19 Dicembre, 2016

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, nell’articolata ed interessante sentenza che precede, è stata chiamata a decidere se la realizzazione di un’operazione di trasferimento di know-how in un Paese dell’Unione europea con aliquota IVA minore costituisca una pratica abusiva.
Per quanto appare desumibile dalla sentenza, lo svolgimento dei fatti si può così sintetizzare: la WebMindLicenses (in seguito WML) è una società ungherese che concede in locazione nel 2009 alla società Lalib, con sede a Madera (Portogallo), il know-how che consente lo sfruttamento di un sito internet avente ad oggetto la prestazione di servizi audiovisivi a carattere erotico, interagendo in tempo reale con utenti di ogni parte del mondo.
In seguito ad un accertamento fiscale, l’Autorità tributaria ungherese ha ritenuto che la WML abbia effettuato l’operazione di trasferimento del know-how al fine di realizzare un significativo risparmio d’imposta legato al fatto che l’aliquota IVA in Portogallo è sensibilmente più bassa rispetto all’Ungheria. La contribuente WML propone ricorso avverso la decisione dell’Autorità ungherese dinnanzi al giudice amministrativo e del lavoro di Budapest, il quale chiede alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di chiarire quali siano le condizioni che determinano il sorgere di una pratica abusiva.
Le questioni che si pongono all’interprete sono numerose e complesse, sia principali che pregiudiziali, e riteniamo, in estrema sintesi, che sia opportuno precisare:
a) il concetto di stabile organizzazione IVA che, sebbene non espressamente definito, è riconducibile alla Direttiva IVA 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, e al Regolamento UE del 15 marzo 2011, n. 282;
b) la possibilità che l’Amministrazione finanziaria possa utilizzare prove desunte nell’ambito di un procedimento penale parallelo a quello tributario, sebbene non ancora concluso;
c) se è ammissibile che uno Stato rivolga una richiesta di cooperazione a fronte di prestazioni già adempiute in altri Stati membri;
d) se possa configurarsi un’ipotesi di abuso del diritto nel caso di operazione realizzata in uno Stato membro con aliquota IVA più bassa rispetto a quello ove ha sede la società che ha concesso la licenza.
Prima di trattare i punti sopra elencati, ci sia consentito precisare il concetto di know-how che, in quanto bene intangibile, è difficilmente individuabile e valutabile ed è frutto di un’analisi fattuale interna all’azienda relativa all’operatività della stessa, che porta l’azienda stessa ad avere un vantaggio competitivo rispetto alle concorrenti. Detto ciò, l’oggetto del giudizio si presenta, nonostante tutto, assai complesso, tenuto conto che involge non solo la definizione di know-how, ma anche quella di stabile organizzazione e di libertà di circolazione dei servizi all’interno dell’Unione europea.
Ma, venendo al primo aspetto, ai fini dell’individuazione della connotazione della stabile organizzazione (1) occorre fare riferimento all’art. 45 della citata Direttiva IVA che stabilisce come il luogo delle prestazioni di servizi si identifichi con quello in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica o che nel caso in cui i servizi siano prestati da una stabile organizzazione del prestatore situata in un luogo diverso da quello in cui ha sede l’attività economica, il luogo della prestazione del servizio si identifica con quello dove ha sede la stabile organizzazione. Il Regolamento UE n. 282/2011, di applicazione della Direttiva n. 2006/112/CE, riconduce il concetto di stabile organizzazione ai fini IVA alla sussistenza «di un grado sufficiente di permanenza», all’esistenza di «una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di fornire i servizi di cui assicura la prestazione» ed alla fornitura dei «servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione».
Tuttavia è stato affermato che ricondurre il concetto di stabile organizzazione al profilo della permanenza, a quello dell’esistenza di una struttura ed alla utilizzazione dei servizi che le sono forniti, appaia «essere non poco pragmatico e suscettibile di valorizzare gli elementi di fatto delle singole fattispecie» (2). La puntuale disciplina della stabile organizzazione è propedeutica alla «necessità di una ripartizione territoriale uniforme fra gli Stati membri fondata su criteri pragmatici, razionali e largamente oggettiva» (3) al fine di evitare inevitabili conflitti di competenza, come quello delineato nell’ipotesi della sentenza in commento.
Riteniamo che la Suprema Corte italiana abbia ben individuato la stabile organizzazione come «un autonomo centro di imputazione di rapporti tributari riferibili a soggetto non residente abilitato all’effettuazione degli adempimenti correlativamente prescritti dalla legge e dotato di legittimazione sostanziale in merito ai rapporti tributari inerenti al soggetto non residente» (4). Di conseguenza, quanto al caso in esame, la WML ha sede in Ungheria, che presenta un’aliquota media IVA pari al 27 per cento, ed ha trasferito il know-how alla Labil con sede a Madera (Portogallo) che, invece, ha un’aliquota media del 23 per cento e, quindi, va ancora precisato che la Lalib è una società distinta dalla WML e che, poiché non è una filiale né una controllata né tantomeno una agenzia, essa ha proceduto a versare l’IVA in Portogallo, Paese dove risiede stabilmente.
La questione riguarda in primis la verifica del luogo effettivo in cui è resa la prestazione, considerato che l’Autorità ungherese interpellata ha ritenuto che l’IVA avrebbe dovuto essere pagata in Ungheria e non in Portogallo, dove invece è stata versata, tenuto conto del fatto che la Lalib sfruttava il know-how della WML. A tal proposito la Corte di Giustizia dell’Unione europea stabilisce che spetta al giudice del rinvio «analizzare l’insieme degli elementi di fatto che gli sono sottoposti verificando, in particolare, se la fissazione della sede dell’attività economica o della stabile organizzazione della Lalib a Madera non era effettiva o se tale società, ai fini dell’esercizio dell’attività economica considerata, non aveva una struttura adeguata in termini di locali, di personale e di strumenti tecnici, o ancora se detta società non esercitava tale attività economica in proprio nome e per proprio conto, sotto la propria responsabilità e a proprio rischio».
Quanto ai servizi forniti per via elettronica (fornitura di siti web e web-hosting, gestione a distanza di programmi ed attrezzature, fornitura di immagini, testi e informazioni e messa a disposizione di banche dati), in tali ipotesi il luogo delle prestazioni dei servizi è quello in cui è stabilita, domiciliata o residente la persona.
Collegata a tale questione è quella relativa alla localizzazione del reddito nel caso di operatori digitali risalendo alla c.d. significativa presenza digitale, che rimarrà sullo sfondo delle nostre considerazioni e che è stata oggetto del BEPS Action Plan con il documento “Addressing the tax Challanges of the Digital Economy” del 2014.
Relativamente al punto sub b), la questione sollevata dal giudice del rinvio è se l’Amministrazione tributaria possa, nell’ambito di un procedimento amministrativo, raccogliere ed utilizzare con mezzi propri del procedimento penale le prove e se la stessa Amministrazione possa controllare la legittimità dell’ottenimento delle prove nell’ambito del procedimento penale, qualora il contribuente non ne abbia avuto conoscenza e non ne abbia potuto contestare la legittimità dinanzi ad un altro giudice. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ribadisce a tal proposito come, secondo la giurisprudenza costante, i diritti fondamentali si applichino in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione europea, e con riferimento al caso di specie, cioè all’ottenimento delle prove nell’ambito del procedimento penale, la Corte rammenta l’art. 7 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea (5), quanto al diritto al rispetto della vita privata e familiare, nonché l’art. 8 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (6), ed afferma come le intercettazioni di comunicazioni e i sequestri di messaggi di posta elettronica costituiscano ingerenze nell’esercizio dei diritti sopra menzionati e possano essere utilizzati solo in quanto rispettosi del principio di proporzionalità (7). E poiché sono stati acquisiti nel corso di un procedimento penale, è solo alla luce di quest’ultimo che ne va valutato sia lo scopo che la reale necessità. Nell’ipotesi de qua il sequestro dei messaggi di posta elettronica era stato effettuato senza la preventiva autorizzazione giudiziaria per cui si rimette ancora una volta al giudice del rinvio la verifica se l’assenza di un siffatto mandato sia controbilanciata dalla possibilità, per il soggetto destinatario del controllo, di richiedere ex post un controllo giurisdizionale. Ci sembra, a tale proposito, opportuno rammentare la sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo 23 novembre 2006, n. 18497/03, caso “Ravon e altri c. Francia”, nella quale, a tutela delle libertà individuali a fronte delle illegittime attività conoscitive e di controllo tributario, la Corte afferma che «le persone interessate possono ottenere un controllo giurisdizionale effettivo, in fatto come in diritto, sulla regolarità della decisione che prescrive l’ispezione e, se del caso, sulle azioni intraprese circa il suo fondamento; il ricorso a disposizione deve consentire, in caso di constatazione di irregolarità, sia di prevenire la continuazione delle operazioni, sia, nei casi in cui l’operazione considerata irregolare abbia già avuto luogo, di fornire all’interessato un opportuno rimedio».
La questione va inquadrata in un contesto di più ampio respiro circa l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche acquisite nel corso di indagini penali, con specifico riferimento al processo tributario (8). Il rimando è all’art. 266 c.p.p. – che consente l’utilizzo di tale strumento di prova nel procedimento penale, sebbene fortemente invasivo della vita privata (anche alla luce dell’art. 15 Cost.) – ed all’art. 270 c.p.p. il quale prevede il divieto di utilizzo, ai sensi del primo comma, in un “diverso procedimento” delle prove acquisite. Tale concetto va riferito al dato della alterità o non uguaglianza del procedimento, in quanto instaurato in relazione ad una notitia criminis storicamente diversa da quella oggetto dell’indagine e alla circostanza che le intercettazioni possono essere utilizzate anche nel processo tributario. È consentito alla Guardia di finanza, ai sensi dell’art. 63 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, di trasmettere «documenti dati e notizie acquisiti direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, previa autorizzazione dell’Autorità giudiziaria». Ne consegue, pertanto, che se le intercettazioni telefoniche sono acquisite nel corso di un procedimento penale, e trasmesse all’Amministrazione finanziaria, entrano a far parte del materiale indiziario che il giudice tributario deve valutare (9). In tal senso le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione hanno stabilito che «l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni accertata da un giudice penale di cognizione, ha effetti in qualsiasi tipo di giudizio» (10).
Nel caso de quo viene ribadito che il diritto dell’Unione europea non osta a che l’Amministrazione finanziaria dei singoli Stati possa utilizzare prove ottenute (quali intercettazioni di comunicazioni e sequestri di messaggi di posta elettronica) nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso allo scopo di accertare la sussistenza di una pratica abusiva in materia di IVA. E rimanda al giudice del rinvio la verifica se la mancanza di un previo mandato giudiziario «sia, in una certa misura, controbilanciata dalla possibilità, per la persona interessata dal sequestro, di richiedere ex post un controllo giurisdizionale vertente tanto sulla legittimità quanto sulla sua necessità, controllo che deve essere efficace nelle circostanze specifiche della causa di cui trattasi».
In definitiva, spetta al giudice nazionale verificare se il soggetto passivo abbia avuto la possibilità di avere accesso alle prove ed essere ascoltato sulle stesse. A tal proposito, rammentiamo la centralità del contraddittorio per raggiungere una imposizione corretta, proporzionale e ragionevole, in quanto esso, all’interno del procedimento, rappresenta «uno strumento non solo di distensione e di recupero di un migliore rapporto con il contribuente, ma anche di realizzazione del risultato più fedele alla effettiva capacità contributiva del soggetto sottoposto a controllo» (11), a condizione che esso assuma una natura sostanziale, nel senso che non deve esaurirsi in una mera presentazione di documenti e/o chiarimenti, ma deve consentire l’estrinsecazione, da parte del contribuente, delle argomentazioni difensive già in sede precontenziosa realizzando, per così dire, un dibattimento procedimentale obbligatorio.
Giova ricordare come la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea disponga, all’art. 41 (12), il diritto ad una buona amministrazione che, fra l’altro, comporta il diritto di ciascuno ad essere ascoltato prima dell’adozione nei suoi confronti di un provvedimento lesivo dei propri interessi (13). In definitiva, e alla luce della sentenza Sopropé (14), il destinatario dell’atto lesivo deve essere messo in condizione di manifestare il proprio punto di vista in relazione agli elementi sui quali si fonda la decisione dell’Amministrazione finanziaria. Tale obbligo ricade sulle Amministrazioni degli Stati membri per tutte le decisioni inerenti la sfera di applicazione del diritto dell’Unione «quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità». Si tratta di un’interpretazione probabilmente non ancora sufficientemente considerata in ambito interno che comporta l’annullamento del provvedimento adottato in presenza di tale irregolarità (15). Nell’ipotesi in cui il soggetto passivo non vi abbia avuto accesso, il giudice nazionale non può ammettere tali prove e, conseguentemente, deve annullare la decisione; parimenti non ammesse sono tali prove se il giudice non può accertare che esse siano state ottenute nel rispetto del diritto dell’Unione europea.
Il terzo aspetto sub c), relativo alla questione se l’Amministrazione tributaria di uno Stato membro nel quale è già stato adempiuto il versamento dell’IVA sia tenuta a rivolgere una richiesta di cooperazione (16) alle Amministrazioni finanziarie di altri Stati, è stato risolto nel senso di ritenere il dovere di cooperazione opportuno, se non addirittura necessario. E segnatamente, sul punto, si rammenta l’art. 1 del regolamento n. 904/2010 (17) che definisce le condizioni alle quali le Autorità nazionali cooperano tra di loro.
La Corte di Giustizia dell’Unione europea stabilisce che detto regolamento deve essere interpretato nel senso che «l’Amministrazione tributaria di uno Stato membro che esamina l’esigibilità dell’IVA per prestazioni che sono già state assoggettate a detta imposta in altri Stati membri è tenuta a rivolgere una richiesta di informazioni alle Amministrazioni tributarie di altri Stati membri qualora una siffatta richiesta sia utile, se non indispensabile, per accertare che l’IVA sia esigibile nel primo Stato membro» (18).
Il principio espresso con riferimento al punto sub d) se, cioè, costituisca una pratica abusiva il trasferimento del know-how dall’Ungheria a Madera, Paese in cui si applica un’aliquota IVA inferiore, è quello secondo il quale le circostanze della gestione delle transazioni finanziarie, del personale e degli strumenti tecnici necessari alla prestazione dei servizi resi dalla WML che possano averla indotta a concedere alla Lalib in locazione il suo know-how, non consentono da soli di ritenere esistente una costruzione artificiosa.
Nonostante la lotta contro la frode, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi siano obiettivi sanciti e promossi dalla Direttiva IVA, e nonostante viga il divieto di costruire, attraverso artificiose strategie giuridiche, costrutti ed operazioni privi di effettività economica, al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale (19), la Corte di Giustizia dell’Unione europea afferma che nessuna pratica abusiva possa configurarsi nel caso de quo, e ciò sostanzialmente per due ordini di motivi: da un lato viene esaltato il principio della libera circolazione dei servizi (coordinato col divieto di doppia imposizione) e, dall’altro lato, viene dato atto dell’assenza di una completa armonizzazione da parte della Direttiva IVA che limita gli Stati membri al rispetto di un’aliquota minima (e consente, per converso, diversificazioni nella scelta dell’aliquota da applicare).
In conclusione, il soggetto passivo può, anzi deve, scegliere la forma di conduzione degli affari, le strutture organizzative e le modalità operative che gli permettano di ridurre la sua contribuzione fiscale, a patto che siano verificate in contraddittorio le condizioni previste dal diritto dell’Unione europea.

