20 Gennaio, 2017

1. Non è ancora entrata a pieno regime la nuova tassa comunale sui rifiuti solidi urbani (1) ed è già guerra sul peso che le tariffe stabilite dai Comuni per la sua applicazione avranno sugli utenti del servizio, domestici ed economici.
I dati statistici sulle determinazioni adottate dai Comuni più grandi, pubblicizzati dalla stampa quotidiana e tecnica, hanno subito creato vasto allarmismo, mettendo in evidenza un generale trend di rilevanti incrementi rispetto alla già pesante situazione in atto, specialmente per i tanti enti locali rimasti finora fermi all’applicazione della vecchia TARSU (2).
Sotto accusa, oltreché al fatto obiettivo e conseguente degli aumenti, è stato messo il procedimento di fissazione, normativamente previsto (3), delle tariffe individuali del nuovo tributo, nonché quello di quantificazione del costo complessivo del servizio, elemento basilare per suddividerne l’onere fra i singoli utenti-contribuenti.
Su questi aspetti problematici del diffuso malcontento, giunto all’attenzione del Parlamento nazionale, lo scrivente si è già ripetutamente espresso (4), senza trovare finora particolari appoggi e attenzioni; una “vox clamantis in deserto”, divenuta oggi – a quanto pare – stentorea e corale.
Non vale ripetersi in questa sede, ma solo rammentare in tutta brevità il succo delle deduzioni già esposte: la normativa sulla TARI (così come per le precedenti, discusse TIA 1 e 2) si limita a raccomandare la copertura integrale del costo complessivo del servizio comunale, tacendo del tutto sui limiti per la determinazione delle tariffe individuali, in palese violazione del principio di legalità sancito dall’art. 23 Cost.; appare inoltre fuori controllo la fase determinante della quantificazione del costo complessivo del servizio, lasciata alla mercé dei suoi gestori (Comuni, concessionari, società partecipate) attraverso la “costruzione” di un piano finanziario-relazione tecnica sui vari, complessi fattori, attivi e passivi, del costo effettivo del servizio, le cui risultanze conclusive sono le tariffe, da onorare a piè di lista e senza riscontri da parte di organi tecnici esterni di controllo (5).
La prima regola da imporre è dunque quella di risolvere e sanare, a livello legislativo, le gravi carenze fin qui evidenziate.

2. La preoccupazione del legislatore risulta da tempo incentrata prevalentemente sull’obiettivo della copertura integrale del costo del servizio: obiettivo importante, frenato anche da situazioni impreviste e paradossali, come la spesa per far smaltire all’estero vagoni di nostri rifiuti e quella per nuove e capienti discariche, non soltanto non eliminate dalla “raccolta differenziata” dei rifiuti, ma attualmente gravate anche da tributo regionale (6).
Eppure il problema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti assume un rilievo che va ben oltre gli aspetti puramente economici e tecnici: all’interesse dei cittadini di mantenere ordine e pulizia nei locali posseduti e occupati si affianca, con prevalente valenza, quello del decoro pubblico, la tutela dell’ambiente e aspetti igienico-sanitari e paesaggistici notevoli.
Basta andare a ritroso nella storia delle normative sul tema in esame per rendersi conto della crescente consapevolezza del ruolo assunto dall’attività di raccolta e di smaltimento dei rifiuti: fino agli anni ’30 dello scorso secolo, la “nettezza dell’abitato” costituiva spesa obbligatoria per i bilanci comunali (art. 91 del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, T.U. della legge comunale e provinciale), rientrava fra le funzioni da svolgere a mezzo di aziende municipalizzate (R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578), ma non coinvolgeva il cittadino; questi poteva liberamente gestire i propri rifiuti, con la facoltà di avvalersi, a richiesta e dietro corrispettivo, del servizio comunale (R.D. 27 dicembre 1923, n. 2962).
La svolta netta e decisiva sulla natura e la funzione del servizio e sul suo finanziamento avvenne con la legge 20 marzo 1941, n. 366: nasceva un tributo vero e proprio, di natura obbligatoria, basato su due parametri fondamentali: la superficie dei locali e la loro destinazione; i cittadini, individuati nei possessori e detentori dei locali, erano tutti tenuti a corrispondere il nuovo onere, senza facoltà discrezionali sull’utilizzo del servizio comunale.
Rileggendo il testo di quella legge, si rimane colpiti dalla presentazione e definizione della forma impositiva introdotta, così formulate all’art. 1, primo comma: «La raccolta, il trasporto e lo smaltimento (utilizzazione o dispersione e distruzione) dei rifiuti urbani assumono, nei riflessi dell’igiene, dell’economia e del decoro, carattere di interesse pubblico».
Norma esemplare: esemplare perché coglie appieno la duplice funzione del servizio, non limitata a soddisfare una esigenza dei “produttori di rifiuti”, ma a riconoscere il ruolo dell’intervento pubblico nel settore come fattore essenziale di tutela del territorio nei suoi molteplici aspetti (igienici, paesaggistici, di ordine e di decoro urbani).
Questa è stata la tesi espressa da chi scrive (7) per sostenere che – in armonia e coerenza con il principio generale sancito dall’art. 2 Cost. (normalmente … ignorato) – la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti assume valenza di interesse pubblico, per il cui soddisfacimento tutti i cittadini sono tenuti a partecipare ed a contribuire, come dovere inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale.
Palesemente fuorviante e riduttivo appare, al riguardo, il motto europeo «chi inquina, paga», peraltro, falso, perché i veri e grandi inquinatori generalmente non pagano e perché il progresso economico e igienico impone misure (giustamente) rigorose a carico di produttori, commercianti e consumatori nello scambio di merci e prodotti adeguatamente confezionati e protetti, che automaticamente si trasformano in rifiuti (normalmente non inquinanti).
Qual è allora la regola corretta da seguire e da imporre per realizzare appieno questo obiettivo?
Il cittadino che si avvale del servizio relativo ai rifiuti deve contribuire al suo costo, ma, accanto all’interesse individuale c’è, con superiore valenza, un interesse pubblico al decoro urbano e alla tutela dell’ambiente e della salute, che dovrebbe fare carico, non solo gestionale, ma anche economico, sullo Stato e sui Comuni, come si verifica e accade per altre attività e funzioni (istruzione, giustizia, sanità, ordine pubblico, ecc.); e, d’altra parte, questa deduzione era già chiara e pacifica quando, un secolo fa, i bilanci comunali dovevano farsi carico obbligatorio di questo tipo di spesa.
Un principio del genere dovrebbe comunque ritrovarsi nella legislazione attuale in materia.

