunge il verosimile rischio di “fughe di notizie” fiscalmente rilevanti in aree protette (le “distrazioni”) e il loro utilizzo in sede fiscale ed extrafiscale unitamente al fatto che il reato di evasione sta diventando reato presupposto per il reato di riciclaggio in molti Stati. Pertanto, in futuro non esisteranno più aree di impunità fiscale, laddove sull’evasione off-shore non vi saranno dighe invalicabili – il gap conoscitivo dello Stato si riduce per la rarefazione dei paradisi fiscali – e per il contribuente non identificato de facto non esisteranno più safe havens per “coprire” le proprie utilità non dichiarate, sempre più vincolate nella loro circolazione. Su questo profilo della (in)disponibilità in Italia di queste utilità esterovestite invisibili cresce la consapevolezza di potere difficilmente nazionalizzarle senza autodenunciarsi, con l’effetto deteriore che la compliance diventa una scelta obbligata per svincolare quelle somme. Cresce dunque il tasso di sostenibilità dell’idea, fino a ieri illusoria, della tracciabilità dei capitali detenuti all’estero in illecito fiscale e valutario. In questo rinnovato, mutato scenario di cooperazione internazionale si inserisce il programma di rientro volontario dei capitali, ved. D.L. 28 gennaio 2014, n. 4, per la riaffermazione del principio di equità, in coerenza con le superiori raccomandazioni della commissione europea e con quanto suggerito da sempre dall’OCSE.

Il vantaggio fiscale (apparente, vedi infra gli effetti de facto espropriativi generati dalle aliquote piene e dal raddoppio dei termini) lucrato, attraverso questa iniziativa volontaria in termini di mera riduzione delle sanzioni amministrative e penali, potrebbe essere un elemento risolutivo per il mantenimento dell’anonimato. Questo soprattutto quando i periodi d’imposta sono ancora “aperti”, ovvero non prescritti e quando gli imponibili riemersi scontano aliquote progressive e proporzionali, ved. redditi finanziari e redditi c.f.c., prelievi indiretti e previdenziali (professionista). Ancora perché operano i “raddoppi” dei termini se sono stati commessi reati fiscali, ved. l’art. 37, commi 24 e 25, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248): tale raddoppio opererà quasi sempre nella misura in cui i patrimoni esterovestiti “bonificati” in disclosure saranno verosimilmente detenuti in Paesi black list (esclusione del Lussemburgo), con l’effetto deteriore che resterebbe ancora “aperto” il 2004, ved. l’art. 12 del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102). Invero, sempre sulla prescrizione de qua (1) ove si ritenga operante il raddoppio in presenza del reato di omessa dichiarazione si potrebbe arrivare anche al 2003, se ovviamente nell’interpretazione della norma primaria si dovesse valorizzare ex se il reato ai fini del raddoppio, ancorché la sua punibilità è esclusa dall’adesione. I costi della disclosure diventerebbero proibitivi o comunque non competitivi.

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Si osserva che sul tema del raddoppio dei termini, con una soluzione equitativa, i giudici della Commissione tributaria regionale della Lombardia (2) hanno escluso questo raddoppio, allineandosi ad un orientamento condiviso in dottrina, quando i reati si sono prescritti: rilevano le cause di non punibilità ed estinzione del reato. In altri termini, la notizia di reato inoltrata quanto il reato si è ex se prescritto non è causa del raddoppio dei termini. Il giudice tributario dovrà verificare non solo l’allegazione e la disponibilità al processo tributario della denuncia penale per uno dei reati di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, da parte dell’Amministrazione finanziaria (riabilita l’esercizio “tardivo” del suo potere accertativo), inoltrata prima dello scadere dei termini ordinari di accertamento, ma anche se l’Amministrazione finanziaria non abbia fatto un uso pretestuoso, strumentale di essa denuncia al fine di rigenerare il termine (breve) per l’accertamento. Pertanto, seguendo questo orientamento sempre meno fluttuante che privilegia non l’oggettività del reato ma la sua concreta perseguibilità, il raddoppio non dovrebbe operare se il reato è prescritto.