Prof. Maria Vittoria Serranò

(1) Cfr. DELLA VALLE, La nozione di stabile organizzazione nel nuovo TUIR, in Rass. trib., 2004, 1597 ss.; PERRONE, La stabile organizzazione, ibidem, 794 ss; TUNDO, Stabile organizzazione personale e determinazione del reddito secondo le direttive OCSE, ivi, 2011, 305; ID., Ancora controverso il concetto di stabile organizzazione tra obiettiva incertezza, personalità giuridica e cooperazione internazionale, in Riv. giur. trib., 2011, 903 ss.; DELLA VALLE, Le interrelazioni tra le nozioni di residenza fiscale e stabile organizzazione: problemi ancora aperti e possibili soluzioni, in Dir. prat. trib., 2014, 29 ss.; DE MARCO, Il regime della tassazione per trasparenza delle società di capitali. Sistema impositivo di riequilibrio o alternativo?, Milano, 2014, 74 ss. Per un approfondimento di teoria generale si vedano FERLAZZO NATOLI – PANUCCIO, Opificio, in Enc. dir., XXX, 1980.
(2) Ved. COMELLI, I rapporti, sotto il profilo dell’IVA, tra stabile organizzazione, casa madre e terzi, in Dir. prat. trib., 2014, 706.
(3) Ved. COMELLI, op. ult. cit., 718.
(4) Così Cass., sez. trib., 22 luglio 2011, n. 16106, in Boll. Trib., 2011, 1558.
(5) Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea 2000/C, in G.U.C.E. n. 346/1 del 18 dicembre 2000.
(6) Cfr. la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, ratificata il 4 novembre 1950, il cui art. 8 stabilisce che «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».
(7) Sul principio di proporzionalità ci sia consentito rinviare a SERRANÒ, Il principio di proporzionalità nella fase istruttoria dell’accertamento tributario, in Riv. trim. dir. trib., 4, 2014, e alla bibliografia ivi citata.
(8) Per un’ampia disamina delle questioni si veda COLLI VIGNARELLI, Dichiarazioni di terzi, intercettazioni telefoniche e giudizio tributario, in Boll. Trib., 2013, 804.
(9) Cfr. Cass., sez. trib., 7 febbraio 2013, n. 2916, in Boll. Trib., 2013, 883.
(10) Cfr. Cass., sez. un. pen., 9 aprile 2010, n. 13426, in Boll. Trib. On-line; e Cass. n. 2916/2013, cit. Più di recente Cass., sez. V pen., 18 gennaio 2016, n. 1804; e Cass., sez. III pen., 21 gennaio 2016, n. 2608; entrambe in Boll. Trib. On-line.
(11) Cfr. BASILAVECCHIA, L’evoluzione dei controlli: verso un accertamento sostenibile?, in Corr. trib., 2014, 2761
(12) Il citato art. 41, rubricato «Diritto ad una buona amministrazione», così dispone: «1. Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione. 2. Tale diritto comprende in particolare: il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio, il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale, l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni. 3. Ogni individuo ha diritto al risarcimento da parte della Comunità dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri. 4. Ogni individuo può rivolgersi alle istituzioni dell’Unione in una delle lingue del trattato e deve ricevere una risposta nella stessa lingua».
(13) Il principio del contraddittorio è anche riferibile all’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo che contempla il diritto nella fase processuale, da parte del soggetto interessato, ad essere ascoltato al fine di esporre le proprie ragioni.
(14) Si tratta della nota sentenza resa da Corte Giust. CE, sez. II, 18 dicembre 2008, causa C-349/07, in Boll. Trib. On-line.
(15) Si veda il punto 79 della sentenza nel passaggio in cui si chiarisce come «una violazione dei diritti di difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso».
(16) Sul principio di cooperazione, ex multis, si vedano BUCCISANO, Assistenza amministrativa internazionale dall’accertamento alla riscossione dei tributi, Bari, 2013, e l’ampia bibliografia ivi citata.
(17) Cfr. il Regolamento UE n. 904/2010 del Consiglio del 7 ottobre 2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia di IVA.
(18) Cfr. Corte Giust. UE, sez. III, 17 dicembre 2015, causa C-419/14, in Boll. Trib. On-line.
(19) Per tutti si vedano i punti 74 e 75 della sentenza di Corte Giust. UE 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax, in Boll. Trib. On-line.

IVA – Accertamento – Contratto di licenza avente ad oggetto la locazione di un know-how da sfruttare in uno Stato membro con aliquota IVA inferiore – Abuso del diritto – Limiti e condizioni di configurabilità, e loro accertamento.

IVA – Accertamento – Abuso del diritto – Contratto di licenza avente ad oggetto la locazione di un know-how da sfruttare in uno Stato membro con aliquota IVA inferiore – Limiti e condizioni di configurabilità dell’abuso, e loro accertamento.

IVA – Accertamento – Abuso del diritto – Pagamento dell’imposta in uno Stato membro diverso da quello in cui la prestazione sia stata effettivamente resa – Accertamento dell’imposta nello Stato membro dove l’imposta avrebbe dovuto essere versata in assenza dell’abuso del diritto – Legittimità.

IVA – Accertamento – Abuso del diritto – Accertamento della debenza dell’IVA in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata tassata la prestazione di servizi – Richiesta di informazioni all’Amministrazione finanziaria dello Stato membro in cui la prestazione di servizi è stata assoggettata ad imposta per verificarne l’esigibilità nello Stato membro richiedente – Necessita.

IVA – Accertamento – Abuso del diritto – Utilizzabilità di prove ottenute in un procedimento penale parallelo e non ancora concluso – Verifica, da parte del giudice nazionale, della legittimità delle prove assunte nel diverso processo penale e se, conformemente al principio generale del rispetto dei diritti di difesa, il soggetto passivo abbia avuto la possibilità, nell’ambito del procedimento amministrativo, di avere accesso a tali prove e di essere preventivamente ascoltato su di esse – Necessita – Violazione di tali principi – Inammissibilità delle prove – Consegue.

Il diritto dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che, per accertare se un contratto di licenza avente ad oggetto la locazione di un know-how che consentiva lo sfruttamento di un sito internet tramite il quale erano prestati servizi audiovisivi interattivi, concluso con una società con sede in uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio aveva sede la società che ha ceduto tale licenza, traeva origine da un abuso di diritto volto a beneficiare di un’aliquota dell’IVA applicabile a detti servizi meno elevata in tale altro Stato membro, il fatto che l’amministratore e unico azionista di quest’ultima società fosse il creatore di tale know-how, che lo stesso esercitasse un’influenza o un controllo sullo sviluppo e sullo sfruttamento di detto know-how e sulla prestazione dei servizi basati sullo stesso, che la gestione delle transazioni finanziarie, del personale e degli strumenti tecnici necessari alla prestazione di detti servizi fosse assicurata da subcontraenti, al pari dei motivi che possono avere portato la società che ha ceduto la licenza a concedere in locazione il know-how di cui trattasi a una società con sede in tale altro Stato membro invece di sfruttarlo essa stessa, non appaiono di per sé decisivi; spetta al giudice nazionale analizzare l’insieme delle circostanze del concreto caso di specie per accertare se tale contratto costituiva una costruzione puramente artificiosa intesa a dissimulare il fatto che la prestazione di servizi di cui trattasi non era effettivamente resa dalla società che ha acquisito la licenza, ma era di fatto resa dalla società che ha concesso la licenza, verificando in particolare se la sede dell’attività economica o della stabile organizzazione della società che ha acquisito la licenza non era effettiva o se tale società, ai fini dell’esercizio dell’attività economica considerata, non aveva una struttura adeguata in termini di locali, di personale e di strumenti tecnici, o ancora se detta società non esercitava tale attività economica in proprio nome e per proprio conto, sotto la propria responsabilità e a proprio rischio.

Il diritto dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che, in caso di constatazione di una pratica abusiva che abbia condotto a fissare il luogo di una prestazione di servizi in uno Stato membro diverso da quello in cui esso sarebbe stato fissato senza tale pratica abusiva, il fatto che l’IVA sia stata pagata in detto altro Stato membro conformemente alla sua legislazione non osta a che si proceda a un accertamento di tale imposta nello Stato membro del luogo in cui tale prestazione di servizi è stata effettivamente resa.