3. Una quota del costo complessivo del servizio rifiuti deve dunque gravare su chi è delegato dalle leggi a tutelare l’igiene, la salute, il decoro, il paesaggio, ecc. del nostro Paese; l’attuale, totale aggravio di tale spesa sul cittadino non è corretto e giustificabile.
Una terza regola va però imposta: il costo complessivo deve essere integralmente coperto, sia pure chiamando anche Stato e Comuni a contribuire a ciò, per il soddisfacimento dell’interesse pubblico ampliamente connesso all’attività di raccolta e di smaltimento dei rifiuti.
Ma la legislazione passata, che si è rivelata più attenta e completa di quella vigente, ribadiva costantemente un’altra regola: l’ammontare totale degli introiti realizzati o realizzabili dalla tassazione dei rifiuti non deve superare il costo del servizio, in altre parole, la tassa non deve perdere in concreto la funzione di corrispettivo ad un servizio reso o comunque disposto, per diventare occasione di profitto o di entrata del bilancio comunale o di altro soggetto, da utilizzare per altre funzioni e finalità (art. 61 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507; art. 268 del T.U. per la finanza locale 14 settembre 1931, n. 1175; e circ. Min. fin. 9 gennaio 1942, n. 906.22/A224).
L’impressione di chi scrive, basata anche sulle notevoli differenze di carico fiscale fra Comune e Comune a seconda del tipo di gestione adottata, è che l’aleatorietà degli elementi di spesa e la sostanziale, attuale loro non controllabilità, esposti nelle relazioni tecniche dei vari Comuni, consentono la previsione di fette indebite di profitto per i gestori del servizio. Che, ora, fra le spese da considerare sia prevista l’equa remunerazione del gestore del servizio, al di fuori dei costi accertati o preventivabili per lo svolgimento regolare di tutte le attività di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, è cosa logica, pacifica e indiscutibile, ma ciò che va respinto è l’inserimento di voci e di partite idonee a legittimare riconoscimenti economici forieri di profitto e di conseguente aggravio delle tariffe della tassa sulle tasche dei contribuenti.
Chi controlla, oggi, l’osservanza di queste precauzioni? Perché il legislatore nulla dice e prevede in proposito?

Eugenio Righi

(1) Si attende che tutti i Comuni fissino le tariffe del nuovo tributo e venga emanata la sua completa disciplina applicativa.
(2) Oltre seimila Comuni applicavano ancora il vecchio tributo, preferendolo alla discussa TIA.
(3) Come abbiamo rilevato (ved. E. RIGHI, Troppo criptici i parametri per fissare le tariffe delle tasse sui rifiuti solidi urbani, in Boll. Trib., 2015, 1755, in nota a Comm. trib. prov. di Lecce, sez. II, 1° giugno 2015, n. 1891), i criteri-base per la formazione delle tariffe sarebbero ancora basati sul regolamento approvato per la TIA, il D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158!
(4) Oltre allo scritto indicato nella precedente nota, ved. E. RIGHI, TIA e Costituzione, in Dir. prat. trib., 2007, 1, 593; ID., La tariffa sui rifiuti solidi fra equivoci, dispute e ritardi, in Boll. Trib., 2010, 1438; ID., Brevi note sulla quantificazione e motivazione dei tributi sui rifiuti solidi e sulla compensazione delle spese di giudizio, ivi, 2015, 1439, in nota a Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. III, 29 dicembre 2014, n. 587; in materia cfr. anche G. MARONGIU, Storia dei tributi degli enti locali (1861-2000), Padova, 2001, 327.
(5) L’esigenza assoluta di un controllo preventivo sull’operatività delle tariffe della tassa in esame indicate nelle relazioni tecnico-finanziarie dei Comuni potrebbe far carico alla Regione, alla Corte dei Conti o a commissioni tecniche composte anche da rappresentanti delle categorie economiche o sociali locali.
(6) Ci riferiamo al tributo speciale per il deposito in discarica previsto dall’art. 3, comma 31, della legge 28 dicembre 1995, n. 549.
(7) Cfr. E. RIGHI, Prime valutazioni sulla TARI (nuova tassa comunale sui rifiuti), in Boll. Trib., 2014, 503.

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