Dunque, sulla ricognizione dei periodi fiscali “aperti” sui quali attivare la disclosure (condiziona le valutazioni sul mantenimento dell’anonimato e la sua rischiosità) rileva l’allungamento dei termini, quando ricorre il penale – non dovrebbero rilevare eventuali prescrizioni dei reati fiscali – e a prescindere dalla loro commissione, quando le attività sono comunque localizzate in Stati black list. Peraltro, chi non aderirà alla definizione volontaria potrebbe vedersi maturare la prescrizione su qualche annualità oggi invece ancora “aperta” e “ripresa” in disclosure, in ragione del timing dell’eventuale futuro controllo fiscale. Così con il suo ritardo, questo contribuente potrebbe lucrare la sopravvenuta decadenza. Pertanto il mantenimento dell’anonimato potrebbe essere una scelta di sistema influenzata anche da questa variabile endoprocedimentale ovvero i tempi del futuro ed eventuale controllo fiscale. Il suo ritardo potrebbe determinare un inatteso effetto di consolidamento, cristallizzazione dell’evasione, appunto non più perseguibile.

Coloro che invece hanno patrimoni all’estero “finanziati” con evasioni non più accertabili, lo stesso dicasi per coloro che hanno patrimoni “neutri”, ovvero non derivanti da redditi evasi, ved. le successioni, sceglieranno verosimilmente di autodenunciarsi all’Ucifi, perdere l’anonimato, per sanare le indolori violazioni degli obblighi di compilazione del quadro RW. L’interesse alla sanatoria sarà sicuramente elevato. Difatti avrebbe poco senso, per questi soggetti non evasori, continuare a detenere in maniera opaca patrimoni, per altro non più liberamente circolabili in un futuro scenario di cooperazione internazionale: la loro regolarizzazione avrebbe costi molto bassi. A ciò si aggiunga che i profili sanzionatori possono essere ex se sterilizzati laddove i patrimoni esterovestiti sono caduti in successione (3), nella misura in cui opera il principio di sistema sull’intrasmissibilità delle sanzioni amministrative e penali agli eredi, con l’effetto che questi ultimi resterebbero esposti solo per i tributi personali evasi dal de cuius e per il tributo successorio su queste utilità non dichiarate.

Sulle violazioni da quadro RW, il D.L. n. 4/2014 prevede ex se una riduzione alla metà del minimo, verificato l’ingresso dell’esimente di cui all’art. 7, quarto comma, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (il cumulo giuridico sull’applicazione di unica sanzione e la sua definizione in disclosure non possono mai violare il terzo della somma dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi). Pertanto le “riduzioni” delle sanzioni per le violazioni al quadro RW diventano macro se le attività finanziarie e patrimoniali sono detenute in Stati dell’Unione europea e sono neutralizzate, in coerenza con il principio del favor rei, quelle relative alle sezioni I e III del quadro RW (4). Peraltro si andrà verso una svalutazione dell’adempimento da quadro RW, in presenza di informazioni che il fisco potrà disporre sulla base delle plurime procedure di scambio (il quadro RW è un surrogato). È un’anticipazione dei temi caldi sulle plurime criticità di sistema dell’iniziativa volontaria (scarso appeal per gli “evasori”, benefit apparenti), che insisterebbero, per una conservazione dell’anonimato in colui che ha invece evasioni più recenti, “aperte”, con tutte le ben note rischiosità del sommerso, più avanti diffusamente riprese. È evidente che vi possono essere ragioni extrafiscali, vedi ricapitalizzazioni o finanziamenti di investimenti imprenditoriali o familiari, che possono determinare questi soggetti, con evasioni “libere” (per loro non è indolore la disclosure) a regolarizzare i patrimoni oltre confine. Si osserva che una sicura incisione alla regolarizzazione delle violazioni da quadro RW riviene dal diritto intertemporale, alludo alla recente legge europea 6 agosto 2013, n. 97, che ha svilito grandemente questi profili sanzionatori sui quali si applicheranno le riduzioni introdotte dal nuovo art. 5-quinquies del D.L. 28 giugno 1990, n. 167 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 1990, n. 227). La norma de qua configura la disclosure quale circostanza di carattere eccezionale che giustifica una riduzione delle sanzioni alla metà del minimo edittale in virtù dell’art. 7, quarto comma, del D.Lgs. n. 472/1997. Tali benefici si applicheranno se le attività esterovestite restano in ambito UE, ovvero se detenute extra UE se l’intermediario estero è autorizzato dall’autore delle violazioni a collaborare con le Autorità finanziarie italiane.