Il regolamento dell’Unione europea n. 904/2010 del Consiglio del 7 ottobre 2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia di IVA, deve essere interpretato nel senso che l’Amministrazione tributaria di uno Stato membro che esamina l’esigibilità dell’IVA per prestazioni che sono già state assoggettate a detta imposta in altri Stati membri è tenuta a rivolgere una richiesta di informazioni alle Amministrazioni tributarie di tali altri Stati membri qualora una siffatta richiesta sia utile, se non indispensabile, per accertare che l’IVA sia esigibile nel primo Stato membro.

Il diritto dell’Unione europea deve essere interpre¬tato nel senso che non osta a che, ai fini dell’appli¬cazione dell’art. 4, par. 3, del Trattato sull’Unione europea (TUE) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea C-326/1/2012 del 26 ottobre 2012, dell’art. 325 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE) di cui alla versione consolidata pubblicata sempre nella predetta Gazzetta Ufficiale C-326/1/2012, e degli artt. 2, 250, par. 1, e 273 della Direttiva 2006/112/CE del Consi¬glio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’IVA, l’Amministrazione tributaria possa, allo scopo di accertare la sussistenza di una pratica abusiva in materia di IVA, utilizzare prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso, all’insaputa del soggetto passivo, mediante intercettazioni di telecomunicazioni e sequestri di messaggi di posta elettronica, a condizione che l’otteni¬mento di tali prove nell’ambito di detto procedimento penale e il loro utilizzo nell’ambito del procedimento amministrativo non violino i diritti garantiti dal diritto dell’Unione europea.

In forza degli artt. 7, 47 e 52, par. 1, della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea spetta al giudice nazionale che controlla la legittimità della decisione relativa a un accertamento dell’IVA fondata su prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso e condotto all’insaputa del soggetto passivo verificare, da un lato, se le intercettazioni di telecomunicazioni e il sequestro di messaggi di posta elettronica siano mezzi istruttori previsti dalla legge e necessari nell’ambito del procedimento penale e, dall’altro lato, se l’utilizzo da parte dell’Amministrazione delle prove ottenute con detti mezzi sia parimenti autorizzato dalla legge e necessario, e spetta inoltre allo stesso giudice verificare se, conformemente al principio generale del rispetto dei diritti della difesa, il soggetto passivo abbia avuto la possibilità, nell’ambito del procedimento amministrativo, di avere accesso a tali prove e di essere ascoltato sulle stesse; se il giudice nazionale constata che tale soggetto passivo non ha avuto detta possibilità o che tali prove sono state ottenute nell’ambito del procedimento penale o utilizzate nell’ambito del procedimento amministrativo in violazione dell’art. 7 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, esso non deve ammettere tali prove e deve annullare detta decisione se la stessa risulta, per tale ragione, priva di fondamento, e parimenti non devono essere ammesse tali prove se detto giudice non è abilitato a controllare che esse siano state ottenute nell’ambito del procedimento penale conformemente al diritto dell’Unione europea o non può quantomeno sincerarsi, sulla base di un controllo già effettuato da un giudice penale nell’ambito di un procedimento in contraddittorio, che esse siano state ottenute conformemente a tale diritto.

[Corte di Giustizia UE, sez. III (Pres. Ilešič, rel. Jarašiūnas), sent. 17 dicembre 2015, causa C-419/14, ric. WebMindLicenses Kft. c. Nemzeti Adó- és Vámhivatal Kiemelt Adó- és Vám Főigazgatóság]

SENTENZA
1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 2, paragrafo 1, lettera c), 24, paragrafo 1, 43 e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»), del regolamento (UE) n. 904/2010 del Consiglio, del 7 ottobre 2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d’imposta sul valore aggiunto (GU L 268, pag. 1), degli articoli 4, paragrafo 3, TUE, 49, 56 e 325 TFUE, nonché degli articoli 7, 8, 41, 47, 48, 51 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
2. Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la WebMindLicenses Kft. (in prosieguo: la «WML») e la Nemzeti Adó- és Vámhivatal Kiemelt Adó- és Vám Főigazgatóság (amministrazione nazionale dei tributi e delle dogane, direzione principale delle imposte e delle dogane per i grandi contribuenti; in prosieguo: l’«amministrazione nazionale dei tributi e delle dogane») in merito ad una decisione di quest’ultima che ha disposto il pagamento di diverse somme a titolo di imposte per gli esercizi dal 2009 al 2011 nonché di un’ammenda e di penalità di mora.

CONTESTO NORMATIVO
Il diritto dell’Unione

3. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva IVA, sono soggette all’imposta sul valore aggiunto (IVA) le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo che agisce in quanto tale.
4. A norma dell’articolo 9, paragrafo 1, secondo comma, di tale direttiva:
«Si considera “attività economica” ogni attività di produzione, di commercializzazione o di prestazione di servizi, comprese le attività estrattive, agricole, nonché quelle di professione libera o assimilate. Si considera, in particolare, attività economica lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità».
5. L’articolo 24, paragrafo 1, di detta direttiva precisa che si considera «prestazione di servizi» ogni operazione che non costituisce una cessione di beni.
6. Nella versione in vigore dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2009, la direttiva IVA prevedeva, al suo articolo 43:
«Il luogo della prestazione di servizi è il luogo in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica o dispone di una stabile organizzazione a partire dalla quale la prestazione di servizi viene resa o, in mancanza di tale sede o di tale stabile organizzazione, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale».
7. Nella versione risultante dalla direttiva 2008/8/CE del Consiglio, del 12 febbraio 2008, che modifica la direttiva IVA per quanto riguarda il luogo delle prestazioni di servizi (GU L 44, pag. 11), in vigore dal 1° gennaio 2010, quest’ultima prevede, al suo articolo 45:
«Il luogo delle prestazioni di servizi resi a persone che non sono soggetti passivi è il luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica. Tuttavia, se i servizi sono prestati da una stabile organizzazione del prestatore situata in un luogo diverso da quello in cui esso ha fissato la sede della propria attività economica, il luogo delle prestazioni di tali servizi è il luogo in cui è situata la stabile organizzazione. In mancanza di tale sede o stabile organizzazione, il luogo delle prestazioni di servizi è il luogo del domicilio o della residenza abituale del prestatore».
8. L’articolo 56 di tale direttiva, nella versione in vigore dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2009, prevedeva quanto segue:
«1. Il luogo delle seguenti prestazioni di servizi, fornite a destinatari stabiliti fuori della Comunità o a soggetti passivi stabiliti nella Comunità ma fuori del paese del prestatore, è quello in cui il destinatario ha stabilito la sede della sua attività economica o dispone di una stabile organizzazione per la quale è stata resa la prestazione di servizi o, in mancanza di tale sede o stabile organizzazione, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale:
(…)
k) i servizi prestati per via elettronica, segnatamente quelli di cui all’allegato II;
(…)».
9. Detto allegato II, intitolato «Elenco indicativo dei servizi forniti per via elettronica di cui all’articolo 56, paragrafo 1, punto k)», menziona in particolare la «(f)ornitura di siti web e web-hosting, gestione a distanza di programmi e attrezzature» nonché la «fornitura di immagini, testi e informazioni e messa a disposizione di basi di dati».
10. L’articolo 59 della direttiva IVA, nella versione risultante dalla direttiva 2008/8, prevede quanto segue:
«Il luogo delle prestazioni dei seguenti servizi a una persona che non è soggetto passivo stabilita, domiciliata o abitualmente residente al di fuori della Comunità è il luogo in cui detta persona è stabilita, domiciliata o abitualmente residente:
(…)
k) servizi prestati per via elettronica, in particolare quelli di cui all’allegato II.
(…)».
11. Ai termini dell’articolo 250, paragrafo 1, della direttiva IVA:
«Ogni soggetto passivo deve presentare una dichiarazione IVA in cui figurino tutti i dati necessari per determinare l’importo dell’imposta esigibile e quello delle detrazioni da operare, compresi, nella misura in cui sia necessario per la determinazione della base imponibile, l’importo complessivo delle operazioni relative a tale imposta e a tali detrazioni, nonché l’importo delle operazioni esenti».
12. L’articolo 273 della direttiva IVA così dispone:
«Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera.
(…)».
13. Il regolamento n. 904/2010 prevede al suo considerando 7:
«Ai fini della riscossione dell’imposta dovuta gli Stati membri dovrebbero cooperare per assicurare l’accertamento corretto dell’IVA. Essi devono pertanto non solo controllare l’applicazione corretta dell’imposta dovuta nel loro territorio, ma dovrebbero anche fornire assistenza ad altri Stati membri per assicurare la corretta applicazione dell’imposta connessa a un’attività che si svolge sul loro territorio e dovuta in un altro Stato membro».
14. Ai termini dell’articolo 1 di tale regolamento:
«1. Il presente regolamento definisce le condizioni alle quali le autorità amministrative degli Stati membri competenti per l’applicazione della legislazione dell’imposta sul valore aggiunto cooperano con quelle degli altri Stati membri nonché con la Commissione allo scopo di garantire l’osservanza di tale legislazione.
A tal fine esso definisce norme e procedure che consentono alle autorità competenti degli Stati membri di collaborare e di scambiare tra loro ogni informazione che possa consentire di accertare correttamente l’IVA, di verificarne la corretta applicazione, in particolare sulle transazioni intracomunitarie, e di lottare contro la frode all’IVA. Esso definisce in special modo le norme e le procedure che consentono agli Stati membri di raccogliere e scambiare per via elettronica le suddette informazioni.
(…)».

Il diritto ungherese

15. L’articolo 37 della legge n. CXXVII del 2007 relativa all’imposta sul valore aggiunto (az általános forgalmi adóról szóló 2007. évi CXXVII. törvény) così prevede:
«(1) In caso di prestazioni di servizi resi a una persona che è un soggetto passivo, il luogo della prestazione di servizi è il luogo in cui il destinatario ha fissato la sede per l’esercizio di un’attività economica o, in mancanza di una sede siffatta a scopo economico, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale.
(2) In caso di prestazioni di servizi resi a una persona che non è soggetto passivo, il luogo della prestazione di servizi è il luogo in cui il prestatore del servizio ha fissato la sede per l’esercizio di un’attività economica o, in mancanza di una sede siffatta a scopo economico, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale».
16. L’articolo 46 di tale legge dispone:
«(1) Per i servizi di cui al presente articolo, il luogo della prestazione di servizi è il luogo in cui, in tale contesto, il destinatario che non è soggetto passivo ha fissato la sede o, in mancanza di sede, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale, a condizione che quest’ultimo si trovi al di fuori del territorio della Comunità.
(2) I servizi cui si applica il presente articolo sono i seguenti:
(…)
k) servizi resi per via elettronica.
(…)».
17. L’articolo 50, paragrafi da 4 a 6, della legge n. CXL del 2004 recante disposizioni generali in materia di prestazioni amministrative e di procedimento amministrativo (a közigazgatási hatósági eljárás és szolgáltatás általános szabályairól szóló 2004. évi CXL. törvény) prevede quanto segue:
«(4) Nell’ambito del procedimento amministrativo, è possibile utilizzare le prove idonee ad agevolare il chiarimento dei fatti. Le prove sono in particolare: le dichiarazioni delle parti, i documenti, le testimonianze, i verbali di sopralluoghi, le perizie, i verbali realizzati durante il controllo amministrativo e le prove materiali.
(5) L’autorità amministrativa sceglie liberamente i mezzi di prova da utilizzare. La legge può imporre all’autorità amministrativa di fondare la sua decisione esclusivamente su un mezzo di prova; inoltre, una disposizione di legge o di regolamento può, per taluni procedimenti, imporre l’utilizzo di un mezzo di prova specifico o esigere che sia richiesto il parere di un organo determinato.
(6) L’autorità amministrativa valuta le prove separatamente e nel loro complesso e accerta i fatti in funzione del convincimento che si è formata su tale base».
18. A norma dell’articolo 51 della legge n. CXXII del 2010 relativa all’amministrazione finanziaria e doganale (a Nemzeti Adó- és Vámhivatalról szóló 2010. évi CXXII. törvény):
«(1) La direzione principale per le questioni penali dell’[amministrazione finanziaria e doganale] e i servizi di livello intermedio della direzione principale per le questioni penali (in prosieguo: i “servizi autorizzati”) possono raccogliere segretamente – nei limiti di cui alla presente legge – informazioni al fine di prevenire, di impedire, di rilevare, di interrompere la commissione di un reato che rientra nell’ambito della competenza di indagine dell’[amministrazione finanziaria e doganale] ai sensi della legge in materia di procedimento penale, di accertare l’identità dell’autore, di arrestarlo, di localizzare il suo luogo di soggiorno e di ottenere prove, nonché di proteggere le persone che partecipano al procedimento penale e le persone appartenenti all’amministrazione incaricata del procedimento, nonché le persone che cooperano con la giustizia.
(2) Le misure adottate sulla base del precedente paragrafo 1, nonché i dati relativi a persone fisiche, persone giuridiche e organismi privi di personalità giuridica che sono interessati da tali misure, non possono essere divulgati.
(3) Durante la fase di raccolta di dette informazioni, i servizi autorizzati nonché, per quanto riguarda i dati ottenuti e la misura di raccolta delle informazioni in sé, il procuratore e il giudice possono prendere conoscenza del contenuto dei dati riservati senza specifica autorizzazione».
19. L’articolo 97, paragrafi da 4 a 6, della legge n. XCII del 2003 recante il codice di procedura tributaria (az adózás rendjéről szóló 2003. évi XCII. törvény) precisa quanto segue:
«(4) Durante il controllo, l’autorità tributaria ha l’obbligo di accertare e dimostrare i fatti, tranne nel caso in cui, in forza di una legge, l’onere della prova incomba sul contribuente.
(5) I mezzi di prova e le prove sono in particolare: i documenti, le perizie, le dichiarazioni del contribuente, del suo rappresentante, dei suoi dipendenti o ancora di altri contribuenti, le testimonianze, i sopralluoghi, gli acquisti di prova, gli acquisti di prova occulti, le produzioni in prova, gli inventari in loco, i dati di altri contribuenti, le constatazioni dei controlli connessi che sono stati disposti, il contenuto delle informazioni comunicate, i dati o le informazioni elettroniche provenienti dai registri di altre amministrazioni, o accessibili al pubblico.
(6) Quando accerta i fatti, l’autorità tributaria ha l’obbligo di esaminare anche i fatti a favore del contribuente. Un fatto o una circostanza non provati non possono essere valutati a sfavore del contribuente, salvo nella procedura di valutazione».

I FATTI DELLA CONTROVERSIA PRINCIPALE E LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI

20. La WML è una società commerciale registrata in Ungheria, creata nel 2009, il cui amministratore detiene la totalità del suo capitale. Con contratto del 1° settembre 2009, tale società ha acquisito a titolo gratuito dall’Hypodest Patent Development Company, una società con sede in Portogallo, un know-how che consentiva lo sfruttamento di un sito internet tramite il quale erano prestati servizi audiovisivi interattivi a carattere erotico in cui intervenivano in tempo reale persone fisiche situate in tutto il mondo (in prosieguo: il «know-how della WML»). In pari data, essa ha concesso tale know-how in locazione, con un contratto di licenza, alla Lalib – Gestão e Investimentos Lda. (in prosieguo: la «Lalib»), società con sede a Madera (Portogallo).
21. In seguito ad un’indagine fiscale presso la WML riguardante una parte dell’anno 2009 nonché gli anni 2010 e 2011, l’autorità tributaria di primo grado, con decisione dell’8 ottobre 2013, ha eseguito diversi accertamenti e ha imposto a tale società il pagamento di varie somme, tra cui 10293457000 fiorini ungheresi (HUF) a titolo di IVA, 7940528000 HUF a titolo di ammenda e 2985262000 HUF a titolo di penalità di mora, in ragione del fatto che, alla luce degli elementi di prova da essa raccolti, il trasferimento del know-how dalla WML alla Lalib non era correlato a un’operazione economica effettiva, poiché tale know-how era sfruttato in realtà dalla WML, di modo che si doveva ritenere che lo sfruttamento di tale know-how avesse avuto luogo nel territorio ungherese.
22. Detta decisione è stata parzialmente modificata dall’amministrazione nazionale dei tributi e delle dogane che ha tuttavia ritenuto altresì che il know-how della WML non fosse stato effettivamente sfruttato da e a favore della Lalib e che, pertanto, stipulando con essa il contratto di licenza, la WML avesse commesso un abuso di diritto inteso ad eludere la normativa tributaria ungherese, meno vantaggiosa di quella portoghese. A sostegno di tale conclusione, è stato segnatamente rilevato che la WML non aveva mai avuto intenzione di trasferire alla Lalib la valorizzazione dei benefici provenienti dallo sfruttamento del know-how della WML, che sussistevano stretti legami personali fra il titolare di detto know-how e i subcontraenti che sfruttavano effettivamente il sito internet considerato, che la società portoghese aveva una gestione irrazionale e un’attività deliberatamente deficitaria e non disponeva di una capacità di sfruttamento autonoma.
23. La WML ha proposto ricorso avverso la decisione dell’amministrazione nazionale dei tributi e delle dogane alla quale essa contesta di aver utilizzato prove ottenute a sua insaputa mediante intercettazioni di telecomunicazioni e un sequestro di messaggi di posta elettronica nell’ambito di un procedimento penale parallelo al quale essa non ha avuto accesso.
24. Essa ha fatto valere, inoltre, che la partecipazione della Lalib allo sfruttamento del know-how della WML aveva motivi commerciali, tecnici e giuridici. Infatti, i servizi di cui trattasi accessibili a pagamento tramite internet non avrebbero potuto essere prestati a partire dall’Ungheria durante il periodo esaminato, in quanto l’adesione al sistema della carta bancaria era all’epoca impossibile in tale paese per siffatti servizi. Essa non avrebbe avuto né personale, né competenza tecnica, né gli attivi, né il portafoglio di contratti, né i collegamenti internazionali che le avrebbero permesso di sfruttare il sito internet considerato. È la Lalib, titolare delle denominazioni di tale dominio, che, in quanto fornitrice di contenuto, avrebbe sopportato la responsabilità civile e penale per i servizi proposti. Pertanto, la conclusione del contratto di licenza con la Lalib non avrebbe avuto uno scopo fiscale e l’IVA sarebbe stata regolarmente pagata in Portogallo. Inoltre, essa non avrebbe beneficiato di un effettivo vantaggio fiscale, poiché la differenza tra le aliquote IVA applicate in Ungheria e in Portogallo era all’epoca poco rilevante.
25. Riferendosi alle sentenze Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C 196/04, EU:C:2006:544) e Newey (C 653/11, EU:C:2013:409), il giudice del rinvio afferma di interrogarsi, alla luce della particolarità dei servizi di cui trattasi offerti su internet, sulle circostanze che devono essere prese in considerazione per valutare, al fine di determinare il luogo della prestazione di servizi, se la costruzione contrattuale utilizzata traeva origine da una pratica abusiva.
26. Esso si chiede, inoltre, se dagli obiettivi della direttiva IVA discenda che l’amministrazione tributaria può raccogliere prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale, anche tramite mezzi segreti, e utilizzarle come fondamento di una decisione amministrativa. A tale riguardo, riferendosi alla sentenza Åkerberg Fransson (C 617/10, EU:C:2013:105), esso si interroga sui limiti posti dalla Carta all’autonomia istituzionale e processuale degli Stati membri.
27. Il giudice del rinvio afferma, inoltre, che il procedimento principale solleva altresì la questione delle modalità con cui l’autorità tributaria di uno Stato membro debba procedere, nell’ambito della cooperazione amministrativa transfrontaliera, nel caso in cui l’IVA sia già stata assolta in un altro Stato membro.
28. In tali circostanze, il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest) ha deciso di sospendere la decisione e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se, in applicazione degli articoli 2, paragrafo 1, lettera c), 24, paragrafo 1, e 43 della direttiva IVA, nell’ambito dell’identificazione del prestatore del servizio ai fini dell’IVA, in occasione dell’esame della questione se un’operazione che sia stata diretta esclusivamente al fine di conseguire un vantaggio fiscale abbia carattere meramente fittizio e sia priva di effettivo contenuto economico e commerciale, rilevi ai fini interpretativi il fatto che, nelle circostanze di cui al procedimento principale, l’amministratore e proprietario al 100% della società commerciale che concede la licenza sia la persona fisica che ha creato il know-how trasferito mediante il contratto di licenza di cui trattasi.
2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se, nell’applicazione degli articoli 2, paragrafo 1, lettera c), 24, paragrafo 1, e 43 della direttiva IVA e nell’accertamento di una pratica abusiva, sia rilevante il fatto che tale persona fisica eserciti o possa esercitare un’influenza informale sulla modalità di sfruttamento della licenza da parte della società che ha acquisito quest’ultima e sulle decisioni commerciali di tale società. Se, in tale contesto, possa rilevare la circostanza che il creatore del know-how partecipi o possa partecipare direttamente o indirettamente, fornendo peraltro consulenza professionale e offrendo pareri circa lo sviluppo e lo sfruttamento del know-how, all’adozione di decisioni commerciali connesse con la prestazione del servizio che si basa su tale know-how.
3) Se, nelle circostanze di cui al procedimento principale, e prendendo in considerazione quanto esposto nella seconda questione, per identificare il prestatore del servizio ai fini IVA, oltre all’analisi dell’operazione contrattuale sottostante, rilevi il fatto che il creatore del know-how, in quanto persona fisica, eserciti un’influenza, se non addirittura un’influenza determinante, o fornisca orientamenti circa il modo in cui è prestato il servizio basato su tale know-how.
4) In caso di risposta affermativa alla terza questione, nel determinare la portata dell’influenza e del controllo, quali elementi o criteri possano essere presi in considerazione per determinare che il creatore del know-how eserciti un’influenza determinante sulla prestazione del servizio e che il contenuto economico effettivo dell’operazione sottostante sia stato eseguito a favore della società che concede la licenza.
5) Se, nelle circostanze di cui al procedimento principale, nell’esaminare il conseguimento del vantaggio fiscale sia rilevante, ai fini della valutazione dei rapporti tra gli operatori economici e i soggetti che intervengono nell’operazione, il fatto che i soggetti passivi che hanno partecipato all’operazione contrattuale asseritamente diretta all’evasione fiscale, sono persone giuridiche, qualora l’autorità tributaria nazionale attribuisca a una persona fisica l’adozione delle decisioni strategiche e operative relative allo sfruttamento del know-how e, in caso affermativo, se si debba tenere conto dello Stato membro nel quale la persona fisica ha adottato tali decisioni. Se, in circostanze come quelle oggetto del presente procedimento, nel caso in cui si possa constatare che la posizione contrattuale delle parti non risulta determinante, rilevi ai fini interpretativi il fatto che la gestione delle operazioni finanziarie, delle risorse umane e degli strumenti tecnici necessari per la prestazione del servizio controverso nella specie, basato su internet, sia assicurata da subcontraenti.
6) Nel caso in cui si possa constatare che le clausole del contratto di licenza non riflettono un contenuto economico effettivo, se la loro riqualificazione e il ripristino della situazione che sarebbe esistita qualora non avesse avuto luogo l’operazione in cui si concretizza la pratica abusiva comportino che l’autorità tributaria dello Stato membro possa determinare in modo diverso lo Stato membro della prestazione di servizi e, pertanto, il luogo di esigibilità dell’imposta, anche laddove la società che ha acquisito la licenza abbia versato l’imposta nello Stato membro di stabilimento, in conformità ai requisiti previsti dalla normativa di tale Stato membro.
7) Se gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE debbano essere interpretati nel senso che è contraria agli stessi e può rappresentare un uso abusivo della libertà di stabilimento e della libertà di prestazione di servizi una situazione contrattuale come quella oggetto del procedimento principale, conformemente alla quale un’impresa, soggetto passivo in uno Stato membro, trasferisce mediante contratto di licenza a un’altra impresa, soggetto passivo in un altro Stato membro, il know-how per la prestazione di servizi di contenuti per adulti attraverso una tecnologia di comunicazione interattiva basata su internet e il diritto a utilizzarlo, in circostanze caratterizzate dal fatto che l’onere dell’IVA dello Stato membro del domicilio dell’impresa che ha acquisito la licenza sia più vantaggioso riguardo alla prestazione trasferita.
8) Che importanza debba riconoscersi, in circostanze come quelle di cui al caso di specie, alle considerazioni commerciali che, unitamente alla prospettiva di conseguire un vantaggio fiscale, hanno motivato l’impresa che concede la licenza. In tale contesto, in particolare, se rilevi ai fini interpretativi il fatto che il proprietario al 100% e amministratore della società commerciale che concede la licenza è la persona fisica che ha creato originariamente il know-how.
9) Se, nell’analizzare la condotta abusiva, possano essere prese in considerazione e, in caso affermativo, che importanza abbiano, circostanze simili a quelle del procedimento principale, come i dati tecnici e infrastrutturali relativi all’introduzione e all’esecuzione del servizio oggetto dell’operazione controversa nonché la competenza e le risorse umane di cui dispone l’impresa che concede la licenza per la prestazione del servizio in questione.
10) Se, nella situazione analizzata nel caso di specie, gli articoli 2, paragrafo 1, lettera c), 24, paragrafo 1, 43 e 273 della direttiva IVA, in combinato disposto con gli articoli 4, paragrafo 3, TUE e 325 TFUE, debbano essere interpretati nel senso che, per garantire il rispetto effettivo dell’obbligo degli Stati membri dell’Unione di riscuotere effettivamente e puntualmente l’importo totale dell’IVA e di evitare la perdita di bilancio connessa con la frode e l’evasione fiscale transfrontaliere, nel caso di un’operazione di prestazione di servizi, e allo scopo di identificare il prestatore del servizio, l’autorità tributaria dello Stato membro, nella fase istruttoria del procedimento (amministrativo) di natura tributaria e al fine di accertare i fatti, ha la facoltà di ammettere dati, informazioni e mezzi di prova quali ad esempio registrazioni di intercettazioni, ottenuti all’insaputa del soggetto passivo dal servizio d’indagine dell’autorità tributaria nell’ambito di un procedimento penale, e di utilizzarli e fondare sugli stessi la sua valutazione sulle conseguenze giuridiche, e, dal canto suo, il giudice amministrativo investito del ricorso proposto contro la decisione amministrativa dell’autorità tributaria dello Stato membro ha la facoltà di effettuare una valutazione di detti elementi nell’ambito delle prove, nel contesto dell’esame della loro legittimità.
11) Se, nella situazione analizzata nel caso di specie, gli articoli 2, paragrafo 1, lettera c), 24, paragrafo 1, 43 e 273 della direttiva IVA, in combinato disposto con gli articoli 4, paragrafo 3, TUE e 325 TFUE, debbano essere interpretati nel senso che, per garantire il rispetto effettivo dell’obbligo dello Stato membro di riscuotere effettivamente e puntualmente l’importo totale dell’IVA, vale a dire, di garantire l’attuazione dell’obbligo dello Stato membro di assicurare l’osservanza degli obblighi imposti al soggetto passivo, il margine riconosciuto agli Stati membri per l’utilizzo degli strumenti di cui dispone l’autorità tributaria nazionale comprende la facoltà di detta autorità di utilizzare i mezzi di prova ottenuti inizialmente ai fini penali per reprimere condotte di evasione fiscale, anche qualora il diritto nazionale, di per sé, non consenta di raccogliere informazioni segretamente nell’ambito di un procedimento amministrativo per reprimere condotte di evasione fiscale, o lo subordini, nell’ambito del processo penale, a garanzie che non sono previste nel procedimento amministrativo di natura tributaria, riconoscendo, al contempo, all’autorità amministrativa la facoltà di agire conformemente al principio di libertà della prova in forza della normativa nazionale.
12) Se l’articolo 8, paragrafo 2, della [Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»], in combinato disposto con l’articolo 52, paragrafo 2, della Carta, osti a che sia riconosciuta all’autorità tributaria di uno Stato membro la competenza a cui si riferiscono le questioni decima e undicesima, o se, nelle circostanze del caso di specie, possa considerarsi giustificato, ai fini della lotta all’evasione fiscale, utilizzare nell’ambito di un procedimento amministrativo di natura tributaria le conclusioni che si desumono dalle informazioni ottenute con mezzi segreti in vista della riscossione effettiva dell’imposta in ragione del “benessere economico del paese”.
13) Nei limiti in cui dalla risposta alle questioni dalla decima alla dodicesima si desuma che l’autorità tributaria dello Stato membro può utilizzare siffatti mezzi di prova nel procedimento amministrativo, se incomba sull’autorità tributaria nazionale, allo scopo di garantire l’effettività del diritto a una buona amministrazione e del diritto di difesa conformemente quanto stabilito dagli articoli 7, 8, 41 e 48 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, l’obbligo assoluto di sentire il soggetto passivo nel corso del procedimento amministrativo, di garantirgli l’accesso alle conclusioni che si desumono dalle informazioni ottenute tramite metodi segreti e di rispettare la finalità per la quale i dati che figurano in tali mezzi di prova erano stati ottenuti, oppure se, a tale titolo, correttamente, la circostanza che le informazioni raccolte tramite metodi segreti siano destinate unicamente a un’indagine di carattere penale impedisca radicalmente l’utilizzo di tali mezzi di prova.
14) Nel caso in cui si ottengano e si utilizzino mezzi di prova in violazione di quanto disposto dagli articoli 7, 8, 41 e 48 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta, se il diritto ad un ricorso effettivo sia soddisfatto da una normativa nazionale in base alla quale l’impugnazione in sede giurisdizionale della legittimità procedimentale di decisioni emesse in procedimenti tributari è ammissibile e può condurre all’annullamento della decisione solo qualora esista la possibilità concreta, in funzione delle circostanze del caso, che la decisione impugnata sarebbe stata diversa se non si fosse prodotto il vizio procedimentale e se, inoltre, tale vizio abbia compromesso la situazione giuridica sostanziale del ricorrente, ovvero debba tenersi conto dei vizi procedimentali in tal modo verificatisi in un contesto più ampio, indipendentemente dall’influenza che il vizio procedimentale, che viola quanto disposto dalla Carta, abbia sull’esito del processo.
15) Se l’effettività dell’articolo 47 della Carta richieda che, in una situazione processuale come quella in oggetto, il giudice amministrativo investito del ricorso contro la decisione amministrativa dell’autorità tributaria dello Stato membro possa controllare la legittimità dell’ottenimento dei mezzi di prova raccolti segretamente ai fini penali nell’ambito di un procedimento di natura penale, in particolare qualora il soggetto passivo contro cui è stato avviato in parallelo il processo penale non fosse a conoscenza di tale documentazione né potesse impugnare dinanzi a un organo giurisdizionale la legittimità della stessa.
16) Prendendo anche in considerazione la sesta questione, se il regolamento n. 904/2010, alla luce, in particolare, del suo considerando 7, ai sensi del quale, ai fini della riscossione dell’imposta, gli Stati membri dovrebbero cooperare per assicurare l’accertamento corretto dell’IVA e, pertanto, dovrebbero non solo controllare l’applicazione corretta dell’imposta dovuta nel loro territorio, ma anche fornire assistenza ad altri Stati membri per assicurare la corretta applicazione dell’imposta connessa a un’attività che si svolge sul loro territorio ma è dovuta in un altro Stato membro, debba essere interpretato nel senso che, in una situazione di fatto come quella che caratterizza il caso di specie, l’autorità tributaria dello Stato membro che constata il debito tributario deve indirizzare la sua richiesta all’autorità tributaria dello Stato membro nel quale il soggetto passivo che è stato oggetto di indagine fiscale ha già adempiuto il suo obbligo di pagamento dell’imposta.
17) In caso di risposta affermativa alla sedicesima questione, qualora si proponga impugnazione dinanzi a un organo giurisdizionale avverso le decisioni adottate dall’autorità tributaria dello Stato membro e se ne constati l’illegittimità processuale in ragione del mancato ottenimento di informazioni e della mancata richiesta alle autorità competenti di un altro Stato membro, quale conseguenza debba applicare il giudice investito del ricorso contro le decisioni amministrative adottate dall’autorità tributaria dello Stato membro, tenuto conto, altresì, di quanto esposto alla quattordicesima questione».