Va ricordato che l’iniziativa spontanea di regolarizzazione non avrà effetti extrafiscali. Il riferimento è all’antiriciclaggio, non dispensando il D.L. n. 4/2014 (disclosure) gli intermediari, destinatari degli obblighi di cui al D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, dall’applicazione dei presidi in esso contenuti, con l’effetto deteriore che, sulle attività oggetto di emersione, resteranno immutate le regole di adeguata verifica della clientela, incluso l’obbligo di identificazione del titolare effettivo. Questo a maggior ragione quando i capitali provengono da stati individuati dal Gafi (Gruppo di azione finanziaria internazionale). In altri termini, la disclosure non libera gli intermediari da approfondimenti e valutazioni antiriciclaggio. Il contribuente, autodenunciandosi rimarrebbe de facto esposto ai test antiriciclaggio, non estinguendo la procedura da disclosure l’eventuale provenienza da reato del patrimonio regolarizzato. Vi sarà ex se un obbligo di segnalazione sulle attività rimpatriate qualora l’intermediario rilevi profili di incongruenza ovvero anomalie nella provenienza (sospetta) di queste utilità. Pertanto, nell’iniziativa volontaria, il contribuente valuterà anche questo profilo di rischio (permane) unitamente ai flebili segnali di riduzione degli oneri sanzionatori, certamente poco significativi se confrontati con il passato.

Dunque, nello studio della rischiosità da “sommerso”, diventa pregiudiziale rinnovare una breve analisi di sintesi delle plurime variabili che autodetermineranno il contribuente nella scelta opzionale de qua, enfatizzando da una parte i ben noti limiti strutturali (5) della disclosure, retro riassunti, e dall’altra i futuri scenari di cooperazione, compliance e trasparenza fiscale (quelle rischiosità degenerano) verificata la progressiva diffusione dello scambio automatico di informazioni, che potrebbe riguardare anche esercizi remoti. Il riferimento è alla Convenzione multilaterale sulla mutua assistenza amministrativa (cd. Convenzione MAAT in vigore in 30 Stati) voluta dall’OCSE e dal Consiglio d’europa (è uno dei rischi del sommerso). La Convenzione multilaterale sull’assistenza reciproca in materia fiscale, dopo le prime cinque ratifiche, è entrata in vigore il 1° aprile 1995, è aperta a nuove adesioni, le nuove entrate più significative nei mesi di ottobre e dicembre 2013 hanno riguardato la Svizzera, Andorra, Liechtenstein e San Marino. All’elencazione de qua si aggiunge anche Monaco che ha già sottoscritto una lettera di intenti per l’adesione. Finirà il periodo transitorio di tassazione cedolare e anonimato dei depositanti. La Convezione prevede le tre tipologie di scambio di informazioni, il quale può essere attivato su base bilaterale o plurilaterale in base a specifici accordi tra i singoli Stati. Reciproca assistenza amministrativa (globale) tra Autorità fiscale che trova la sua fonte “madre” nella Direttiva del Consiglio 2011/16/UE del 15 febbraio 2011 relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale recepita dagli Stati membri a partire dal 1° gennaio 2013. La Direttiva de qua si applica alle imposte di qualsiasi tipo, con eccezione dell’IVA, delle accise e dei dazi doganali, in quanto già “coperte” da altre norme dell’Unione in materia di cooperazione amministrativa tra Stati. Lo scambio “su richiesta” potrà riguardare persone fisiche, persone giuridiche, entità ibride (Trust) con l’unico limite di non consentire richieste generiche di informazioni o richieste non pertinenti alle questioni fiscali del contribuente (divieto delle cd. fishing expedition). Ultroneo limite dello scambio di informazioni “su richiesta” deriva dalla necessità di rispettare gli ordinamenti interni, escludendo che lo Stato, al quale vengono richieste informazioni, possa essere obbligato ad effettuare indagini o adottare provvedimenti finalizzati all’acquisizione delle informazioni richieste, non consentiti dalla legislazione interna o dalla prassi amministrativa (sovranità e autonomia dei singoli Stati membri prevalgono sulle stesse esigenze di collaborazione transnazionale). Il legislatore comunitario non specifica, né in positivo né in negativo, quali siano le informazioni che possono e devono essere scambiate. È pertanto legittimo interpretare questo termine nell’accezione più estensiva, comprendendo documenti, attestazioni ufficiali, esiti di indagini.