SULLA DOMANDA DI RIAPERTURA DELLA FASE ORALE DEL PROCEDIMENTO

29. Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 17 agosto 2015, la WML ha chiesto, sulla base dell’articolo 83 del regolamento di procedura della Corte, la riapertura della fase orale del procedimento facendo valere che, durante l’udienza, l’amministrazione nazionale dei tributi e delle dogane, al fine di accertare l’esistenza di una costruzione artificiosa nel procedimento principale, si era riferita a circostanze che non erano mai state evocate prima o che non erano mai state evocate a tal fine.
30. Tale domanda è intervenuta prima della presentazione delle conclusioni dell’avvocato generale e, pertanto, prima della chiusura della fase orale del procedimento dichiarata conformemente all’articolo 82, paragrafo 2, di detto regolamento di procedura. Essa deve quindi essere intesa come una domanda di riapertura dell’udienza di discussione.
31. Orbene, da un lato, la WML ha partecipato all’udienza e ha avuto la possibilità di replicare oralmente alle osservazioni dell’amministrazione nazionale dei tributi e delle dogane. Dall’altro lato, la Corte ritiene di essere sufficientemente edotta sulle circostanze della controversia principale per fornire una soluzione utile alle questioni sollevate dal giudice del rinvio, al quale spetta, in ogni caso, valutare dette circostanze per risolvere tale controversia (v. in particolare, in tal senso, sentenza Gauweiler e a., C 62/14, EU:C:2015:400, punto 15).
32. Di conseguenza, la domanda è respinta.

SULLE QUESTIONI PREGIUDIZIALI

Sulle questioni dalla prima alla quinta e dalla settima alla nona

33. Con le sue questioni dalla prima alla quinta e dalla settima alla nona, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che, per valutare se, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, un contratto di licenza avente ad oggetto la locazione di un know-how che consentiva lo sfruttamento di un sito internet tramite il quale erano prestati servizi audiovisivi interattivi, concluso con una società con sede in uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio aveva sede la società che ha concesso tale licenza, traeva origine da un abuso di diritto volto a beneficiare di un’aliquota IVA applicabile a detti servizi meno elevata in tale altro Stato membro, rilevino il fatto che l’amministratore e unico azionista della società che ha concesso la licenza fosse il creatore di tale know how, il fatto che lo stesso esercitasse un’influenza o un controllo sullo sviluppo e sullo sfruttamento di detto know-how e sulla prestazione dei servizi basati sullo stesso nonché il fatto che la gestione delle transazioni finanziarie, del personale e degli strumenti tecnici necessari alla prestazione di detti servizi fosse assicurata da subcontraenti. Esso chiede, inoltre, se debbano essere presi in considerazione i motivi di ordine commerciale, tecnico, organizzativo e giuridico dedotti dalla società che ha concesso la licenza per giustificare la locazione del medesimo know-how alla società con sede nell’altro Stato membro.
34. Come rilevato dal giudice del rinvio, è ad esso che spetta valutare i fatti che gli vengono sottoposti e verificare se gli elementi costitutivi di una pratica abusiva ricorrano nella controversia principale. La Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può tuttavia fornire precisazioni dirette a guidare tale giudice nella sua interpretazione (v. in particolare, in tal senso, sentenze Halifax e a., C 255/02, EU:C:2006:121, punti 76 e 77, nonché Part Service, C 425/06, EU:C:2008:108, punti da 54 a 56).
35. A tale riguardo, si deve ricordare che la lotta contro la frode, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla direttiva IVA e che il principio di divieto di pratiche abusive, che si applica al settore dell’IVA, comporta il divieto delle costruzioni meramente artificiose, prive di effettività economica, realizzate al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale (v., in tal senso, sentenze Halifax e a., C 255/02, EU:C:2006:121, punto 70, nonché Newey, C 653/11, EU:C:2013:409, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).
36. Ai punti 74 e 75 della sentenza Halifax e a. (C 255/02, EU:C:2006:121), la Corte ha dichiarato che l’accertamento di una pratica abusiva in materia di IVA richiede, da un lato, che le operazioni di cui trattasi, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della direttiva IVA e della normativa nazionale di trasposizione abbiano come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da dette disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale delle operazioni di cui trattasi si limita all’ottenimento di tale vantaggio fiscale.
37. Per quanto riguarda in primo luogo, la questione se un’operazione come il contratto di licenza di cui trattasi nel procedimento principale abbia come risultato l’ottenimento di un vantaggio fiscale contrario agli obiettivi della direttiva IVA, si deve osservare, da un lato, che la nozione di «luogo della prestazione di servizi», che stabilisce il luogo di imposizione di tale prestazione, al pari delle nozioni di «soggetto passivo», di «prestazione di servizi» e di «attività economica», ha un carattere obiettivo e si applica indipendentemente dagli scopi e dai risultati delle operazioni di cui trattasi, senza che l’amministrazione tributaria sia obbligata a indagare sulla volontà del soggetto passivo (v., in tal senso, sentenze Halifax e a., C 255/02, EU:C:2006:121, punti 56 e 57, nonché Newey, C 653/11, EU:C:2013:409, punto 41).
38. Per quanto riguarda i servizi prestati per via elettronica nonché quelli oggetto del procedimento principale, dagli articoli 43 e 56, paragrafo 1, lettera k), di tale direttiva nella versione in vigore dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2009 o dagli articoli 45 e 59, primo comma, lettera k), della stessa direttiva nella versione risultante dalla direttiva 2008/8, risulta che il luogo della prestazione di servizi resa a una persona che non è un soggetto passivo con sede nell’Unione europea è quello in cui il destinatario ha stabilito la sede della sua attività economica o dispone di una stabile organizzazione o, in mancanza, il luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale.
39. Dall’altro lato, le differenze tra le aliquote IVA ordinarie applicate dagli Stati membri derivano dall’assenza di armonizzazione completa attuata dalla direttiva IVA, che fissa soltanto l’aliquota minima.
40. In tali circostanze, il fatto di beneficiare in uno Stato membro di un’aliquota IVA ordinaria meno elevata di quella in vigore in un altro Stato membro non può essere considerato di per sé come un vantaggio fiscale la cui concessione è contraria agli obiettivi della direttiva IVA.
41. Per contro, la situazione è diversa se la prestazione di servizi è in realtà resa in tale altro Stato membro. Infatti, una siffatta situazione è contraria all’obiettivo delle disposizioni della direttiva IVA che stabiliscono il luogo di imposizione delle prestazioni di servizi, che consiste nell’evitare, da un lato, conflitti di competenza da cui possano derivare doppie imposizioni e, dall’altro, la mancata imposizione di introiti (v., in tal senso, sentenza Welmory, C 605/12, EU:C:2014:2298, punto 42). Inoltre, nei limiti in cui è finalizzata ad eludere l’IVA dovuta in uno Stato membro, essa è contraria sia all’obbligo degli Stati membri, che deriva dagli articoli 4, paragrafo 3, TUE, 325 TFUE, 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA, di adottare tutte le misure legislative e amministrative atte a garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel suo territorio e a lottare contro la frode, sia al principio di neutralità fiscale, inerente al sistema comune dell’IVA, in base al quale gli operatori economici che effettuano le stesse operazioni non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell’IVA (v., in tal senso, sentenze Commissione/Italia, C 132/06, EU:C:2008:412, punti 37, 39 e 46; Belvedere Costruzioni, C 500/10, EU:C:2012:186, punti da 20 a 22, nonché Åkerberg Fransson, C 617/10, EU:C:2013:105, punti 25 e 26).
42. In secondo luogo, riguardo alla questione se lo scopo essenziale di un’operazione si limiti all’ottenimento di tale vantaggio fiscale, si deve ricordare che, in materia di IVA, la Corte ha già dichiarato che, quando il soggetto passivo ha la scelta tra due operazioni, non è obbligato a scegliere quella che implica un maggiore pagamento di IVA, ma, al contrario, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di ridurre la sua contribuzione fiscale (v., in particolare, sentenze Halifax e a., C 255/02, EU:C:2006:121, punto 73; Part Service, C 425/06, EU:C:2008:108, punto 47, nonché Weald Leasing, C 103/09, EU:C:2010:804, punto 27). I soggetti passivi sono generalmente liberi di scegliere le strutture organizzative e le modalità operative che ritengano più idonee per le loro attività economiche nonché al fine di limitare i loro oneri fiscali (sentenza RBS Deutschland Holdings, C 277/09, EU:C:2010:810, punto 53).
43. Per quanto riguarda il procedimento principale, occorre rilevare che dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che la Lalib è una società distinta dalla WML, in quanto non è né una sua filiale, né una sua controllata, né una sua agenzia e che essa ha pagato l’IVA in Portogallo.
44. In tali circostanze, al fine di appurare che il contratto di licenza di cui trattasi traeva origine da una pratica abusiva volta a beneficiare di un’aliquota IVA meno elevata a Madera, è necessario accertare che detto contratto costituiva una costruzione puramente artificiosa intesa a dissimulare il fatto che la prestazione di servizi considerata, ossia lo sfruttamento del sito internet che utilizzava il know how della WML, non era effettivamente resa a Madera dalla Lalib, ma era resa, di fatto, in Ungheria dalla WML. Per quanto riguarda la verifica del luogo effettivo di detta prestazione, siffatta constatazione deve fondarsi su elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi come la presenza fisica della Lalib in termini di locali, di personale e di attrezzature (v., per analogia, sentenza Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, C 196/04, EU:C:2006:544, punto 67).
45. Al fine di determinare se tale contratto costituiva una siffatta costruzione, spetta al giudice del rinvio analizzare l’insieme degli elementi di fatto che gli sono sottoposti verificando, in particolare, se la fissazione della sede dell’attività economica o della stabile organizzazione della Lalib a Madera non era effettiva o se tale società, ai fini dell’esercizio dell’attività economica considerata, non aveva una struttura adeguata in termini di locali, di personale e di strumenti tecnici, o ancora se detta società non esercitava tale attività economica in proprio nome e per proprio conto, sotto la propria responsabilità e a proprio rischio.
46. Per contro, il fatto che l’amministratore e unico azionista della WML fosse il creatore del know-how della WML, che lo stesso esercitasse un’influenza o un controllo sullo sviluppo e sullo sfruttamento di tale know-how e sulla prestazione dei servizi basati sullo stesso, che la gestione delle transazioni finanziarie, del personale e degli strumenti tecnici necessari alla prestazione di detti servizi fosse assicurata da subcontraenti, nonché i motivi che possono aver portato la WML a concedere in locazione il know-how di cui trattasi alla Lalib invece di sfruttarlo essa stessa non appaiono di per sé decisivi.
47. Infine, per rispondere ai quesiti del giudice del rinvio, per quanto riguarda la questione se un contratto di licenza, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, possa essere considerato come una pratica abusiva alla luce della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi, si deve constatare, da un lato, che la natura delle relazioni esistenti tra la società che ha concesso la licenza considerata, ossia la WML, e la società che ha acquisito la stessa, ossia la Lalib, non appare rientrare nell’ambito di applicazione della libertà di stabilimento, non essendo la Lalib né la controllata, né la filiale, né l’agenzia della WML.
48. Dall’altro lato, poiché le differenze tra le aliquote IVA ordinarie applicate dagli Stati membri derivano dall’assenza di armonizzazione completa attuata dalla direttiva IVA, il semplice fatto che un contratto di licenza, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, sia stato concluso con una società con sede in uno Stato membro che applica un’aliquota IVA ordinaria meno elevata di quella dello Stato membro in cui ha sede la società che ha concesso le licenze non può, in mancanza di altri elementi, essere considerato come una pratica abusiva alla luce della libera prestazione di servizi.
49. Di conseguenza, si deve rispondere alle questioni dalla prima alla quinta e dalla settima alla nona dichiarando che il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che, per accertare se, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, un contratto di licenza avente ad oggetto la locazione di un know-how che consentiva lo sfruttamento di un sito internet tramite il quale erano prestati servizi audiovisivi interattivi, concluso con una società con sede in uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio aveva sede la società che ha ceduto tale licenza, traeva origine da un abuso di diritto volto a beneficiare di un’aliquota IVA applicabile a detti servizi meno elevata in tale altro Stato membro, il fatto che l’amministratore e unico azionista di quest’ultima società fosse il creatore di tale know-how, che lo stesso esercitasse un’influenza o un controllo sullo sviluppo e sullo sfruttamento di detto know-how e sulla prestazione dei servizi basati sullo stesso, che la gestione delle transazioni finanziarie, del personale e degli strumenti tecnici necessari alla prestazione di detti servizi fosse assicurata da subcontraenti, al pari dei motivi che possono aver portato la società che ha ceduto la licenza a concedere in locazione il know-how di cui trattasi a una società con sede in tale altro Stato membro invece di sfruttarlo essa stessa, non appaiono di per sé decisivi.
50. Spetta al giudice del rinvio analizzare l’insieme delle circostanze del procedimento principale per accertare se tale contratto costituiva una costruzione puramente artificiosa intesa a dissimulare il fatto che la prestazione di servizi di cui trattasi non era effettivamente resa dalla società che ha acquisito la licenza, ma era di fatto resa dalla società che ha concesso la licenza, verificando in particolare se la sede dell’attività economica o della stabile organizzazione della società che ha acquisito la licenza non era effettiva o se tale società, ai fini dell’esercizio dell’attività economica considerata, non aveva una struttura adeguata in termini di locali, di personale e di strumenti tecnici, o ancora se detta società non esercitava tale attività economica in proprio nome e per proprio conto, sotto la propria responsabilità e a proprio rischio.

Sulla sesta questione

51. Con la sesta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che, in caso di constatazione di una pratica abusiva che abbia condotto a fissare il luogo di una prestazione di servizi in uno Stato membro diverso da quello in cui esso sarebbe stato fissato senza tale pratica abusiva, il fatto che l’IVA sia stata pagata in detto altro Stato membro conformemente alla sua normativa osti a che si proceda a un accertamento di tale imposta nello Stato membro del luogo in cui tale prestazione di servizi è stata effettivamente resa.
52. È sufficiente ricordare, a tale riguardo, che, quando è stata accertata la sussistenza di una pratica abusiva, le operazioni in questione devono essere ridefinite in modo da ristabilire la situazione quale si sarebbe configurata senza le operazioni che hanno costituito detta pratica (sentenze Halifax e a., C 255/02, EU:C:2006:121, punto 98, nonché Newey, C 653/11, EU:C:2013:409, punto 50).
53. Ne discende che il luogo di una prestazione di servizi deve essere rettificato se è stato fissato in uno Stato membro diverso da quello dove esso sarebbe stato fissato in assenza di una pratica abusiva e che l’IVA deve essere pagata nello Stato in cui essa avrebbe dovuto essere pagata anche se essa è stata versata nell’altro Stato.
54. Di conseguenza, si deve rispondere alla sesta questione dichiarando che il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che, in caso di constatazione di una pratica abusiva che abbia condotto a fissare il luogo di una prestazione di servizi in uno Stato membro diverso da quello in cui esso sarebbe stato fissato senza tale pratica abusiva, il fatto che l’IVA sia stata pagata in detto altro Stato membro conformemente alla sua legislazione non osta a che si proceda a un accertamento di tale imposta nello Stato membro del luogo in cui tale prestazione di servizi è stata effettivamente resa.