Su questo profilo di mutato scenario di condivisione dei “dati” (introdotto nelle premesse dell’opera) si evidenzierà che la “non regolarizzazione” potrebbe dunque incontrare il limite di “sistema”, ved. legge comunitaria per il 2013, dell’impossibilità del reimpiego in Italia dei valori detenuti illecitamente all’estero (“svincolo” dei patrimoni, ultroneo rischio di sistema). In altri termini, dopo la disclosure, si inaugura una nuova stagione di accertamenti fiscali internazionali resi possibili dagli accordi che l’Italia ha siglato (l’ultimo in ordine di tempo con gli Usa) o che si appresta a firmare (con la Svizzera). Ma a prescindere dalla circostanza che siano ancora in corso i negoziati fra Autorità fiscali per attivare scambi d’informazione, il cambio di mentalità degli intermediari di Paesi non collaborativi sarà progressivo, nella misura in cui, verificato l’inserimento del reato fiscale fra quelli presupposto del reato di riciclaggio, nessuno in futuro sarà più disposto ad assumere il rischio di incorrere in reati lesivi dell’immagine dell’istituzione che si rappresenta e della propria. A ciò si aggiunge, in questo rinnovato scenario di cooperazione internazionale, il divieto per l’Autorità interpellata di opporre il segreto bancario ossia di rifiutare informazioni solo perché detenute in una banca o da altro istituto finanziario. Difatti l’art. 26, paragrafo 5, del Modello di Convenzione approvato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD), prevede che le norme interne sul segreto bancario non possono costituire un limite allo scambio di informazioni a norma del paragrafo 3. L’evasore percepisce che il rischio che patrimoni esterovestiti vengano neutralizzati dall’Amministrazione finanziaria è molto più elevato rispetto al passato, quando ha deciso di non aderire allo scudo nelle sue edizioni precedenti. Pertanto i rischi dell’anonimato saranno sempre elevati, nella misura in cui il delineato sistema di cooperazione non tollererà più distrazioni per questo contribuente che non ha optato per la disclosure, de facto vincolando per sempre la circolazione dei propri capitali. Il rischio ovvero il suo tasso di intensità sarà direttamente proporzionale al sistema di attuazione (tempi) delle future modalità di scambio di informazioni sensibili. In tal senso si è retro auspicata anche l’eliminazione del quadro RW. Un adempimento cartolare inutile, verificate le plurime possibilità acquisitive delle informazioni su coloro che hanno patrimoni esterovestiti.

Sulle massive disponibilità dei dati da parte del fisco, in chiave di contrasto all’evasione internazionale, si segnala che lo stesso potrà contare anche sulle informazioni contenute nell’Archivio Unico degli intermediari in adempimento degli obblighi antiriciclaggio (art. 36, sesto comma, del D.Lgs. n. 231/2007), con l’effetto deteriore che quei dati custoditi dagli intermediari e dai professionisti per finalità extrafiscali ovvero in chiave antiriciclaggio, si riverseranno nelle politiche di contrasto alle evasioni transfrontaliere. Il riferimento è all’art. 2 del novellato D.L. n. 167/1990 (come risultante, vedi anche art. 1, dalle modifiche apportate dalla legge europea 2013) che abilita l’Ucifi e i reparti speciali della Guardia di finanza a richiedere agli intermediari destinatari degli obblighi di monitoraggio fiscale, in deroga ad ogni disposizione di legge, previa autorizzazione del Direttore centrale accertamento dell’Agenzia delle entrate o del Comandante generale della Guardia di finanza, le prefate informazioni custodite nell’Archivio Unico informatico di cui al citato art. 36, secondo comma, lett. b), del D.Lgs. n. 231/2007. Invero, anche prima delle modifiche introdotte dalla legge europea 2013, il travaso e l’utilizzazione in chiave fiscale di elementi probatori acquisiti presso gli intermediari e da questi custoditi per mere finalità di antiriciclaggio, era possibile in base alla regola di sistema dell’art. 36 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Ma tale travaso di dati operava quando quei dati venivano acquisiti nell’ambito di verifiche antiriciclaggio della Guardia di finanza o, in veste di polizia giudiziaria, nell’ambito delle indagini delegate dall’Autorità giudiziaria. L’evoluzione (legge europea 2013), ossia il potenziamento dei poteri del “controllore”, è evidente nella misura in cui d’ora in avanti l’Amministrazione finanziaria ex se potrà richiedere agli intermediari informazioni, fishing expedition, su operazioni transfrontaliere riguardanti qualsiasi contribuente. Vengono così superate le prefate resistenze ontologiche, alludo alle presupposte, necessarie verifiche sull’antiriciclaggio della Guardia di finanza che “liberavano” l’utilizzazione anche fiscale dei dati acquisiti presso gli intermediari.