Sulla sedicesima e diciassettesima questione

55. Con la sedicesima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il regolamento n. 904/2010 debba essere interpretato nel senso che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro che esamina l’esigibilità dell’IVA per prestazioni che sono già state assoggettate all’IVA in altri Stati membri sia tenuta a rivolgere una richiesta di cooperazione alle amministrazioni tributarie di tali altri Stati membri.
56. Si deve necessariamente constatare, a tale riguardo, che detto regolamento, il quale, ai sensi del suo articolo 1, definisce le condizioni alle quali le autorità nazionali competenti cooperano tra loro, nonché con la Commissione europea e definisce a tal fine norme e procedure, non precisa in quali condizioni l’autorità tributaria di uno Stato membro potrebbe essere tenuta a rivolgere una richiesta di cooperazione amministrativa all’autorità tributaria di un altro Stato membro.
57. Tuttavia, alla luce del dovere di cooperare per assicurare l’accertamento corretto dell’IVA, enunciato al considerando 7 di tale regolamento, una siffatta richiesta può essere opportuna, se non necessaria.
58. Ciò può verificarsi, in particolare, quando l’amministrazione tributaria di uno Stato membro sa o deve ragionevolmente sapere che l’amministrazione tributaria di un altro Stato membro dispone di informazioni che siano utili, se non indispensabili, per accertare se l’IVA sia esigibile nel primo Stato membro.
59. Si deve quindi rispondere alla sedicesima questione dichiarando che il regolamento n. 904/2010 deve essere interpretato nel senso che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro che esamina l’esigibilità dell’IVA per prestazioni che sono già state assoggettate a detta imposta in altri Stati membri è tenuta a rivolgere una richiesta di informazioni alle amministrazioni tributarie di tali altri Stati membri qualora una siffatta richiesta sia utile, se non indispensabile, per accertare che l’IVA sia esigibile nel primo Stato membro.
60. Alla luce della risposta fornita alla sedicesima questione, non occorre rispondere alla diciassettesima questione.

Sulle questioni dalla decima alla quindicesima

61. Con le questioni dalla decima alla quindicesima, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che non osta a che, ai fini dell’applicazione degli articoli 4, paragrafo 3, TUE, 325 TFUE, 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA, l’amministrazione tributaria possa, allo scopo di accertare la sussistenza di una pratica abusiva in materia di IVA, utilizzare prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso, all’insaputa del soggetto passivo, mediante, ad esempio, intercettazioni di telecomunicazioni e sequestri di messaggi di posta elettronica.
62. Dalla motivazione della decisione di rinvio e dalla formulazione delle questioni sollevate risulta che il giudice del rinvio si chiede, innanzitutto, se, alla luce della discrezionalità lasciata agli Stati membri per garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel proprio territorio e lottare contro la frode e l’evasione fiscale, l’amministrazione tributaria possa, nell’ambito di un procedimento amministrativo, raccogliere ed utilizzare siffatte prove, sebbene esse non siano state inizialmente ricercate ai fini di azioni penali, con mezzi propri del procedimento penale che offre, peraltro, ai soggetti garanzie delle quali non possono godere nell’ambito di un procedimento amministrativo. Esso s’interroga sull’esistenza di una siffatta possibilità e, eventualmente, sui limiti e sugli obblighi derivanti a tale riguardo dall’articolo 8 della CEDU e dagli articoli 7, 8 e 52 della Carta.
63. Nel caso in cui sia riconosciuta una siffatta possibilità, il giudice del rinvio si chiede, inoltre, se l’amministrazione tributaria abbia, al fine di garantire il rispetto dei diritti della difesa di cui all’articolo 48 della Carta e del principio di buona amministrazione sancito all’articolo 41 della stessa, l’obbligo di dare accesso alle prove così raccolte al soggetto passivo e di ascoltare quest’ultimo.
64. Infine, il giudice del rinvio si chiede se l’articolo 47 della Carta implichi che il giudice investito di un ricorso avverso la decisione dell’amministrazione tributaria che ha effettuato l’accertamento fiscale possa controllare la legittimità dell’ottenimento delle prove nell’ambito del procedimento penale qualora il soggetto passivo non abbia potuto averne conoscenza in tale procedimento e non abbia avuto la facoltà di contestarne la legittimità dinanzi a un altro giudice. Inoltre, in presenza di una normativa nazionale secondo la quale un vizio procedurale comporta l’annullamento della decisione impugnata che ne è inficiata solo se tale decisione avrebbe potuto essere diversa in assenza di tale vizio e se la situazione giuridica del ricorrente ne sia compromessa, esso si chiede se il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo richieda, in caso di violazione delle disposizioni della Carta, di annullare tale decisione indipendentemente dall’influenza di detta violazione.
65. A tale riguardo, si deve ricordare, in primo luogo, che è conformemente alle norme nazionali sull’onere della prova, che si deve verificare se sussistano gli elementi costitutivi di una pratica abusiva. Tali norme non devono compromettere, però, l’efficacia del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Halifax e a., C 255/02, EU:C:2006:121, punto 76).
66. In secondo luogo, secondo una giurisprudenza costante, i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Åkerberg Fransson, C 617/10, EU:C:2013:105, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).
67. In terzo luogo, un accertamento dell’IVA in seguito alla constatazione di una pratica abusiva, come quello oggetto della controversia principale, costituisce un’attuazione degli articoli 2, 250, paragrafo 1, 273 della direttiva IVA e dell’articolo 325 TFUE e, quindi, del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta (v., in tal senso, sentenza Åkerberg Fransson, C 617/10, EU:C:2013:105, punti da 25 a 27).
68. Ne discende che il diritto dell’Unione non osta a che l’amministrazione tributaria possa, nell’ambito di un procedimento amministrativo, al fine di accertare la sussistenza di una pratica abusiva in materia di IVA, utilizzare prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso, fermo restando il rispetto dei diritti garantiti dal diritto dell’Unione, in special modo dalla Carta.
69. Riguardo alla portata e all’interpretazione dei diritti garantiti dalla Carta, l’articolo 52, paragrafo 1, della stessa enuncia che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità d’interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
70. Nel caso di specie, per quanto riguarda in primo luogo, l’ottenimento delle prove nell’ambito del procedimento penale, va ricordato che l’articolo 7 della Carta, relativo al diritto al rispetto della vita privata e familiare, contiene diritti corrispondenti a quelli garantiti dall’articolo 8, paragrafo 1, della CEDU e che pertanto occorre, conformemente all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, attribuire a detto articolo 7 lo stesso significato e la stessa portata che sono conferiti all’articolo 8, paragrafo 1, della CEDU, nell’interpretazione che ne offre la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenze McB., C 400/10 PPU, EU:C:2010:582, punto 53, nonché Dereci e a., C 256/11, EU:C:2011:734, punto 70).
71. In tal senso, le intercettazioni di telecomunicazioni, in quanto costituiscono ingerenze nell’esercizio del diritto garantito dall’articolo 8, paragrafo 1, della CEDU, [v., in particolare, Corte EDU, Klass e altri c. Germania, 6 settembre 1978, serie A n. 28, § 41; Malone c. Regno Unito, 2 agosto 1984, serie A n. 82, 64; Kruslin c. Francia e Huvig c. Francia, 24 aprile 1990, serie A n. 176 A e 176 B, § 26 e § 25, nonché Weber e Saravia c. Germania (déc.), n. 54934/00, § 79, CEDU 2006 XI, § 79], costituiscono anche una limitazione all’esercizio del diritto sancito all’articolo 7 della Carta.
72. Lo stesso vale per i sequestri di messaggi di posta elettronica effettuati durante visite domiciliari nei locali professionali o commerciali di una persona fisica o nei locali di una società commerciale, che costituiscono parimenti ingerenze nell’esercizio del diritto garantito dall’articolo 8 CEDU (v., in particolare, Corte EDU, Niemietz c. Germania, 16 dicembre 1992, serie A n. 251 B, §§ 29-31; Società Colas Est e altri c. Francia, n. 37971/97, §40-41, CEDU 2002 III, §§ 40-41, nonché Vinci Construction e GTM Génie Civil et Services c. Francia, n. 63629/10 e 60567/10, § 63, 2 aprile 2015, § 63).
73. Siffatte limitazioni possono pertanto avere luogo solo se siano previste dalla legge e se, nel rispetto del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione.
74. Per quanto riguarda il principio di proporzionalità, la Corte ha già statuito che, in ossequio a tale principio, i provvedimenti che gli Stati membri possono adottare non devono eccedere quanto è necessario per conseguire gli obiettivi diretti ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare le frodi (sentenza R., C 285/09, EU:C:2010:742, punto 45).
75. Nella controversia principale, poiché le intercettazioni di telecomunicazioni e il sequestro di messaggi di posta elettronica sono stati effettuati nell’ambito di un procedimento penale, è alla luce di quest’ultimo che ne vanno valutati lo scopo e la necessità.
76. A tale riguardo, va osservato che, come ricordato al punto 35 della presente sentenza, poiché la lotta contro la frode, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla direttiva IVA (v. in particolare, in tal senso, sentenza Halifax e a., C 255/02, EU:C:2006:121, punto 71), i mezzi istruttori attuati nell’ambito di un procedimento penale al fine, in particolare, del perseguimento di reati in tale ambito hanno uno scopo che risponde a un obiettivo di interesse generale riconosciuto dall’Unione.
77. Quanto all’esame della necessità dei mezzi istruttori, si deve rilevare che, durante l’udienza, l’amministrazione tributaria ha indicato che il sequestro dei messaggi di posta elettronica era stato effettuato senza autorizzazione giudiziaria. A tale riguardo, occorre notare che, in mancanza di previa autorizzazione giudiziaria, la tutela degli individui contro violazioni arbitrarie da parte dei pubblici poteri ai diritti garantiti dall’articolo 7 della Carta richiede una disciplina normativa e una limitazione rigorose ad un siffatto sequestro (v. Corte EDU, Camenzind c. Svizzera, del 16 dicembre 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-VIII, § 45). Così, tale sequestro può essere compatibile con detto articolo 7 solo se la normativa e la prassi interne offrono garanzie adeguate e sufficienti contro gli abusi e l’arbitrio [v., in particolare, Corte EDU, Funke c. Francia, 25 febbraio 1993, serie A n. 256 A, § 56-57; Miailhe c. Francia (n. 1), 25 febbraio 1993, serie A n. 256 C, §§ 37-38, nonché Società Colas Est e altri c. Francia, cit., §§ 48-49].
78. Nell’ambito di tale esame, spetta al giudice del rinvio esaminare se la mancanza di un previo mandato giudiziario sia, in una certa misura, controbilanciata dalla possibilità, per la persona interessata dal sequestro, di richiedere ex post un controllo giurisdizionale vertente tanto sulla sua legittimità quanto sulla sua necessità, controllo che deve essere efficace nelle circostanze specifiche della causa di cui trattasi (v. Corte EDU, Smirnov c. Russia, n. 71362/01, § 45, CEDU 2007 VII).
79. Per quanto attiene, in secondo luogo, alla raccolta e all’utilizzo delle prove da parte dell’amministrazione tributaria, occorre constatare che non si deve, nel caso di specie, esaminare se la trasmissione delle prove da parte dell’ufficio incaricato dell’indagine penale e la loro raccolta da parte di quello che ha condotto il procedimento amministrativo ai fini del loro utilizzo costituiscano una violazione del diritto alla protezione dei dati di carattere personale garantito dall’articolo 8 della Carta, poiché la WML non è una persona fisica e non può quindi avvalersi di tale protezione dato che la sua ragione sociale alcuna persona fisica (v., in tal senso, sentenza Volker und Markus Schecke e Eifert, C 92/09 e C 93/09, EU:C:2010:662, punti 52 e 53).
80. Per contro, alla luce dell’articolo 7 della Carta, si deve ritenere non identifica che l’utilizzo, da parte dell’amministrazione tributaria, di prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale non concluso mediante intercettazioni di telecomunicazioni e sequestri di messaggi di posta elettronica costituisca in quanto tale una limitazione all’esercizio del diritto garantito da tale articolo. Si deve pertanto verificare se tale utilizzo soddisfi anche i requisiti enunciati all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.
81. A tale riguardo, si deve sottolineare che il requisito secondo cui eventuali limitazioni all’esercizio di tale diritto devono essere previste dalla legge implica che la base giuridica che permette l’utilizzo delle prove menzionate al punto precedente da parte dell’amministrazione tributaria deve essere sufficientemente chiara e precisa e che, nel definire essa stessa la portata della limitazione all’esercizio del diritto garantito dall’articolo 7 della Carta, essa offre una certa tutela contro eventuali violazioni arbitrarie di tale amministrazione (v., in particolare, Corte EDU, Malone c. Regno Unito, 2 agosto 1984, serie A n. 82, § 67, nonché Gillan e Quinton c. Regno Unito, 12 gennaio 2010, n. 4158/05, § 77, CEDU 2010).
82. Nell’esaminare la necessità di un siffatto utilizzo nel procedimento principale, si deve in particolare valutare, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 133 delle sue conclusioni, se esso sia proporzionato allo scopo perseguito, verificando se mezzi istruttori meno pregiudizievoli per il diritto garantito dall’articolo 7 della Carta rispetto alle intercettazioni di telecomunicazioni e al sequestro di messaggi di posta elettronica, come un semplice controllo nei locali della WML o una richiesta di informazioni o di indagine amministrativa rivolta all’amministrazione portoghese in applicazione del regolamento n. 904/2010, avrebbero consentito di ottenere tutte le informazioni necessarie.
83. Inoltre, per quanto riguarda il rispetto dei diritti della difesa e il principio di buona amministrazione, si deve osservare che gli articoli 41 e 48 della Carta, presi in considerazione dal giudice del rinvio, non sono rilevanti nel procedimento principale. Infatti, da un lato, dal tenore letterale dell’articolo 41 della Carta emerge chiaramente che esso si rivolge unicamente alle istituzioni, agli organi e agli organismi dell’Unione, e non agli Stati membri (sentenze YS e a., C 141/12 e C 372/12, EU:C:2014:2081, punto 67, nonché Mukarubega, C 166/13, EU:C:2014:2336, punto 44). Dall’altro lato, l’articolo 48 della Carta tutela la presunzione d’innocenza e i diritti della difesa di cui deve beneficiare una persona «accusata» e non si applica quindi in tale procedimento.
84. Nondimeno, il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto che gli arreca pregiudizio. In forza di tale principio, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, quand’anche la normativa dell’Unione applicabile non preveda espressamente siffatta formalità (sentenza Sabou, C 276/12, EU:C:2013:678, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).
85. Nel caso di specie, dalle osservazioni scritte della WML e dalle discussioni in udienza risulta che l’amministrazione tributaria ha dato accesso a tale società alle trascrizioni delle conversazioni telefoniche e ai messaggi di posta elettronica utilizzati come elementi di prova a fondamento della decisione di accertamento fiscale e che la WML ha avuto la possibilità di essere ascoltata su tali elementi prima dell’adozione di detta decisione, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare.
86. In merito, in terzo luogo, al diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo garantito dall’articolo 47 della Carta e alle conseguenze da trarre da una violazione dei diritti garantiti dal diritto dell’Unione, si deve ricordare che, in forza di tale articolo, ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel medesimo articolo.
87. L’effettività del controllo giurisdizionale garantita da tale articolo esige che il giudice che ha effettuato il controllo di legittimità di una decisione che costituisce l’attuazione del diritto dell’Unione possa verificare se le prove sulle quali tale decisione si fonda non siano state ottenute e utilizzate in violazione dei diritti garantiti dal diritto dell’Unione e, in special modo, dalla Carta.
88. Tale requisito è soddisfatto se il giudice investito di un ricorso avverso la decisione dell’amministrazione tributaria relativa a un accertamento dell’IVA è abilitato a controllare che le prove provenienti da un procedimento penale parallelo non ancora concluso, sulle quali si basa tale decisione, siano state ottenute in detto procedimento penale conformemente ai diritti garantiti dal diritto dell’Unione o può quantomeno sincerarsi, sulla base di un controllo già effettuato da un giudice penale nell’ambito di un procedimento in contraddittorio, che tali prove siano state ottenute conformemente a detto diritto.
89. Se tale requisito non è soddisfatto e, quindi, il diritto a un ricorso giurisdizionale non è effettivo, o in caso di violazione di un altro diritto garantito dal diritto dell’Unione, le prove ottenute nell’ambito del procedimento penale e utilizzate nel procedimento amministrativo tributario non devono essere ammesse e la decisione impugnata che si basa su tali prove deve essere annullata se, per tale ragione, essa risulta priva di fondamento.
90. Di conseguenza, si deve rispondere alle questioni dalla decima alla quindicesima dichiarando che il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che non osta a che, ai fini dell’applicazione degli articoli 4, paragrafo 3, TUE, 325 TFUE, 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva IVA, l’amministrazione tributaria, allo scopo di accertare la sussistenza di una pratica abusiva in materia di IVA, possa utilizzare prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso, all’insaputa del soggetto passivo, mediante, ad esempio, intercettazioni di telecomunicazioni e sequestri di messaggi di posta elettronica, a condizione che l’ottenimento di tali prove nell’ambito di detto procedimento penale e il loro utilizzo nell’ambito del procedimento amministrativo non violino i diritti garantiti dal diritto dell’Unione.
91. In circostanze come quelle di cui al procedimento principale, spetta, in forza degli articoli 7, 47 e 52, paragrafo 1, della Carta, al giudice nazionale che controlla la legittimità della decisione relativa a un accertamento dell’IVA fondato su siffatte prove verificare, da un lato, se le intercettazioni di telecomunicazioni e il sequestro di messaggi di posta elettronica fossero mezzi istruttori previsti dalla legge e necessari nell’ambito del procedimento penale e, dall’altro lato, se l’utilizzo da parte di tale amministrazione delle prove ottenute con detti mezzi fosse parimenti autorizzato dalla legge e necessario. Spetta ad esso, inoltre, verificare se, conformemente al principio generale del rispetto dei diritti della difesa, il soggetto passivo abbia avuto la possibilità, nell’ambito del procedimento amministrativo, di avere accesso a tali prove e di essere ascoltato sulle stesse. Se esso constata che tale soggetto passivo non ha avuto detta possibilità o che tali prove sono state ottenute nell’ambito del procedimento penale o utilizzate nell’ambito del procedimento amministrativo in violazione dell’articolo 7 della Carta, detto giudice nazionale non deve ammettere tali prove e deve annullare detta decisione se essa risulta, per tale ragione, priva di fondamento. Parimenti, non devono essere ammesse tali prove se detto giudice non è abilitato a controllare che esse siano state ottenute nell’ambito del procedimento penale conformemente al diritto dell’Unione o non può quantomeno sincerarsi, sulla base di un controllo già effettuato da un giudice penale nell’ambito di un procedimento in contraddittorio, che esse siano state ottenute conformemente a tale diritto.