Le informazioni richiedibili agli intermediari sulle movimentazioni, operazione transfrontaliere, appunto da trasferire all’Amministrazione finanziaria, possono riguardare qualsiasi soggetto. Infatti nell’intervento riformatore (legge europea 2013) non vi è una delimitazione soggettiva, ved. persone fisiche, società semplici, cui riferire la richiesta de qua, con l’effetto deteriore che le informative richiedibili dall’Amministrazione finanziaria sulle movimentazioni transfrontaliere riguarderanno qualsiasi contribuente. Sulle necessarie valutazioni dei rischi del sommerso è evidente che rientra anche lo spiegato intervento riformatore sull’utilizzo e la disponibilità in chiave fiscale di questo importante patrimonio conoscitivo, custodito fin’ora dagli intermediari, per finalità extrafiscali. Dunque la rischiosità da sommerso, ovvero uno dei rischi dell’anonimato, potrà derivare anche dal legislatore che nel contrasto alle evasioni internazionali abilita sempre più utilizzi plurimi dei dati finanziari transfrontalieri. Pertanto questo contribuente sarà “attenzionabile” sulla base di sollecitazioni sia transnazionali, per le informazioni acquisite in virtù degli scambi multilaterali sull’assistenza reciproca in materia fiscale, e sia domestiche. Il riferimento è a quel patrimonio conoscitivo, alimentato dagli intermediari per mere finalità antiriciclaggio, che ora è utilizzabile “a richiesta” dell’Amministrazione finanziaria per finalità anche endotributarie. È evidente, come per altro preannunciato da alti esponenti dell’Ucifi, che l’utilizzo dei dati consentito dal citato D.Lgs. n. 231/2007 non verrà attivato per chi aderirà alla disclosure. Invero, su questo profilo di rischio, con una circolare protocollo 31 gennaio 2014, DT 8624, viene detto che nessuna deroga vi sarà all’ingresso delle regole antiriciclaggio, cioè gli intermediari applicheranno le procedure di controllo e verifica ex D.Lgs. n. 231/2007, osserva supra, anche sulle attività rimpatriate. Dunque, i benefici della disclosure non potranno esulare dal contesto fiscale, per cui permangono le rischiosità, retro illustrate, sulla provenienza sospetta delle utilità autodichiarate, obbligando gli intermediari alle segnalazioni del caso. Resterebbero immutati gli obblighi di verifica della clientela e segnalazione di operazioni sospette. È evidente che permane l’obbligo di segnalazione, nelle operazioni di rientro volontario, per i professionisti, i quali solo quando ricevono informazioni nel corso dell’esame della posizione giuridica del cliente o dell’espletamento dei compiti di assistenza e difesa dello stesso nei procedimenti giudiziari sono esentati dal prefato obbligo.

Nella valutazione della rischiosità fiscale ed extrafiscale del comportamento del contribuente non in regola con il fisco che, per ragioni retro illustrate, rimane inerte non esercitando il regime opzionale da disclosure, va considerato il futuro scenario internazionale di cooperazione, compliance fiscale, con potenziamento dello scambio di informazioni tra i diversi Paesi inclusa la Svizzera che, de facto, rischia di violare quello stato di clandestinità. Una lotta serrata all’occultamento dei redditi e dei patrimoni, altrove, sempre in quest’opera diffusamente trattata, che veicola attraverso plurime tipologie di scambio di informazioni. La possibilità di ottenere informazioni su dati sensibili è configurabile secondo tre diverse modalità. Lo scambio a richiesta su sollecitazioni di uno Stato A, il quale vuole notizie che chiede allo Stato B relativamente ad un proprio contribuente, ovviamente non saranno ammesse richieste se lo Stato non ha esperito indagini su un determinato soggetto, indagini dalle quali deve emergere il possesso ultranazionale di patrimoni. Lo scambio spontaneo dal perimetro indefinito, variabile, quando l’Autorità fiscale dello Stato A constata una circostanza fattuale al proprio interno che coinvolge il contribuente di uno Stato B e ritiene altamente probabile un fumus di evasione fiscale in questo contribuente. È lasciato alla sensibilità dei verificatori di uno Stato immaginare che determinate operazioni sul proprio territorio integrino un indizio di una possibile evasione tributaria nell’altro Stato.

Infine, una terza ipotesi di compliance prevista dalla Direttiva 2011/16/UE riguarda lo scambio automatico, la cui operatività è prevista dal 2014, ossia quando l’Autorità di uno Stato comunica in modo sistematico determinate informazioni relative a tutti i contribuenti di ciascuno degli altri Stati. È ispirata alle regole dello scambio di informazioni prescritto dagli Stati Uniti, note come FACTA e che sono ancora più invasive.

Avv. Fabio ciani

Università Roma Tre

(1) Sui nuovi termini prescrizionali nei reati fiscali, la cui disciplina si allontana sempre più da quella generale, ordinaria del codice penale, dando vita ad un sub-sistema indipendente, proprio dedicato ad alcune violazioni penali-tributarie, cfr. Iorio-Mecca, Effetti della prescrizione dei reati tributari sulla decadenza dell’accertamento, in Corr. trib., 2014, 199 ss.; gli autori su queste regole autonome osservano che «l’art. 2, comma 36-vicies semel, lett. l), del D.L. n. 138/2011, convertito dalla legge n. 148/2011, ha nuovamente modificato, per i reati tributari, i termini prescrizionali. La novella ha infatti aggiunto all’art. 17 del DLgs. n. 74/00 il comma 1-bis, il quale prevede che i termini di prescrizione per i delitti previsti dagli articoli da 2 a 10 del presente decreto sono elevati di un terzo. Ciò significa che il termine di sei anni dovrà essere aumentato di 1/3: il tempo necessario a prescrivere diventerà, dunque, di otto anni. Gli otto anni diventeranno dieci con interruzione causata, si ribadisce, per i delitti tributari, anche dal pvc o dall’atto di accertamento delle violazioni. Rimangono fuori dalla modifica i reati di omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento iva, indebita compensazione e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, per i quali il termine prescrizionale continuerà ad essere di sei anni (sette e mezzo con l’interruzione)».

(2) Cfr. Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. VI, 19 novembre 2013, n. 147, in Boll. Trib. On-line.

(3) Sugli effetti fiscali indolori della disclosure, quando i patrimoni illegalmente detenuti all’estero sono solo ereditati e lo stesso dicasi quando gli stessi non incorporano rilevanti profili reddituali cfr. Rossi-Massarotto, Regolamentata la procedura di voluntary disclosure di attività finanziarie estere illecitamente detenute, in Corr. trib., 2014, 511 ss., i quali osservano che «si è notato una frequente regolarizzazione dei patrimoni esteri in ipotesi di successione mortis causa, ad opera degli eredi di un determinato de cuius, che deteneva in illecito attività finanziarie o patrimoniali all’estero, mentre non ha trovato fattuale riscontro la regolarizzazione ad opera di soggetti ancora in vita, che detenevano essi stessi tali patrimoni illegalmente. Tale atteggiamento de contribuenti altro non è che la diretta conseguenza del principio di intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi con la conseguenza che questi possono regolarizzare … corrispondendo l’imposta di successione, nonché le ordinarie imposte dirette evase dal de cuius».

(4) Cfr. circ. 24 dicembre 2013, n. 38/E, in Boll. Trib., 2014, 66.

(5) La disclosure non è un condono, nella misura in cui i tributi sono autoliquidati ora per allora e gli imponibili gravati di aliquote ordinarie, progressive e proporzionali, ved. rendite finanziarie. Sui benefit extrafiscali cfr. Corso, La straordinaria necessità e urgenza di fare rientrare i capitali detenuti all’estero, in Corr. trib., 2014, 519 ss.; l’autore sulla natura non condonistica dell’iniziativa volontaria osserva che è ragionevole prevedere che qualcuno parli di amnistia mascherata e cioè del provvedimento di cui all’art. 79 Cost. che subordina l’amnistia e l’indulto alla maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna camera in ogni suo articolo e nella votazione finale. L’amnistia sarebbe mascherata perché, ricorrendo ad un diverso nomen iuris, si eviterebbe di dover raccogliere l’imponente maggioranza di cui all’art. 79 Cost. Senonché il rilievo sarebbe impreciso, perché le vie della clemenza sono infinite e comprendono anche la previsione delle cause di non punibilità le quali, esigendo una maggioranza semplice, permettono di ottenere in modo meno problematico un effetto penale di favore per il contribuente colpevole.

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