SULLE SPESE

92. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

PER QUESTI MOTIVI, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
1) Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che, per accertare se, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, un contratto di licenza avente ad oggetto la locazione di un know-how che consentiva lo sfruttamento di un sito internet tramite il quale erano prestati servizi audiovisivi interattivi, concluso con una società con sede in uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio aveva sede la società che ha ceduto tale licenza, traeva origine da un abuso di diritto volto a beneficiare di un’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto applicabile a detti servizi meno elevata in tale altro Stato membro, il fatto che l’amministratore e unico azionista di quest’ultima società fosse il creatore di tale know-how, che lo stesso esercitasse un’influenza o un controllo sullo sviluppo e sullo sfruttamento di detto know-how e sulla prestazione dei servizi basati sullo stesso, che la gestione delle transazioni finanziarie, del personale e degli strumenti tecnici necessari alla prestazione di detti servizi fosse assicurata da subcontraenti, al pari dei motivi che possono aver portato la società che ha ceduto la licenza a concedere in locazione il know-how di cui trattasi a una società con sede in tale altro Stato membro invece di sfruttarlo essa stessa, non appaiono di per sé decisivi.
Spetta al giudice del rinvio analizzare l’insieme delle circostanze del procedimento principale per accertare se tale contratto costituiva una costruzione puramente artificiosa intesa a dissimulare il fatto che la prestazione di servizi di cui trattasi non era effettivamente resa dalla società che ha acquisito la licenza, ma era di fatto resa dalla società che ha concesso la licenza, verificando in particolare se la sede dell’attività economica o della stabile organizzazione della società che ha acquisito la licenza non era effettiva o se tale società, ai fini dell’esercizio dell’attività economica considerata, non aveva una struttura adeguata in termini di locali, di personale e di strumenti tecnici, o ancora se detta società non esercitava tale attività economica in proprio nome e per proprio conto, sotto la propria responsabilità e a proprio rischio.
2) Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che, in caso di constatazione di una pratica abusiva che abbia condotto a fissare il luogo di una prestazione di servizi in uno Stato membro diverso da quello in cui esso sarebbe stato fissato senza tale pratica abusiva, il fatto che l’imposta sul valore aggiunto sia stata pagata in detto altro Stato membro conformemente alla sua legislazione non osta a che si proceda a un accertamento di tale imposta nello Stato membro del luogo in cui tale prestazione di servizi è stata effettivamente resa.
3) Il regolamento (UE) n. 904/2010 del Consiglio, del 7 ottobre 2010, relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro che esamina l’esigibilità dell’imposta sul valore aggiunto per prestazioni che sono già state assoggettate a detta imposta in altri Stati membri è tenuta a rivolgere una richiesta di informazioni alle amministrazioni tributarie di tali altri Stati membri qualora una siffatta richiesta sia utile, se non indispensabile, per accertare che l’imposta sul valore aggiunto sia esigibile nel primo Stato membro.
4) Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che non osta a che, ai fini dell’applicazione degli articoli 4, paragrafo 3, TUE, 325 TFUE, 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, l’amministrazione tributaria possa, allo scopo di accertare la sussistenza di una pratica abusiva in materia d’imposta sul valore aggiunto, utilizzare prove ottenute nell’ambito di un procedimento penale parallelo non ancora concluso, all’insaputa del soggetto passivo, mediante, ad esempio, intercettazioni di telecomunicazioni e sequestri di messaggi di posta elettronica, a condizione che l’ottenimento di tali prove nell’ambito di detto procedimento penale e il loro utilizzo nell’ambito del procedimento amministrativo non violino i diritti garantiti dal diritto dell’Unione.
In circostanze come quelle di cui al procedimento principale, spetta, in forza degli articoli 7, 47 e 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, al giudice nazionale che controlla la legittimità della decisione relativa a un accertamento dell’imposta sul valore aggiunto fondata su siffatte prove verificare, da un lato, se le intercettazioni di telecomunicazioni e il sequestro di messaggi di posta elettronica fossero mezzi istruttori previsti dalla legge e fossero necessari nell’ambito del procedimento penale e, dall’altro lato, se l’utilizzo da parte di tale amministrazione delle prove ottenute con detti mezzi fosse parimenti autorizzato dalla legge e necessario. Spetta ad esso, inoltre, verificare se, conformemente al principio generale del rispetto dei diritti della difesa, il soggetto passivo abbia avuto la possibilità, nell’ambito del procedimento amministrativo, di avere accesso a tali prove e di essere ascoltato sulle stesse. Se esso constata che tale soggetto passivo non ha avuto detta possibilità o che tali prove sono state ottenute nell’ambito del procedimento penale o utilizzate nell’ambito del procedimento amministrativo in violazione dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, detto giudice nazionale non deve ammettere tali prove e deve annullare detta decisione se essa risulta, per tale ragione, priva di fondamento. Parimenti, non devono essere ammesse tali prove se detto giudice non è abilitato a controllare che esse siano state ottenute nell’ambito del procedimento penale conformemente al diritto dell’Unione o non può quantomeno sincerarsi, sulla base di un controllo già effettuato da un giudice penale nell’ambito di un procedimento in contraddittorio, che esse siano state ottenute conformemente a tale diritto.

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